Le decisiones dei Supremi Tribunali del Regnum Siciliae. Fonti di un diritto “siciliano barocco”

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Author: 
Francesco Di Chiara

Nell'introduzione al suo repertorio sui testi giuridici pubblicati in Italia nella prima età moderna, lo storico del diritto inglese Douglas J. Osler delinea alcune tra le componenti distintive di quella che viene definita the Jurisprudence of the Baroque. Egli sottolinea che si tratta di una produzione dottrinale che tra il 1550 ed il 1750 accomuna quelle aree territoriali del sud Europa, in particolare le penisole iberica ed italica, caratterizzate dall'influenza culturale della chiesa cattolica, che nello specifico campo del diritto si riflette nel rilievo centrale assunto dallo ius canonicum novissimum. [1]

Quella appena menzionata è una definizione estremamente generale, ma dalla quale intendo prendere spunto, nel mio intervento, per delineare ulteriori caratteri della scienza giuridica della prima età Moderna, legati soprattutto al suo contenuto ed alla sua diffusione. Filo conduttore di tale indagine sarà il genere letterario che sicuramente più di altri connota, in tale periodo, il sapere giuridico, vale a dire quello della Decisio. Lo sfondo sarà invece costituito dal Barocco e dai vari tentativi di definire tale momento storico, i quali elaborati sicuramente per campi del sapere estranei al diritto finiscono inevitabilmente per delineare anche quest'ultimo e la produzione scientifica ad esso legata.

Il definire barocca tale letteratura giuridica, ha spesso implicato, da parte degli studiosi, un giudizio di merito che la associava a quel periodo di declino e decadenza culturale  che avrebbe attanagliato Spagna e Italia, nel corso del Seicento. [2] Questo clichè risulta essere da lungo tempo dissipato nei campi della pittura, della scultura, della religione e della letteratura da una nuova interpretazione del termine barocco, associato ad un periodo storico che vedeva proprio nel sud Europa una profonda fioritura in tali campi del sapere. [3] Una rivisitazione e rivalutazione che comunque non pare aver scalfito il giudizio sulla cultura giuridica di tale momento. Da un lato, infatti gli storici impegnati nella trattazione degli argomenti generali di storia intellettuale hanno spesso trascurato, specialmente nell'ambito della tradizione letteraria europea, lo spazio fondamentale occupato sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo dalla letteratura giuridica. [4]

Simile atteggiamento, dall'altro, pare avere caratterizzato per lungo tempo la stessa storiografia giuridica. Essa ha faticato a staccarsi dall'idea di un diritto comune di matrice eminentemente dottrinale fondato esclusivamente sulle università, sull'interpretazione del diritto romano-canonico e su una communis opinio esclusivamente dottorale. Quest'ammirazione, a tratti nostalgica, per lo spessore dogmatico della scientia juris ha indotto la storiografia giuridica specialmente italiana, fino agli anni settanta del secolo scorso a trascurare e porre in una posizione di sudditanza la storia giuridica della prima età moderna rispetto a quella medievale. [5]

Nel passaggio all'età Moderna si delinea, infatti, un progressivo spostamento del centro di elaborazione della scienza del diritto dalle università ai tribunali, i giuristi eleggono la prassi giudiziaria a centro quanto mai vitale delle loro speculazioni. [6] Si assiste dunque alla creazione ed allo sviluppo di un diritto sub specie interpretationis che tra il XVI e il XIX secolo, in tutta Europa, trova la sua "culla" nei Supremi Tribunali di ciascun ordinamento territoriale; i suoi interpreti principali sono i giudici di tali Corti, rappresentanti di una vera e propria casta di giuristi, legata alla pratica forense i quali affiancano ed in certi casi surrogano, nella funzione creatrice ed innovatrice del diritto, i professori delle università. [7] Questo soprattutto per il ruolo assunto, all'interno delle nascenti realtà statuali dai Corti Supreme. o Grandi Tribunali. [8] Essi, infatti, riformati o costituiti ex novo agli albori dell'età moderna occupavano il vertice del sistema amministrativo giurisdizionale dei regni; erano composti dai più rinomati giuristi, nominati direttamente dal sovrano, avevano competenza di appello nei confronti di tutte le sentenze emanate dai tribunali di grado inferiore e competenza esclusiva in specifiche materie, quali le cause che riguardavano direttamente il sovrano, l'aristocrazia, i debiles, o infine le cause feudali. [9]

Così organizzate, le Corti Supreme avrebbero dovuto assecondare le mire accentratrici del sovrano soprattutto applicando il diritto che da quest'ultimo promanava, cioè la legge. Ma in realtà, proprio grazie al ruolo centrale svolto in seno all'organizzazione dello stato, all'autorevolezza dei giuristi che ne componevano i collegi, e agli ampi poteri equitativi riconducibili dall'arbitrium, i Grandi Tribunali erano portati a porsi in concorrenza col sovrano proprio sul versante applicativo del diritto, considerando le proprie pronunce come fonte primaria per risolvere le controversie, con il risultato di attribuire, alle sentenze, una forza simile a quella della legge. [10] Proprio quest'attitudine dei Grandi Tribunali a produrre diritto tramite la propria giurisprudenza ha fatto parlare la storiografia più risalente di un'opera di unificazione del diritto, che sarebbe stata attuata dalle Supreme Corti non soltanto all'interno dello stato di appartenenza ma addirittura al di fuori dei confini di questo. [11]

Se riveste, quindi, notevole interesse ricostruire le fila delle vicende degli alti tribunali, dei loro giudici, delle procedure e della normativa che ne regolava il funzionamento, appare altrettanto utile soffermare l'attenzione sulla produzione di quelle corti, in particolare sulle sentenze e sul rilievo e l'autorità cui quella produzione assurgeva all'interno dei sistemi normativi dei singoli stati europei.

In tale ottica appare fondamentale soffermare l'attenzione sul genere letterario scelto dalla dottrina giuridica per "trattare" di questa giurisprudenza ed attuare una solida saldatura con la prassi giudiziaria, vale a dire quello della decisio. Al consolidarsi dell'autorevolezza dei Supremi Tribunali e della loro giurisprudenza fa diretto seguito, infatti, il fiorire ed il diffondersi delle raccolte di Decisiones di tali Corti. Le raccolte sono il frutto dell'iniziativa privata dei singoli curatori e solitamente contengono sentenze delle quali l'autore ha avuto personale cognizione come giudice o come avvocato.

La decisio è un atto stragiudiziale che non coincide con la sentenza, ma la utilizza quale presupposto di una rielaborazione eminentemente dottrinale. In tal senso, il genere letterario riesce a fondere due piani all'apparenza inconciliabili. Da un lato, infatti le decisiones offrono un resoconto della giurisprudenza della Suprema Corte da cui promanano, ma allo stesso tempo propongono un percorso dottrinale che affonda invece le radici nella solida tradizione del diritto comune. [12]

Tale dato appare evidente fin dalla scelta dei casi controversi su cui strutturare la decisio, questi, infatti, solitamente ineriscono a nodi problematici particolarmente dibattuti sia nel Supremo Tribunale in cui il caso è sottoposto, ma costituiscono altresì oggetto di riflessione e luoghi di approdo di una communis opinio le cui basi dottrinali valicano i confini territoriali in cui l'organo giudicante opera.

