Devozione e santità. Salvatore da Horta nelle arti del barocco

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Author: 
Sara Caredda, Ramon Dilla Martí
Universitat de Barcelona

[1]

La regolamentazione della santità e delle corrette pratiche devozionali fu senza dubbio una delle principali preoccupazioni della Chiesa cattolica militante in epoca postridentina. In tal senso l'analisi dei processi di canonizzazione e dei loro meccanismi risulta fondamentale per comprendere i nuovi modelli di religiosità in epoca barocca. Tuttavia, per poter esaminare questo fenomeno nella sua complessità è importante non focalizzare l'attenzione in maniera esclusiva sui nuovi santi effettivamente canonizzati, ma considerare anche le cause che furono avviate e poi interrotte o posticipate per i più svariati motivi.

Il presente studio è dedicato precisamente a uno di questi casi, quello del francescano Salvatore da Horta (1520-1567), il cui processo di canonizzazione cominciò nel 1600 ma si concluse solo nel 1938. Concretamente ci proponiamo di esaminare in questa sede l'impatto del suo culto sulle arti plastiche, analizzando nello specifico gli aspetti iconografici delle rappresentazioni pittoriche e scultoree del personaggio nel corso del Seicento.

 

Breve profilo biografico

Salvatore da Horta nacque nel dicembre 1620 a Santa Coloma de Farners (Girona) [2], in Catalogna. Dopo la morte dei genitori si trasferì a Barcellona, dove in un primo momento apprese e si dedicò al lavoro di calzolaio. [3]

La sua vocazione religiosa venne risvegliata da un breve soggiorno presso il monastero di Santa Maria di Monserrato, in seguito a cui, nel 1541, entrò nel convento dei Frati Minori di Santa Maria del Gesù di Barcellona. [4] Nel corso del suo anno di noviziato gli vennero assegnate le mansioni piu umili, tra cui quelle di elemosiniere, aiutante cuoco, sacrestano, ortolano, portiere, infermiere etc.

Nel 1542 Salvatore professò come frate francescano e venne destinato al convento dell'attuale località di Jesús, vicina a Tortosa, nel sud della Catalogna. Qui si verificarono le sue prime guarigioni miracolose, che cominciarono ad attrarre alle porte del convento schiere di pellegrini che turbavano la pace della comunità. Proprio questa condizione, che segnò tutta la vita del francescano, fu la causa di continui trasferimenti in vari insediamenti osservanti catalani, come Bellpuig d'Urgell, Lleida, Reus, o Girona.

Tra tutti i soggiorni il più lungo fu quello presso il convento di Santa Maria degli Angeli di Horta de Sant Joan (Tarragona), in cui Salvatore risiedette dal 1547 al 1559. [5] In questi dodici anni i suoi miracoli aumentarono esponenzialmente e si consolidò, così, la sua fama di taumaturgo, vincolando definitivamente il suo nome a quello della località: Salvatore da Horta. [6]

L'elevato numero di miracoli attribuiti al francescano causò, inevitabilmente, i sospetti del Tribunale dell'Inquisizione, che nel 1560 lo convocò a Barcellona per un interrogatorio finalizzato ad analizzare i suoi metodi di guarigione. Tuttavia, in quello stesso anno Salvatore venne assolto e convocato, invece, alla corte di Madrid dal re Filippo II e la regina Isabella di Valois, desiderosi di conoscerlo in seguito alle notizie straordinarie che avevano ricevuto su di lui. [7]

Al ritorno dalla capitale il fraticello passò per Valencia su invito del giovane duca di Gandía, il futuro San Francesco Borgia, che richiese il suo aiuto ed il suo consiglio per risolvere il problema delle presunte manifestazioni di spiriti maligni presso il convento di clarisse della città. [8] Tornato in Catalogna persisteva la questione delle folle di pellegrini che si riunivano alle porte dei conventi in cui risiedeva. Probabilmente fu nuovamente questa la ragione per cui nel 1565 fra' Salvatore venne trasferito al convento di Santa Maria di Gesù di Cagliari, dove morì due anni più tardi, il 18 marzo marzo 1567, alla presenza delle principali autorità politiche ed ecclesiastiche, tra cui l'arcivescovo Antonio Parragues de Castillejo (1558-1573), il viceré Álvaro de Madrigal (1556-1569) e i consellers della città. [9]

La fama di santità del personaggio, ulteriormente cresciuta negli ultimi anni di vita, e le sue doti taumaturgiche gli valsero una sontuosa cerimonia funebre ed un grande catafalco su cui il corpo venne esposto per tre giorni, che le fonti descrivono come:

grande y majestuoso, en medio del templo [...] tenía mucha gradería por todas partes, cubierta de felpa y damasco blanco en señal de festivo triunfo, con más de 300 antorchas, 30 en la parte más superior e inmediata al sacro cadáver y otras 12 luces, en tantos candeleros grandes de plata, que le circuían. Asentáronse también alrededor 14 acheras doradas, que iluminaban de continuo con sus achas. [10]

L'enorme affluenza di pellegrini obbligò incluso a collocare guardie armate, a fine di evitare la rimozione illecita di reliquie. [11] Dopo le esequie il corpo del fraticello venne sepolto in una tomba a terra vicina all'altare di San Francesco, all'interno della chiesa, al cospetto delle principali autorità politiche, i rappresentanti del clero e degli ordini religiosi, in una dimostrazione di lutto pubblico che coinvolse tutto il Regno di Sardegna.

 

Il processo di canonizzazione

Negli anni successivi alla morte la tomba di Salvatore da Horta, fonte inesauribile di miracoli, divenne meta di un continuo flusso di pellegrini. Vista l'eccezionalità del caso, nel 1586 il cardinale Francesco Gonzaga, arcivescovo di Mantova e ministro generale dei Francescani Osservanti, fece pervenire al papa Sisto V due brevi relazioni ufficiali sulla vita, le virtù ed i principali miracoli del fraticello. [12] Non sfugge che il momento scelto fu tutt'altro che casuale, giacché Sisto V, al secolo Felice Peretti, apparteneva anch'egli all'ordine francescano, anche se alla famiglia conventuale. Il pontefice dimostrò infatti la sua sensibilità alla causa approvando le due relazioni del cardinale Gonzaga nello stesso 1586, con il breve Cum sicut Nos nuper exposuisti. [13] Fu questo il primo passo nel lungo cammino verso il riconoscimento della santità di Salvatore da Horta.

