Eredità del barocco: note sui cenotafi della Confraternita dell’Oratione e Morte di Roma

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Stefania Macioce

Pedro Calderon de la Barca ne El gran teatro del mundo, [1] edito nel 1649, ma compostotra il 1633 e il 1648, formula in termini allegorici, come successivamente in altra forma ne La vita è sogno, [2] una categoria costitutiva dell'estetica barocca. Nell'idea del mondo come teatro ove ogni uomo porta avanti una rappresentazione, sottoposta alla fine dell'esistenza al giudizio divino, sottende la straordinaria scenografica creatività di una delle invenzioni più caratteristiche dell' età barocca: gli apparati effimeri, sorta di grandiose macchine realizzate in diverse occasioni ed anche per dare degno rilievo all'ultimo trapasso.

La cultura barocca svela un sentimento tragico del tempo percepito e raffigurato come un percorso inesorabile verso la morte; la fugacità della vita intesa come istante, non sollecita il senso vitale dell'esistenza, ma agisce da monito costante e invita ad una sorta di  contemplazione lugubre del memento mori.

In un contrasto talvolta paradossale, l'arte figurativa esprime atteggiamenti apparentemente antitetici rispetto al tema della morte: dall'orrida contemplazione del macabro espresso in desolate vanitas, la cui matrice sarcastica si rintraccia nel mondo nordico, la forma tragica della morte si fa irridente e derisoria, talvolta vi subentra il senso di una meditazione nostalgica quasi lirica sull'inconsistenza della bellezza terrena segnata da una costante metamorfosi protesa all'annientamento della vita. Il senso dell'humana fragilitas di fronte a un universo infinito è diviso, come afferma Pascal, "tra grandezza e miseria", avvertito come qualcosa di mezzo "tra il tutto e il nulla". [3]

Nel Seicento l'antica formula iconografica del trionfo della morte pervade densa di pessimismo stoico e speranza cristiana, una sorta di revival della spiritualità come delle figurazioni medievali riconoscibili nella creatività degli artisti dediti all'ideazione e al compimento di catafalchi ove, al concetto pagano dell'apoteosi dell'eroe nel cielo degli dei, si sovrappone l'idea della morte come rinascita.

La struttura dei catafalchi evoca il castrum doloris: [4] un castrum doloris o doloris castrum [5] è caratterizzato da un baldacchino elaborato che include candele, possibilmente fiori, e nella maggior parte dei casi stemmi, epigrafi e statue allegoriche, riferite al prestigio del defunto ed erette in suo onore. Un castrum doloris viene ad esempio allestito per i solenni funerali di Sisto V nel 1590, ma se ne possono citare diversi anche precedenti risalenti al XIV secolo.

Dalla sobrietà classica dei prototipi cinquecenteschi l'inventiva barocca produce strutture effimere di straordinaria efficacia teatrale, evocanti dunque la grandezza del defunto e glorificanti cristianamente il gaudio del passaggio alla vera vita cristiana. Esposti nelle chiese al momento delle esequie, i catafalchi erano come s'è detto strutture effimere, destinate ad essere distrutte il giorno della celebrazione dei defunti in novembre. Vere e proprie architetture temporanee, i catafalchi erano solitamente costruiti in legno con inserti in stucco: l'intento artificioso era di eguagliare materiali pregevoli, come il marmo o il bronzo. La realtà veniva sapientemente occultata dalla trasformazione 'trasfigurata', articolata in una grammatica di forme variegate come è stato ampiamente ricostruito dagli studi di Marcello Fagiolo. [6] Il momento della morte è dunque celebrato come passaggio ad una 'vita vera' e occasione per una festa grandiosa: gli addobbi e le architetture diventano sempre più concitati fino ai grandiosi trionfi del macabro realizzati da Bernini in un colto richiamo ai prototipi del mondo antico come mausolei, piramidi e obelischi, le cui varianti tipologiche in diverse arre territoriali, con particolare attenzione alle committenze medicee in Toscana, sono state anche in tempi più remoti oggetti di accurati studi. [7]

Una delle forme iniziali è quella del tempietto, cui seguirà lo schema piramidale adottato ad esempio da Andrea Sacchi per i Gesuiti. In seguito nel 1665 Carlo Rainaldi introduce, accanto al prototipo del mausoleo, gli obelischi il cui ruolo verrà precisato negli apparati di Bernini per Alessandro VII per i Mattei. Da questo momento gli artisti sperimentano nuove forme fino a conseguire risultati di grande qualità estetica, come nel catafalco ideato nel 1681 da Giovan Battista Contini per Bartolomeo Ruspoli. Come rilevato da Fagiolo [8] non è possibile definire una tipologia specifica del catafalco, stante la grande varietà dei modelli, tuttavia in tutti si fa evidente una sintesi figurativa, che attraverso modalità e metodi rigorosi, coniuga l'emblema e dunque il privilegio del casato, con la consistente realtà simbolica e allegorica delle rappresentazioni religiose cristiane.

Ne restano straordinarie testimonianze figurative in un gremito gruppo di incisioni e a disegni: tra i grandi artefici emerge Bernini che nella straordinaria spettacolarità di queste strutture, celebra il fondamento dell'estetica barocca.