La struttura delle decisiones presenta caratteri di notevole discontinuità che non permettono una loro sussunzione all'interno di un unico schema classificatorio. Questo sembra in gran parte dovuto agli scopi stessi perseguiti dall'autore, il quale utilizza il materiale giurisprudenziale come spunto, o meglio pretesto, per una dissertazione tesa a spiegare l'iter logico-giuridico che ha condotto alla decisio presa in considerazione; quasi a voler render note all'esterno le motivazioni delle "immotivate" sentenze dei Grandi Tribunali. [13] Ed è proprio la presenza della narrazione del caso giudiziario l'elemento di maggiore discontinuità. La decisio "tipica" esordisce con un rinvio alla causa cui inerisce, generalmente individuata con il nome delle parti, cui segue la narratio, ossia un'esposizione -più o meno stringata- del fatto litigioso e dei punti controversi discussi in giudizio. Successivamente si da conto delle ragioni di diritto che avrebbero potuto indurre ad una conclusione e di quelle opposte, ricostruendo così l'iter logico-giuridico che ha condotto alla decisione finale, di cui si da un breve cenno.

Ma è nell'ambito di un siffatto schema, semplice e per certi versi costante, che si alternano decisiones nelle quali viene fatta puntuale menzione delle parti processuali, dell'oggetto della controversia, dell'iter attraverso cui questa è giunta fino al tribunale giudicante, della decisione di quest'ultimo e della relativa data, con altre nelle quali o manca qualcuno dei citati elementi, o addirittura si fa riferimento ad una pronuncia, in chiave puramente esemplificativa, identificandola semplicemente con la data. Nel primo caso, per riprendere una partizione oramai consolidata, si può parlare di "report", mentre nel successivo, dove l'elemento dottrinale in alcun modo lascia spazio alla narrazione del caso giudiziario, si configura una vera e propria trattazione di problemi giuridici su base giurisprudenziale. [14]

L'analisi dunque della struttura delle decisiones della prima età Moderna mostra come per i curatori il caso concreto non sia l'oggetto centrale dell'esposizione, ma divenga soltanto un presupposto, per quanto necessario, dell'elaborazione svolta secondo i dettami forgiati da una dottrina che aveva formazione e canoni fondati sul diritto comune. In virtù di tale visione, infatti, si muove dal caso concreto, ma per svolgere un discorso originale ed autonomo, che in quanto tale si profila immediatamente come dottrinale. Il vero cuore della decisio è rappresentato dalle innumerevoli citazioni di auctoritates le quali supportano la costruzione dottrinale edificata dal curatore. È proprio costui che tra le rationes a confronto sceglie la communis opinio risolutoria del caso controverso, avvalorando e selezionando un percorso, rispetto agli altri citati, idoneo a giustificare la sentenza finale del tribunale, che appare da un lato quale semplice appendice della prospettata costruzione dottrinale, dall'altro rappresenta un'indispensabile auctoritas formale confirmatoria delle auctoritates sostanziali riportate in tutta la decisio dall'autore. [15]

La diffusione delle raccolte di decisiones rappresenta un evento di portata "globale" che coinvolge gran parte d'Europa: ad esse rinviavano gli operatori del diritto sia per cercare un campo di certezze rispetto alle contraddizioni ed esitazioni delle opere teoriche e della letteratura consiliare, sia per conoscere il diritto quale effettivamente applicato nei maggiori tribunali di ogni ordinamento. Le decisioni, selezionando, accreditando o respingendo determinate "opiniones", si presentavano come costante punto di riferimento argomentativo nella pratica quotidiana del foro: per il loro tramite si poteva individuare come presumibilmente si sarebbero regolati gli organi giudicanti, e questi stessi, soprattutto quando subordinati, vi avrebbero trovato una guida sicura entro il vasto mare del diritto controverso [16].

L'autorità di alcune corti consente dunque alle loro decisiones di valicare i confini degli stati e di dar luogo a una prassi internazionale. E' stata forse l'enfatizzazione di un tale fenomeno a rafforzare l'idea della vigenza e recezione a carattere europeo del ius commune che, sia pur con l'ausilio di forme e generi letterari nuovi rispetto a quelli medievali connoterebbe, con la sua forza autoritativa, anche l'Età Moderna fin quasi alle codificazioni ottocentesche. Tale tesi è stata sostenutala dalla maggior parte della storiografia giuridica della seconda metà del secolo XX, impegnata, attraverso la ricerca di un passato giuridico comune, nell'annoso tentativo di costruire un'integrazione in un continente ancora dilaniato dagli echi del recente conflitto mondiale. [17]

Questa visione è stata negli ultimi anni fortemente avversata da coloro i quali hanno ridimenzionato innanzitutto la portata globale di questo diritto comune, che sarebbe in realtà limitato soltanto ad alcune realtà territoriali dell'Europa occidentale, oltre alla sua effettiva penetrazione negli organismi statuali della prima età moderna, ben più caratterizzati dal nascente diritto patrio e dai giuristi che in tale contesto operavano. Secondo tale orientamento, infatti, la l'apporto dei giuristi stranieri avrebbe carattere residuale, in una scientia iuris prevalentemente "nazionale". [18]

Sia pur forse ridimensionata dal punto di vista della sua estensione territoriale, pare proprio, però, che per ciò che attiene alla circolazione delle raccolte di decisiones, si possa comunque parlare di un sistema di citazioni legate al metodo autoritativo del diritto comune su cui venne costruito un vero e proprio usus fori transnazionale.

A ben guardare il fenomeno da ultimo descritto pare funzionale a legare le decisiones ad una delle tante sfaccettature in cui il concetto di Barocco è stato di recente declinato, vale a dire quella di periodo del movimento, della circolazione di opere e di idee, grazie al moltiplicarsi dei viaggi degli intellettuali ma soprattutto all'incrementarsi, nell'Europa del Seicento, dei canali per veicolare la comunicazione. [19] Sotto tale profilo le decisiones con la loro capillare diffusione, sicuramente agevolata dall'invenzione della stampa, rappresentano un esempio della centralità del libro, nello specifico del testo giuridico, nella disseminazione del pensiero giuridico, che nella prima età Moderna trova proprio nei generi letterari legati alla prassi giudiziaria il mezzo privilegiato di espressione.

Anche la scienza giuridica siciliana, fra '500 e '600 si caratterizza per una connessione assai stretta con l'ambito delle procedure.

E' in tale lasso di tempo, infatti, che intorno al nucleo dei grandi tribunali palermitani si sviluppa e fiorisce, per impulso dei maggiori giudici-giuristi, una produzione tecnica legata all'attività delle Corti e propria di avvocati, ma soprattutto di magistrati, in buona parte anche professori o ex professori nelle università di Catania e Messina, i quali alle speculazioni teoriche di diritto comune tipiche dei corsi ufficiali universitari preferiscono le trattazioni tecnico-professionali legate alla prassi forense. [20]

La dottrina giuridica siciliana sceglie dunque la materia del processo non solo come campo privilegiato per le sue riflessioni, ma anche e soprattutto per una interpretazione rivolta alla normativa regia che tale materia disciplina. Un'interpretazione che il più delle volte tende ad enfatizzare la lacunosità e la frammentarietà del dettato legislativo, legittimandone per tal via una rilettura estensiva, se non addirittura alternativa. [21] Si tratta di un tentativo, da parte dei giuristi, di rimanere protagonisti in un ambito, quello delle procedure, che sempre più i sovrani tendono ad attrarre tra le materie della propria legislazione. [22] Ed ecco, quindi, vedere la luce un gran numero di opere, ascrivibili a vari generi letterari, per mezzo delle quali la dottrina giuridica siciliana, reinterpretandolo, crea nei fatti il diritto effettivamente applicato nelle aule dei tribunali.

