Affetti e vita familiare: dalla corrispondenza dei duchi di San Gemini

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Author: 
Lucia Sebastiani

AFFETTI E VITA FAMILIARE: DALLA CORRISPONDENZA DEI DUCHI DI SAN GEMINI
 
 
1. I nonni
 
Io so che voi non ve curate più de nonna né de nisciuno; state alli gusti de Roma e a veder le maschere e le belle figlie e ve sete scordato della promessa che avete fatta de retornare. Basta io me credeva d’avere un nepote bono e ch’avesse fugita l’ochasione de veder le belle figlie de Roma e me trovo inganata . Adesso non se pensa più alle caccie né alle ragnie[1], nemancho alla nonna che sta sola. Desidero sapere come state della sanità e della rifredatura  e avisateme quando sarà el vostro ritorno, acciò possa stare più alegramente.
Che Dio ve benedica, di Monte Libretti alli 7 di febrari 1627
Avisateme s’avete auto nova de vostra madre e delli fratelli come stanno: avisateme s’avete bisogno de quatrini.
Affetionatissima nonna Costanza Savella[2] .
 
Costanza Savelli figlia di Bernardino duca di Castel Gandolfo e della sua seconda moglie Lucrezia dell’Anguillara[3] era sposata con Giannantonio Orsini del ramo di Gravina, duca di San Gemini[4].  Il destinatario della lettera è il nipote Virginio, figlio  primogenito di Giustiniana, loro unica figlia, sposata con Ferdinando Orsini del ramo  di Bracciano. La lettura delle lettere di Costanza e di quelle ben più numerose di Giannanantonio ci mostra come questo nipote, il primogenito, avesse preso il ruolo del figlio maschio che loro non avevano avuto[5]..
Al tempo di questa lettera Virginio aveva 12 anni (era nato il 17 maggio 1615) e stava uscendo dall’infanzia con un certo rammarico di Costanza, che nello scrivergli conservava un tono un po’ burlesco su cui voleva mettere l’accento. Qui e altrove in tutta la corrispondenza rimastaci, che proviene dall’Archivio Orsini, si vede bene, non solo il forte legame affettivo tra nonni e nipote, ma anche il coinvolgimento di Virginio e dei fratelli nella vita economica della famiglia: i nipoti dovevano sapere che la vita dei nonni, come i beni e anche i debiti erano cosa loro.
Virginio andava spesso a Montelibretti, dove, insieme al nonno, si dedicava molto alla caccia che, passatempo principe dell’ aristocrazia del xvi e xvii secolo, era uno degli argomenti privilegiati della loro corrispondenza. In assenza di Giannantonio, Costanza si trasferiva a Roma nell’ antico Palazzo degli Orsini di Gravina a Piazza Navona detto a Pasquino[6] per badare agli affari della famiglia. Virginio in questi casi stava con la nonna che, nelle sue lettere al marito dava sempre notizie del nipote.
In una lettera di Giannantonio a Virginio di quindici giorni dopo quella scritta da Costanza, si nota come la caccia fosse un aspetto fondamentale di quella vita che nonno e nipote condividevano. E’ da sottolineare come i cani meritavano un notevole rispetto e vengono citati con le iniziali maiuscole.
 
Signor Nepote mio caro.
Gli avvisi che mi havete dati mi sono stati carissimi et per se stessi et perché me l’havete scritti voi. Se la lettera è vostra dettatura me ne rallegro assai, perché spero che con il tempo scriverete bene non solo formando bon carattere, ma anco spiegando acconciamente i vostri pensieri. Se la Cagna che m’ha dato il signor Cardinale Barberino sarà quella ch’io volevo, mi rincrescie per amor vostro perché chiarirà la vostra Regina[7] troppo presto. Mando il presente a posta con il Cane del signor Abate, acciò per esso mi mandiate la Cagna; fatelo partire a bon hora, e mercordì quando io torno vi saprò dir qualche cosa. Mi son pentito, né voglio andare a caccia senza voi; fatevi venir la Cagna in casa et habiatene cura. Domani a sera sarò in Roma, e Giovedì tornaremo su insieme per correr quattro lepri, che ho tenuti a posta reservati per quando veniva la Cagna, e con questo facendo fine prego Dio che vi benedica come faccio io. Il Cane rimandatelo subito al signor Abate e pigliate la Cagna,
Di Monte Libretti li 22 febraro 1627.
Vostro Avo Amorevolissimo che vi benedice. Don Giannantonio Orsini[8].
 
La grafia della lettera non è quella di Giannantonio ma di un segretario. La sintassi tuttavia rientra nella cultura linguistica e letteraria del Duca di San Gemini; si può dire che nonostante la scrittura, la lettera sia autografa a tutti gli effetti. Giannantonio stesso lo esplicita al nipote congratulandosi con lui per aver dettato bene la lettera che purtroppo non è stata per ora trovata; ma le parole del nonno in cui sprona il nipote non solo a scrivere ma a dettare spiegando sempre “acconciamente” i propri pensieri, illustrano una tappa interessante della loro corrispondenza molto ricca e frequente che durerà fino alla morte del Duca di San Gemini il 4 marzo 1639.
 
 
 
 
 
2. Giannantonio Orsini e i suoi beni
 
La divisione dei due rami di Bracciano e di Gravina degli Orsini si fa risalire a Francesco prefetto di Roma nel XV secolo[9]. Giannantonio si chiamò sempre di San Gemini, feudo che sembra fosse stato elevato a ducato nel 1562, a favore di suo padre Virginio[10]; San Gemini viene citato tra le proprietà degli Orsini di Gravina dal XVI secolo e al tempo di Clemente VII infeudato alla famiglia[11].
Abbiamo una copia della fine dell’Ottocento di un documento non datato[12]  sulla situazione economica di Giannantonio. La fonte presenta alcune incongruenze cronologiche: infatti nonostante l’età dichiarata di Giannantonio “di anni 16 non finiti” si citano eventi databili tra il 1585 e il 1587. Probabilmente questa relazione tiene conto di documenti diversi[13].
Questa relazione si trova insieme a una serie di regesti i cui originali sembra esistessero nell’archivio di casa Gaetani da dove proveniva la madre di Giannantonio, Giovanna. Questa dopo la morte del marito, nel 1573, si era sentita più che mai responsabile dell’avvenire dei suoi figli coinvolgendo i suoi fratelli[14].
Nel documento si ricorda il fatto che il duca di Bracciano, Paolo Giordano I, nel suo testamento aveva considerato Giannantonio come possibile futuro marito di sua figlia Eleonora per la quale prevedeva come  prima scelta don Michele Antonio Orsini, duca di Gravina:
 
 […]In caso di morte senza figli maschi legitimi et naturali  erediterà la primogenita delle figlie che debba essere sposata a uno della famiglia del testatore, cioè nel signor Duca di Gravina primieramente, et se non si potrà in esso, nel signor Giovanni Antonio Ursino figlio del signor Virginio, et nepote del Cardinal Flavio et non potendosi in questo, si mandi nel signor Lodovico da Monterotondo (figli nipoti). Se morissero tutti l’eredità a Gravina e qui+]ndi gli altri [15].
 
La relazione cita i beni di Giannantonio in Sabina e a Roma, con diversi particolari.
Giannantonio aveva 11 castelli a venti miglia da Roma che formavano lo stato di Montelibretti[16] che fruttava 18 mila scudi l’anno. Per questo territorio si parlava anche di un affitto precedente agli Altoviti che lasciava agli Orsini il reddito delle vigne e quello dei tribunali, arrivando a più di 20 mila scudi. A Roma aveva il palazzo di Pasquino, dove in quel momento abitava, che si poteva affittare a mille e cinquecento scudi. La vigna grande di Monte Cavallo per la quale altre volte erano stati offerti 13 mila scudi, era stata acquistata un pezzo per volta fino a raggiungere i 7 ettari con un “palazzo grande”[17].
In aggiunta alle molte proprietà di Giannantonio erano alcuni beni appartenenti al vescovato di Spoleto dei quali era titolare il cugino Pietro Orsini (figlio di Antonio[18] fratello del cardinale Flavio[19], e di Virginio padre di Giannantonio); Giannantonio dallo zio cardinale Flavio, era stato indicato dopo la morte di Pietro Orsini come assegnatario dell’usufrutto della villa al Corso[20].
Sul patrimonio di Giannantonio pesavano le doti delle due sorelle già sposate per le quali si dovevano pagare gli interessi ai creditori; forse questa relazione era stata redatta in funzione di ottenere altri prestiti e probabilmente in occasione del contratto di matrimonio e della sicurezza della dote della sorella Livia che si doveva sposare con Giuliano Cesarini[21]. Giannantonio, come si è detto,  non aveva ancora 16 anni, ma si voleva mostrare che aveva o avrebbe avuto una discreta solidità economica.
I beni descritti nella relazione, tutti nello Stato pontificio, risalivano, in massima parte  ai tempi del prefetto di Roma Francesco ed erano stati confermati nell’assenso regio alla richiesta di Beatrice Ferrella, vedova di Ferdinando 5° duca di Gravina di intestare i beni romani al secondogenito Flavio, poi cardinale, e a Virginio,  padre di Giannantonio, mentre nel Regno, a parte Gravina destinata al primogenito Antonio e alla sua discendenza, voleva che gli altri feudi, provenienti dalla sua eredità, andassero al quartogenito e quintogenito Ostilio e Flaminio e alle loro discendenze [22].
La relazione si conclude sulle qualità personali di Giannantonio.
 
L’età di Don Giovanni Antonio è di anni 16 non finiti, è alto di corpo, ben disposto, sano, di buona presenza, ed atto ad ogni esercizio nobile: nel parlare e nell’operare molta vivacità e prontezza, ed ha intelletto e giudizio , che eccede la sua gioventù. Si applica con facilità alle cose che gli  dilettano e gli riesce. Gusta il cavalcare e la caccia, e l’uno e l’altro fa bene; è allevato da Signore con pensieri e concetti grandi: ha bell’animo e non getta il suo. E’ coraggioso, ama l’ onore, e in somma è giovine di grandi speranze.
 
Molte di queste qualità di Giannantonio, a parte quelle sulla presenza fisica, vengono ricordate anche passati i cinquantanni quando la salute era spesso malandata.
 