Tuttavia, per avviare ufficialmente il processo di canonizzazione era necessario l'intervento vescovile, come indicato dalla XXV sessione del Concilio di Trento, che assegnava appunto al vescovo della città in cui era sepolto il candidato la facoltà faciendi inquisitionem et processum miracolorum omnium. [14] Seguendo le istruzioni del Concilio e i dettami della Sacra Congregazione dei Riti, quindi, nel 1600 l'arcivescovo di Cagliari Alonso Lasso Sedeño incaricò il padre Dimas Serpi, provinciale dei Francescani Osservanti di Sardegna, di fare un'indagine sui miracoli di Salvatore da Horta. Per tre anni Serpi interrogò migliaia di testimoni e riepilogò tutti i miracoli ante e post mortem attribuiti alla sua intercessione. La sua indagine non si limitò solo a Cagliari, ma si estese a tutte le diocesi spagnole in cui era vissuto Salvatore da Horta (Girona, Barcellona, Tortosa, Tarragona, Saragozza). Trattandosi di un processo ufficiale, Serpi si avvalse dell'autorizzazione del vescovo di ogni diocesi che visitò e tutti i testimoni dichiararono davanti a pubblici notai. [15] Come parte del processo di canonizzazione, inoltre, il 18 gennaio del 1600 venne effettuata una revisione ufficiale del corpo di Salvatore, che nonostante i 34 anni trascorsi dalla morte venne trovato miracolosamente incorrotto. [16]

Nel 1604 lo stesso Serpi ottenne un'udienza presso il re Filippo III, che all'epoca si trovava a Barcellona, ed ebbe così opportunità di presentargli il caso di Salvatore da Horta e di richiedere la sua intercessione presso il papa Clemente VIII, affinché facesse esaminare con celerità i processi e la documentazione raccolta. [17] Accogliendo l'iniziativa il sovrano scrisse nello stesso anno al suo ambasciatore presso la Santa Sede, Juan Fernández Pacheco, duca di Escalona [18], nei termini seguenti:

Y aviendoseme hecho tan buena relacion de su vida y milagros, me ha movido todo esto a dessearla y a encargaros (como lo hago) [...] hableis a Su Sanctidad (...) y le supplicareis que se digne mandar que se trate de la dicha Canoniçacion (...) y que por ser nacido en los mis Reynos de la Corona de Aragon y que vivio en ellos en tiempo del Rey mi señor y padre (que aya en gloria) será de mucho gusto y consolación de mi y de todos que en nuestro se salga con ella y que sea por medio de vuestro cuidado y solicitud [...]. [19]

Tuttavia, la morte di Clemente VIII nel 1605 ed il breve pontificato di Leone XI ritardarono il recapito della documentazione fino al 1606, anno in cui il duca d'Escalona consegnò le sorti del processo nelle mani di Paolo V. [20]

La causa del fraticello trovò così un nuovo sostenitore di gran peso nella famiglia reale, all'epoca interessata a patrocinare direttamente o indirettamente tutti i possibili "candidati alla santità" nati o vissuti nei territori spagnoli, la cui eventuale canonizzazione si ripercuoteva sempre in un aumento del prestigio della monarchia.

Ricevuta tutta la documentazione, il papa passò la questione alla Sacra Congregazione dei Riti che nel 1606 rispose con il decreto:

Differatur canonitzatio quia alii priores et antiquiores sunt in congregatione praesentati etc. Verum quod interim Beatus Salvator ab Horta cum hoc titulo, et miraculis imprimatur publiceque portetur, ad majorem fidelium devotorum consolationem. [21]

Si diceva, cioè, che la canonizzazione veniva posticipata poiché c'erano altre cause che erano state presentate anteriormente alla Congregazione dei Riti, e che quindi avevano la precedenza. Però nel mentre si dava permesso di chiamare Salvatore da Horta con il titolo di "Beato", di stampare la sua immagine e divulgare pubblicamente i suoi miracoli. Poco dopo, infatti, venne realizzata la prima stampa ufficiale di grande formato raffigurante l'effigie di Salvatore con il suo nuovo titolo, opera dell'incisore Giacomo Lauro e pubblicata a Roma nel 1607. [22]

Nonostante la buona disposizione di Paolo V il processo si arenò. Nel 1624 vennero spedite a Roma nuove lettere per chiedere la canonizzazione di Salvatore da Horta. A scrivere al papa era il nuovo re di Spagna Filippo IV, insieme a sua moglie Isabella di Borbone ed a suo figlio il cardinal infante. [23] Alle suppliche di questi personaggi si associarono anche le municipalità ed i vescovi di molte città legate alle vicende biografiche di Salvatore, tra cui Girona, Barcellona, Tarragona, Tortosa, Cagliari e Sassari. La causa, quindi, trovò sempre nuovi sostenitori. Il papa passò nuovamente la questione alla Congregazione dei Riti, che chiese l'avvio di un nuovo processo.

Il 15 settembre 1627 si svolse a Cagliari una nuova revisione delle spoglie di Salvatore da Horta. [24] Questa volta i medici trovarono il corpo più deteriorato, soprattutto a causa di una serie di manomissioni susseguitesi negli anni, la più grave delle quali fu probabilmente l'asportazione del cuore del santo, prelevato dal frate Francescano Giovanni d'Aranda nel 1607 e portato nel convento di San Pietro di Silki a Sassari, dove ancora oggi si conserva. [25] Per evitare furti nel 1629 venne realizzato un nuovo sepolcro ed il corpo venne collocato in una cassa chiusa a chiave, a sua volta protetta da una grata. [26]

Gli atti del secondo processo furono ultimati e spediti a Roma nel 1630. [27] La congregazione dei Riti passò la questione alla Sacra Rota e da quel momento se ne persero nuovamente le tracce. [28]

A dare una svolta alle sorti del processo, anche se indirettamente, fu il breve Caelestis Hierusalem cives del 1634 [29], con cui il papa Urbano VIII vietò di esporre alla venerazione dei fedeli i ritratti di persone uscite di vita in odore di santità e di prestare loro qualsiasi forma di culto pubblico e privato senza la previa autorizzazione della Sede apostolica. [30]