Già presenti in numero considerevole alla fine del XV secolo, sono i trattati sulla procedura - le 'pratiche' civili e criminali e i commentari al Ritus Magnae Regiae Curiae Alfonsino [23] - che vedono comunque tra la fine del Cinquecento e l'inizio del secolo successivo le più importanti e diffuse opere di tale genere, quelle di Giuseppe Cumia [24] e di Marcello Conversano [25], oltre ai Commentari ai Capitoli del Regno del palermitano Mario Muta. [26]

Sempre nell'ambito della produzione dottrinale, un posto di rilievo va sicuramente attribuito alle raccolte di Decisiones dei Supremi Tribunali siciliani. Conformemente ad un uso già diffuso in tutta Europa, si afferma decisamente, anche in Sicilia, la prassi di supportare le argomentazioni di diritto, in special modo negli scritti destinati alla pratica giudiziaria, allegando le decisiones delle corti maggiori. Si moltiplicano le raccolte di decisiones dei tribunali più autorevoli, riunite in sillogi selezionate spesso ad opera di giureconsulti che avevano esercitato il giudicato, conseguenza e origine ad un tempo del consolidarsi della giurisprudenza e dello stile dello stesso tribunale.

La prima raccolta di decisiones di un tribunale siciliano si deve al giudice e professore catanese Francesco Milanese [27]. Si tratta di quaranta decisiones che ripropongono, in veste riassuntata ed abbondantemente rielaborata, alcune cause di particolare rilievo discusse presso la Gran Corte, con lunghe citazioni di varia dottrina anche non siciliana. Stampata a Venezia nel 1593 -e quindi ristampata, sempre nella città lagunare, nel 1596 e nel 1602 ed ancora a Francoforte nel 1600 ed a Palermo nel 1624- sembra abbia conosciuto una larga diffusione anche al di fuori dell'isola, almeno a giudicare dal numero delle edizioni [28].

L'opera di Milanese inaugura, per la Sicilia, una "serie" davvero fortunata. Ad essa, infatti, fanno seguito le edizioni di numerose altre raccolte i cui autori -Mastrillo [29], Intrigliolo [30], Del Castello [31], Giurba [32], Muta [33], Caracciolo [34] e Basilicò [35], solo per citarne i più noti- sono i rappresentanti più autorevoli fra i giuristi ed i giudici siciliani vissuti fra la metà del Cinquecento ed il secondo Seicento [36]. La maggior parte delle decisiones riguardano la materia feudale ed il regime dotale, le più dibattute nei tribunali locali, anche se non mancano le raccolte interamente incentrate sulle vertenze penali (Giurba [37], Basilicò [38]) o volumi che collezionano pronunzie in materia di compravendite e censi.

In Sicilia, quindi, fino al 1593 non sono riscontrabili esempi editi di tale letteratura, mentre nel cinquantennio dal 1600 al 1650 si contano addirittura oltre trenta edizioni, che scemano poi a meno di dieci nel secondo cinquantennio del XVII secolo. [39] Le motivazioni di tale fiorire in questo lasso di tempo sono riconducibili ad una serie di di fattori concomitanti. Innanzi tutto il processo di stabilizzazione degli alti tribunali siciliani, che iniziatosi verso la metà del secolo XV giunge a maturazione con la prammatica de reformatione tribunalium di Filippo II del novembre del 1569 [40]. Con tale provvedimento, infatti, che viene sostanzialmente definita la struttura delle magistrature dell'isola, ponendo al vertice i tribunali della Regia Gran Corte e del Concistoro della Sacra Regia Coscienza, diarchia determinata anche da un complesso sistema di appelli ordinari [41]. A questo va sicuramente aggiunta la massiccia professionalizzazione della magistratura dovuta alla presenza, come giudici dei tribunali supremi, dei massimi giuristi dell'isola; un particolare questo, che non poteva non contribuire ad accrescere il prestigio delle decisioni adottate da quelle corti. Rilevante può essere stata anche l'influenza di una "moda" che vedeva, in quegli anni, il genere letterario della decisio affermarsi largamente in Europa; in tal senso va letta l'enorme fortuna e fama di cui godettero, anche in Sicilia, le decisiones del napoletano Matteo D'Afflitto, vero "faro per la dottrina successiva", [42] le quali contribuirono non poco nell'incoraggiare alcuni magistrati siciliani a seguirne l'esempio. Non è infine da sottovalutare l'impulso derivante dalla creazione e diffusione a Palermo di stabilimenti tipografici, utili per diminuire le spese e facilitare i contatti necessari per le edizioni [43].

La quasi totalità delle opere, per stessa ammissione degli autori, è destinata ad utilitatem advocatorum, ad usum studendi et commodum practicorum et curialium e la loro diffusione si giustifica, appunto, con il favore con il quale vengono accolte proprio dagli operatori del diritto. [44]

I curatori sono anche i rappresentanti più autorevoli della dottrina giuridica siciliana seicentesca, tutti giudici nonché giuristi di successo, autori sia di raccolte di decisiones che di trattati, fattore questo che determinò non solo un'omogeneità, soprattutto stilistica tra i due generi, ma anche una fittissima serie di citazioni reciproche, tra decisiones e trattati, in uno scambio continuo tra auctoritates che "giocano" a legittimarsi vicendevolmente [45]. Un quadro questo che restituiva un'immagine dinamica e vivace della dottrina isolana, allo stesso tempo compatta e caratterizzata da un'intrinseca continuità data dalla contaminazione tra i generi letterari.

Stando a quanto dichiarato nei frontespizi delle opere, le decisiones siciliane hanno ad oggetto cause discusse, quasi esclusivamente, dinnanzi ai Supremi Tribunali dell'isola. In particolare tutte le raccolte riguardano la giurisprudenza promanante dalla Magna Regia Curia, ad eccezione delle tre raccolte dedicate al Concistoro della Sacra Regia Coscienza, [46] delle Decisiones di Ottavio Caracciolo e Lanza, dedicate all'attività di un tribunale cittadino quale la Corte Pretoriana di Palermo e delle Disceptationes fiscales di Ignazio Gastone. [47]

E tuttavia, addentrandosi all'interno delle singole raccolte, ci si imbatte spesso in sillogi che, se pur formalmente dedicate ad un Supremo Tribunale, riportano in realtà giurisprudenza promanante dalle più disparate corti del regno o pronunce adottate dai singoli autori in qualità, magari, di giudici delegati. [48]

Lungi dall'essere segno di approssimazione o di casualità, questa mescolanza è il frutto di un duplice ordine di elementi. Da una parte, la scelta consapevole degli autori di voler immortalare nelle raccolte i tratti più significativi delle proprie carriere le quali erano necessariamente costruite sull'alternanza sia nei ruoli di consulenti e giudicanti che, nell'ambito di questi ultimi, nella presenza nei vari tribunali dell'isola, data la temporaneità delle cariche magistratuali; il tutto a danno forse dell'organicità interna delle raccolte, ma a vantaggio di una ricostruzione dei rapporti fra i vari organi giudiziari siciliani. [49]

Dall'altra è il frutto di una precisa opzione editoriale degli autori: intitolare, infatti, la propria raccolta ad uno dei Supremi Tribunali dell'isola significava, innanzitutto, attribuirle fin dal titolo l'autorevolezza che dalla Corte discendeva. [50]