 
3. La rete parentale di Giannantonio
 
Bisogna tener presente, ed è più che noto, come tutte le famiglie nobili,  dello Stato pontificio e non solo, erano legate tra di loro da una fitta rete di rapporti famigliari ed economici. Nella Relazione dello stato del sig. Giovanni Antonio Orsino si metteva in evidenza come
Don Giovanni Antonio Orsino, Barone Romano e per la Famiglia e per lo Stato che ha in terra di Roma, viene dai Duchi di Gravina e tiene parentado con diversi Signori titolati principalissimi del Regno di Napoli, ed in specie con i Signori Cardinali Gesualdo e d’Aragona.[23]
La corrispondenza Orsini ci offre un quadro piuttosto dettagliato delle strutture dei vari rami della famiglia che potrebbe applicarsi anche ad altri casati.
Molti dei legami di Giannantonio si perfezionano attraverso i matrimoni delle sorelle, tutte nate prima di lui. La più grande era Beatrice, figlia della prima moglie del padre, Ersilia Orsini dei conti di Pitigliano, che nel 1571 si era sposata con Federico Sforza di Santa Fiora e nel 1584 sposò Piriteo Malvezzi signore di Castel Guelfo[24]; Cornelia, vedova di Roberto Altemps, mandato a morte come noto da Sisto V per adulterio, sposerà Andrea Cesi nel 1593 ?[25]; Caterina (1566-1600) aveva sposato da poco Giovanni Gaudenzio Madruzzo; Livia, infine, si sposerà nel 1589 con Giuliano Cesarini. [26] Nella corrispondenza gli accenni a queste parentele sono molti, in particolare nelle lettere degli uomini della famiglia, del resto le più numerose.
A qualche anno dopo risalgono i capitoli matrimoniali tra Giannantonio Orsini e Costanza Savelli redatti il 17 dicembre 1590 dal notaio Curzio Saccoccio, da me visti nella trascrizione ottocentesca del canonico Ettore Orsini[27]
Costanza, come si è detto, era la figlia di Bernardino Savelli al quale era stato dato il titolo di duca di Castel Gandolfo, antico possesso della famiglia, da Sisto V[28].
Nello Stato Pontificio e nei regni di Napoli e Sicilia rispettivamente il papa ed il re concedevano il titolo di duca come titolo di nobiltà, inferiore a quello di principe. Questi ducati erano dei feudi ai quali generalmente non era garantita alcuna autonomia o sovranità politica.
Probabilmente quando erano a Roma Costanza e Giannantonio abitavano al palazzo di Pasquino dove forse nasce la loro unica figlia Giustiniana.
Nel 1611 Giustiniana sposa Ferdinando Orsini, un figlio del Duca di Bracciano Virginio, e il palazzo di Pasquino diventerà la residenza dei due sposi[29].
 
[…]Primieramente il detto Signor Giovanni Antonio dota ed assegna in dote alla Signora Donna Giustiniana sua figlia, […]la somma e quantità di scudi cinquanta mila[…]. Secondariamente per dote e in nome di dote promette di dare e con effetto consegnare[…] al Signor Don Ferdinando sopra tutti i suoi beni scudi centomila[…] dopo la sua morte[…] volendo il Signor Don Ferdinando non andare ad abitare in Casa, promette di dare tanto alli Signori Sposi, quanto alla servitù, vitto e vestito condecente in Roma e nel suo Stato secondo che al Signor Duca, e Signor Ferdinando sarà di più gusto, e comodo, e di più scudi due mila all’anno di moneta in contanti per le vesti, provisioni dei servitori, ed alle spese occorrenti, quali il Signor Duca promette assegnarli subito. E non volendo detto Signor Ferdinando convivere con il Signor Giovanni Antonio, esso promette, e si obliga dargli, ed assegnarli subito scudi quattro mila l’Anno di moneta per frutti dei dd. Scudi centomila[…] Quarto detto Sig.r Gio:Antonio da ora, […]tanto per titolo di Dote, quanto per titolo di donazione irrevocabile inter vivos[…] il Palazzo di Roma a Pasquino, la vigna, che tiene il Signor Cardinale Sforza a Capo le Case, il Giardino de Babuino, le Tenute e Castelli, raggioni, che avesse in esse Tenute di Monte Libretti, di Monte Maggiore, di Nerola, di Ponticelli, di Lugnola e Configni, di Montorio, di Corese, di Monte Flavio, di Scandriglia e Cordemaro, e di San Gemini con tutte le sue ragioni e pertinenze.
 
 
4. Moglie e marito
 
Dopo il matrimonio della figlia Giustiniana con Ferdinando Orsini del ramo di Bracciano, Giovanni Antonio e Costanza si trasferirono quasi definitivamente in Sabina, a Montelibretti e a Nerola, dove anche precedentemente vivevano abbastanza spesso. Le residenze vengono mutate con grande facilità.
La corrispondenza mostra una fiducia e una confidenza allegra tra i duchi di San Gemini. Sia lui che lei sono ovviamente inseriti nella nobiltà romana con una vita sociale molto intensa; non sembra che il vivere fuori Roma li allontani dall’essere parte di quello che succede a Roma ma anche in Italia e in Europa.
Il ruolo delle mogli era di supporto più o meno importante a quello dei mariti.
Esse entravano a pieno nell’ambito delle nuove famiglie. Dalle lettere emerge come Costanza in assenza del marito si assumesse tutte le sue incombenze soprattutto in ambito economico pur continuando a svolgere i compiti che erano stati considerati da sempre tipici della vita femminile.
Sui rapporti cordiali tra i duchi di San Gemini abbiamo molti esempi in tutta la corrispondenza e lo dimostrano più che mai le lettere del dicembre 1623 e quelle dei primi mesi del 1624, quando Giannantonio è a Napoli e Costanza scrive al marito; anche quelle scritte dal duca nei mesi successivi a lei, in un italiano più elaborato, dimostrano la confidenza che esiste nella coppia. Costanza, come è stato detto, si occupa degli affari del duca in sua assenza. Del dicembre abbiamo tre lettere da Roma a Napoli. Quella del 13 dicembre, mandata attraverso Spesiano, ci dà all’inizio qualche indicazione sulle caratteristiche della posta di quel periodo.
Spesciano o Spesiano (probabilmente il Vespasiano delle lettere successive) è un dipendente degli Orsini di San Gemini, è il corriere che Costanza manda al Duca
di Napoli con lettere e soldi per il Duca. In tutta la corrispondenza tra la Sabina e Roma sembrerebbe che nella maggior parte dei casi i corrieri viaggino soli. Per quello che sappiamo, tra Roma e Napoli l’organizzazione è diversa: Spesiamo dovrebbe viaggiare con altri, “in compagnia”, e una eventualità potrebbe essere di una posta con procacci.
Si parla qui del tipo di affari che preoccupavano i duchi e che Costanza riferisce puntualmente al marito. Sono diversi, dai soldi che lei gli manda, al fitto della legna, alla vendita delle pecore, ai pagamenti arretrati per quelli che lavorano le loro terre; vi è anche la descrizione delle circostanze della morte della figlia di una donna a cui i duchi erano molto legati. Non mancano le preoccupazioni per la salute del duca a proposito del sonno e del cibo, cose che Costanza attribuisce all’aria marina che “empie la testa”. Al duca, come altre volte, viene consigliato di non uscire di sera e di notte per i molti malviventi che stanno a Napoli.
      In questo gruppo di lettere manca l’intestazione mentre le conclusioni cambiano. Una caratteristica della vita familiare si evidenzia in tutta la corrispondenza dei duchi di San Gemini: il vivere in Sabina li fa sentire a capo e soprattutto parte di una comunità. Si vede chiaramente la confidenza con tutti i dipendenti ma anche il condividere i problemi delle famiglie alle quali si sentono molto vicini.
 
Oggi che semo ali 13 spedirò Spesiano coli centto zechini, se trovarà compagnia verrà a giornate sennò bisognia che aspetti il procaccio. Non l’ò spedito prima perché il fattore à tanto da fare che non se ferma mai. Il fitto dela legnia lui me dice che questa settimana faremo l’istrumentto. Avemo per vendute un migliaro e forsse mille e cinquecentto pecore. Per pagare li contanti trattamo con Casabello la legnia fora del fitto e pigliarà l’erbba che non se trovano a vendere. Questo servirà per pagare li frutti fora del montte che tutti ànno li mannati in mani con quella legnia se acomodaranno tutti; quello che piglia le pecore credo che pigliarà l’erbba per tenercele. Quest’invernno, se Vostra Signoria s’enterttiene sino passate le festte, credo che averemo levati li fastidi, e vorria perché adesso li sbirri fanno tantte insolenzie che non voria se non avemo acomodato venisse. Ci è uno sbirro che me dicono ch’è stato per servitore con el Monthione[30] che fa quel che pò, ma io ò provisto perché ò mandato da tutti quelli che ànno d’avere e dettoli che de qui ale festte sarranno sodisfatti, ma sempre cenn’è qualcheduno più insolente. Milia verrà à Roma quest’altra settimana perché me fa fare il sapone, se bene viene de mala voglia perché à paura che io non me pigli più aflizione perché lei sempre piagnie. Quello che io scrissi che averei scritto per Spesiano è che la putta da quando stette Giustiniana a Monterotondo me dicono che cominciò con le paure e spaventti che bisogniava che gli sedessero una de qua e una dellà tanto tremava; io dubito che non gli sia stato fatto qualche male che in tantto temppo avesse da morire. Io non so a chi dare la colppa ma se Vostra Signoria se recorda che m’è stato avisato da partte della Madonna da doi persone che voi Emilia e Costanza avevate da essere avelenati à Monterotondo. La putta non s’è fatta negra ma venuto l’acidentte sino che spirò che furnno venti quatrore giuste senpre fece il suo corpo come una cavola de quelle cose che andava prima. Io non so che se sia stato, me sse voltta il cervello quando ce pensso che era guarita e venirgli tantto gran male. Il medico istesso me dicono ch’è restato stupito.
Io sempre sto con travaglio de Vostra Signoria che ò paura che non dorma, che non se abia cura al magniare che non gli ve(n)chi voglia d’entrare nel mare, l’aria marina empie la testa. Per l’amor de Dio abiateve cura, sapete che avete deli nimici; a Napoli non c’è carestia de tristi, andate avertito non andate de sera né de notte. Il forzierino dell’ogli l’averò venerdì de quelli del cardinale ma meli manda Don Ferdinando. Lo scrivo aciò sapia da che mani viene. Mariano me tormentta che voria Milia: io credo che non se possi fare. Ne scrissi un’altra voltta a Vostra Signoria; no me à resposto. Il primo figlio del contestabile dicono che ssia spedito[31]. Verginio sta bene ed io e per fine gli basio le mani. De Roma li 13 de dicembre 1623. Di Vostra Eccellenza, affetionatissima serva et Consorte Costanza Savella [32] .
 