Il breve in questione si collocava nella scia delle regolamentazioni del Concilio di Trento, che già aveva proibito di venerare pubblicamente personaggi il cui culto non era stato approvato ufficialmente dalle autorità ecclesiastiche. I decreti tridentini, però, lasciavano l'ultima parola al vescovo, che aveva facoltà di decidere quali culti autorizzare o meno nella propria diocesi. Urbano VIII decise invece di riservare al solo papato il diritto di stabilire quali devozioni approvare. [31]

La nuova situazione mise in pericolo, in un certo senso, il culto tributato a Salvatore da Horta: se infatti la Congregazione dei Riti nel 1606 aveva autorizzato a chiamarlo col titolo di "Beato", il decreto in questione, però, aveva carattere transitorio e non era stato firmato dal papa. Di conseguenza, in osservanza del breve di Urbano VIII, alcuni prelati come l'arcivescovo di Genova e il vescovo di Sarzana tentarono di far ritirare le immagini di Salvatore da Horta dalla chiese delle loro diocesi. Tuttavia, in difesa del fraticello si schierò il cardinale Francesco Barberini, nipote del pontefice, per cui le immagini restarono tutte al loro posto. [32]

L'ordine francescano, vista la situazione di pericolo, si mosse in difesa del suo confratello: nel 1690 venne realizzata una questua in Sardegna ed in Catalogna per poter riattivare la causa di canonizzazione. Con le elemosine raccolte venne allestito un nuovo processo, appoggiato dal re Carlo II, che nuovamente scrisse al papa a nome della Corona di Spagna per chiedere il riconoscimento della santità di Salvatore da Horta. [33] La causa venne formalmente riaperta nel 1695 e questa volta andò a buon fine: nel 1710 il caso venne infatti approvato dalla Congregazione dei Riti, che emise sentenza favorevole riguardo alla validità del culto. [34] Nel gennaio del 1711 il papa Clemente XI firmò il decreto ufficiale di beatificazione di Salvatore da Horta.

Per la canonizzazione, invece, bisognò attendere ancora altri duecento anni: fu nuovamente l'ordine francescano a riprendere in mano le sorti della causa e ad allestire l'ultimo processo canonico, avviato a Cagliari nel 1934. [35] Quattro anni dopo, con una solenne cerimonia svoltasi a Roma, Salvatore da Horta venne finalmente riconosciuto come santo.

 

L'espansione del culto

Nonostante la lunghissima estensione temporale della causa, nei 371 anni che trascorsero tra la morte e la canonizzazione di Salvatore da Horta il culto si espanse con forza per tutto il mondo cattolico, arrivando fino ai territori spagnoli del continente americano, in particolar modo il Messico. [36]

Basandoci sui documenti del processo canonico che prepara la conferma del titolo di beato abbiamo elaborato una cartina [fig. 1] che mostra tutte le cappelle e altari dedicati a Salvatore da Horta nell'anno 1709 nel Mediterraneo occidentale. [37]

Come dato generale sorprende l'elevato numero di cappelle, più di cento, in un momento in cui Salvatore da Horta non era ancora stato beatificato ufficialmente. Per maggiore chiarezza va specificato che la maggior parte delle chiese in cui esisteva una sua cappella erano chiese francescane, senza escludere, comunque, la presenza di altari in varie parrocchiali ed in alcune cattedrali, come quella di Barcellona o quella di Saragozza.

In secondo luogo, si osservi quanto il culto si fosse diffuso in Sardegna e in Catalogna, cioè le regioni in cui era vissuto il santo. Ma la cartina documenta anche una forte presenza di altari in tutti i territori della Corona d'Aragona (Valencia, Aragona e Baleari) ed in molte aree che formavano parte integrante dell'impero spagnolo, come il Regno di Napoli ed il Regno di Sicilia.

Tuttavia, il dato più interessante è la presenza di cappelle anche in altre aree geografiche non legate alle vicende biografiche di Salvatore da Horta. Gli esempi più significativi sono quelli della Toscana e della Liguria. A questo proposito, nel primo caso è documentata la presenza di reliquie nelle città di Lucca e Firenze, così come la pubblicazione di tre biografie di Salvatore da Horta tra il 1613 ed il 1640. [38] Anche in Liguria, dove c'era un altare in tutte le chiese francescane, abbiamo notizie dell'arrivo di reliquie e di un'altra biografia che venne data alle stampe nella città di Genova. [39]

 

Il santo taumaturgo

Sono proprio questi territori a conservare il maggior numero di opere seicentesche, tanto pittoriche come scultoree, che rappresentano il beato, e che spesso vengono commissionate per alcune delle cappelle segnalate sulla cartina. Al fine di apprezzare la reale diffusione ed il respiro internazionale del culto, analizzeremo ora una breve selezione di opere che volontariamente esclude la Sardegna e la Catalogna, cioè i luoghi in cui più vivo era il ricordo del personaggio e più radicata la sua devozione.

Una delle più antiche rappresentazioni di Salvatore da Horta è da individuare in una scultura marmorea conservata nella chiesa napoletana di Santa Maria di Montecalvario. [fig. 2] Realizzata in origine per essere collocata nella nicchia di una cappella perduta, come suggerisce l'assenza di levigatura sul retro, l'opera si trova attualmente sotto il pulpito della chiesa. Per quanto riguarda la sua realizzazione, la prima attribuzione a Michelangelo Naccherino [40] è stata recentemente rivista dallo storico Michael Kuhlemann, secondo cui la scultura sarebbe da passare al catalogo di Cosimo Fanzago, che l'avrebbe realizzata intorno al 1620. [41] Senza entrare nel merito delle questioni stilistiche, sottolineiamo qui che si tratta di un'opera di grande rilievo per la sua qualità di esecuzione e per le sue dimensioni, quasi 1,60 metri d'altezza. Ci troviamo, quindi, davanti ad un esempio di scultura devozionale a grandezza naturale, un'opera di grande protagonismo realizzata a pochi anni dal primo decreto provvisorio di beatificazione di Salvatore da Horta.