Il tribunale da cui le sentenze promanano e la fama dei curatori sono dunque i due "elementi di credibilità" delle raccolte. Sono questi due fattori ad attribuire autorevolezza e spessore scientifico alle sillogi, influenzandone indubbiamente il contenuto ma soprattutto la percezione esterna e giustificandone, in ultima analisi, la circolazione nel regnum ma anche fuori dall'isola. Si può far riferimento, ad esempio, alle Decisiones di Garsia Mastrillo, giudice del Concistoro e giurista di fama, la cui raccolta fu oggetto per tutto il Seicento di numerose ristampe in Sicilia ma anche a Spiro e Colonia. All'opera, peraltro, facevano costante rinvio le raccolte di giurisprudenza promananti da Supremi Tribunali napoletani e di area spagnola. [51]

In altri termini, mentre l'autore attribuisce un' auctoritas nell'ambito prettamente dottrinale, inserendo la raccolta nel "salotto buono" della dottrina siciliana attraverso il proprio prestigio personale di giudice e doctor ed uniformandone lo stile a quello dei trattati coevi, il Tribunale conferisce alla raccolta una diversa auctoritas sicuramente meno probabilis di quella dottrinale, più legata alla prassi giudiziaria stretta ed ad un idea di vincolatività riconnessa direttamente alla sentenza del Supremo Tribunale.

E ancora, questi elementi attribuiscono credibilità non solo alla singola raccolta ma alla decisionistica in quanto tale e orientano gli autori a scegliere l'etichetta della decisio per raccolte di contenuto non sempre omogeneo.

Tanto è vero che superando il solito uscio formale, costituito dai frontespizi delle opere, ci si imbatte, ancora una volta, in una realtà ben diversa da quella rappresentata dagli stessi. Nella maggior parte dei casi, infatti, all'interno delle raccolte si alternano, in un susseguirsi all'apparenza casuale: decisiones, consilia, allegationes o responsa. Talvolta, infine, la decisio riproduce il votum del giudice, espresso all'interno del collegio giudicante. [52] E' questo un procedimento posto in essere, in maniera consapevole, dagli stessi creatori delle raccolte con la volontà di legare inscindibilmente la propria opera ad un genere all'epoca di grande successo e di beneficiare, come sopra accennato, della credibilità di cui godeva una sentenza frutto della decisione collegiale di un alto tribunale dell'isola. [53]

Ma il successo, la credibilità e la diffusione delle raccolte di decisiones del Regnum Siciliae sono senza ombra di dubbio assicurati anche dall'elevato grado qualitativo dell'elaborazione dottrinale che da esse traspare. Dalle raccolte, infatti, si evidenzia una profonda conoscenza, da parte dei giuristi siciliani, delle fonti e dei meccanismi che affondano le radici nel sistema di diritto comune. Questi dati permettono di inserire le sillogi in quel usus fori europeo che caratterizza la giurisprudenza definita barocca.

In effetti le raccolte siciliane offrono davvero un'imponente demonstratio di fonti dottrinali, una panoramica vastissima e atemporale in cui, forse con scarso metodo ma lodevole puntiglio, si facevano convivere giureconsulti di epoche ed luoghi più disparati.

Non v'è dubbio, peraltro, che la tentazione di affastellare auctoritates del tutto eterogenee al solo scopo di conferire alle sentenze una legittimazione culturale non contribuiva certo a far maturare nelle file della magistratura un approccio critico e storicistico con le fonti della scientia juris. Ma offriva, altresì, l'opportunità di mettere a confronto istituti e procedure maturati in ambienti eterogenei, e di verificare in che modo magistrature diverse risolvessero fattispecie analoghe. [54]

In una simile accozzaglie di fonti la solutio al caso controverso può giungere sia dai più rinomati esponenti della dottrina di diritto comune medievale quali: Bartolo da Sassoferrato, [55] Filippo Decio, Baldo ed Angelo degli Ubaldi, Azzone ed Enrico da Susa, che da opere, strettamente connesse alla pratica forense, quali i commentari al Ritus alfonsino dei siciliani di Cumia [56] e Muta, [57] ed il commento Super ritibus del tribunale della Vicaria del napoletano Prospero Caravita. La communis opinio, in definitiva è tutto questo insieme, essendo formata da diversi apporti che le provengono: dalle opere di dottrina, dalla fonte normativa, ed infine dalla prassi giurisprudenziale offertale dalle sentenze delle diverse corti europee.

Dalla lettura delle decisiones un dato appare incontrovertibile, che su molti argomenti ed istituti si fosse formata una solida communis opinio, supportata dal pensiero di giuristi di riconosciuta fama, i quali, anche a causa di un gioco fatto di frequenti citazioni, acquistano una credibilità ed un autorità difficilmente controvertibili.

Così, per la materia feudale particolarmente citato, tra i doctores siciliani è il messinese Pietro De Gregorio, uno dei maggiori feudisti isolani, tra Cinque e Seicento, nonché parente di Garsia Mastrillo. Proprio attraverso i numerosissimi richiami, a quella che forse è l'opera più significativa del proavo, il trattato De concessione feudorum, Mastrillo costruisce una solida communis opinio, sull'origine del feudalesimo e sulle preminenze della potestà baronale nei suoi rapporti con i vassalli e con la monarchia. Tale costruzione si avvale anche del costante richiamo al De subfeudis honorum di Mario Freccia, ai Commentarii in Consuetudines Parisienses di Domoulin e al De feudis di Zasio; in particolare le frequenti citazioni degli ultimi due autori sono segno inequivocabile di un'attenzione, da parte di Mastrillo, per le dottrine d'Oltralpe, derivante dalla formazione napoletana, e per le teorie sul carattere patrimoniale del feudo. [58]

Altri umanisti transalpini, quali Connan, Chasseneux, Rebuffi, Cujas, vengono invece menzionati, nelle raccolte, non solo per risolvere controversie riguardanti la natura dei contratti censuali, ma anche per mettere in rilievo il loro tentativo di realizzare l'autonomia concettuale delle figure del pegno e dell'ipoteca e di proporre un'interpretazione dei diritti di garanzia più aderente alla realtà giuridico-economica del tempo, priva di valenze teleologiche: a tale visione pragmatica i decisionisti mostravano di aderire anche nel rivendicare fermissime al foro laico la competenza in materia.

Stretto è sicuramente il legame con i giuristi napoletani, culturalmente affini, quali De Ponte, Tapia, Rovito, che offriranno un valido sostegno dottrinale alle pretese politiche di decisionisti siciliani come Mastrillo, Cutelli o Giurba, che da tempo auspicavano un ridimensionamento della carica viceregia a vantaggio di un forte ceto togato in rapporto diretto con la monarchia, sul modello napoletano. [59]

Tra le auctoritates i decisionisti annoverano, oltre alla dottrina dei doctores anche le pronunce delle corti giudiziarie straniere. Le raccolte presentano, infatti, i segni di una massiccia e profonda contaminazione con la decisionistica italiana ed europea [60].