Una lettera del giorno dopo aggiunge altre cose, come il ritardo della partenza di Spesiano che è andato a prendere un falcone a Monte Rotondo e delle difficoltà di prendere denari dalla Francia. Costanza consiglia il Duca di stare allegro che anche lei si è tranquillizzata probabilmente per i problemi dei quali ha parlato anche nella lettera precedente e che forse riguardano la situazione economica
 
 Ieri spedi(i) Spesiano e doveva partire oggi giovedì. Gli è venuta una littera che portti il falcone; oggi l’è andato a pigliare a Montte Rotondo e dimane partirà. Il più cattivo entrò in camera deli caciatori e l’à morso: me dicono ch’è restato il meglio. Vorria che Vostra Signoria stesse alegramentte, non se pigliasse fastidio perché io me so quietata e sto alegramente. Don Ferdinando me à detto che fece dire a Vostra Signoria che’l Bacelli non pò pigliare li denari de Francia senza non so che procura, che lo disse al signor Flaminio[33] e adesso dice che li cambi vanno ale stelle. Vostra Signoria la mandi aciò se levi quest’interesse. Per Spesiano ò scritto moltte cose perché so secura che la littera capita; però adesso scrivo poco e gli bacio le mani. De Roma li 14 de dicembre 1623. Di Vostra Eccellenza Affetionatissima serva et Consorte Costanza Savella  [34].
 
La lettera successiva è del 16 dicembre. Si tratta del vino che doveva arrivare con la barca, e dei tentativi di organizzare meglio la corrispondenza; Costanza gli manda nuovi avvisi e i soliti consigli perché il duca stia allegro oltre alle notizie del forzierino del quale aveva parlato nella lettera del 13.
 
 Spesiano andò per il falcone; la conpagnia andò via e bisognia che parta ogi col procacio. Il vino sonno cinque giorni ch’è partito con la barca de patron Ascanio Boccia ma ànno auto tantto maltempo che non so quando ariverà; io non ò che scrivere se no pregarlla che stia alegramente e se dia cura, né sse metta in viagio se non sse acomoda il temppo. Se à bisognio de quatrini avisi che li mandarò perché atuttavia averò più comodità de mandarlli e per fine gli bacio le mani di Roma li 16 de dicembre 1623.
Me so resoluta perché le litere de la stafetta gli siano date, le conssegnio qui a Roma e pago chi è obligato a consegniarlle a Vostra Signoria franca così non se perdeno. Adesso m’è arivato il forzierino; ce mancano tre o quattro carrafine: quando Vostra Signoria torna se averanno quelle ancora. Lo mando per il procacio, se però non avesse aviato le bestie inanzi perché m’è arivato a vinti ore e mezzo. L’imbasiatrice sonno cinque giornni che sta a Braciano con la principessa[35]. Al Duca gli sonno state sequestrate le robbe inbarcate; ancora che abiano inpegnato per sessantta milia scuti per poter partire, non so quando partiranno. Di Vostra Eccellenza Affetionatissima serva et Consorte Costanza Savella [36]
 
Tra febbraio e aprile ho trovato cinque altre lettere di Costanza al marito. Se c’è qualche problema con lettere che arrivano in ritardo lei pensa che non sia possibile che si siano perse dato che viaggiavano insieme a quelle degli ambasciatori per il viceré. Oltre ai soldi cerca di far arrivare al duca prosciutti formaggio e vino; nei particolari della prima lettera del 17 febbraio si vede chiaramente come sia importante far avere a Giannantonio a Napoli quello che loro ricavavano dalle loro tenute, e che era parte del loro consumo abituale domestico, anche se non manca qualche cenno alle difficoltà sui trasporti. Con un linguaggio colorito Costanza dice al marito la sua opinione su quella eredità Gravina che, come si vedrà, era la ragione principale del soggiorno del duca di San Gemini a Napoli.
 
Per le lettere della staffetta ò inteso che se son perse le lettere della staffetta passata. Io ò mandato là a farne romore; loro dicono ch’è inposibile che siano persse perché le lettere franche vanno tutte in un mazzo serrate apartate dove ce va le littere del vicere che mandano li ambasciatori e quella lettera che la chiamano lettera d’avisi: che bisognia o che sia perssa tutta questa massa, o non è perssa nesuna che loro non ànno aviso che sia perssa. Vostra Signoria faccia far diligenzia, perché s’è capitata la littera del vicere e quella littera d’aviso, bisognia che sia capitata questa ancora; me dispiaceria perché io dubito che non sia quella littera dove io mandavo il breve della messa. Già io tenevo in ordine le mie orechie per sentir gran cose et avevo conposto l’animo de non me curar de nientte, e così farò, ma Vostra Signoria vederà che col tenppo scoprirà che lui se sarà acordato con Don Pietro[37] a morte de Vostra Signoria de far tutto questo che loro ànno penzato, però stia in cervello che non gli diano qualche inbechata. Gli mando per il procaccio centto zechini e per quest’altro procaccio gli ne manderò centto altri. Gli mando la soma con ventti presciutti perché adesso se sta alla fine delli presciutti vechi e li novi ancora non so boni, però no ne mando più perché non ce ne sonno più delli vechi. Mando trenttacinque forme de cascio e venttiquatro o venttisei fiaschi de vino, secondo quelli che ce caperanno dentro alle casse. Li mulatieri ànno vista la soma non l’ànno voluta portare, perché dicono ch’era troppo peso; però se manda dui casse più pichole e ce sonno andati venttiquatro fiaschi e ventti pizze de cascio e nove presciutti, l’altri li manderò de mani in mani. Il vino che io mando è vino novo e trebiano. Verginio e io stamo bene e Verginio dice che per questa volta non à potuto scrivere perché è stato a vedere le maschere. Il secretario gli fa reverenzia. Di Roma alli 17 di febraro 1624. Di Vostra Eccellenza Affetionatissima serva et Consorte Costanza Savella[38].
 
L’attenzione a tutti i tipi di affari familiari e la forma con cui ne scrive la Duchessa di San Gemini è sempre molto vivace e anche nel poscritto a questa lettera del giorno dopo si parla delle persone che sono al loro servizio con un vero interesse. Sembra di assistere a una conversazione e che la lontananza con il marito sia quasi inesistente.
 
M’ero scordata de scrivere a Vostra Signoria che le vetture delle robbe che io mando è pagato ogni cosa, sebene loro dicono che son tantto cattive strade che dubitano de non portare li fiaschi sallvi. Se’l vino gli riuscirà bono me l’avisi che gli manderò l’altro, e se non gli riescie bono metteremo mani a un’altra botte. Dell’aquetta Vostra Signoria non me n’à mai resposto e quando se rescalda dubito che non serà più bona. Questa matina ch’è domenica e ancora non se sa nova che sia arivato don Ferdinando. Verginio e io stamo bene e per fine gli basciamo le mani, e il secretario gli fa reverenzia. Di Roma alli 18 di febraro 1624.
La moglie de Flavio se parttì de casa che sonno sino a quindici dì perché la matre se senttiva male. Sono tre giorni che se gli è amalata la putta de male de gola. Questa matina ci ò mandato: dicono ch’è spedita, che non piglia nientte che à il chatarro. Di Vostra Eccellenza Affetionatissima serva et Consorte Costanza Savella [39].
 
La lettera del 14 marzo ci dà nuovamente un panorama degli argomenti di cui si occupava Costanza: la preoccupazione per il ritardo con cui arrivavano le lettere del duca, la questione di Monterotondo che interessava i Barberini - i quali due anni dopo lo acquistarono ma che i duchi di san Gemini si illudevano potesse essere aggiunto ai loro possessi in Sabina -, le anguille e le bottarghe mandate da Napoli, la salute di Costanza, l’interesse perché alcuni sparvieri fossero portati a Roma per essere poi mandati a Giannantonio, invio di cavalli. Non manca il lato scherzoso ma pieno di affetto per cui lei e Virginio minacciano di legarlo con un piede perché venuto a Roma non ritorni a Napoli. Dà pure notizie della morte di Marzia Orsini che aveva sposato Francesco Sannesi; la sorella era Gerolama Suor Marianna del monastero di Sant’Ambrogio che morirà nel 1660.
 
Tutta iersera me penai ch’era venuto il procaccio e non avevo auta lettra de Vostra Signoria. Alla fine poi oggi ch’è giovedì, da poi ch’è arivato Spesiano, ch’è arivato alle dicidotto hore, se sonno ritrovate le lettre de Vostra Signoria. Se viene la settimana santa come mi scrive, io non me partirò. Manderò a chiamare l’Olivelli[40] e vederò de sapere meglio l’intenzione de questi signori: e se hanno animo come se dice de volere una terra libra, io portarò la lettra al signor Carllo Barbarino [41] e farò quanto Vostra Signoria me comanda nella littra e ravisarò a Vostra Signoria del seguito, ma se io so che asollutamentte vogliono attendere a Monte Rotondo me terò la lettra apresso de me. Ò auto le quattro anguille che Vostra Signoria à mandato, ma Vespesiano non me à portato le bottarge che lei me scrive. Bisognierà fare gran provisione de calzette per dare alli spioni, perché oggi se fanno gran littre de spie. Vostra Signoria non dubiti che la quaresima me faccia male, perché oggi che semo a mezza quaresima sino adesso io sto benissimo. Io non ò potuto fare esser li sparvieri a Roma prima de Vespesiano perché è arivato prima lui che le lettre del procaccio. Manderò li cavalli che Vostra Signoria scrive, e se Vespesiano se intratterà tre o quatro dì manderò li cinquecentto cinquantta scudi. Dicono che se siano fatte tre congregazioni sopra a queste cose de Monte Rotondo e che sempre ce trovino maggior diffigultà, ma io saperò da una persona che lo pol sapere se questi signori hanno animo de comprarllo e ravisarò a Vostra Signoria. Mandai li cento zechini per il procaccio. Del resto delle nove de Roma io vi mando l’avisi ogni settimana. Adesso de novo non c’è altro che la morte della figlia del signor Antimo[42] , ciovè quella maritata non quella monica. Verginio e io stamo bene e lo stamo aspettare che venga quantto prima, perché lo volemo atachare per un piede acciò non revada a Napoli, e gli basciamo le mani e il secretario gli fa reverenzia. Di Roma alli 14 di marzo 1624. Di Vostra Eccellenza Affetionatissima serva et Consorte Costanza Savella [43]
 