Il Museo Bonnat di Baiona conserva una tela di grandi dimensioni che formava parte di un ciclo di tredici dipinti commissionati a Bartolomé Esteban Murillo verso il 1646 per il chiostro di San Francesco il Grande a Siviglia. Nelle intenzioni dei committenti la serie doveva esaltare le virtù dell'ordine francescano attraverso scene della vita di alcuni dei suoi principali santi e beati. Tra i prescelti c'erano anche una serie di francescani morti in odore di santità o il cui processo di canonizzazione era ancora in corso, tra cui fra' Julián d'Alcalá, fra' Francisco Pérez e fra' Salvatore da Horta appunto. In quest'ultimo caso venne scelto di rappresentare un episodio della sua biografia verificatosi quando il fraticello risiedeva presso il convento di Horta de Sant Joan [42]: l'Inquisitore reale d'Aragona, venuto a conoscenza della gran folla di malati che si recavano a Horta alla ricerca di un miracolo di fra' Salvatore e di fronte a un possibile caso di eresia, decise di verificare personalmente la situazione. Travestitosi da pellegrino, si recò dunque in incognito al convento di Horta, nascondendosi tra la folla. Tuttavia, fra' Salvatore, pur non avendolo mai visto prima, lo riconobbe immediatamente e si prostrò ai suoi piedi. [43] L'opera, quindi, mira ad esaltare non solo le doti taumaturgiche di Salvatore da Horta, ma anche il suo miracoloso dono della preveggenza, nonché la sua grande umiltà e la sua sottomissione all'autorità ecclesiastica. Tutte qualità mirate, nelle intenzioni dei francescani, a risolvere positivamente la causa di canonizzazione del confratello.

Sulla stessa linea la chiesa romana di San Bonaventura al Palatino, fondata nel 1675, conserva una tela di Giacinto Calandrucci che rappresenta l'esaltazione del Santissimo Sacramento tra la Madonna col bambino, Sant'Anna, San Giuseppe e i santi francescani Diego d'Alcalá, Pasquale Bailon e Salvatore d'Horta. [44] [fig. 3] Quest'ultimo è qui accompagnato da due illustri confratelli spagnoli: San Diego, il primo francescano ad essere dichiarato santo dopo il Concilio di Trento (1588) e San Pasquale, canonizzato nel 1690. Il fatto che quest'ultimo sia qui raffigurato senza aureola può forse essere interpretato come un termine ante quem, che ci induce a ipotizzare una datazione dell'opera tra il 1675 ed il 1690 appunto. Al di là delle implicazioni teologiche dell'esaltazione del sacramento dell'eucarestia, il dipinto può essere letto come un tentativo di San Diego, un santo "recente", di appoggiare due cause in corso: quella di San Pasquale, che stava per giungere a buon fine, e quella del beato Salvatore, che i francescani, forse, confidavano di poter chiudere positivamente in tempi brevi.

Nonostante la notevole qualità d'esecuzione e l'importanza dei loro autori, le tre opere analizzate finora evocano solo indirettamente la facoltà più importante di Salvatore da Horta: la taumaturgia. In tal senso, l'iconografia che più si diffuse nel corso del Seicento è ben delineata da una serie di pitture che rappresentano le sue guarigioni miracolose, meticolosamente descritte in tutte le biografie dell'epoca. Una delle prime opere ad inaugurare questa nuova iconografia è pala d'altare che il genovese Bernardo Strozzi realizzò intorno al 1625 per la chiesa dei Frati Minori di Novi Ligure, attualmente conservata al Palazzo Comunale della città. [fig. 4] [45] Salvatore da Horta è qui raffigurato scalzo e veste un semplice abito francescano usurato dal tempo, prova tangibile della sua umiltà, ribadita anche dalla pala da ortolano (una delle mansioni che era solito svolgere, come già sottolineato). Dal punto di vista compositivo, il beato è rappresentato in primo piano circondato da quattro infermi, tra cui si distinguono chiaramente uno sciancato, un'indemoniata ed un giovane con una stampella. In mano porta due dei suoi attributi più frequenti: il rosario, simbolo della sua fede mariana [46], e l'aspersorio, indispensabile per benedire i devoti e specialmente utile nel caso degli indemoniati. [47]

Il santuario di Santa Maria della Lobra di Massa Lubrense presenta in cornu evangelii una cappella laterale dedicata a Salvatore da Horta, con una tela finora inedita, forse databile, con tutta la cautela del caso, agli anni venti o trenta del Seicento. [fig. 5] [48] L'opera mostra un'altra scena di guarigione, con tre malati che si rivolgono a Salvatore da Horta, di nuovo rappresentato in primo piano. Nella parte superiore sinistra della composizione osserviamo l'intervento miracoloso della Madonna col bambino, che il fraticello indica con la mano ed a cui rivolge una preghiera simboleggiata dalle parole "Iesus Maria" che fuoriescono dalla sua bocca. Il significato della composizione è chiaro: Salvatore da Horta compie tutti i suoi miracoli grazie alla sua fede nella Madonna. Il fraticello, inoltre, è raffigurato su una pedana, che lo colloca fisicamente e simbolicamente tra i fedeli e la divinità, sottolineando il suo ruolo di intercessore.

Le doti taumaturgiche del personaggio sono ammirabilmente descritte anche in una tela della chiesa fiorentina di Ognissanti, realizzata da Domenico Pugliani intorno al 1627. [fig. 6] Al Museo degli Uffizi, inoltre, si conserva un interessante disegno preparatorio del dipinto, con alcune varianti, identificato e datato da Riccardo Spinelli [49]. L'opera, attualmente appesa alla parete laterale destra, proviene da un'antica cappella dedicata a Salvatore da Horta, documentata intorno al 1620, in cui, sotto la mensa d'altare, erano custodite le reliquie del beato. [50] La scena mantiene gli stessi elementi già segnalati nel caso di Massa: l'apparizione della Madonna col bambino, tra schiere di angioletti, che irradia di luce celestiale la figura di Salvatore da Horta, circondato da malati. Il beato viene espressamente scelto quale intermediario dalla Vergine, che lo segnala con la mano e scambia con lui uno sguardo d'approvazione. Un elemento caratterizzante della tela è l'ambientazione dei miracoli in un paesaggio cittadino in cui sono riconoscibili vari edifici fiorentini, come la torre della Badia e la torre del Bargello. [51] Inoltre, i pochi malati presenti nelle opere precedenti sono diventati qui una vera folla, anonima sullo sfondo, mentre in primo piano sono riconoscibili un cieco, un paralitico, uno storpio ed una madre col figlioletto morto in braccio.