Dalla lettura delle decisiones appare chiaro come di norma, i Tribunali siciliani, così come le altre le corti supreme europee, attribuissero alle pronunce straniere un valore meramente persuasivo: le reputavano cioè, semplici criteri di orientamento, opinioni valutabili ma non cogenti: tutte le sentenze emesse in altri ordinamenti erano dotate di autorità probabilis e non necessaria. L'attribuzione del carattere probabilis tantum alla decisione estera permetteva di far dipendere il relativo credito dall'autoevolezza della magistratura che l'aveva emanata o dal prestigio dell'autore che l'aveva pubblicata e non già dall'influenza politica del paese di provenienza. [61]

Come visto, per l'indubbia comunanza culturale e politico-istituzionale, dovuta alla comune appartenenza ai domini spagnoli, continuo era lo scambio di idee e di soluzioni pratiche tra la decisionistica del Regno citra e ultra Pharum. Si spiega così l'enorme numero di citazioni di sentenze del Sacro Regio Consiglio napoletano, conosciute attraverso le raccolte di decisiones di d'Afflitto, Capece, Minadoi e soprattutto De Franchis. [62]

Molto menzionate sono anche le Decisiones del Senato di Mantova raccolte da Giovan Pietro Sordo, così come quelle del Senato di Piemonte, di Antonio Tesauro. Anche se in numero più ridotto non mancano nemmeno le decisiones della Rota di Genova collezionate da Bellonio, e quelle della Sacra Rota, di Francesco Mantica. [63]

Per quanto riguarda i tribunali europei, sicuramente i compilatori siciliani conoscevano, anzitutto, l'attività del Parlamento di Parigi, spece attraverso le spesso, citate, raccolte di Le Quoc e Papon, un posto preminente, tra le corti del Midi francese, spetta sicuramente alle decisioni del Parlamento di Grenoble raccolte da Guy Pape. Molto citata è anche la silloge di Gerard de Maynard, avente ad oggetto la prassi giudiziaria del Senato di Tolosa.

Così come gli altri compilatori meridionali, anche quelli siciliani non riservano un particolare riguardo ai propri omologhi iberici, riducendo al minimo i riferimenti alle compilazioni spagnole. [64]

In definitiva le auctoritates scelte dagli autori risultano essere delle tappe di un percorso dottrinale creato dal curatore stesso, il quale, come visto, si disinteressa dell'ordine tecnico-formale nelle citazioni; prestando maggiore attenzione nel "riversare" nella decisio il diritto che meglio conosce, col fine forse di ostentare il suo bagaglio di conoscenze giuridiche.

Unico vincolo è rappresentato dall'autorevolezza delle fonti citate, la quale viene attestata dall'appartenenza a quell'ambito potenzialmente omnicomprensivo, ma sostanzialmente limitato ad una serie di citazioni ripetute che è rappresentato dal diritto comune. Il quale, nel periodo barocco, assume le fattezze di un diritto giurisprudenziale ed allo stesso tempo dottrinale, e vede nelle raccolte di decisiones dei Supremi Tribunali il suo mezzo di espressione ma soprattutto di circolazione.

 


Note

1. Cfr. D.J. Osler, Jurisprudence of the Baroque.A census of Seventeenth century Italian legal imprints, Frankfurt am Main 2006, p. XVII.

2. Sulla situazione politico-istituzionale di Italia e Spagna nell'ambito della politica assolutistica e sui risvolti di questa nel panorama culturale, si veda R. Villari, Politica barocca. Inquietudini, mutamento e prudenza, Bari 2010, p. 272 e ss.

3. Per un tentativo di definizione di Barocco legata esclusivamente alla sua dimensione spazio-temporale, si veda J.A. Maravall, La cultura del Barocco, Bologna, Il Mulino, 1985, p.17.

4. In particolare A.M. Hespanha, Form and content in early modern legal books. Bridging the gap between material bibliography and the history of legal thought, , in «Rechtgeschichte», 12 (2008), p. 12, rileva come nonostante la tradizione letteraria europea sia fortemente basata anche sulla letteratura giuridica, ciò non risulti chiaramente nei lavori dei più apprezzati storici del libro europeo.

5. G. Gorla, Un Centro di studi storico-comparativi sul "Diritto comune europeo" in «Il Foro italiano», V (1978), p. 313, parla di "grande lacuna" della storia del diritto italiano, avendo riguardo alla scarsità delle ricerche storiche sui secoli XV-XVIII, con particolare riferimento italiano e continentale.

6. Su questo fondamentale fenomeno, che si può collocare a partire dal secolo XV, cfr. m. Ascheri, Tribunali Giuristi e Istituzioni dal medioevo all'età moderna, Bologna 1989, pp. 152-153; F. Calasso, Medioevo del diritto. I. Le fonti, Milano 1954, pp. 598-599; A. Cavanna, Storia del diritto moderno in Europa. Le fonti e il pensiero giuridico. I, Milano 1979, p. 221 ss; D. Maffei, Gli inizi dell'umanesimo giuridico, Milano 1956, p. 36; G. Tarello, Storia della cultura giuridica moderna. I. Assolutismo e codificazione del diritto, Bologna, 1976, p. 20 ss. R.C. Van Caenegem, I sistemi giuridici europei, Bologna 2003 p. 31 ss.

7. P.L. Rovito, Alle origini del costituzionalismo: mediazione giuridica e potere degli apparati tra Cinque e Seicento, in Nuovi moti per la formazione del diritto, Padova 1988, pp. 162-202, delinea una storia "costituzionale dei Grandi Tribunali e del ruolo dei giuristi come soggetti cui attribuire già dal XV secolo caratteristiche di straordinaria modernità, di valenza "costituzionale" (addirittura quasi repubblicana), di valori "borghesi ed antinobiliari".

8. Le prime elaborazioni sistematiche di una categoria storiografica unitaria dei "Grandi Tribunali" risalgono alla fine degli anni settanta del secolo scorso e si devono al comparatista G. Golrla, I Tribunali Supremi degli Stati italiani. fra i secc. XVI e XIX, quali fattori della unificazione del diritto nello Stato e della sua uniformazione fra Stati (Disegno storico-comparatistico), in La formazione storica del diritto moderno in Europa, I, Firenze 1977, pp.445-532; a cui fanno seguito, se pur con annotazioni critiche rispetto all'impostazione comparatistica e all'unicità della categoria storiografica, le ricerche di  Ascheri, Tribunali Giuristi e Istituzionicit., e R. Savelli, Tribunali "decisiones" e giuristi: una proposta di ritorno alle fonti, in Origini dello Stato. Processi di formazione statale in Italia fra medioevo ed età moderna, a cura di G. Chittolini-A. Mohlo-P. Schiera, Bologna 1994, pp. 397-421. Una più recente riflessione sul tema è di I. Birocchi, Alla ricerca dell'ordine, Torino 2002, pp. 85-93.

9. Fra gli esempi più significativi di studi sui Grandi Tribunali U. Petronio, Il Senato di Milano. Istituzioni giuridiche ed esercizio del potere nel Ducato di Milano da Carlo V a Giuseppe II, I, Milano 1977; Id., I Senati giudiziari, in Il Senato nella storia. Il Senato nel medioevo e nella prima età moderna, Roma 1997, pp.355-453; G.P. Massetto, Monarchia spagnola, Senato e Governatore: la questione delle grazie nel Ducato di Milano. Secoli XVI-XVII, in «Archivio storico lombardo», CXVI (1990), pp.75-112; M.N. Miletti, Stylus iudicandi. Le raccolte di "decisiones" del Regno di Napoli in età moderna, Napoli 1995; Grandi tribunali e rote nell'Italia di antico regime, a cura di M. Sbriccoli-A. Bettoni, Milano 1993; J. Krynen, Qu'est-ce qu'un Parlement qui représente le roi?, in Excerptiones iuris: Studies in Honor of André Gouron, ed. B.Durand-L. Mayali, Berkeley 2000, pp.353-66.