Riassumendo in una celere sequenza cronologica, è possibile stabilire che uno dei primi prototipi di questi catafalchi è individuabile a partire dalle esequie dell'imperatore Carlo V morto nel 1558, esso risulta esemplato sul modello delle pire funerarie degli antichi imperatori romani. A Roma del resto uno dei primi catafalchi fu quello realizzato in occasione delle celebrazioni funebri per il cardinale Alessandro Farnese ispirato al tempietto bramantesco di S. Pietro in Montorio cui fece seguito di lì a poco quello creato da Domenico Fontana per il pontefice Sisto V nel 1591. Nel Seicento questo tipologia di apparati risulta avere una notevole intensificazione: artisti diversi lavorano alla struttura per le esequie di Filippo III nel 1621: il catafalco di Algardi progettato per i funerali di Carlo Barberini nel 1630 sovrappone ordini diversi secondo lo schema del mausoleo e all'insegna di una matrice classica; una linea di sobrietà caratterizza poi il progetto a tempietto realizzato da Andrea Sacchi nel 1639 per le esequie dei benefattori della Compagnia di Gesù. Motivo ispiratore per l'apparato realizzato da Carlo Rainaldi nel 1665 per Filippo IV di Spagna in santa Maria Maggiore resta la struttura del mausoleo con l'inserimento di obelischi come era avvenuto nella struttura effimera ideata da Andrea Sacchi nel 1639 per le esequie dei Benefattori della Compagnia di Gesù. Per quanto concerne i numerosi catafalchi eretti nella basilica di san Pietro, è da rilevare il possibile reimpiego di singole porzioni atte anche al riutilizzo di partiti decorativi in forme sempre più complesse e articolate come nel catafalco per Filippo IV di Spagna realizzato nel 1665 in san Giacomo degli Spagnoli e noto attraverso una incisione di Teresa del Po.

La circolazione dei modelli romani è assai ampia sia in senso geografico che cronologico poiché tale consuetudine celebrativa in occasione delle celebrazioni funebri di personaggi illustri sopravvive nei secoli successivi come testimoniano a titolo di esempio uno schizzo relativo al funerale del pontefice Benedetto XIV nel 1758 (quello del Paolocci per i funerali di Pio IX financo la cosiddetta Cappella Ardente ancora conservata a La Valletta opera di Romano Fortunato Carapecchia realizzata nel 1736 per il Gran Maestro dell'ordine di Malta Manoel de Vilhena.

L'elemento comune per queste strutture effimere si rintraccia nella destinazione a personaggi di alto rilievo sociale quali sono appunto pontefici, cardinali, sovrani. Meno indagata, e dunque argomento centrale di questo breve scritto è la romana Arciconfraternita dell'Orazione e Morte, attuale punto di riferimento per tutte le arciconfraternite di medesima intitolazione, disseminate sul suolo italiano.

L'Arciconfraternita promuoveva cerimonie liturgiche, sacre rappresentazioni nonché la realizzazione di apparati effimeri in occasione delle tumulazioni.

Inedito il materiale figurativo emerso dalle ricerche archivistiche condotte presso l'Archivio Storico del Vicariato. [9] Da questa documentazione si evince una duplice destinazione degli apparati, rivolta sia a personaggi insigni sia, in accordo con le finalità dell'Arciconfraternita, ad esponenti di una recente borghesia. Le testimonianze figurative, disegni stampe, evidenziano una pur qualche aderenza ai fastosi modelli dei secoli precedenti, tuttavia gli ignoti artigiani sembrano insistere su elementi decorativi attinenti alla tradizione popolare, forse di gusto più arcaico. Ciò è confermato dalla presenza rilevante, anche in senso numerico, di scheletri e teschi come precipuo elemento decorativo, prerogativa questa non esclusiva ma prevalente, che rimanda a una consolidata tradizione riconducibile a motivi di estrazione popolare. S'intende con ciò fare riferimento ai trionfi della morte, così come si riscontrano a partire dal XV secolo, in diverse decorazioni a fresco di oratori e chiese dell'Italia settentrionale

La prima confraternita romana che iniziò a prendersi cura del seppellimento dei cadaveri che non facevano parte degli appositi sodalizi addetti alla sepoltura, fu la Compagnia della Pietà, che in occasione della peste del 1448, si dedicò al seppellimento dei cadaveri degli appestati; essa risiedette dapprima nella chiesa di San Pantaleo sul Tevere e in seguito in quella di San Giovanni dei Fiorentini. Nel 1520 si formò la Confraternita di san Girolamo della Carità che, oltre all'assistenza dei carcerati, si occupò della sepoltura dei cadaveri. Di lì a poco nel 1538, venne fondata la Confraternita della morte che, per statuto, raccoglieva i cadaveri abbandonati e senza sepoltura: essa venne approvata dal pontefice Giulio III nel 1552 con il titolo di Confraternita dell'Oratione et della morte. Questa acquistò nel 1572 un terreno di proprietà della famiglia Cenci nei pressi della via Giulia ed eresse l'attuale chiesa la cui struttura architettonica, fu modificata nel 1737 secondo i progetti di Ferdinando Fuga e consacrata l'anno successivo.