Una lettera del 27 aprile dà particolari divertenti sui rapporti anche lontani della coppia. Di fronte alle scappatelle del marito, di cui inevitabilmente veniva a conoscenza, la disincantata Costanza scriveva:
 
questo non lo dico per gelosia perché io delli suoi amori me ne rido, perché quando una dama vol eser vituperata se metta a far l’amore con Vostra Signoria perché lei lo fa sapere sino alli scarpinelli[44].
Vostra Signoria dirà che io ho pochi pensieri a scrivere tantte lettere, ma più presto verà dalli troppi pensieri che me levano di me che non me ricordo de quello che io ò da scrivere tutto in una volta. M’ero scordata di scrivergli che me osservassi il giuramento e la promessa che me fece d’essere a venti tre ore e mezzo a casa, che dava licenzia a tutti li servitori, e c’era Flavio presente, che come lui non osservava questo che me lo scrivessero che subito lei se ne voleva tornare a Roma. Io so che a Napoli se fanno spesso delle feste; quelle che se fanno de dì io ò caro che ce vada e che se pigli gusto. Questo non lo dico per gelosia perché io delli suoi amori me ne rido, perché quando una dama vol eser vituperata se metta a far l’amore con Vostra Signoria perché lei lo fa sapere sino alli scarpinelli; ma lo dico bene per gelosia della vita sua che lei sa quello che io voglio dire. Ma le feste che se fanno de notte voria che se ne guardassi de andarce; se anche tale è pratica de Francesco Albrizio[45], Vostra Signoria se lo levi di torno tantto più che fa la bottiglieria. Se de Guido Vostra Signoria non n’à necessità lo remandi sula prima barcha che viene perché il fattore ne à de bisognio, e poi se se vol fermare me servirà da mandarllo con le robbe inanzi e aretro. Se me sarò scordata d’altro scriverò poi un’altra littra che saranno poi quatro, scriverò oggi per il procaccio. E se me vengono li denari a temppo ciovè li centto e sessanta scudi li manderò per Vespasiano, se non li manderò per il procaccio se me arrivaranno a hora. Verginio sta bene, e per fine gli basciamo le mani. Il segretario sta in collera perché nelle littre di Vostra Signoria non c’è le sue racomandazioni e dice che mancho lei ne vol mandare più e Poppa [46]fa il simile. Di Roma alli 27 di Aprile 1624. Di Vostra Eccellenza Affetionatissima serva et Consorte Costanza Savella. [47]
 
Nello stesso giorno come aveva già detto nella lettera precedente, manda un’altra lettera. Parla dei quattrini che non gli ha potuto mandare e lo minaccia di scrivergli tante lettere che gli veranno in fastidio.
 
M’è capitata una littra della staffetta che viene a Vostra Signoria e gli la remando. Son stata aspettare sino a vinttun’ora per vedere se veniva l’oste de Nerola che aveva da portare li quatrini che volevo mandare a Vostra Signoria e non è venutto: bisognia che se sia trattenuto, perché non ier l’altro morsse mastro Livio, ma domatina senz’altro serà qua e se potrò mandare arivare il procaccio ce manderò, se no li manderò per la prima ocasione. Non scrivo altro perché per Vespesiano, che viene sulla barcha con Guido, gli scrivo tantte littre che gli veranno in fastidio. Virginio sta bene e gli basciamo le mani. Di Roma alli 27 di Aprile 1624. Di Vostra Eccellenza Affetionatissima serva et Consorte Costanza Savella.[48]
 
La prima delle lettere di Giannantonio a Costanza da Napoli, che ho trovato, è del 4 maggio 1624[49]. Parlando della festa di San Gennaro che quell’anno toccava al seggio del Nido le racconta come era molto occupato essendo ufficiale del seggio, secondo una tradizione che risaliva a Francesco, Prefetto di Roma e Primo Duca di Gravina.
Parla del suo desiderio di stare a Napoli l'estate e della organizzazione del viaggio con le due galere che pensa di avere in prestito dal Vicere con le quali andrà a prendere Costanza a Terracina.
Degli affari di Roma, come ho già detto, durante l'assenza di Giannantonio ma anche quando lui è presente, se ne occupa molto la moglie e qui le è richiesto di radunare un bel po' di denari.
Giannantonio dà alla moglie anche notizie sulla sua salute informandola di come salga e scenda da cavallo senza aiuto di nessuno. La salute era un argomento che si ritrova spesso nelle lettere familiari tanto più che il duca di San Gemini era considerato una specie di medico e in generale uno scienziato secondo una cultura molto generalizzata nella società napoletana tra XVI e XVII secolo; questa cultura scientifica somigliava a quella dello zio Flavio di cui è in corso di pubblicazione l’inventario dei beni[50].
È interessante ricordare che il famoso scienziato Ferrante Imperato aveva realizzato un museo naturalistico proprio presso il Palazzo Gravina all’epoca visitato da numerosi studiosi naturalisti europei [51].
 
Perché oggi è San Gennaro, et il far la processione della Festa tocca al seggio del Nido dove io sono offitiale, mi è convenuto essere occupato tutto ieri e tutt’oggi in dare ordine a quello che era necessario, perciò non posso scrivere a lungo né risponder a quanto Vostra Signoria mi scrive e dirò solo che io sto benissimo che è quello che importa, resolutissimo di star qua questa state e che Vostra Signoria venga; verrò a pigliarla sino a Terracina con due galere che il signor ViceRe mi farà Gratia. Vostra Signoria metta in ordine denari assai et venite allegramente. Gli do nova che io saglio a cavallo e scendo da terra senza aiuto et sto contento et contentissimo pensando che Vostra Signoria ha da venire. Per la staffetta scriverò a lungo et le bacio de core le mani. Napoli 4 maggio 1624. Affezionatissimo e Obbligatissimo Servitore et Consorte, Don Giovanni Antonio Orsino.
 
Il 7 maggio il duca manda  a Costanza una lunga lettera in cui si parla di diversi argomenti. Il principe di Castiglione gli aveva fatto chiedere di accompagnare la futura sposa del proprio figlio; bisogna tener conto che si trattava di un esponente della famiglia D'Aquino che tra Cinque e Seicento aveva acquistato diversi feudi e nel 1606 aveva ottenuto dal re di Spagna il titolo di principe collegato con Castiglione una antica signoria della famiglia. La richiesta di accompagnare la sposa sembra un riconoscimento del prestigio che il duca di San Gemini godeva nel Regno di Napoli. Il principe aveva promesso in cambio il damasco per due camere; si trattava di un dono importante tenendo presente che in quel periodo  era molto apprezzato in Italia dove era spesso impreziosito da fili d'oro e d'argento.
Sull'interesse per le tappezzerie abbiamo molte lettere di Giannantonio a Ferdinando di qualche anno più tardi per il palazzo di Pasquino. A parte i tessuti di arredamento si parla spesso anche di tessuti più comuni come il buratto di Bergamo che Giannantonio chiede a Costanza di comprare in una lettera di due giorni dopo per darlo a una persona dal quale aveva avuto in prestito dei soldi.
 
Mi facci gratia di mandarmi nove canne di buratto di Bergamo nero del più fine et di più bella tinta che si pol trovare che mi dicano costarà meno di uno scudo la canna et mi avvisi quanto costarà che non è per me et prima che darlo a chi mell’ha chiesto mi saranno sborsati li quatrini che è un Cavaliero che melli voleva dar innanti. Sto che tremo di non poter riuscire a vero con quel Cavaliero che mi ha prestato 2163 ducati per disimpegnar la casa; ma chi mi ha libberato dal profondo del mare mi libererà anco da questa vergognia. Faccio fine con li soliti saluti. Di Napoli li 9 di Maggio 1624 . Affezionatissimo e Obbligatissimo Servitore et Consorte, Don Giovanni Antonio Orsino.[52]
Nella lettera del 7 maggio, come si vedrà, Giannantonio descrive con minuzia il programma di viaggio per Costanza. Pensa che nel viaggio fino a Terracina potrebbe essere accompagnata dalla sorella Cornelia, già Altemps e poi Cesi con la quale i duchi di San Gemini avevano avuto e continueranno ad avere uno stretto legame.
Giannantonio si preoccupa che la sua posizione a Napoli rimanga quella che lui crede che debba avere e quindi gli sembra naturale di avere 10 staffieri e 3 cocchieri. Sulle carrozze si sa che solo il Vicerè aveva 6 cavalli mentre i nobili non avrebbero dovuto superare i 4.
L’ultima parte della lettera tratta di vita quotidiana e si commenta la capacità musicale di Adriana Basile[53] che pensa di insegnare musica andando in barca da Posillipo a Agata e Giovanna, probabilmente due damigelle. La lettera prosegue con riferimenti alla sua lettera del 4 maggio sulla propria salute e forse si riferisce a una lettera di Costanza che non ho trovato; come ho già detto, spesso leggendo la corrispondenza sembra di assistere a una conversazione e nel caso di queste lettere tra i coniugi manca il formale indirizzo come “Illustrissima consorte”.
 