10. Questo scarto tra l'intento del sovrano, di cui i tribunali avrebbero dovuto costituire la coscienza giuridica, e la realtà in cui essi ne rappresentano un contropotere in chiave centrifuga, ha fatto parlare Birocchi, Alla ricerca dell'ordine cit., p. 85, di ambiguità, con riferimento alla funzione giurisdizionale dei Grandi Tribunali.

11. Si tratta di una tesi sostenuta, con profonda convinzione, da  Gorla, I Tribunali Supremi cit., p. 501, il quale identifica i Tribunali Supremi degli Stati Italiani fra i secc. XVI e XIX, quali fattori della unificazione del diritto nello Stato e della sua unificazione tra stati. Pur tuttavia, osserva l'autore, bisogna tener conto della scarsità delle ricerche effettuate nel campo sia penale che pubblicistico e della trascurabile rilevanza in alcune realtà statuali -ad esempio Venezia e Milano- della relativa giurisprudenza. Alla tesi di Gorla aderisce, se pur in termini sfumati, G.P. Massetto, Sentenza (diritto intermedio), voce in «Enciclopedia del diritto», Milano 1989, vol XLI, pp. 1200-1245.

12. Quella di racchiudere sia "law in action", inteso come prassi giurisprudenziale, che "law of the books", vale a dire fonti dottrinali autoritative che fondano il diritto comune, sembra essere una costante delle raccolte di Decisiones della prima Età Moderna. Trattando della raccolta di decisiones del belga Paul Christinaeus, ad esempio, così argomenta sul tema A. Wijffels, Orbis exiguus. Foreign legal authorities in Paulus Christianaeu's Law Reports in Ratio decidendi: guiding principles of judicial decisions. Vol 2: 'Foreign' Law, Berlino 2010, p. 37: "As a work, written primarily by the standards of the ius commune literature, it reflects in msny ways the "law of the books", but because its proclaimed emphasis is on the practice of the Belgian superior courts, it also reflects to some degree legal practice, or, as it is sometimes called, "the law in action".

13. Cfr. M. Roberti, Lodovico Antonio Muratori e il tramonto del diritto comune, in «Rivista di Storia del diritto italiano», IX (1936), vol. XI p.12 ss., per un'equiparazione limitatamente agli effetti tra Decisiones come reports e motivazione. Per una generale disamina sulla motivazione della sentenza dei tribunali dell'ancien regime si veda  Ascheri, Tribunali Giuristi e Istituzioni cit., p. 97 ss. e M. Taruffo, L'obbligo di motivazione della sentenza civile tra diritto comune e illuminismo,in La formazione storica del diritto moderno in Europa, Atti del III Congresso Internazionale della Società italiana di storia del diritto, Firenze 1977, II, pp. 599-633: quest'ultimo di grande utilità per la delineazione della dottrina del diritto comune in tema di motivazione (che in generale non veniva considerata condizione di validità della sentenza) e per il panorama della situazione nei vari stati dell'antico regime. In particolare negli ordinamenti italiani non erano tenuti a motivare i Supremi Tribunali di Venezia, Milano, Sicilia, Napoli (fino al 1774) e la Rota Romana.

14. Tale classificazione è proposta da Ascheri, Tribunali Giuristi e Istituzioni cit., p. 85 ss., il quale vede il discrimine tra report e trattazione proprio nella descrizione del caso giudiziario, dettagliata nel primo caso, pretesto per una dissertazione puramente dottrinale nel secondo.

15. La qualifica di auctoritas formale alla sentenza è attribuita da G.P. Massetto, Sentenza, pp.1200-1202.

16. Ascheri, Tribunali Giuristi e Istituzioni cit., p. 92. Nello stesso senso già L. Lombardi, Saggio sul diritto giurisprudenziale, Milano 1967, p 192 e più recentemente Savelli, Tribunali, "Decisiones" e giuristi cit., pp. 414-415 e soprattutto Miletti, Stylus judicandi cit., p. 184 ss.

17. Si fa soprattutto riferimento alla storiografia di matrice tedesca, ed ai lavori di P. Koschaker, Europa und das römische Recht. Monaco 1958, p. 2-5; ma soprattutto di Helmut Coing, il quale sembra spinto proprio da quest'idea di un diritto comune che abbracci un amplio arco cronologico, dal rinascimento della scientia iuris fino alla soglia delle codificazioni, nella stesura dei suoi monumentali Handbuch der Quellen und Literatur der neureren europäische Privatrechtsgeschichte, opera che racchiude la storia del diritto privato europeo, dal XII al XIX secolo. Un ius commune poi a carattere universale che coinvolga tutti i territori del continente europeo, appunto per questa comune appartenenza definiti da Coing, "europäischen Länder". H. Coing, Die europäische Privatrechtsgeschichte der neuren Zeir als einheitliches Forschungsgebiet: Probleme und Aufbau, in « Ius commune», 1 (1967), p. 3.

18. Per tale filone critico si veda soprattutto D.J. Osler, The Myth of European Legal History, in «Rechtshistorisches Journal», 16 (1997), p. 404, il quale, avversando aspramente l'idea di una "pan-European jurisprudence", sostiene che "The real legal history was taking place somewhere else, namely in the national legal systems which were coming into place in the modern period". In realtà secondo Osler oggetto di studio dovrebbero essere le migliaia di giuristi che in tali sistemi operavano e non l'irreale pan-European legal system".

19. Cfr. T. Montanari, Il Barocco, Torino 2012, p. 12, il quale elabora tale definizione di Barocco con specifico riferimento alle arti figurative.

20. Per un simile fenomeno nell'Italia meridionale, in un ambiente da sempre assai attento alla prassi giudiziaria, cfr. E. Cortese, Sulla scienza giuridica a Napoli tra Quattro e Cinquecento in Scuola, diritto e società nel mezzogiorno medievale d'Italia, I, a cura di M. Bellomo, Catania 1985, p. 131 ss., ora in Id, Scritti, a cura di I. Birocchi e U. Petronio, Spoleto 1999, , in particolare pp. 105, 130-132.

21. Di un simile fenomeno parla M. Sbriccoli, L'interpretazione dello statuto. Contributo allo studio della funzione dei giuristi dell'età comunale, Milano 1969, p.270, secondo cui i giuristi praticano un sistematico "rovesciamento della norma in lacuna": essi, cioè. ravvisano un vuoto o un'ambiguità non soltanto rispetto a casi non regolati, ma anche quando la legge appaia ingiusta o inopportuna. Nello stesso senso, ma specificamente per realtà napoletana, si veda, M.N. Miletti, Tra equità e dottrina. Il Sacro Regio Consiglio e le «Decisiones» di V. de Franchis, Napoli 1995, pp. 55-61.

22. E' questa una teoria elaborata da B. Pasciuta, Le fonti giudiziarie del Regno di Sicilia tra tardo Medioevo e prima Età Moderna: le magistrature centrali, in La documentazione degli organi giudiziari nell'Italia tardo-medievale e moderna (Atti del Convegno di Studi, Siena, Archivio di Stato, 15-17 settembre 2008), a cura di A. Giorgi, S. Moscardelli e C. Zarrilli, pp. 315-330, secondo la quale "normativa regia e riflessione giuridica sono dunque costantemente impegnate in una contrapposizione silenziosa che elegge come terreno di attività il processo e le sue sistemazioni". Nello stesso senso sia anche consentito citare F. Di Chiara, The Judge in the Seventeenth century: a royal official between legislation, doctrine and case law. The Sicilian case, in Proceedings of the 16th International Conference on the History of Concepts, Bilbao 29-31 August 2013, pp. 277-283.