La pratica di sepoltura dei cadaveri sancita dalla bolla Divina Disponente Clementia del 1560, fu regolata da Statuti pubblicati per la prima volta nel 1590. I riti erano coordinati dal provveditore dei morti; tutti i confratelli durante i cortei funebri, indossavano una veste di sacco nero con un cordone e un cappello nero a falda larga e il simbolo del sodalizio. Oltre alla sepoltura dei cadaveri e alle opere caritatevoli, la Confraternita istituì l'Orazione delle Quaranta ore durante i riti della settimana santa

I catafalchi furono commissionati dall'Arciconfraternita parallelamente alle rappresentazioni sacre che si tenevano per l'Ottavario dei defunti [10] nel cimitero annesso, a partire dal 1763, in particolare negli anni compresi tra il 1775 e il 1802. La documentazione ad essi relativa è conservata presso l'Archivio Storico del Vicariato di Roma e si può datare complessivamente tra gli anni 1740 e il 1860. [11]

Il Cimitero dell'Arciconfraternita è visibile in un disegno realizzato dal Filidoni nel 1762 [fig. 1], esso illustra la cripta della chiesa ancora oggi riconoscibile: si tratta di un ambiente interamente decorato con ossa e teschi, che realizzano partiti decorativi lungo le pareti e sulla volta; nelle nicchie parietali figurano, in forma di scultura macabra, diversi scheletri. Rispetto allo scarno ambiente attuale, il disegno presenta una sala che nel suo complesso risulta assi più grandiosa,ravvisabile dalla statura dei visitatori raffigurati,adibita per solenni celebrazioni liturgiche come avvalora la presenza dell'altare.

La successiva incisione [fig. 2], di autore anonimo, datata 1775, presenta un fastoso catafalco denominato cenotaffio, la cui pianta rotonda decorata da prominenti lesene, sorregge una articolata serie di elementi decorativi. Putti alati che sembrano danzare tenendosi per mano, girano intorno alla base della struttura; dal centro della stessa emergono in piedi angeli reggicandelabri e quattro scheletri nella parte superiore sorreggono il tumulo del defunto. Tutta la struttura è sormontata dall'immagine del Tempo [12] e nel suo insieme essa suggerisce richiami ad una ideazione precedente, in particolare essa sembra idealmente affiancarsi al catafalco eretto nel 1627 in Santa Maria in Aracoeli, per Gioerida la moglie persiana di Pietro della Valle, opera ricondotta alla Cerchia del Cavalier d'Arpino. [fig. 3]

L'incisione seguente [fig. 4], tratta dal cenotaffio di Francesco Loreti, [13] mostra una costruzione composita ove da una base architettonica, decorata da scheletri reggicandelabri seduti, sono visibili da un'apertura centrale, le anime dei dannati; la parte conclusiva della 'macchina' è costituita da teschi alati, che sorreggono la cassa dalla quale il defunto risorge, condotto per mano da un angelo; sulla cassa è leggibile una scritta: "Occurrite Angeli domini suscipientes animam eius: offerentes eam in cospectu Altissimi" (Angeli del Signore che ricevono la sua anima: offrendola al cospetto dell'Altissimo) [14] mentre in basso, alla base della struttura: "me duxit et reduxit sanum" [15] (egli mi ha condotto e rimenato in santità). Motivi analoghi ricorrono nel disegno [fig. 5] di Giovacchino Filidoni [16] che descrive un 'tumulo' eretto nell'Oratorio dell'Arciconfraternita in ricorrenza dell'Ottavario nel 1802. In questo caso l'apparato risulta costituito da un materiale che simula una struttura rocciosa: nella parte intermedia, da tre arcate in pietra, si intravvedono i dannati avvolti dalle fiamme infernali; un angelo in volo ne conduce per mano uno in direzione della parte alta della struttura ove, sopra la tomba del defunto, è eretta una statua della Giustizia sul cui basamento si legge: "Iusticia et Iudicium sedes eius" riferibile alla sede divina della giustizia e al giudizio finale. Più in basso le anime dannate sorreggono cartigli ove sono appena leggibili le preghiere: "implora o Fratel mio dal divin trono degli errori per me gratia e perdono […] Figlio ingrato pietà dei mali vuoi […] pensasti gratia mia aver […].".