Intorno a questo particolare, Signora, in effetto l’Aria, come mi ha mutato la Complessione, che di un cioccho et di un vecchio mi ha fatto giovane et agile, così mi ha cominciato a mutare la condizione, et del più disinteressato homo che fosse al mondo comincio a diventare interessato. Il Ridolfi agente del Principe di Castiglione, si lasciò intendere che il Principe mi voleva donare Damasco per due Camere se io conducevo la sposa. Vostra Signoria gli facci domandare dal signor Cesare Indelli che è amico suo, se son più di quell’opinione, perché se queste Camere venissero io mi contento di menar la sposa sino in Calabria, pur che loro habbino le Galere; altrimenti io non voglio far niente, et scrivo a Vostra Signoria una lettera aperta acciò gliela possa mostrare, ma se li damaschi verranno, Vostra Signoria gli potrà dire a bocca, che se hanno le Galere, per da qui Napoli in Calabria, che io la condurrò. Quanto al viaggio di Vostra Signoria sarà in questa forma. La prima sera a Cisterna, la seconda a Terracina per sandalo, viaggio comodissimo et sicurissimo. A Terracina verrò io con le Galere che credo che il ViceRe mi farà gratia et la sera conveniremo a piacere in Napoli; et se non potrò havere le Galere, l’avisarò a fine che Vostra Signoria possi condurre le Carrozze, da venircene da Terracina a qua: et a Terracina o con le Galere o senza io mi troverò in ogni caso. Se verrà la sposa, credo che mia sorella verrà ancor lei sino a Terracina, perché con l’istessa carrozza sene potrà tornare a Roma nell’istesso modo che si viene; solo vi è di differenza che la Carrozza bisogna farla aspettare a Sermoneta due giorni, uno, il dì che si viene a Terracina et l’altro quello che si torna, perché in questi tempi si fa comodissimamente l’andare e il venire da Sermoneta a Terracina e da Terracina a Sermoneta in sandalo, bisogna portar l’ombrello perché il venir con il sandalo coperto è andare in una stufa. Se la sposa non venisse et la Madre non la volesse accompagnare, Vostra Signoria si potrà menar  Don Ferdinando sino a Terracina.
Ecco che in una lettera sola ho aguagliato tutte le Cinque che ho haute da Vostra Signoria la quale da mo’ inanzi, quando scrive più di una lettera, facci come sta notato in questa: P.a, 2.a. Quando saremo qua son cinque staffieri vestiti di lana. Cinque altri, ne potrà portar Vostra Signoria di costà che tre ce ne havrei io et dieci in tutto basteranno che per li cocchieri ci sono li vestiti che portavano li segettari.
Delle lettere che mi furono scritte di qua me ne manca una che dice il Duca di Gravina che le mandò con la coperta fatta di mano del Passeri che doveva arrivare il Mercoledì che io ero partito il Martedì: è un plichetto et il Duca mi dice che gli dispiacerebbe che si fusse perso; Vostra Signoria facci diligenza di farlo ritrovare e melo mandi.
Agata s’inganna che Adrianella è miracolo di natura, m’ha promesso che vol venire  sempre a casa, et questa state a Posillipo in barca con noi, et che vol imparare quello che sa ad Agata et a Giovanna, che se bene nell’Arpa non ha una grandissima mano, ha però molte delicature et certi tiretti gratiosissimi. Il Cantare lo fa con tanto affetto accompagnato con voce e passaggi gratiosissimi che for de burla è cosa di stupore. Non sono già li sospiri allo sproposito della Moretta; gli feci cantare l’Arianna, et non ci fu remedio, che bisognò piagnere, et non ci andava miga detto chi retiene e qualch’altra risposta che si fanno quando haltre la cantano. Il segretario e Principe hanno torto a dolersi di me perché sempre che io scrivo dico che si faccian le lor racomandationi et però non melo scordarò adesso. Li saluto tutt’e due; benedico Virginio anche Lelio, a VS bacio sentitamente le mani. Di Napoli li 7 di Maggio 1624, . Affezionatissimo e Obbligatissimo Servitore et Consorte, Don Giovanni Antonio Orsino. [54]
 
È del 9 maggio un’altra lettera a Costanza sempre sull’accompagnamento della sposa.
Giannantonio vuol far capire come sia importante, per la sposa e per lui che l’accompagna, mantenere le abitudini dell’aristocrazia napoletana con le visite ricevute e ricambiate, diversamente che a Roma dove le consuetudini potevano essere diverse. Di quest’arrivo della sposa e di Costanza si parlava a Napoli ma in questo caso Giannantonio pensa di fare a meno dell’incontro, dato che l’arrivo era previsto via mare. La questione dell’accompagnamento della sposa non sembra che si concluda ma la lettera di Giannantonio ci illumina su altri aspetti della sua vita.
 
Ho letto meglio la lettera di Vostra Signoria, et visto il Pensiero che ha mia sorella che Vostra Signoria eschi una giornata o mezza ad incontrar la sposa, et la conduchi a Napoli; dalla qual lettera cavo due cose, la prima che la sposa verrà per terra, et la seconda che si fermerà a Napoli qualche dì. Vostra Signoria le dica, che lei vol burlare, che qua a Napoli se usa a far l’incontri, entrar con livree et lettighe superbissime, et che mai sposa è venuta a Napoli, d’altra maniera, et che io, certissimo, non ci voglio condur la prima in altro modo. Il venire per mare scusa molte cose, et Vostra Signoria che non è sposa non saria possuta venir senza incontro, se non venisse per mare, et così mi son difeso da tutte le signore che mel’hanno detto et fatto dire, et fermandosi la sposa sarà visitata, et le visite bisogna restituirle. Il Duca vol fare a modo suo, faccialo, et non ci intrighi chi non ha parte nelle sue deliberationi, et io seben me ci volesse intrigare, non me ci voglio intrigar resolutamente, che l’incomodo lo piglio et la robba la spendo volentieri, in servitio de Parenti e dell’Amici, ma la reputatione non la voglio dare a nessuno. Napoli non è Roma, che qua non ci è altre faccende, et non si sta sopra altro che queste bagattelle.  A Vostra Signoria bacio le mani di Napoli li 9 di maggio 1624. Affezionatissimo e Obbligatissimo Servitore et Consorte, Don Giovanni Antonio Orsino
Vostra Signoria mandi questa lettera alla Signora Duchessa mia sorella et se la facci restituire [55].
 
Il 4 giugno c’è un’altra lettera con problemi sui suoi vestiti, dalla pelliccia a quelli d’estate che Costanza dovrebbe portare.
 
Ho fatto sfoderare la mia pelliccia et sotto non ci è la fodera di taffetta che ci stava prima. Vostra Signoria faccia cercar al pellicciaro che la deve havere et la faccia portar qua, ovvero sarà in guardarobba a Roma.
Si mandi una procura per pagare i censi la vigilia di San Pietro in persona del Capitone, che si devono pagare ventire ducati di Camera, cioè quindici per San Gemini et otto per Lugnola e Configni. Vostra Signoria faccia che habbia li denari, e che si compiaccia la Camera a pagar li censi la vigilia di San Pietro secondo il solito. Lasci ordine che gli siano pagati al suo tempo.
Vostra Signoria facci portare tutti li miei vestiti de state, li colletti et altri panni leggeri.
Sto aspettando sentire a quello che si risolve il signor Don Ferdinando circa l’andar fora, et non si risolvendo d’andare, Vostra Signoria eseguirà quello che io gli ho scritto circa il governo dello stato, cioè darlo a Monsignor Cesarino[56].
È necessario di haver un paramento bello, però se pol havere quello di Salomone non lo lasci e piglilo con ogni interesse[57]. Quest’allungata della venuta di Vostra Signoria, cognosco benissimo d’onde procede et in fine non la si pol staccar di là come io di qua; ancora a me piacerebbe lo starvi, se vi si potesse stare, ma purché Vostra Signoria venga con salute, e venga che sempre sarà a tempo.
Li cavalli di carrozza, se li sei sono belli li pigli, se non ne meni un paro per lei, che questo basta. Circa il mio venire per mare o per terra, Vostra Signoria non se ne pigli fastidio, perché io so le cautele che ci vogliono et farò questo viaggio sicurissimo come se io stessi in casa. Il Cardinale vostro fratello[58] vol la burla et non sa che io non posso star senza Vostra Signoria et non voglio tornar a Roma.
Se li quatrini non vengono domani e score l’olio alla lucerna, che come Vostra Signoria sa non havevano a bastar per tutto questo mese et sono bastati oltre di più, et caso che Vostra Signoria non li havesse rimessi con il procaccio che arriva domani, provegga le lettighe per sé e per le donne costà che la portino da Terracina a Napoli; perché io qua non ho modo de darli la caparra, perché sebene Vostra Signoria li havesse rimessi per la staffetta che arriva Domenica qua et parte poi domani da Roma, non me verriano a tempo, che Domenica bisogna che parta io di qua per esser martedì sera con Vostra Signoria a Terracina.
Non mandarò l’acqua di fiori a Poppa, perché mi pareva di perdercela in quella bocca fetente trantragliosa et mi parerebbe di far un gran torto alle mie monacelle se io desiderassi che fossero lodate da lei quanto alla sera era con la dama e servissero per la medesima causa che fu con quella di Roma sebene lei mi fa gran bone cere, ma io non ne voglio sentir più sonata, la mia Devota prevale e poiché la figlia di Roma non si degna di scriverme una parola, io m’ho presa questa per figlia et si chiama a punto Giovanna come mia madre, et non ho se non paura che Vostra Signoria mella toglia, ma gliene tengo ammannita una giovanetta di sessant’anni che sarà bonissima per lei, per questa potrà portar qualche regalo.
Il Buratto non venne altrimenti che ne fo la faccia rossa et se non viene domani son vittuperato in millesima generatione. Alla Commare, alias il sig. Secretario, baso le mani come fo a tutte le altre signore e alla sig.ra Popa. Benedico Virginio e a Vostra Signoria bacio riverentemente li piedi. Di Napoli 4 giugno 1624. Schiavo et Consorte Obbligatissimo, Don Giovanni Antonio Orsino
Trifone sappia che non ho nova del suo Barbarone et io vorrei saper qualcosa di Monte Rotondo seben l’ho per negotio più disperato. [59]
 
 
5. Affari di Napoli
 
Il duca di San Gemini, feudatario dei territori Orsini in Sabina nello Stato Pontificio, era molto legato ai beni intestati ai Gravina e particolarmente a Napoli e al palazzo della sua famiglia dove probabilmente era anche vissuto; fino alla morte spererà di venirne in diretto possesso e da qui i soggiorni nella città partenopea. Nel gennaio 1624 Giannantonio è a Napoli, ospite dei padri olivetani, dove scrive una lettera a Ferdinando[60].
 