23. La versione integrale del testo del Ritus Magnae Regiae Curiae et totius Regni Siciliae Curiarum, di Alfonso V il Magnanimo è edito in Capitula Regni Siciliae, a cura di F. Testa, tt. II, Panormi 1741 (rist. an. A cura di A. Romano, Saveria Mannelli (CZ) 1999), t. I pp. 240-273. Sul Ritus alfonsino si veda B. Pasciuta, In regia curia civiliter convenire. Giustizia e città nella Sicilia tardomedievale, Torino 2003, pp. 88-91.

24. G. Cumia, In ritus magnae regiae curiae ac totius regni Siciliae curiarum Commentaria, praxisque super eiusdem Magnae Regiae Curiae ritibus [....], Panormi 1578.

25. M. Conversano, Commentaria super ritu regni Siciliae ... a Marcello Conversano collecta, Panormi 1614.

26. M. Muta, Capitulorum regni Siciliae ... lucubrationum, tt. VI, Panormi 1605-27; sui Commentari di Muta cfr. B. Pasciuta, Placet regie maiestati. Itinerari della normazione nel tardo medioevo siciliano, Torino 2005, pp.93-103 e bibliografia ivi citata.

27. F. Milanese, Aureae decisiones Regiae Curiae Regni Siciliae, vol. I e II, Venetiis 1593.

28. Cfr. A.Romano, Tribunali, giudici e sentenze nel regnium Siciliae (1130-1516), in Judicial records, law reports and the growth of the Case- law, ed. J.H Baker, Berlin 1997, pp. 271-273.

29. G. Mastrillo, Decisiones Consistorii Sacrae Regiae Conscientiae Regni Siciliae, Panormi 1606.

30. N. Intrigliolo, Decisiones aureae Magnae Regiae Curiae Regni Siciliae, Panormi 1609.

31. G.F. Del Castello, Decisiones Tribunalis Consistorii Sacrae Regiae Conscientiae Regni Siciliae, Panormi 1613.

32. M. Giurba, Decisiones novissimae Consistorii Sacrae Regiae Conscientiae Regni Siciliae, Messanae 1616.

33. M. Muta, Decisiones novissimae Magnae Regiae Curiae supremisque magistratus Regni Siciliae, Panormi 1619.

34. O. Caracciolo, Decisiones curiae Pretoris Felicis Urbis Panormi, Panormi 1641.

35. G. Basilicò, , Decisiones Magnae Regiae Curiae Regni Siciliane, Florentiae 1691.

36. Per brevi profili dei giuristi sopra menzionati si veda V. La Mantia, Storia della legislazione civile e criminale di Sicilia, comparata con le leggi italiane e straniere dai tempi antichi sino ai presenti, II, pp. 69-93. Qualche notizia anche in D. Orlando, Biblioteca di antica giurisprudenza siciliana, Palermo 1851, ad v.; G.M. Mira, Bibliografia siciliana, Palermo 1875, ad v..

37. M. Giurba, Consilia seu decisiones criminales, Messanae 1626.

38. G. Basilicò, Decisiones criminales Magnae Regiae Curiae Regni Siciliae, Florentiae 1691.

39. Pochissime e di scarso rilievo, sono invece le raccolte del secolo XVIII. Da una rapida lettura risalta subito come il genere sia oramai del tutto snaturato. Le raccolte contengono poche decisiones, solitamente non più di dieci, che riguardano prevalentemente la materia feudale. Chiaro è anche nello stile l'intento razionalizzante, tipicamente settecentesco, che si riscontra soprattutto nella scarsità delle citazioni dottrinali, adesso non più affastellate nei "chilometrici" corsivi, tipici della decisio classica, ma confinate in nota, a pie di pagina.

40. Prammatica de reformatione Tribunalium, edita in J. Cesino Foglietta, Pragmaticae Regni Siciliae, II, Panormi 1700, 1-7 e in F.P. Di Blasi, Pragmaticae Sanctiones Regni Siciliae, III, Panormi 1791. Sulla riforma di Filippo II, che può considerarsi il momento conclusivo di tutta una serie di richieste di riforme giurisdizionali avanzate nei Parlamenti dalla prima metà del Cinquecento in poi cfr. V. Sciuti Russi, Astrea in Sicilia. Il ministero togato nella società siciliana dei secoli XVI e XVII, Napoli 1983, p. 95 ss.; in generale cfr. R. Gregorio, Considerazioni sopra la storia di Sicilia dai tempi normanni sino ai presenti, a cura di A. Saitta, 3 vol., Palermo 1972 pp. 541-543. Sulla politica di Filippo II Cfr., per tutti, H.G. Koenisberger, Il governo della Sicilia sotto Filippo II di Spagna, London 1951, rifuso in Id., The Practice of Empire, Ithaca- New York 1969.

41. Sull'ordinamento giudiziario in Sicilia nei secoli XVI e XVIII cfr. A. Baviera Albanese, L'ufficio di Consultore del Vicerè nel quadro delle riforme dell'organizzazione giudiziaria del secolo XVI in Sicilia, in «Rassegna degli Archivi di Stato», 1960; ora in Ead., Scritti minori, Soveria Mannelli (CZ), 1992, pp.109-158; Sciuti Russi, Astrea cit., ed in particolare, sul parlamento del 1535, pp. 22-28 e sulla riforma del 1569, p. 79 e p. 216 e ss.; Id, Il governo della Sicilia in due relazioni del primo Seicento, Napoli 1984, pp. 17-25. Sia pur per un periodo più risalente, si veda Pasciuta, In regia curia, pp. 41-68 e la bibliografia ivi citata.

42. E. Cortese, Sulla scienza giuridica cit., pp. 841-942; cfr. anche M.N. Miletti, Stylus cit., p. 20 ss..

43. Romano, Tribunali, giudici e sentenze cit., pp. 273-274, per "giustificare" il fiorire ed il diffondersi delle raccolte di decisiones in Sicilia, dall'ultimo decennio del XVI secolo in poi, sottolinea, oltre ai motivi sopra menzionati, il carattere collegiale delle supreme corti che, ovviamente, conferisce autorità a sentenze adottate con parere unanime da tre o più sommi giuristi- dottori con esclusione di interventi di giurie o di giudici non togati. Romano rileva anche un motivo di ordine psicologico legato all'orgoglio del singolo che, in un momento in cui il genere gode di un notevole successo, vuole vedere edite le proprie fatiche o che, comunque, vuole legare il proprio nome ad un'edizione presto nota nell'ambiente forense.

44. D'altronde, come nota  Romano, Tribunali, Giudici e Sentenze cit., p.273, l'elevato grado di tecnicismo che caratterizzava le sillogi giurisprudenziali ne rendeva impossibile una circolazione esterna agli addetti ai lavori.

45. Non appare casuale, solo per citare un esempio, che le opere di dottrina maggiormente citate nelle Decisiones di Muta siano appunto i Commentari ai Capitoli del Regno e alle consuetudini palermitane dello stesso autore.

46. Ci si riferisce alle citate raccolte di Decisiones di Mastrillo, Giurba e Del Castillo.

47. Non sono riscontrabili invece raccolte di pronunzie della Curia Rationum o del Tribunale del Real Patrimonio. Romano, Tribunali, giudici e sentenze cit., p. 275, nota come l'assenza di raccolte di decisioni inerenti a tale Corte possa essere causata dalla procedura adottata o dalla struttura di quelle corti, ma anche dalla natura delle controversie in esse dibattute.