In questo eterogeneo materiale figurativo gli elementi decorativi sono in prevalenza torcere e texschi cui si aggiungono scheletri a figura intera, che compongono la struttura dei catafalchi destinati a personaggi al momento anonimi. È indubitabile il rimando a prototipi molto sperimentati come quelli berniniani in S. Giacomo alla Lungara o in S. Lorenzo in Damaso, ove lo scheletro alato volteggia con andamento quasi festoso. Anche il tema dell'anima dannata, analogo alla rappresentazione delle anime purganti, riconduce a consueti esempi del periodo barocco, con particolare riguardo alla scultura berniniana conservata oggi a Roma presso l'Ambasciata di Spagna. Bernini, come noto, scolpì per il prelato spagnolo Pedro de Foix Montoya il busto con l'Anima dannata [fig. 10] in pendant con quello dell'Anima beata: [17] le due anime, beata e dannata, incarnano le forze antitetiche del bene e del male e invitano il credente ad abbandonare la strada del peccato in vista della salvazione. Questa rappresentazione trae origine dalla dottrina dei "Quattro Novissimi", la morte, il giudizio, il paradiso e l'inferno. [18] Essa deriva a sua volta dal testo devozionale, tardo trecentesco, di Utrecht Gerard de Vliederhoven: Cordiale quattuor novissimorum, basato su una tradizione escatologica che ebbe larghissima diffusione in Europa fino al '700. Il fedele che avvicinava questo testo devozionale, era invitato a meditare sui temi cruciali della morte, del giudizio finale, del paradiso e dell'inferno e a trarne giovamento per la sua fede, attraverso il distacco dal peccato. La dottrina dei "Quattro Novissimi" acquistò una rinnovata attualità tra il XVI e il XVII secolo, nell'ambito delle dispute confessionali sulla giustificazione e un ruolo decisivo a tal riguardo, fu svolto dai Gesuiti, con particolare attinenza al catechismo figurato, pubblicato da Pietro Canisio nel 1589. [19]

Nel corso del Seicento il tema venne rielaborato da diversi altri autori come Francisco Escriva, Luis de La Puente, Francisco de Salazar e Luca Pinelli; già sant'Ignazio del resto aveva previsto, come quinto esercizio della prima settimana, una meditazione sull' inferno: le illustrazioni che corredavano i testi utilizzati con tale finalità, avevano una rilevanza didattica determinante. La popolarità di questo soggetto si evince anche dalla sua diffusione attraverso incisioni: nota ad esempio la serie di Alexander Mair [fig. 6] pubblicata ad Augusta nel 1605, ove le anime appaiono in forma allegorica, come busti all'interno di un ovato. È plausibile che la fisionomia e l'espressione incisiva dell'Anima dannata, riflettano l'eco dello stesso soggetto, ideato da Michelangelo, ora a Firenze, presso la Galleria degli Uffizi nel Gabinetto dei Disegni: il disegno ebbe ampia divulgazione anche attraverso le incisioni come quella assai nota di Antonio Salamanca.

Tuttavia a guardar bene le incisioni del Loreti e del Filidoni, ben più calzante si rivela il confronto con una devozione molto diffusa: quella legata alle anime del Purgatorio, tema iconografico già pienamente rintracciabile in età medievale. Certamente questa devozione ebbe nuovo impulso durante il Concilio di Trento, che approvò un Decretum de Purgatorio nella venticinquesima e ultima sessione del 4 dicembre 1563. [20] In questo decreto non si parla del fuco del purgatorio in relazione al quale si esprime con chiarezza il Catechismus Romanus del 1566: [21] questo accelera l'interesse e la consistenza quasi corporea delle fiamme della purificazione in una sorta completa "infernalizzazione". [22]

La presenza consolatrice degli angeli custodi che aiutano le anime semplici [23] è uno dei diversi elementi chiamati in causa nel progressivo atteggiamento di conferma dell' esistenza del fuoco ultraterreno del quale si cercano riferimenti geografici, come più tardi nel Mundus subterraneus di Athanasius Kircher pubblicato nel 1564, ove l'inferno è collocato al centro della terra e quasi contiguo al purgatorio: "in intimis Terrae receptaculis, in uno aut pluribus pyrophylaciis locum obtinet […]". [24] Sul piano iconografico l' influsso di questi orientamenti è manifesto, anche per la cospicua diffusione di incisioni di ambito gesuita concernenti il tema [fig. 8] come quelle che corredano il testo di Nadal. [25]

Nel nerbo di una dottrina vigorosa documentata se pur sommariamente dai riferimenti iconografici di cui sopra, il segno che contraddistingue la spiritualità ottocentesca risulta viceversa più mistico che ascetico, poiché l'interesse si muove in un ambito schiettamente devozionale: proliferano infatti le devozioni varie come quella eucaristica, del Sacro Cuore, alla Madonna, al Preziosissimo Sangue, alle anime del Purgatorio [fig. 7 e 9] delle virtù da imitare.

Il passaggio cruciale della vita umana, sancito dalla ineludibile quanto misteriosa tappa della morte, è essenziale nella cultura popolare che attinge sommariamente alla lunga tradizione consolidatasi nel Seicento, facente capo ad una orrida rappresentazione della morte, spettro terrifico agitante una falce minacciosa: si trattava di un'immagine già formulata in età medievale formulata per incutere timore e dunque obbedienza nei fedeli. Nell'Ottocento la sorte eterna preoccupa devotamente anche i congiunti dei trapassati per cui si ricorre alla celebrazione delle Mese in suffragio delle anime del purgatorio: la devozione per le anime purganti viene considerata una sorta di epicentro ove confluiscono tutte le devozioni cattoliche. Francesco Vitali di Petritoli (1790-1860) proveniente da un paese vicino Fermo, organizza l'espressione di questa devozione nel suo scritto pubblicato nel 1872. [26] Egli dà corpo alla devozione delle anime del Purgatorio e la sua opera si diffonde e si rafforza in Italia, ma anche in Francia e in Spagna, paesi che videro la traduzione del testo. L'impatto emotivo di questa tradizione pia era intenso per il diffuso convincimento dei devoti che le anime purganti fossero "efficacissime" nell'ottenere grazie dall'onnipotenza divina: si diffondono in quantità Confraternite e Sodalizi dedicati a questa devozione, come a titolo di esempio, la napoletana Santa Maria delle Anime del Purgatorio detta 'delle pezzentellÈ ad Arco o le tante Confraternite del Suffragio il cui culto trova forma compiuta proprio a partire dall'età del barocco. [27]