Illustrissimo et Eccellentissimo Signor mio Osservantissimo
Li negotii nostri qua caminano con qualche lunghezza, ma però assai felicemente et s’io mi volessi contentare del bene me ne potrei tornare a piacer mio, ma perché ho speranza del meglio mi tratterò qualche giorno di più. Ho receuto la lettera per il padre Palombo et da ch’io scrissi a Vostra Eccellenza mi s’è reschiarato assai il Cielo, et mi ritrovo qui in Monte Oliveto tanto accarezzato et tanto honorato da questi padri che non si potrebbe dir più. Vostra Eccellenza ne ringratii in mio nome il signor Cardinal Borghese al quale scrivo di più l’alligata. Il signor Cardinal Caetano mi scrive che forse haverà deli hospiti a Cisterna, non mi dichiara chi; ma mi vado imaginando che sia per essere il signor Cardinale de Medici con qualche altro Cardinale. Qui si fa una festa di Caroselli, dove si vedrà tutto quello che si puol vedere a Napoli. Io come li scrissi ho comodità con poca spesa di rigalarli  tutti e farli stare con libertà e grandezza. Vostra Eccellenza procuri pur liberamente di condurceli, e che soprattutto si menino Caetano, che passaremo 10 o 12 giorni con gusto infinito. Vostra Eccellenza prema perché con quest’hospitalità s’obligano gli animi delle persone et si congiungano et stabiliscano l’amicitie, mi avvisi del tutto e per fine li bacio di core le mani. Di Napoli 6 gennaro 1624.
Di Vostra Eccellenza Affetionatissimo Servitore et Padre Amorosissimo che benedice Giustiniana e li figli, Don Giovanni Antonio Orsini [61]
 
È difficile capire nella sequenza delle lettere quali sono i negozi di cui si parla in quel particolare momento, ma si tratta probabilmente del palazzo Gravina molto vicino al grande monastero di Monte Oliveto il cui abate, o certo un personaggio importante del monastero è il padre Palumbo; il cardinale protettore degli Olivetani è il cardinale Scipione Borghese che, come Giannantonio sapeva bene, usava questa sua carica per avvantaggiare se stesso e i suoi protetti[62]. Giannantonio spinge Ferdinando a far andare a Napoli il cardinale Antonio Caetani figlio del fratello di sua madre, Onorato[63], che aveva il cardinale Medici e altri cardinali suoi ospiti a Cisterna. Pensa che potrà offrir loro ospitalità e divertimento con i prossimi caroselli di Napoli. Antonio Caetani era stato un personaggio importante della diplomazia pontificia, con molti incarichi e nunzio in Germania tra il 1607 e il 1610 e legato a latere in Spagna dal 1611 al 1618; tornato in Italia nel 1621 fu nominato cardinale da Gregorio XV. Nel 1605 era stato nominato arcivescovo di Capua al posto di Roberto Bellarmino che si era dimesso, ma date le sue incombenze la diocesi rimase nelle mani del suo vicario. Tra i cardinali veniva citato il cardinale De Medici[64]. Anche con il cardinale De Medici non mancavano i legami ma secondo Giannantonio l’invito ai caroselli napoletani e l’ospitalità che offriva avrebbero potuto in seguito dimostrarsi utili. I caroselli avevano una tradizione dal XVI secolo introdotti dagli spagnoli ed erano compiuti da cavalieri che si gettavano palle di creta durante una serie di evoluzioni.
Sui rapporti tra il monastero di Monte Oliveto e Giannantonio e Ferdinando Orsini, sempre probabilmente a proposito del palazzo di Gravina, ci sono due lettere inviate a Ferdinando da qualcuno che era dalla loro parte, forse un padre olivetano, nel dicembre precedente.
 
Illustrissimo et Eccelentissimo Signore mio padrone Colendissimo
Fui sabato mattina conforme l’apuntamento col Padre Palumbo e con esso mi trattenni buon pezzo, discorrendo Sua Paternità semplicemente di quelli Interessi, ma tuttavia in generale, perché le cose (disse) pur caminano di modo, che nol lasciavano condiscender ai particolari; mostrava bene molto affetto e premura nel buon esito loro, sì per servitio di Vostra Eccellenza, e per mio gusto, come per sodisfatione del Padre Generale, alla cui lettera si trova non havere ancora risposto per non gli potere dare quell’aviso che desiderava.
Tratta ogni dì con l’Amico, e conferma, che Sua Eccellenza camina bene, e con sincerità, e ch’ha dei Travagli, ma ch’in termine d’un mese al più doverà saper in quanta acqua si pesca. Io tocco fondo che sua Paternità sta posta benissimo nel negotio, e ch’è huomo sincero, e dice meno di quello ch’opera. Sia tutto questo detto a Vostra Eccellenza per raguaglio di ciò che gli obligai sabato col procaccio et aspetti ogni settimana due volte lettere da me, che con humile riverenza l’inchino, suplicandola a mantenermi la sua gratia, e quella del signor Cardinale Illustrissimo. Napoli li 26 dicembre 1623. Di Vostra Eccellenza humilissimo et obbligatissimo Servitore Girolamo Benzi [65]
 
Una lettera dello stesso allo stesso di tre giorni dopo spiega forse meglio quale era il problema in quel momento.
 
Illustrissimo et Eccelentissimo mio Signore. Dal Padre Abbate di questo Monasterio mercordì sera, mi fu resa la lettera di Vostra Eccellenza, 21 del presente, e l’altra delli 22 mi fu pur dall’istesso restituita hieri a mezzo di, che poco inanzi era giunto il procaccio.
Quanto alla prima devo dire a Vostra Eccellenza, ch’ho fatta già ogni diligenza per sapere lo stato reale di questi duoi Signori, e l’ho procurato da tre luoghi diversi per assicurarmi meglio che la relatione sia vera, e però penso di poterli promettere che mi riuscirà di servirla secondo che ella desidera.
Quanto alla seconda, credo che l’Amico nel dolersi meco delle difficultà, che trova nei suoi negocii, habbia voluto intendere di quelli che toccano al fedecommesso, più tosto ch’all’accomodamento di questi duoi Signori, marito e moglie, perché non so vedere che questo particolare gl’importi tanto, che se n’habbia d’affliggere quanto dimostra, oltreché il Padre Palumbo mi disse specificatamente, che l’Amico detto haveva traversie negli Interessi che a noi premono; però bisogna concludere o ch’egli intendesse di quelli, o che siano tanto congionti che non seguendo l’accomodamento, neanco possa sortire l’effetto del Fedecommesso: e s’egli scrive di trovarsi sul Cavallo grosso, deve farlo per nutrire di speranze costà chi può havere disgusto del mal successo, perché non gli mancaranno in ogni caso ragioni da scusarsene, quando la necessità ne lo facesse scavalcare.
Questa mattina ho riveduto il Padre Palumbo, il quale mi ha detto, che tuttavia stava aspettando il signor Duca  di Santo Gemini, l’onde io me ne sono partito subito per lasciare libero il campo a Sua Eccellenza, a Casa di cui era stato poco prima a Chiaia per presentarli una lettera di Buone Feste del Signor Cardinale Patrone, ma era uscito. E con ciò colmo più che mai d’obligationi verso la persona di Vostra Eccellenza prego Dio che la guardi con quell’accrescimento ch’io humilissimo suo Servitore desidero. Napoli li 29 dicembre 1623. Di Vostra Eccellenza humilissimo et perpetuo Servo Obligatissimo Girolamo Benzi[66].
 
Quelli che nella lettera sono citati come quei due Signori, dovrebbero essere il duca di Gravina Michele Antonio e la moglie Beatrice[67], cugina di Giannantonio perché figlia di Ostilio, fratello del padre del duca di San Gemini, e sembrava che volessero vendere il palazzo Gravina o il fedecommesso.
 
 
6. Suocero e genero
 
Ferdinando, che sembrava potesse arricchirsi con i beni di Giannantonio che gli sarebbero dovuti arrivare dopo la sua morte, si dovette accorgere presto che il patrimonio degli Orsini di San Gemini era devastato dai debiti.
Oltre a trattare argomenti diversi relativi a vicende sociali e politiche, le lettere lasciano trasparire l’affetto che lega suocero e genero. Nelle intestazioni e nelle conclusioni delle loro lettere Ferdinando si rivolge al duca di San Gemini “Illustrissimo et Eccellentissimo Signor mio Padrone Colendissimo” e si firma “Devotissimo et Obedientissimo Servitore et figlio”. Giannantonio si rivolge a Ferdinando “Eccellentissimo e Signor Mio Osservantissimo” accentuando la considerazione sociale per il genero e si firma “affettuosissimo padre”. Ferdinando era pure molto occupato dagli impegni legati al suo ruolo e dai numerosi incarichi che gli vengono dal fratello Paolo Giordano II del quale era erede.
Il 4 maggio 1624 Giannantonio scrive una lettera al genero Ferdinando[68].
 
Illustrissimo et Eccellentissimo Signor mio Osservantissimo
Ho ricevuto la lettera del signor Duca per il signor Ferrante Branci, la presentarò e trattarò la speditione di questo negotio che tanto mi preme con ogni possibile accuratezza. Vostra Eccellenza ne ringratii intanto infinitamente da mia parte il signor Duca. Mi rincresce che non sia libero del suo catarro, et che a Lelio ne sia toccata la parte sua, ma mi rallegro che Virginio e Flavio ne siano fuora, e dal bon esito loro si deve sperar l’istesso di Vostra Eccellenza et di Lelio. Sto aspettando con desiderio di sortire il bon esito del Negotio della signora Principessa che hormai non potrà tardare a venir la nova. Il signor Duca et la signora Duchessa di Gravina negano costantemente haver fatto quella donatione, et la verità è che di quella fatta in Napoli, sin hora non ho possuto manco trovare l’offitio di quel Notaro, il quale tutti mi dicono non haverne cognitione. Non voglio lasciare d’invitare Vostra Eccellenza a venirsene qua con Donna Giustiniana, a star questa state qua con noi, che son sicuro che si goderebbero un’ottima salute, come faccio io, che saglio et scendo a Cavallo da Terra, senza aiuto, che sono molti anni che non lo potevo fare. Galoppo et Corro a Cavallo, come facevo vent’anni a dietro, et se si farà feste da Correr lance, Vostra Eccellenza ne sentirà le nove; et le bacio le mani, benedicendo la figliola e nepoti. Di Napoli 4 di Maggio 1624
Il viaggio sarebbe comodissimo havendo pensiero di mandar dui galere a Terracina che il signor ViceRe me n’ha fatto gratia. Don Giannantonio Orsini.
 
Nel 1622 il duca di Bracciano Paolo Giordano II aveva sposato la principessa Isabella Appiani il cui principato di Piombino era sotto la sua sovranità ma con polemiche da parte dei Medici e della Spagna; Giannantonio è incaricato o sente il dovere di occuparsene.
Per quello che riguarda l'ipotetica donazione fatta dal duca e dalla duchessa di Gravina, sembra il segno della continua attenzione sulle loro mosse da parte del duca di San Gemini che dai beni di Gravina sperava di ricavare una parte economica che lui credeva o voleva far passare per suoi diritti.
Dopo un accenno alla sua ritrovata agilità, Giannantonio invita Ferdinando e Giustiniana per l'estate a Napoli.
A quanto sembra il voler far venire la famiglia a Napoli per l’estate dipende anche da una situazione difficile in cui si trovava Ferdinando. Qualche cenno maggiore si trova nella lettera di dieci giorni dopo dello stesso allo stesso.[69]
 
Illustrissimo et Eccellentissimo signor mio osservantissimo
Persisto nella mia opinione, che sia bene anzi necessario, che Vostra Eccellenza se ne stia questa state con la Casa for di Roma, et perché credo che sia cosa molto repugnante al senso suo, aspetto di sentire la risposta di questa o di quella che gli scrissi l’altro giorno, che lei vien consigliata da persone che gli vogliono bene et savie a non partirsi di Roma per non mostrar d’haver hauto disgusto delle cose passate. Io son di contrario parere; pol esser che io m’inganni, che sempre voglio creder meno a me stesso che agl’altri. Confesso che mi sarebbe di grandissima consolatione che lei lo facesse, e perché son sicuro che non lo farà, non ci spenderò più parole; mi piace che sia giudicato da tutti che lei habbia havuto ragione, seben dall’altro canto qui sta l’offesa, nel haverli fatto torto; tutavia il mondo si governa con l’opinione, et basta che lei si sodisfaccia, et le genti giudichino che con ragione si chiami sodisfatto. Del resto che Monsignor Magalotti[70] vogli fare che il fatto non sia fatto, questa è quella cosa che è stata impossibile a Dio, non so come la potran fare gli homini: assai è se del male, se n’è cavato il manco male. Né altro occorrendomi gli bacio le mani. Di Napoli li 14 di Maggio 1624. Di Vostra Eccellenza Illustrissima, Affezionatissimo servitore et Padre Amorosissimo Don Giovanni Antonio Orsini.
 