48. Siffatta mescolanza di giurisprudenza è soprattutto riscontrabile nel secondo libro della raccolta di Del Castillo e nell'ultimo di Mastrillo, ove rispettivamente si trovano alternate alle sentenze del Concistoro, pronunce provenienti dalla Curia Arcivescovile e decisioni adottate dall'autore in qualità di giudice delegato. Sorprendente, in senso opposto, è la raccolta di Muta, dove tutte le sentenze sono effettivamente della Magna Regia Curia, specialmente in sede criminale.

49. Sul sistema di rotazione dei giudici-giuristi nelle varie corti del Regnum si veda Sciuti Russi, Astrea cit., p. 61 e ss.

50. Non fa eccezione, rispetto a quanto sostenuto, la raccolta di Caracciolo e Lanza che, se pur non riferibile ad un Tribunale apicale dell'isola, è dedicata alla giurisprudenza di una corte, quale la Curia Pretoriana che, dato lo status privilegiato dei cittadini di Palermo ed il determinante rilievo politico della città nel regno, era posta ad un livello istituzionale del tutto peculiare, non essendo subordinata rispetto ai tribunali centrali, mentre risultava egemone nei confronti delle corti periferiche delle altre città demaniali. Sul funzionamento ed il ruolo istituzionale della Corte Pretoriana fin dal tardo Medioevo si veda Pasciuta, In Regia Curia cit., passim.

51. Su Garsia Mastrillo si veda B. Pasciuta F. Di Chiara, Mastrillo Garsia, in «Dizionario biografico dei giuristi italiani (XII-XX secolo)», 2013, vol. II, p. 1304-1305; M.T. Napoli, Mastrillo Garsia, in «Dizionario biografico degli italiani», 72 (2008), p. 55-59. Più specificamente sulla raccolta di Decisiones di Mastrillo, sia consentito il rinvio a F. Di Chiara, Fonti per una storia dei Grandi Tribunali in Sicilia: le decisiones di Garsia Mastrillo (1606-1624), in «Archivio Storico Siciliano», sr. IV, 32 (2006), p. 95-110.

52. Questo è riscontrabile non di rado nelle raccolte di Intriglioli o Muta.

53. Sul tema cfr. A. Romano, Le decisiones della Regia Gran Corte del Regno di Sicilia. Forma delle sentenze, registrazione, raccolte, in Case Law in the making, The Techniques and Methods of Judicial Records and Law Reports, vol.2: Documents, ed. A. Wijffels, Berlin 1997, p. 147.

54.Sul tema si veda Gorla, I tribunali Supremi cit., pp. 467-469. Nella "naturale" predisposizione alla comparazione tra i giuristi moderni crede anche L. Moccia, Prospetto storico delle origini e degli atteggiamenti del moderno diritto comparato. (Per una teoria dell'ordinamento giuridico "aperto"), in «Rivista Trimestrale di diritto e procedura civile», L (1996), pp. 187-188.

55. L'opinio Bartoli, in particolare, gode di un riconoscimento formale e di una portata "quasi normativa", così ad esempio viene definita um' opinione del giurista di Sassoferrato, in materia di delegazione di pagamento, da  Del Castillo, Decisiones,I, 242b, "Et licet communis usus totius Italiae aprobaverit opinionem Bartoli,".

56. In particolare il commentario di Giuseppe Cumia rappresenta la fonte quasi esclusiva citata nella raccolta di Decisiones di Giurba per risolvere le controversie di natura processual civilistica, legate all'interpretazione del Ritus alfonsino.

57. Tale commentario è citato soprattutto dallo stesso Muta nella sua raccolta, ma anche in maniera quantitativamente rilevante da Del Castillo, ad esempio si veda, Decisiones, I, 198b, 212a, in questi due casi, in particolare, vertenti rispettivamente sui requisiti di validità della litis contestatio, e sulla restituzione della dote, l'autore tiene a sottolineare l'intimità del rapporto con Muta definito: "condiscipulus meus".

58. Gli autori citati costituiscono la base della trattazione di tutte le controversie in materia feudale, sia nella raccolta di Mastrillo, per la quale si veda come esempio: Decisiones, I, 30, 72, 174; Decisiones, II, 13, 42, 66; che in quelle di Del Castillo (Decisiones, I, 106, 281, 319) e Giurba (Decisiones, 242, 328), i quali menzionano gli stessi autori rinviando alle citazioni presenti nelle decisiones di Mastrillo.

59. Emblematico in tal senso è un consilium di  Giurba, Consilia seu decisiones cit., pp. 112-132, nel quale si dibatte sulla possibilità che a nominare un giudice stratigoto morto prima della scadenza del mandato oltre al sovrano sia anche il vicerè. L'autore si schiera decisamente per difendere il privilegio dell'elezione diretta dei magistrati cittadini da parte del sovrano contro la pretesa viceregia di nominare il successore dello strategoto. ,. Nel consilium, che riporta nozioni preliminari sui limiti del potere viceregio, Giurba accentua il già innegabile valore politico allegando opinioni di influenti magistrati napoletani, quali Tapia o Rovito, ma anche dei siciliani Mastrillo e Giacomo Gallo. Alla fine la Curia Stratigoziale, delegata dal re, decide che il privilegio non sia concedibile al vicerè.

60. Secondo Gorla, I tribunali Supremi cit., p. 526, le corti supreme degli Stati italiani, in generale, rivelarono una tendenza cosmopolita particolarmente accentuata anche a causa del controllo particolarmente blando complessivamente esercitato su di esse dal potere politico.

61. Questa concezione elaborata da Miletti, Stylus cit., p. 246, trovava conferma, secondo l'autore, nei fatti. Se si tenta di ricostruire, attraverso i repertori a stampa, una sorta di mappa dei legami reciproci dei decisionisti europei e, indirettamente, tra i rispettivi tribunali risulta evidente che ordinamenti politicamente marginali riuscivano a diffondere con successo la propria giurisprudenza in grandi Stati nazionali o addirittura nelle corti giudiziarie del paese dominante. Così ad esempio, i compilatori meridionali non riservarono un particolare riguardo ai propri omologhi iberici, i quali invece conoscevano molto bene le raccolte meridionali, specialmente quelle napoletane.

62. Il legame con la cultura giuridica napoletana risulta particolarmente evidente nelle raccolta di Mastrillo, anche se le citazioni di decisiones di compilatori partenopei non mancano neanche nelle opere di Del Castillo e Giurba. È, per citare un esempio, tra i tanti possibili, proprio quest'ultimo che nella sola decisio XXXXII, Decisiones, 153b cita De Franchis, Ursilli e Minadoi.

63. Il solo Giurba mostra una particolare deferenza nei confronti delle decisiones del marchigiano De Amantis, si veda ad esempio Decisiones, 175a.

64. A tal proposito, A. Garcia y Garcia, Universidad y sociedad en la edad media espanola, in Aa. Vv., Universidad, cultura y sociedad en la edad media, coord. S. Aguadè Nieto, Alcala de Henares 1994, pp. 156-157, parla dell'influenza pressocchè unilaterale tra la decisionistica elaborata in Spagna e nell'Italia meridionale, rilevando addirittura una soggezione della prima rispetto alla seconda. Ciò si spiegherebbe anzitutto considerando che la letteratura giuridica iberica si presentava sin dal medioevo alquanto arretrata, meno prolifica ed accademicamente poco autorevole rispetto a quella italiana e francese.

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