Le guarigione miracolose, quindi, costituiscono sempre il cardine dell'iconografia di Salvatore da Horta. Non a caso, il suo culto è stato anche associato a infermerie di conventi ed ospedali. Nella penisola Iberica sono documentati diversi casi in tal senso, di cui i più significativi sono forse l'infermeria del convento francescano di santa Maria del Gesù di Saragozza, in cui campeggiava un ritratto del beato [52], e l'ospedale di Santa Coloma de Farners, che in una nicchia sulla facciata custodiva una sua scultura, davanti a cui si inginocchiavano i pellegrini. [53] Sulla stessa linea, il convento di Santa Chiara di Borja, in Aragona, conserva un altro esempio di opera vincolata ad una struttura ospedaliera: si tratta di una pittura proveniente dalla chiesa di San Francesco dello stesso paese, d'autore ignoto, ma datata al 1656 da un'iscrizione nella parte inferiore. I documenti d'archivio hanno messo in luce che nel 1653, in corrispondenza della grande epidemia di peste, venne realizzato un ospedale dentro il convento francescano per assistere gli infermi. [54] Passato il contagio, lo stesso convento e la chiesa, i cui ambienti erano rimasti parzialmente danneggiati a causa del grandissimo numero di malati, vennero riedificati. Probabilmente la fondazione di una cappella dedicata a Salvatore da Horta è da collocarsi proprio in queste operazioni di ammodernamento. [55] In questo caso il fraticello catalano, famoso per le sue doti taumaturgiche, venne quindi affiancato al culto dei santi normalmente invocati come protettori contro la peste, come San Rocco o San Sebastiano.

La fama taumaturgica di Salvatore da Horta giunse presto anche ai possedimenti spagnoli nel continente americano, come accennato poc'anzi. Dal Messico, infatti, provengono tre tele che rappresentano il beato, molto simili per iconografia. La prima, datata intorno al 1660, fu realizzata da José Juárez per il convento grande di San Francesco di Città del Messico ed è attualmente conservata al Museo Nazionale d'Arte della stessa città. L'opera, di più di 3 metri d'altezza, presenta nuovamente una scena di guarigione di massa, con Salvatore da Horta raffigurato su un'alta pedana mentre benedice i pellegrini. Da sottolineare che rispetto alle prime rappresentazioni di inizio Seicento il numero dei devoti è cresciuto in maniera esponenziale. Dal Mediterraneo cattolico, quindi, l'iconografia del taumaturgo universale si consolidò e propagò all'altro lato dell'Atlantico. In questo caso, però, lo scenario delle guarigioni è molto più concreto in quanto il beato appare alle porte del convento di Horta, mentre si verifica uno degli episodi più significativi del suo percorso taumaturgico: come narrano le biografie del personaggio, furono tante le guarigioni miracolose compiute da Salvatore nello stesso giorno che furono necessari sette carri per portar via le stampelle e i bastoni di cui i malati, ormai guariti, non avevano più bisogno. [56] L'opera dovette convertirsi in un modello a livello locale, giacché sono documentate altre due pitture che vi si ispirano chiaramente: la prima, di qualità non eccelsa, si trova nella sagrestia dell'antico convento di Nostra Signora di Balvanera nella stessa Città del Messico; la seconda, datata intorno al 1720, è attualmente custodita al Los Angeles County Museum of Art. In questo secondo caso si tratta di una versione con varianti realizzata probabilmente dal nipote di José Juárez, Juan Rodríguez.

Per chiudere questo breve itinerario sull'iconografia di Salvatore da Horta menzioniamo una magnifica opera di Domenico Piola datata intorno al 1665 e conservata al Palazzo Bianco di Genova. La tela, proveniente dalla chiesa di Santa Maria della Pace [57], presenta nuovamente il personaggio al centro della scena con l'aspersorio in mano, raffigurato nel momento di massima introspezione psicologica dovuta all'intensità della preghiera. Il suo ruolo intercessore tra i fedeli e la divinità è sottolineato dalla diagonale ascendente che unisce i due devoti dell'angolo inferiore destro alla Madonna col bambino dell'angolo superiore sinistro. Gli altri pellegrini sono disposti circolarmente intorno alla figura del protagonista, con una scelta compositiva già presente nel bozzetto preparatorio dell'opera, attualmente in collezione privata. [58] Da notare che Domenico Piola colloca in primo piano lo scorcio di un cadavere di un giovane e la figura di una madre col bambino morto in braccio, a sottolineare che il potere taumaturgico di Salvatore da Horta è così grande da poter compiere anche il miracolo dei miracoli: la resurrezione dei morti. [59]

 

Conclusioni

Salvatore da Horta rappresenta un esempio di come una serie di culti sorti posteriormente al Concilio di Trento si propagarono rapidamente per tutto il Mediterraneo cattolico ed oltre, arrivando ad incidere in maniera importante sulle arti figurative. L'apertura ufficiale del processo di canonizzazione, avvenuta nel 1600, marcò la creazione di una nuova iconografia associata a questa nuova devozione, che si consolidò parallelamente allo stesso processo, come dimostra la grande quantità di opere seicentesche, alcune di esse realizzate da artisti di primo piano.

Tra le ragioni che contribuirono in maniera decisiva alla diffusione delle rappresentazioni artistiche di Salvatore da Horta possiamo individuare, in primo luogo, il ruolo giocato dai francescani: la maggior parte delle cappelle dedicate al beato si trovavano all'interno delle chiese dell'ordine, così come le pitture e le sculture analizzate, quasi tutte conservate o prevenienti da complessi dei Frati Minori. I sostenitori della causa, quindi, furono allo stesso tempo i principali responsabili della diffusione dell'iconografia, continuamente ravvivata dalla circolazione di reliquie e biografie.

