Il cardinal Ferdinando al granduca Cosimo I

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Roma, 16 luglio 1571

Med. 5085, [già num. 250], cc. 527r- 528v; 530r-532v.

Non scrissi con l’ordinario di Germania, riserbandomi a farlo dopo ch’io fussi stato con Nostro Signore (come fui sabato) per potere scrivere con più resolutione sopra quel che ricercavano le due lettere di Vostra Altezza. Le cagioni che muovono Sua Santità a differire l’andata di Commendone fin’alle prime lettere che di Spagna scriva Alessandrino dice ella essere perché l’imperatore, sempre che s’è havuto a trattar cosa di momento seco, ha voluto consigliarsene con Spagna, né prima ha risposto che di là gli sia venuta resolutione, di maniera che hora è parso preoccupar l’animo del re et spingerlo a dire la sua volontà all’imperatore a finché il legato lo trovi bene resoluto di quel che ha da trattar seco et non habbia a trattenersi là molto otiosamente. Replicai le ragioni dettemi da Vostra Altezza ponderandole con questo suo respetto et Sua Santità, se ben gustò et stette al quanto sospesa, rispose non di meno mostrando d’havere per buona questa resolutione et alle cose publiche et alle nostre et che in tanto si potria dal canto nostro tirare innanzi questa pratica d’accordo alla quale ben saria a tempo Commendone //c.527v.// per potere giovare con le sue commessioni. Ma poi, o che ella habbia meglio masticato quanto io le dissi, o qual altra sia la ragione, a messer Giovanni Tolosani (il quale ella udì hiermattina) ha dato grandissima prescia di partir, onde si va mettendo insieme quella parte di scritture che Sua Santità gl’ha ordinato che porti et potrà partir presto con l’espeditione di Commendone, il quale anco non dovrà poi tardare. Con Sua Beatitudine, seguendo il filo del discorso di Vostra Altezza, entrai nelle cose di Francia con le ragioni medesime, ma essa rispose che, pensando da principio di complire con legato particolare, si opposero questi ministri, mostrando non essere da credere che quel re si sodisfacesse se non di persona di pari autorità et accettatione con Sua Beatitudine et elessero più tosto, non essendovi altro nipote, che Alessandrino complisse nel suo ritorno. Però non parerli da fare altro. Io dissi che, se la non volesse mandar legato, saria stato a proposito al meno mandare altra persona che di ciò desse conto o con altra occasione o con la mutatione del nuntio presente ina un altro //c.528r.// di più sincerità, et fede verso il servitio della Sede apostolica et delli devoti suoi, sodisfacendo costui poco a chi prevale et mostrandosi ogni dì più interessato con i ferraresi et per favorire loro, facendo sempre che può qualche cavalletta alle cose nostre contra quel che dovea pure sapere essere la volontà di Sua Beatitudine et che pure ultimamente scriveva l’ambasciatore di Vostra Altezza alcune cose le quali troppo chiaro mostravano il mal animo suo verso di noi et, quel che è peggio, miravano a camino contrario nella mente di Sua Santità anco per servitio publico, tenendo egli tanta unione con li più odiosi, che interamente fusse per alienare li più potenti di quel Regno, et procurando ogn’hora che Loreno stesse continuo in corte, quasi che ella non habbia a stimar per meglio che egli non vi arrivasse mai, né vi havesse autorità, alterando sempre egli solo tutti gl’umori. Disse Sua Santità che questo era stato già ordine suo per vedere di contrapesare l’autorità d’ugonotti. Et replicandole io, che gl’ugonotti della corte non sono tali che non servissero //c.528v.// lei ancora et che Loreno non era meglio di loro, se ben per interesse fingeva il contrario, ella consentì, mostrando tenere per fermo che egli si scoprirebbe ugonotto mille volte al giorno dove glielo persuadesse il suo servitio. Le dissi dell’ordine che portava il nuovo ambasciatore di reggersi col consiglio di Vostra Altezza et mio et de ministri et amici nostri et mostrò piacerle sommamente. Desidero ben io (poiché cade hora in propostito di domandargliene) che Vostra Altezza mi dica come vorrà ch’io mi governi con questo ambasciatore perché, venendo egli con ordine et resolutione di stare attaccato con noi et sendo homo che ha bisogno di qualche cura, né mirando li franzesi per tutte queste vie forse ad altro più che a renderci tanto più sospetti al Re Catolico et dividerci da lui, non so quanto la voglia che io nutrisca questa suspitione et credo però esser bene che la me ne dica hora o poi al tempo la sua volontà, ch’io da me cercarò solamente con destrezza levarlo di mano a questi di Loreno.