 


Immagini

1. Giovacchino Filidoni, Disegno del Cimitero dell'Archiconfraternita, 1762,incisione da Collezioni delle sacre rappresentazioni, Archivio Storico del Vicariato di Roma, (ASV), f. 27.
fig. 1

 

2. Anonimo, Exemplum Coenotaphij, 1775, incisione da Collezioni delle sacre rappresentazioni, (ASV), f. VII
fig. 2

 

3. Cerchia del Cavalier d'Arpino, Catafalco per la moglie persiana di Pietro della Valle , (Gioerida della Valle), Roma, Santa Maria in Aracoeli, 1627 ( da M. FAGIOLO1997)
fig. 3

 

4. Francesco Loreti, Exemplum Coenotaphij quod Aeditui Archisodalitii Romani S.Mariae Orationis et Mortis Omnibus in Christo defunctis Annua iusta Persolventes, 1782, incisione da Collezione delle Sacre Rappresentazioni, (ASV)
fig. 4

 

5. Giovanni Filidoni, Disegno del Tumulo eretto nell'Oratorio della Ven. Archiconfraternita di S.Maria dell'Orazione e Morte di Roma in ricorrenza del Ottavario dÈ Fedeli Defunti ivi celebrato ad istanza dÈ Fratelli Sagrestani, 1802 (ASV) incisione da Collezione delle Sacre Rappresentazioni, f. XXXIX
fig. 5

 

6. Alexander Mair, Anima dannata, da I Quattro Novissimi, (1605) Monaco di Baviera, Sttatliche Graphische Sammlung (da Schutze, 1998)
fig. 6

 

7. Pietro Antonio De Pietri(1663/ 1716), incisore / inventore, Anime del Purgatorio, ca.1694, acquaforte; bulino, Milano Civica Raccolta Bertarelli
fig. 7

 

8. Bernardino Passrti e Giovanni Wierix, Giudizio Universale, tavola da Evangelicae Historiae Imagines di Girolamo Nadal, Antverpiae 1593
fig. 8

 

9. Ludovico Carracci, Un angelo libera le anime del Purgatorio1610, Città del Vaticano, Pinacoteca Vaticana
fig. 9

 

10. Gian Lorenzo Bernini, Anima dannata, 1619, Roma, Ambasciata di Spagna presso la Santa Sede
fig. 10

 


Note

[1] P. CALDERON DE LA BARCA, El gran teatro del mundo, (1649) Madrid (1717)1998, passim.

[2] P. CALDERON DE LA BARCA, La vita è un sogno (1635) edizione con testo spagnolo a fronte, a cura di F. ANTONUCCI, Venezia 2009, passim.

[3] "[…] car enfin qu'est-ceque l'homme dans la nature? Un néant à l'egard de l'infini, un tout à l' egard du néant; un milieu entre rien et tout […]" (Che cos'è in fondo l'uomo nella natura ? Un nulla rispetto all'infinito, un tutto rispetto al nulla; un qualcosa di mezzo tra il niente e il tutto) in B. PASCAL, Les Pensées (1670 postuma) ed Londre-Paris 1913, p.57 -Internet Archive lespenses00pasc-. Il tema della fugacità del tempo e della vita e la crudele, ineluttabile realtà della morte, scaturiti entrambi dalla consapevolezza della caducità di ogni impresa umana, domina la cultura barocca. L 'appressamento alla mortÈ si accompagna a sentimenti contrastanti, segno delle profonde contraddizioni che attraversa il Seicento. Da un lato, infatti, il rapporto con la natura sembra suscitare fiducia nelle capacità e nelle risorse dell'uomo e l'attrazione per le meraviglie del creato; da un altro lato questo entusiasmo è controbilanciato dalla disperazione per la fugacità di ogni cosa, per la precarietà di ogni forma di bellezza. In questo contrasto tra amore per la vita e paura della morte si consuma una delle grandi antinomie del Barocco, sospeso costantemente tra Eros, amore inteso come desiderio di piacere, gusto per la vita e capacità di goderne i frutti, e Thanatos, Morte, cioè senso dell'inutilità di ogni azione umana, vista nella cupa e tetra prospettiva del congedo dalla vita umana e dal mondo. La scoperta di un nuovo universo, infinito ma privo della centralità di un tempo alimenta l'orgoglio dell'ingegno umano, ma induce al contempo anche allo smarrimento dinanzi alla vastità degli spazi. L'uomo ne è disarmato, combattuto tra la consapevolezza delle proprie capacità conoscitive e il senso della propria fragilità di fronte a un universo incommensurabile.

[4] Dal latino: Castello di dolore termine usato per la struttura e le decorazioni che ospitano o che accompagnano il catafalco o birra, che rimanda al prestigio del defunto.