Giannantonio tra luglio e agosto è senz’altro in Sabina. In realtà spera di riandare a Napoli insieme a suo genero Ferdinando come si vede dall’inizio della sua lettera del 30 agosto[71]..
 
Illustrissimo et Eccellentissimo Signor mio Osservantissimo
Vedo la nostra andata a Napoli andare di maniera procrastinando, che comincio a perdere la speranza che possi più seguire, et havendo grandissimo desiderio di haver una copia di quel quadro dell’Elemento del foco che fu di Vostra Eccellenza, la prego a far diligenza per sapere se in Roma ve ne restò o in mani di chi sia oggi l’originale, farne far copia se sa in mano di chi sia l’originale. La desidero infinitamente, però la prego con la maggiore efficacia che io posso a farci ogni possibile diligenza perché una delle due cose dette succeda, che sarà poi mio pensiero di haverne o della Copia se sarà in Roma, se no dell’originale com’io habbi saputo in mano di chi sia. Del resto sto aspettando con desiderio littere di Vostra Eccellenza, per sapere se apparisce qualche speranza di aggiustamento delle cose d’Italia, et ho necessità che noi havemo della Pace; mi fa credere che sarà la guerra. Il Signor Pompeo Frangipani è delli ben’avvisati che siano; Vostra Eccellenza con sua commodità lo vada a visitare, et bisogna che stringhiamo seco bon’amicitia, perché se le cose della Guerra andassero innanti, io potrò servir a lui et lui favorir me, perché d’altra maniera si può parlare quando si parla per altri, che non si puol fare trattandosi de propri interessi. La lagrima è riuscita assai bene, ma o che sia il portarsi in fiaschi o che, mi par un poco morta, et con un spiritello che è qua su mi par che facci bona mesticanza, et la necessità m’ha fatto risolvere a far la Grotta, et ne voglio fare una qui, et una in Monte Libretti. Quella che ha fatta l’arciprete là è riuscita perfettissima, et ci ha speso pochi soldi. In effetti trovo che la botte è la dama delli vecchi, questo è il nostro Caval da maneggio, questa è la nostra mascherata et questa è la nostra festa; se non havevo questa lagrima ero rovinato, che tutti li vini dolci in questa mutatione di tempo si son fatti aceto. Tutti stanno bene, et io sto curiosissimo per havere risposta di quello che scrisse la Duchessa a Donna Giustiniana, perché ci hanno aggiunto dopo che la Signora Principessa le chiese un Cardinale et chi diceva il signor Abate Peretti, et  chi il Padre francescano et l’afferma Don Giovanni in modo che par ci fusse lui et servisse per Dama di Compagnia et sentisse ogni cosa et quasi quasi mel’ha fatto credere, et quanto io più le dico che non puol essere lui si stizza et vol che sia, et ieri et oggi non ho fatto dui hore di passatempo. Bacio a Vostra Eccellenza le mani et quae secuntur. Di Nerola li 30 di Agosto 1624.
 
Il desiderio di avere una copia del quadro con l’elemento del fuoco ci dà un segno di quell’interesse per l’astrologia che era considerata una parte della scienza, e che faceva parte della cultura del XVI e del XVII secolo in modo preponderante a Napoli.
Sugli affari della guerra e non solo, il duca di San Gemini voleva essere sempre informato anche quando era in Sabina tenendo presente che è proprio in questi anni che la Francia è più che mai attiva. Si faceva mandare regolarmente la gazzetta da Roma. La produzione del vino è sempre un argomento delle lettere anche della moglie. La principessa di Piombino è citata nelle lettere e gli Orsini e i loro parenti ne parlano abbastanza spesso.  
Questa lettera ci porta ad argomenti caratteristici dei molti interessi del Duca di Sangemini  e della sua famiglia, Anche le lettere successive hanno spunti collegati con la realtà politica e sociale di quei primi decenni del seicento e a questi documenti  sto lavorando.
 
 
 
 

 
*Per i testi delle lettere ho seguito i criteri esposti brevemente da Armando Petrucci nella
premessa al catalogo della mostra Scrittura e popolo nella Roma barocca 1585-1721, Roma 1982; per l’edizione dei testi, p. 11, “…edizione che è stata effettuata nella maggior parte dei casi secondo criteri critico–interpretativi, e cioè sciogliendo le abbreviazioni, e intervenendo nel testo con punteggiatura e separazione delle parole…”
La maggior parte dei documenti qui riportati proviene dalla serie 1 dell’Archivio Orsini conservato nell’ Archivio Storico Capitolino riguardante la  Corrispondenza (ASC, AO, I). Quello che qui si espone è un’anticipazione di un ampio lavoro.
[1] Reti per uccellare con maglie fitte e sottili.
[2] ASC, AO, I, 392, 222. Nella trascrizione delle lettere di Costanza, che sono per la maggior parte di sua mano, ho cercato di rendere comprensibile il testo, intervenendo soprattutto sulla punteggiatura, anche se ho lasciato alcune caratteristiche grafiche come ad esempio l’uso delle doppie o dell’acca di avere, per evidenziare il suo modo di scrivere. La lettera di sopra riportata è stata edita da Petrucci, cit. p. 36, che a p. 127 stampa anche la riproduzione fotografica.
[3] Bernardino (+ 11-1590), Signore di Palombara, Castel Gandolfo, Poggio Nativo, Montorio  e Roccapriora. Nobile Romano dal 1551, 1° Duca di Castel Gandolfo e Marchese di Roccapriora con Breve pontificio del 28-2-1580, nel 1588/1589 comprò una parte di Albano e Poggio Catino; Maresciallo di Santa Romana Chiesa e Guardiano del Conclave con Breve pontificio del 5-1-1575   ad personam ma di fatto le due cariche divennero ereditarie.
La sua seconda moglie, madre di Costanza era Lucrezia dell’Anguillara, figlia di Averso Signore di Ceri e Stabbio e Nobile Romano (+1617),già vedova di Giordano Orsini (* 1525 -1564), Consignore di Monterotondo. Giordano generale al servizio di Cosimo I,  ambasciatore toscano a Torino presso il Re di Francia nel 1548, della Francia e di Venezia, Cavaliere dell’Ordine di Saint- Michel.
L’elenco dei beni che sono citati.qui per Bernardino Savelli derivano da diverse genealogia e si riferiscono all’ultimo periodo , Nel secoli XV, XVI e XVII secolo come anche per altre famiglie nobili romane ci sono diversi periodi in cui i beni, dei quali erano stati proprietari, anche da più secoli, erano stati persi per motivi economici e politici.
4 Giannantonio era il figlio di Virginio terzogenito di Ferdinando, 5° duca di Gravina che aveva fatto costruire il palazzo di Napoli a monte Oliveto, dove attualmente ha sede la facoltà di architettura dell’Università di Napoli Federico II. Dopo la morte di Ferdinando la moglie Beatrice Ferrella aveva organizzato la divisione dei loro beni lasciando a Virginio e al secondogenito Flavio i beni che gli Orsini possedevano negli Stati Pontifici, tra i quali lo Stato di Montelibretti.
 5 Per una bella, anche se breve biografia di Virginio vedi I. Fosi, in Dizionario biografico degli Italiani (da adesso DBI), ad vocem.
6 A Piazza Navona dove è ora Palazzo Braschi.
7  Regina era un cane del nipote Virginio.
8ASC, AO, I, 392, 223. Le lettere di Giannantonio sia che siano scritte di sua mano che dettate a un segretario dimostrano una capacità di scrittura notevole.
 
 
 
 
 