Il secondo elemento da prendere in considerazione è il carattere taumaturgico del nuovo culto: già in vita la fama di Salvatore da Horta crebbe con forza, fomentata dal grandissimo numero di guarigioni miracolose. Dopo la sua morte i miracoli non diminuirono. Un personaggio del genere, quindi, fece presa con grande facilità sull'immaginario e la devozione popolare, motivo per cui la sua iconografia più diffusa sottolinea continuamente il suo ruolo di intercessore tra i fedeli e la divinità.

 


Immagini

1. Cappelle dedicate a Salvatore da Horta nel 1709 secondo la Calaritana Canonizationis
fig. 1

 

2. Michelangelo Naccherino o Cosimo Fanzago, Beato Salvatore da Horta, c. 1620, Napoli, Chiesa di Santa Maria di Montecalvario
fig. 2

 

3. Giacinto Calandrucci, Madonna con bambino e San'Anna, San Giuseppe, San Diego di Alcalà, San Pascuale Baylon e il beatoSalvatore da Horta, 1675-1690, Roma, Chiesa di San Bonaventura al Palatino
fig. 3

 

4. Bernardo Strozzi, Il Beato Salvatore da Horta Benedice gli infermi, c. 1625, Novi Ligure, Palazzo Comunale
fig. 4

 

5. Beato Salvatore da Horta, 1620-1640, Massa Lubrense, Santuario della Lobra
fig. 5

 

6. Domenico Pugliani, Il Beato Salvatore da Horta benedice gli infermi, c. 1627, Firenze, Ognisanti
fig. 6

 


Note

1. Il presente studio forma parte delle attività del gruppo di ricerca EMAC. Estudios sobre el arte catalán desplazado del contexto medieval a la interpretación pos medieval, diretto dalla Prof.ssa Rosa Alcoy Pedrós dell'Universitat de Barcelona. Codice del gruppo: HAR 2012 - 36307, Ministerio de Economia y Competitividad, 2013 - 2015.

2. Salvatore da Horta nacque nel seno di un'umile famiglia che gestiva l'ospedale del paese. Sulle origini del personaggio cfr: G. Sorgia, San Salvatore da Horta, Muros 1991, pp. 11-13. Tra le biografie più recenti ricordiamo: A. Cogoni, San Salvatore da Horta. La grandezza dei piccoli, Cagliari 2002.

3. La sua bottega si trovava concretamente nel quartiere della Ribera, presso la chiesa di Santa Maria del Mar.

4. Fondato nel 1427 dal re Alfonso il Magnanimo, il convento di Santa Maria di Gesù si trovava extramuros, tra gli attuali Carrer Aragó e Passeig de Gràcia. Proprio la sua costruzione fuori dalla cinta muraria fu la causa della sua distruzione durante la Guerra di Successione spagnola (1714).

5. Fondato nel XIII secolo dai Templari, il convento venne ceduto nel 1543 ad una piccola comunità di Frati Minori Osservanti, a cui Salvatore si unì nel 1547. Cfr: J. Fuguet Sans, L'arquitectura dels Templers a Catalunya, Barcelona 1995, pp. 122-123; S. Carbó Sabaté, Guia d'Horta de Sant Joan, Tarragona 2007, pp.109-112. Oggigiorno la chiesa del complesso conserva una cappella dedicata a Salvatore da Horta, costruita in forme rinascimentali  verso il 1642, probabilmente grazie al lascito testamentario di Joan Sentís i Suñer (1561-1632), vescovo di Barcellona e vicerè di Catalogna, nato nella vicina località di Xerta. Carbó, Guia d'Horta de Sant Joan… cit., pp. 212-221.

6. Le fonti parlano di migliaia di pellegrini che giornalmente si recavano al convento in attesa di un miracolo. Secondo i testimoni dei processi di canonizzazione fra' Salvatore "li feceva mettere in fila ...et ciascheduna persona diceva la necessita et infermita che haveva et il detto Padre fra Salvatore disse dicano tutti un Pater Noster et una Avemaria per questo muto, zoppo, rotto et altre infermita che havevano et quando li pareva che havevano detto il Pater Noster et l'Avemaria dava la beneditione...et diceva che andassero a render gratia alla Madonna..." Cfr: Archivio Segreto Vaticano (ASV), Congr. Riti, Processus, v. 411, f.400r.

7. Sorgia, San Salvatore da Horta cit., pp.31-31.

8. . Colonna, San Salvatore da Horta, Napoli 1916 (1998), p.79.

9. Colonna, San Salvatore da Horta cit., p.100.

10. P. G. Pirella, Historia de las heroycas virtudes, relación de los portentosos milagros: vida, muerte, y culto del B. Salvador de Horta. Cagliari 1732, pp. 163-164.

11. Colonna, San Salvatore da Horta cit., p. 101.

12. La trascrizione del testo delle due relazioni può essere consultata in: G. Zoppetti (a cura di), S. Salvatore da Horta, in: Suplemento di «Vita Minorum», marzo-giugno, 1988.

13. A. Cogoni, San Salvatore da Horta. La grandezza dei piccoli, Cagliari 2002, p. 115.

14. Sull'applicazione dei decreti tridentini ed i dibattiti all'interno della Congregazione dei Riti sulle questioni relative alla santità cfr: G. Papa, Le cause di canonizzazione nel primo periodo della Congregazione dei Riti (1588-1634), Città del Vaticano 2001, pp.167-169, 276-278; P. Giovannucci, Canonizzazioni e infallibilità pontificia in età moderna, Brescia 2008, p.XII.

15. Tutti gli atti del lungo lavoro di Serpi, ultimato nel 1603, sono conservati presso l'archivio arcivescovile di Cagliari: Archivio della Curia Arcivescovile di Cagliari (ACACA), Culto dei Santi, vv. 4 - 12.

16. I medici chiamati ad esaminare il corpo lo trovarono intatto, fatta eccezione per le mani, i piedi e tre costole, tutti mancanti poiché previamente asportati come reliquie. Cfr: ACACA, Culto dei Santi, v. 4, f. 11.

17. G. Pou i Martí, Il Provinciale Sardo p. Serpi e i processi della causa di San Salvatore,  in Supplemento al «Bolletino S. Salvatore da Horta», VI (1938), p.32.