[5] Dal latino: Castello di dolore termine usato per la struttura e le decorazioni che ospitano o che accompagnano il catafalco o birra, che rimanda al prestigio del defunto.

[6] M. FAGIOLO, La festa barocca, Roma De Luca 1997; M. FAGIOLO, La festa a Roma dal Rinascimento al 1870, Torino 1997.

[7] O. BERENDSEN, The Italian Sixteenth and Seventeenth Century Catafalques, Ph.D Diss. New York, 1961; O. BERENDSEN, Alexander VII's Catafalque by Bernini, in "Journal of the Society of Architectural Historians",1968; M.FAGIOLO, Roma barocca. I protagonisti, gli spazi urbani, i grandi temi, Roma 2013.

[8] M. FAGIOLO, La festa […] cit., p. 54.

[9] Il lavoro di prossima pubblicazione è stato condotto in collaborazione di chi scrive dalla dott.ssa MONIA D'ALESSIO che ha affrontato questo argomento di ricerca sin dalla sua brillante tesi di laurea magistrale. L'Arciconfraternita dell'Orazione e Morte. Riflessioni sull'iconografia del macabro, Sapienza Università di Roma, Dipartimento di storia dell'Arte e spettacolo anno accademico 2013-2014 [relatore prof.ssa STEFANIA MACIOCE, correlatore dott. ALESSIO CALABRESI].

[10] L. HUETTER, Dai "Morti di campagna" alle Rappresentazioni" nell'ottavario, Città del Vaticano 1994; Quella delle sacre rappresentazioni per l'Ottavario dei Morti, il periodo di otto giorni di prediche e altre funzioni religiose che aveva inizio con il 1° novembre, era una prassi stabilitasi in Roma dagli anni '60 del Settecento, proprio per iniziativa dell'Arciconfraternita di Santa Maria dell'Orazione e Morte. Ben presto, imitata dagli altri sodalizi, divenne uno degli appuntamenti annuali più sentiti e più celebri nell'ambito della devozione popolare romana. Nei propri cimiteri Le Compagnie montavano un vero e proprio 'teatrino' composto di figure in cera, che poteva rappresentare, di volta in volta, un episodio biblico, agiografico, allegorico, di storia ecclesiastica, in ogni caso sempre a finalità edificante e didascalica. Questo allestimento rimaneva esposto per tutta la durata dell'Ottavario, non di rado ancora di più, per quasi tutta la durata del mese di novembre, e veniva visitato dal gran concorso di devoti che riempivano le chiese e i cimiteri in occasione delle funzioni. Dietro versamento di un'elemosina, si riceveva una stampa rappresentante il medesimo soggetto del 'teatrino', unitamente a un foglio di spiegazione che ne illustrava il contenuto. In particolare L'Arciconfraternita di Santa Maria dell'Orazione e Morte in occasione dell' Ottavario giustificava e richiedeva il tema funerario, che presso il Sodalizio veniva di frequente poiché, per statuto, proprio all'Orazione e Morte era demandato il compito di raccogliere ('associarÈ) e seppellire i poveri o i cadaveri abbandonati ritrovati dentro e fuori la città di Roma fin dal 1538. Si trattava di un'opera di carità oltremodo utile dal punto di vista sociale in un'epoca in cui, come è noto, non esisteva un servizio funerario organizzato da pubblici o da privati, ma la cura, con relative spese, del trasporto del feretro e della sepoltura era lasciata alle singole famiglie, e quindi chi era povero ne era automaticamente escluso.