[9] Notizie più complete, anche su altri momenti della storia della famiglia Orsini a cui qui si fa rifermento, si trovano nel libro di Elisabetta Mori che ringrazio per avermi permesso di vedere una precedente versione del suo testo L’archivio Orsini. Le famiglie, la storia, l’inventario, Roma 2016 e per il grande aiuto che generosamente mi ha offerto durante le mie lunghe ricerche sulla famiglia Orsini.
[10] La notizia della elevazione a ducato della signoria di San Gemini, è riportata nelle genealogie. Don Virginio (testamento: 1-3-1573), Signore di Montelibretti, Corese, Ponticelli, Scandriglia, Cerdomaro, Monte Flavio, Monte Maggiore, Configni, Lugnola, Conte di Nerola, 1° Duca di San Gemini dal 13-9-1562, Signore di Cantalupo, Bardella, Roccagiovine. Probabilmente risale a questo periodo, se non a prima, la denominazione “Stato di Montelibretti”. Virginio sposò Ersilia Orsini dei Conti di Pitigliano e in seconde nozze, prima del 1566, Donna Giovanna Caetani, figlia di Don Bonifazio I Duca di Sermoneta.
[11] ASC, AO pergamene II.A.22,055. Nicola Casulano, notaio della Regia Camera Apostolica, Data: 1530-10-18
[12]  Relazione dello stato del sig. Gio. Antonio Orsino, ASC, AO, I, 49, 9
[13] Sull’età di Giannantonio cfr. P. ROSINI, Costituzione  della dote di Livia Orsini e contratto matrimoniale con Giuliano Cesarini (1589) in Banca Dati “Nuovo Rinascimento” www.nuovorinascimento.org immesso in rete il 9 dicembre 2009. Riedito in eadem, Casa Cesarini, ricerche e documenti, s.l., Lulu 2016. Qui si dà come anno di nascita di Giannantonio 1568, ma altrove si dice 1567.
[14]  I fratelli di Giovanna Caetani erano: Don Onorato IV (* 1542 + 9-11-1592), 5° Duca di Sermoneta; Don Enrico I (* Sermoneta 6-8-1550 - Roma 13-12-1599), Referendario di entrambe le Segnature dal 1571, Patriarca titolare di Alessandria dal 1583, Cardinale dal 18-12-1585,  Cardinale Camerlengo dal 1587, Legato Apostolico in Francia 1589-1590, Legato in Polonia 1596-1597; Don Camillo II (* 1552 -1602), Nunzio Apostolico in Germania 1591-1592, Nunzio Apostolico in Spagna 1592/1602, Patriarca titolare di Alessandria dal 1599.
[15] ASC AO, IV, 42, 6 1585/10/13, Testamento con regole sul fidecommesso di Paolo Giordano; Michele Antonio 8° Duca di Gravina, il 7° duca Ferdinando era morto nel 1583.
Eleonora sposò nel 1592 Alessandro Sforza dal quale si separò nel 1621..
[16] I castelli dello Stato di Montelibretti al tempo del padre di Giannantonio, Virginio, erano dieci (vedi sopra, nota 11); nel 1577 sembra che il cardinale Flavio, zio di Giannantonio, abbia acquistato dai Savelli Montorio Romano. I territori sono citati nel contratto di matrimonio tra Giustiniana Orsini e Ferdinando Orsini di Bracciano nel 1611 (vedi sotto, alla nota 30).
[17] Fu venduta al Cardinale Ludovisi Ludovico nel 1622, e il “palazzo grande” fu il primo palazzo Ludovisi. La facciata esiste ancora all’interno del complesso dell’ambasciata americana.
[18] Don Antonio morto nel 1553, 6° Duca di Gravina, sposò donna Donna Felicia Sanseverino d’Aragona, figlia di Don Pietro Antonio 4° Principe di Bisignano e di Giulia Orsini dei Signori di Bracciano. Da loro nacque Don Pietro, morto a Ferrara il 16 ottobre 1598, Coadiutore del Vescovo di Spoleto dal 1580, Vescovo di Spoleto dal 1589, Vescovo di Aversa dal 1591, Legato a Ferrara.
[19]  Don Flavio (morto a Napoli 17 luglio 1581, Auditore della Camera Apostolica, Vescovo di Muro Lucano dal 1560, Cardinale dal 1565. Si veda F. Matteini DBi ad vocem.
[20] Questa proprietà fu comprata per buona parte dal cardinale Flavio nel 1575. ASC, AO, I, 479, 119, atto di acquisto della vigna posta davanti alla chiesa di San Giacomo degli Incurabili, 14 dicembre 1575.  Il terreno ed i suoi fabbricati furono acquistati dagli Agostiniani scalzi nel 1615, per costruirvi la loro nuova sede romana e la casa per la formazione dei seminaristi. La chiesa è l’attuale chiesa di Gesù e Maria.
[21] Su questi fatti cfr Rosini cit
[22] Notizie chiare si trovano in R. De Paola, Vallata e gli Orsini, Gli Orsini di Gravina, (www.Vallata.org)
[23] Gesualdo Alfonso, 1540-1603; la sorella Costanza nel 1572 si era sposata con Ferdinando II, 7° Duca di Gravina. Innico d’Avalos, detto il Cardinale d’Aragona, 1536-1600: in alcune genealogie si dice che uno dei fratelli avesse sposato una Orsini.
[24] Federico Sforza (1548-1581) fu adottato da Giovanni Battista Conti e quindi entrò a far parte di questa famiglia, con l'obbligo di portarne il cognome e l'arma. Dopo la morte del padre adottivo avvenuta nel 1575, Federico Sforza Conti divenne quindi signore della città di Segni e di altri feudi da lui ereditati; Descrittione della festa fatta in Bologna nelle nozze de gli ill.mi sig.ri il sig. Piriteo Malvezzi et la signora donna Beatrice Orsina, il di XVIII. di novemb. M D LXXXIV, Bologna 1585. In ASC AO, 98, 16 lettera di Piriteo Malvezzi 1585-07-31 a Giannantonio per 4 bracchi che avrebbe dovuto mandargli.
[25] Roberto Altemps (20-4-1566 - 3-11-1586), 1° Marchese di Gallese, Soriano e delle   Rocchette dal 1579, Conte di Tassignano; comprò il feudo di Mesuraca nel 1585; aveva sposato Cornelia nel 1576. Andrea Cesi ( - 1626) primo duca di Ceri.
[26] V. nota 14.
[27] ASC AO, 1, 406 b Istoria dell’ecc.ma famiglia Orsini dimostrante l’albero dell’intera sua discendenza composta dall’Ill.mo sig. can. Ettore Orsini l’anno MDCCCXXI  309v 310r 1590
[28] Nello Stato Pontificio e nei regni di Napoli e Sicilia rispettivamente il papa ed il re concedevano il titolo di duca come titolo di nobiltà, inferiore a quello di principe. Questi ducati erano dei feudi ai quali generalmente non era garantita alcuna autonomia o sovranità politica.
[29] Notaio Giuseppe Belletti, 1610-11-05. Il testo, come quello dei capitoli matrimoniali per Giannantonio e Costanza, è stato ripreso dal manoscritto del 1831 del canonico Ettore Orsini cit., 279v-283r.
[30] Alessandro Monthione agente del Duca di San Gemini, per molti anni. C’è qualche lettera nelle Miscellanee della corrispondenza degli addetti alla casa Orsini; ASC, AO, I, 352.
[31] G,Benzoni, Colonna Federico, DBI, ad vocem.
[32] ASC, AO, I, 392 2. 274.
[33] Flaminio Passoni agente del Duca di San Gemini.
[34] ASC, AO, I, 392, 2, 275.
[35] Isabella Appiani principessa di Piombino che nel 1622 aveva sposato il Duca di Bracciano Paolo Giordano II. E si parla di una partenza ritardata da un furto. Non sono del tutto sicura sul nome dell’ambasciatrice, ma l’ambasciatore francese in questa data è Noel Brulart de Sillery, cavaliere dell’ordine di Malta. L’ambasciatricw qui citata potrebbe essere Marie de Bethune moglie di Francois Annibal d’Estres, ambasciatore fino all’anno prima.
[36] ASC, AO, I, 392, 273.arrigo
[37] Credo che si tratti di Michele Antonio 8° duca di Gravina e di Pietro figlio di Ostilio che sarà il 10° duca di Gravina.
[38] ASC, AO, I, 299, 124.
[39] ASC, AO, I, 299, 2, 121.
[40] Il notaio capitolino Giulio Olivelli, che rogava per i Barberini.
[41] Fratello di papa Urbano VIII (Merola A. Barberini Carlo, DBI, ad vocem). La vendita del feudo di Monterotondo ai Barberini da parte di Enrico e Francesco Orsini avviene nel 1626.
[42] Antimo Orsini di Pitigliano era figlio di Orso fratello di Nicolò III. Alla morte del padre, nel 1576 aveva rinunciato ai suoi diritti su Pitigliano e aveva avuto in cambio Morlupo che nel 1613 aveva ceduto a Scipione Borghese. Lo troviamo nella corrispondenza come collaboratore del duca di Bracciano Paolo Bracciano II,
[43] ASC, AO, I, 299, 2, 122.
[44] gentuccia
[45] Francesco Albricci proveniva dalla famiglia di Giovanni Antonio che aveva acquistato parecchi feudi nella zona di Lecce e al quale Filippo II nel 1591 conferì il titolo di marchese di Salice. Nei documenti spagnoli riguardanti quella zona è menzionato un permesso del 1630 a Francesco Albricci per trasferirsi nel Regno di Napoli per un anno. È plausibile l’identificazione con il “don Francesco Albricci cavaliere napolitano” citato nelle fonti relative al processo di fra Tommaso Pignatelli in collegamento con Tommaso Campanella.
Luigi Amabile, Fra Tommaso Pignatelli la sua congiura e la sua morte: narrazione con molti documenti inediti, e con un'appendice di documenti sulle macchinazioni di Fra Epifanio Fioravanti, Rodolfo De Angelis e Principe di Sanza, Napoli, Morano, 1887; Corrispondenze diplomatiche veneziane da Napoli. Dispacci. Vol. VII (16 novembre 1632 - 18 maggio 1638), a cura di Michele Gottardi, 1991; Giovanni De Nisi, Salice "Terrae Hidrunti" : storia aneddotica dal X al XX secolo.
[46] Poppa è certamente una della corte di Costanza, e come si vede dalla lettera di Giannamtonio del 4 giugno molto in confidenza con il duca di San Gemini,
[47] ASC, AO, I, 299, 2,126.
[48] ASC AO, I , 299, 1, 123.
[49] ASC AO, IV, 43, 55.
[50] Stefanori, C., L Le magnificenze romane del cardinale Flavio Orsini di Gravina
 tra libri e “choses rares”.
[51] Vedi Preti C. Imperato Ferrante, DBI ,ad vocem
[52] ASC AO, IV, 43 55,1624/05/08
[53] Su Adriana Basile vedi Pannella L. Basile Andreana detta la bella Adriana DBI ad vocem pubblicata nel 1970. Negli anni più recenti sono state pubblicate altre notizie in occasione di eventi riguardanti la musica barocca e il ruolo delle donne nella musica del periodo.
[54] ASC AO, IV, 43, 55,1624/05/07
[55] ASC AO, IV, 43, 55, 1624/05/09
[56] Credo che sia Don Alessandro, futuro cardinale, secondogenito di Don Giuliano e di Donna Livia Orsini. Bertoni Luisa, Cesarini Alessandro in DBI ad vocem
[57] Un arazzo raffigurante la storia di Salomone è citato nell’inventario dei beni del cardinale Flavio Orsini riportato in Stefanori, cit..
[58] Giulio Savelli (1574-1644), creato cardinale nel 1615.
[59] ASC AO, IV, 43, 55, 1624/06/04
[60] ASC, AO, I, 140, 106.
[61] ASC, AO, I, 140, 106.
[62] Faber M., Meglio la tirannide o l’indifferenza? I cardinali protettori degli olivetani  (1591-1633), in “Quaderni storici”, 2005, A 40, 119, pp. 389-412.
[63] Caetani Antonio  (1566 - Roma 17-3-1624). G. Lutz ,DBI, ad vocem.
[64] G. Brunelli Medici de’ Carlo, DBI, ad vocem
[65] ASC, AO, I, 140, 98. La lettura del cognome è incerta.
[66] ASC, AO, I, 140, 97.
[67] Beatrice dopo la morte del marito regalerà molti beni ai gesuiti e nel  testamento del 1634 li dichiarerà i principali eredi.
[68] ASC AO, I, 140, 113.
[69] ASC AO, I, 140, 112.
[70] Tabacchi S. Magalotti Lorenzo, DBI ad vocem.
[71] ASC, AO, I, 132, 166.