18. Sulla carriera politica di questo personaggio ed il suo vincolo con l'ordine francescano cfr: M. A. Visceglia, La reputación de la grandeza: il marchese di Villena alla corte di Roma (1603-1606), in «Diplomazia e política della Spagna a Roma. Roma Moderna e Contemporanea», XV (2007), pp.131-150.

19. La lettera originale è conservata presso l'Archivio dell'Ambasciata di Spagna presso la S. Sede, Leg. 158, fol. 101 ed è stata segnalata da: Pou i Martí, Il Provinciale Sardo p. Serpi cit., pp.30-34.

20. Alla documentazione si allegava una lettera del re al pontefice trascritta da Pacifico Guiso Pirella: P.G. Pirella, Historia de las heroycas virtudes cit., pp.200-201; Sorgia, San Salvatore da Horta cit., p. 49.

21. F. Sequi, Vita, miracoli dopo morte e culto del beato Salvatore da Orta, Cagliari 1882, p. 260; Cogoni, San Salvatore da Horta cit., p. 117.

22. Conosciamo la stampa, di cui al momento non è stata localizzato nessun esemplare, grazie alla descrizione che ne fa un documento di inizio Settecento relativo al processo di canonizzazione: Caralitana Canonizationis B. Salvatoris ab Horta Ordinis Minorum Observantium S. Francisci. Positio Super Casu Excepto, Roma 1709, pp. 7-11.

23. Pirella, Historia de las heroycas virtudes cit., pp. 206-208. La documentazione relativa al proceso del 1624 è conservata presso: ASV, Cong. Riti, Processus, vv. 409-410.

24. Pirella, Historia de las heroycas virtudes cit., pp. 212-215; Sorgia, San Salvatore da Horta cit., p. 53.

25. F. Colonna, Il Beato Salvatore da Horta. Laico Francescano, Napoli 1916, p. 103. Il cuore è custodito in un reliquiario d'argento ottocentesco collocato sull'altare della cappella dedicata a Salvatore da Horta. Sulla questione della dispersione delle reliquie cfr: O.P. Alberti, Luci ed ombre nella fortunosa vicenda del corpo di S. Salvatore da Horta: rilievi storici, in «Nuovo bollettino bibliografico sardo e archivio tradizioni popolari»,  69 (1969), pp. 3-5.

26. Pirella, Historia de las heroycas virtudes cit., p. 229.

27. La documentazione relativa a questo secondo processo è conservata presso: ASV, Arch.Cong. Riti, Processus, vv. 411-412.

28. Sequi, Vita, miracoli dopo morte e culto cit., p. 275.

29. Sul breve del papa ed il suo contenuto cfr: Papa, Le cause di canonizzazione cit., pp. 350-353.

30. Sequi, Vita, miracoli dopo morte e culto cit., p. 235.

31. Sui decreti emanati dal Tribunale dell'Inquisizione e dal papa Urbano VIII in materia di santità cfr: M. Gotor, I beati del papa. Santità, inquisizione e obbedienza in età moderna, Firenze 2002, pp.285-334.

32. Pirella, Historia de las heroycas virtudes cit., p. 231. Il cardinale, protettore dell'ordine francescano, scrisse a detti prelati sostenendo che Salvatore da Horta rappresenta un casu excepto al breve papale.

33. F. Marca, Vida, virtudes y milagros del B. Salvador de Horta, honra de Cataluña y su provincia de la Regular Observancia de N.P.S. Francisco, Barcelona 1778, pp. 232-237. La documentazione relativa a questo terzo processo è conservata presso: ASV, Cong. Riti, Processus, v. 413.

34. Sequi, Vita, miracoli dopo morte e culto cit., p. 280. La sentenza della Congregazione dei Riti, che segue al parere favorevole espresso dal cardinal Carpegna in merito all'antichità del culto, è del 13 settembre.

35. La documentazione relativa all'ultimo e definitivo processo di canonizzazione di Salvatore è conservata presso: ASV, Cong. Riti, Processus, vv. 5700-5701. Una cronaca dell'epoca, con le testimonianze dei nuovi miracolati Mario Piras e Aurora Secchi è contenuta in: I due grandi miracoli di San Salvatore proposti per la canonizzazione, in Supplemento al «Bollettino S. Salvatore da Horta», VI (1938), pp. 34-36.

36. In Messico esiste ancora un paese che porta il nome di Salvatore da Horta nello stato di Durango ed una chiesa a lui intitolata nella località di Matehuala. Più avanti ci riferiremo anche ad alcune pitture conservate a Città del Messico, con scene di miracoli del personaggio.

37. La cartina, elaborata da Francesco Adriano Caredda, si basa sulle informazioni contenute nella Caralitana Canonizationis cit., che comprende, tra le tante cose, anche una relazione su tutte le località in cui nel 1709 era testimoniata l'esistenza di altari o cappelle dedicati a Salvatore da Horta. Si tratta di una fonte importantissima perché cita, insieme all'ubicazione esatta dell'altare, l'eventuale presenza di pitture o sculture del fraticello, di reliquie e di ex-voto, così come specifica se ogni 18 di maggio si celebrava la sua festa o si cantavano le sue lodi.

38. F. Spinelli, Vita et miracoli meravigliosi del divoto et humile servo di Dio e di Maria Vergine B.P.F. Salvatore da Horta de' Minori Osservanti di San Francesco, Firenze 1613; S. Vitale, Madreperla serafica della vita e miracoli stupendi del divoto et humile Servo di Dio e di Maria Vergine B. Salvatore da Orta dei Minori Osservanti del P. Serafico San Francesco, Firenze 1640. Ci sarebbe una terza biografia, secondo la Caralitana Canonizationis edita nel 1627 ed intitolata Del Beato Salvatore d'Orta, di cui, per il momento, non è stato possibile localizzare nessun esemplare.

39. Pavoni, Vita et miracoli marauigliosi cit. È interessante specificare che per cronologia è una delle biografie più antiche, fatto che suggerisce una precoce diffusione del culto in Liguria.

40. L'attribuzione a Michelangelo Naccherino si deve a Nicodemi in: G. Nicodemi, Santa Maria di Montecalvario, in: L. Cautela, L. Di Mauro, R. Ruotolo (a cura di), «Napoli Sacra. Guida alle chiese della città», II (1994), p.682.