L'azione dell'Arciconfraternita nel campo delle associazioni dovette essere massiccia, come testimoniano i documenti d'archivio: tra il 1552 e il 1896, anno nel quale cessò il suo compito per effetto delle nuove disposizioni emanate nel frattempo in materia di tumulazioni, risulta che il sodalizio seppellì circa 8.600 salme, con una media di oltre 25 l'anno. Per esser più efficiente nel proprio compito, ogni anno per la festa di Ognissanti, l'Arciconfraternita faceva affiggere a tutte le porte della città e nelle contrade più frequentate un editto, sormontato dal proprio stemma, nel quale si rammentava lo scopo dell'istituzione e si esortavano i cittadini a informarla dell'esistenza dei poveri morti, tanto in città che fuori. Memoria delle "associazioni" fu annotata scrupolosamente, anno dopo anno, nella serie dei Libri dei Morti sepolti dalla venerabile Archiconfraternita della Morte (tre volumi manoscritti collocati a Ms. 4978-80). Si tratta di registri, alcuni dei quali, del XVIII secolo, presentano un frontespizio adorno di un acquerello in monocromo o a colori allusivo all'idea della morte e alle associazioni dei cadaveri. In essi, per ogni defunto venivano registrate le generalità, l'indicazione della località in cui era stato reperito e un breve resoconto degli episodi occorsi durante l'"associazione" (alcuni dei quali, apparentemente, miracolosi). Quando si ignoravano le generalità di un cadavere, la prassi prevedeva di portarlo nelle piazze più frequentate e di esporlo per la ricognizione. I cadaveri venivano sepolti nelle chiese più vicine alla località in cui erano stati rinvenuti, ma il cimitero che ricettò più morti fu quello stesso dell'Arciconfraternita, che nell'antica fabbrica della chiesa era situato sotto la sagrestia e che poi, con il rifacimento di Ferdinando Fuga, nel 1737, venne a trovarsi sotto l'oratorio. I morti che si "associavano" durante l'Ottavario dei Defunti si esponevano tra due ceri nel cimitero e ad essi si rendevano le consuete esequie. In seguito alle nuove disposizioni sanitarie emanate sul principio del XIX secolo, le quali condussero tra l'altro all'allestimento del cimitero del Verano (consacrato nel 1835 e adoperato per le sepolture a partire dal 1 luglio 1836), il Vicariato di Roma stabilì, però, che «la tumulazione dei cadaveri di campagna e degli annegati d'allora in poi dovesse eseguirsi nei cimiteri delle parrocchie suburbane posti all'aria aperta [...] o nel pubblico cimitero, evitando però diligentemente il transito per la città con detti cadaveri». L'Arciconfraternita provvide quindi ad una speciale sepoltura per i morti di campagna all'interno del cimitero del Verano. Si veda in proposito la tesi di MARIA LUCIA VIOLO, Le stampe per gli Ottavari dei morti dell'Arciconfraternita dell'Orazione e Morte di Roma: la collezione della Biblioteca Casanatense (1782-1885). [Diploma per bibliotecari della Scuola Speciale per archivisti e bibliotecari a.a. 2010-2011. Relatore prof. TIZIANA PESENTI, correlatore prof. FRANCESCA MANZARI] cfr. www.casanatense.it, La Morte in scena (Editoriali/I fondi della Biblioteca). Le sacre rappresentazioni si protrassero con regolarità dal 1763, anno nel quale abbiamo notizia della prima rappresentazione fino al 1870, quando gli eventi politici portarono a una laicizzazione della città e a un affievolirsi generale del sentimento e delle pratiche religiose: in particolare, al declino delle rappresentazioni sacre e alla demolizione dei cimiteri. Queste rappresentazioni (che prevedevano una messa in scena caratterizzata da grande spettacolarità e suggestione, che non di rado fu ricavata dagli scrittori d'oltralpe) avevano luogo generalmente nella stanza più interna dei cimiteri sotterranei, detta di «Terra santa», sovente decorata con veri ossari o altra simbologia lugubre. In essa veniva eretto un vero e proprio palcoscenico, dal boccascena addobbato di neri tendaggi e rami di cipresso, su cui si posizionavano statue in cera, a grandezza naturale, vestite con cura e spesso in numero considerevole, fino alla decina. L'invenzione e l'esecuzione delle scenografie era affidata ad architetti, pittori e scultori le cui realizzazioni sono testimoniate dalle diverse stampe. La rinomanza delle rappresentazioni era amplificata dalla menzione che ne faceva, almeno dal 1800, il Diario Ordinario del Chracas; e a partire dalla stessa data, un'ulteriore conferma della loro popolarità è data dalle numerose notizie di visite di pontefici e sovrani.

[11] A. BEVIGNANI, L'Arciconfraternita di S. Maria dell'Oratione e Morte in Roma e le sue rappresentazioni sacre, Roma 1910; M. CHIABÒ, L'Arciconfraternita dell'Orazione e Morte. Inventario dell'archivio, in "Ricerche per la storia dell'arte", 6, 1985, pp. 109-174.

[12] A sollecitare la fantasia dei poeti secentisti è anche il tema dell'orologio, orologi da ruote, da polvere, da sole, da acqua, tutti ordigni legati al sentimento del tempo che scorre e della morte che ineluttabilmente, prima o poi, arriverà (il solo Sempronio, ad esempio, dedica a questo tema quasi una trentina di sonetti). Tra le testimonianze più significative ricordiamo il sonetto di Ciro di Pers, intitolato all'orologio da rote: «Nobile ordigno di dentate rote / lacera il giorno e lo divide in ore». E ha ben ragione Getto quando afferma che «nessuna età ebbe come il Seicento una così acuta e sofferta coscienza del tempo […]; [esso] costituisce uno dei motivi di umanità più sentiti […] e più suggestivi di questo secolo, comparendo talvolta nella figura allegorica del vecchio alato, munito di falce o di specchio, intento a trasformare e distruggere ogni cosa […], ma più spesso interviene sotto forma di categoria della realtà e di persuasione dolorosa del passare e mutare di tutte le cose» in Lirici marinisti, in G. GETTO (a cura di), Opere scelte di G. B. Marino e dei Marinisti, Torino 1954, vol. II p. 114.

[13] Un Francesco Loreti scultore risulta nel 1767 da una testimonianza documentaria: "Matteo Panna ria inv. Francesco Loreti scul. Alessio Giardoni ine. 0,29 X 0,19 '. 2- Ales. Sp. Spiegazione dell'istoria sagra Rappresentata nel Cimiterio della Ven. Archiconfralernita di S. Maria dell'Orazione e Morte di Roma per la Commemorazione dÈ Morti dell'anno mdcclxvii. Ad istanza de' l'atelli Proveditori de' Morti" in L'Arciconfraternita di S. Maria dell'Orazione e morte in Roma e le sue rappresentazioni sacre, in ARCHIVIO della R. Società Romana di Storia Patria Volume XXXIII. Roma nella Sede della Società alla Biblioteca Vallicelliana, 1910.