41. Per smentire l'attribuzione a Naccherino l'autore si basa su considerazioni stilistiche, allegando la prossimità dell'opera al San Bruno realizzato dal Fanzago per la Certosa di San Martino di Napoli: M. Kuhlemann, Michelangelo Naccherino. Skulptur zwischen florenz und Neapel um 1600, Münster 1999, pp. 120, 249.

42. Il soggetto dell'opera venne identificato da Diego Angulo, che segnalò anche alcuni dei suoi disegni preparatori: D. Angulo, Murillo, Madrid 1981, II, p. 10.

43. L'episodio è identificato da un'iscrizione nella parte inferiore del dipinto, trascritta da Diego Angulo:

"Buela la fama notissiosa quanto / El Santo Salbador al c... he admira / I un Ministro Supremo disfrasando / En tosco el trefle authoridad Retira / Repara el Santo y ya profetisando / La dignidad entre disfrases mira / I con debota y grave Reverençia / Obediente le ofrese la obediençia".

Questo miracolo è già descritto nelle carte del primo processo di canonizzazione del personaggio e nelle prime biografie. Cfr: ASV, Cong. Riti, Processus, v. 409, f.41; Pavoni, Vita et miracoli marauigliosi cit., p. 46.

44. Da segnalare che al museo del Louvre sono conservati alcuni bozzetti e disegni preparatori dell'opera. Cfr: Catherine Legrand, La Rome baroque de Maratti à Piranèse: dessins du Louvre et des collections publiques françaises, cat. exp. Paris, musée du Louvre, 15 novembre 1990-18 février 1991, sous n° G. Tra i principali contributi sul Calandrucci segnaliamo: D. Graf, Die Handzeichnungen von giacinto Calandrucci, Düsseldorf 1986, 2v; A-L. Desmas, L'Universo artistico di un allievo del Maratti. Lo studio Calandrucci e le sue raccolte descritti da un nuovo inventario, in «Bollettino d'arte», 118 (2002), pp.79-121; F. Strinati, Pigrizie pittoriche piene di grazia. Giacinto Calandrucci I, in «Lazio ieri e oggi», 570 (2012), pp.150-153.

45. M.C. Galassi, Il beato Salvatore da Horta benedice gli infermi, in Bernardo Strozzi. Milano 1995, pp. 168-169, scheda 36. La autrice ipotizza che la guarigione miracolosa possa essere collegata alla cessazione di una terribile epidemia documentata a Novi Ligure nel 1625.

46. Il modus operandi di Salvatore da Horta viene ben illustrato dal caso della giovane Beatrice, figlia del tesoriere del duca di Medinacelli, che nel 1559 si recò ad Horta per implorare il frate di guarirla dalla grave deformazione che dalla nascita la obbligava a camminare con il viso rivolto verso la schiena. Salvatore, dopo aver invocato la Vergine, ordinò alle più di duemila persone presenti di recitare un Pater Noster ed un'Ave Maria, prendendo poi tra le mani la testa della giovane e girandola dal lato corretto. Cfr: Vitale, Madreperla seráfica...cit., p. 56.

47. Nei processi di canonizzazione sono descritti diversi esempi di indemoniati, tra cui il caso di una donna di Horta, nei seguenti termini:

"la portarono quattro suoi fratelli e tre fratelli cugini molto ben ligata perche dicevano che haveva molti demoni...urlava come un bue talmente che causava timore et spavento a tutta la gente ch'era nella chiesa et il Beato Padre fra Savador usci e li fece il segno della croce...e scongiuro comandando alli demonii che uscissero, et...la spiritata grido teribilmente et il Beato Pare Salvador gettandoli altra volta la benedittione et buttandoli altra volta acqua benedetta comando alli Demoni che subito uscissero...e la lasciarono". Cfr: ASV, Congr. Riti, Processus, v. 411, f. 847r.

48. Sulla storia del santuario cfr: R. Filangeri di Candida, Storia di Massa Lubrense, Napoli, 1910. pp. 548-561.

49. R.Spinelli, Il Seicento fiorentino: arte a Firenze da Ferdinando I a Cosimo III, Firenze 1986,pp. 236-237.

50. Secondo gli atti del processo di canonizzazione sotto l'altare della cappella era presente uno sportellino con l'iscrizione marmorea "Ossa del beato Salvatore d'Orta". Non è dato sapere quando le reliquie giunsero a Firenze, ma nel corso dello stesso Seicento vennero rimosse dalla cappella e trasferite in un reliquiario d'avorio insieme a quelle di San Diego d'Alcalá. Cfr: Caralitana Canonizationis cit., p. 11.

51. Spinelli, Il Seiento fiorentino cit., p.236.

52. Caralitana Canonizationis cit., p. 15. Le carte del processo testimoniano, inoltre, che il ritratto del beato veniva portato nelle celle degli ammalati e che il convento custodiva un osso del braccio ed altre sue reliquie.

53. Caralitana Canonizationis cit., p. 14. La scultura godeva infatti di un'indulgenza concessa dal vescovo di Girona Josep Fageda (1660-1664).

54. E. Jiménez Aznar, El libro Cabreo del convento de San Francisco de la ciudad de Borja (1636-1667), Borja 1998, pp. 21-22.

55. La pala d'altare, la cui esecuzione precede quella della cappella di qualche anno, venne realizzata grazie al lascito testamentario di Perpetua Lajusticia. Cfr: Jiménez Aznar, El libro Cabreo del convento de San Francisco cit., p. 37.

56. Pavoni, Vita et miracoli meravigliosi cit., p. 39.

57. C.G. Ratti, Instruzione di quanto può vedersi di più bello in Genova in pittura, scultura ed architettura, Genova 1780, p.339.

58. D. Sanguineti, Domenico Piola e i pittori della sua "casa", Soncino 2004, pp.48, 421.

59. I processi di canonizzazione documentano diversi casi di persone, specialmente bambini, resuscitate da Salvatore, come i piccoli Miquel Fontanet di Girona o Mateo Ruiz di Valencia. In quest'ultimo caso la madre del bambino si recò in pellegrinaggio a Horta per ricevere la benedizione del frate ed, in ringraziamento della sua intercessione, fece una donazione in cera alla chiesa. Cfr: ASV, Congr. Riti, Processus, v.411, ff. 489v-490r.