[14] Si tratta delle formule recitate non appena il moribondo è spirato(RITUALE ROMANUM IN EXSPIRATIONE) e si ritiene che la sua anima abbia iniziato il suo viaggio celeste in Rituale Romanum Pauli quinti Pontifici Maximi jussu editum nunc veroa sanctissimo Domino nostro Benedicto XIV. Auctum et Castigatum. Venetiis 1821, pp.123-124 GIUSEPPE CAFASSO (181-1860), Missioni al popolo. Meditazioni a cura di P.A. GRAMAGLIA, Torino 2002, p.371(Sacre missioni al popolo, Torino 1925; vol.p.371V, dedicato alla Teologia morale, a cura di P. RACCA, il manoscritto inedito si trova nella Biblioteca dei Missionari della Consolata in Torino).

[15] Vecchio e Nuovo Testamento secondo la Volgata tradotta in lingua italiana e con annotazioni dichiarato da Monsignore A. MARTINI Arcivescovo di Firenze, Prato 1828, t.VIII, p. 229

[16] Giovacchino Filidoni incisore è citato nel 1801" Disegno del Tumulo eretto nel V Oratorio della Ven. Archiconfà di S. Maria dell' Orazione e Morte di Roma in ricorrenza del solenne Ottavario dÈ Fedeli Defunti ivi celebrato ad istanza dÈ Fratelli Sagrestani nel V auìio 1801. Francesco Loreti scultore. Giovacchino Filidoni ine. (0,40 X 0,29)." in L'Arciconfraternita di S. Maria dell'Orazione e morte in Roma[…] cfr. n. 11.

[17] S. SCHÜTZE Anima beata e Anima dannata, in Bernini scultore. La nascita del Barocco in casa Borghese, catalogo della mostra Roma, Galleria Borghese 15 maggio-20 settembre 1998, a cura di A. COLIVA e S. SCHÜTZE, Roma 1998, pp. 148-167.

[18]L. MALKE, Zur Ikonographie der Vier letzten Dinge vom ausgehenden Mittelalter bis zum Rokoko, in "Zeitschrift des deutschen Vereins für Kunstwissenschaft", XXX, 1976, pp. 44-58; R. PREIMSBERGER, Eine grimassierende Selbstadtarstellung berninis, in World Art. Themes ofUnity in Diversity, Acts of the XXVth International Congress of the History of Art, (Washington 1986), a cura di I. LAVIN voll. 3, University Park, 1989, pp.415-416; I. LAVIN Past-Present. Essays on Historicism in Art from Donatello to Picasso, Berckeley-Los Angeles- Oxford, 1993, pp. 102-103.

[19] P. CANISIUS, Institutiones Christianae seu parvus catechismus Catholicorum, Anversa 1589, pp. 201-207.

[20] Canones et decreta Sacrosanti oecumenici, et Generalis Concilii Tridentini, Venetiis 1573, pp. 234-35.

[21] Catechismo tridentino (Catechismo ad uso dei parroci pubblicato dal papa S.Pio V per decreto del Concilio di Trento), traduzione italiana a cura di T. S. CENTI, Siena 1981, pp. 89, 293, 530.

[22] Per quanto concerne la diffusione di questo elemento iconografico nella seconda metà del Cinquecento cfr. A. ZUCCARI, Bellarmino e la prima iconografia gesuitica: la cappella degli Angeli al Gesù, in Bellarmino e la Controriforma, Atti del Simposio Internazionale di Studi Sora 15-18 ottobre 1986, a cura di R. DE MAIO, A. BORROMEO, L. GULIA, G. LUTRZ, A. MAZZACANE, Sora 1990, pp. 609-622, in part. 624.

[23] F.S. SCHOPPE, IL Domma del Purgatorio illustrato con fatti e devozioni particolari, Torino 1932, pp. 22-24; P.LOUVET, Il Purgatorio, Torino 1952; J. LE GOFF, La nascita del Purgatorio, (ed. it.) Torino 1982; circa la relativa dottrina al Concilio di Trento P. CHAUNU, Église, culture et société. Essais sur Réforme et Contre-Réforme (1517-1620), Paris 1981, pp. 377- 380.

[24] A. KIRCHER, Mundus subterraneus, in XII Libros digestus, Amstelodami 1678, p. 113.

[25] J. NADAL, Evangelicae Historiae Imagines, Antverpiae, 1595.

[26] F. VITALI DI PETRITOLI (1790-1867), Il Mese di novembre in suffragio delle anime sante del purgatorio, Fermo 1872 (se ne contano dieci edizioni); in P. ZOVATTO, Storia della Spiritualità italiana, Roma 2002, p. 515

[27] In Italia se ne contano molte in gran parte aggregate alla sede romana come a titolo esemplificativo quelle di Fano, Enna, Cagliari, Molfetta, Sulmona, Padova, Sorrento, Enna, a partire dalla bolla del 22 agosto 1616 emanata da Paolo V.