Raccontai //c.530r.// a Sua Beatitudine le parole fatte dal re in risposta a madama di Nemors et l’altre poi all’ambasciatore di Vostra Altezza, delle quali tutte hebbe piacere et, sentendo il successo di quella lettera in raccomandatione di Ferrara, con la scusa della regina, et l’offerta d’una raccomandatione più calda per Vostra Altezza la quale non s’era accettata, disse havere caro di saperlo et che per le cose di lei non bisognano altrui raccomandationi con Sua Santità et che, quando gli verrebbe quella lettera, sapeva quanto doveva stimarla. Dissi che conoscevamo molto bene la sua benignità verso di noi et che se li ministri suoi volessero vedere et stimare il medesimo non haremmo occasione di dolerci talvolta, come hora doviamo fare del medesimo nuntio di Francia per un tiro fatto all’ambasciatore nostro, il quale io le dissi in voce et le spiacque molto. Ond’io soggiunsi che, se in occasioni sì fatte trattava così, meglio non dovevamo sperare nell’altre più importanti, se ne venissero, et che però non si maravigliassi Sua Santità se si desiderava la mutatione et se io ero così facile a ragionarlene, //c.530v.// non sendo servitio né suo, né nostro che un ministro sì fatto in questi tempi pendesse in un certo modo dal consiglio di chi odia non meno lei che noi. Disse volerlo mutare in ogni modo, ma che non potria così presto, sforzandola degni respetti a trattenersi un poco così, in che quasi mostrò di havere in sua mano qualche negotio che la medesima bisognasse a condurlo. Intanto volse ch’io dessi conto di tutto a Rusticuccio con ordine di scrivere a quel nuntio che le cose di Vostra Altezza et per sé, et in cimento con altri, doveano da lui tenersi per proprie di Sua Santità; che se altrimenti facesse, le mostrarebbe d’haverlo a male. Intorno a che, parlando io poi hieri con esso Rusticuccio, m’affermò il papa essere resoluto di mutarlo, ma restare solo da non vedere soggetti a suo modo, perché di Salviati si tenea così ben servito qua che non li bastava l’animo di privarsene. Io gli dissi che qua sotto l’occhio suo molti saranno atti a servirle bene, ma che per fuore bisogna bene valersi delle persone provate come lui, del quale per quel carico nessuno saria più a //c.531r.// proposito. Mi promesse di fare opera per mantener ferma Sua Santità in questab resolutione et persuaderla a mandar Salviati et credo che la cosa, battendosi con destrezza et con patienza, si otterrà finalmente. A Rusticuccio feci testimonio della speranza che havevamo nella sua protettione con Nostro Signore et della fede che si havea in lui. Li diedi per nuovo segno quello che ultimamente Vostra Altezza haveva voluto ch’io dicessi a Sua Santità, di che si mostrò molto contento, promettendolo di rispondere sempre con gli effetti ecc. Non volsi portar il summario medesimo di Francia, perché alcuni nomi di Montmoransì et altri hariano dato nel naso a Sua Santità, oltra che il successo di quella processione è più tosto come dovea dirlo l’ambasciatore a Vostra Altezza, che come bisognava per muover Sua Santità, la quale in tutta la narratione haria visto forse più d’una cosa da commendar il nuntio et non trovato però molto bene espresso il pregiuditio et l’intentione, che era di mostrar la malignità di lui, la quale ha meglio risonato nella voce. //c.531v.// Le chiesi la bolla desiderata da Vostra Altezza come era necessario, trovandosi in Castello, et commesse mi fusse data se ben mostrò che la sustanza non fusse la medesima interamente.

De duoi suggetti per Cortona volse sapere minutamente da me la conditione, de quali, havendogli io detto ogni qualità, lassò messer Cosimo, al quale la piegava la servitù con Vostra Altezza, solo perché quell’altro è dottor et pratico di simili maneggi, et così al suffraganeo di Pisa andarà l’ordine di fare il processo, havendolo io detto a Rusticuccio in nome di Sua Beatitudine.

Con nuova occasione farò instanza per il breve secreto o quello penale che Vostra Altezza desidera. Ma perché gl’esempli muovono talhora più che le parole et quanto le ragioni et Camaiano non n’ha alcuno, desidero che Vostra Altezza mi scriva qual pontefice l’habbia fatto altra volta, et in qual caso, et sotto qual forma, acciò che, o simile o dissimile che sia dal nostro, io sappi come ho da servirmene et sia preparato alle //c.532r.// oppositioni che Sua Santità suol fare a quel che non le cape così bene in prima facie. Della forma, dico, perché, andando con essa in mano, talc cosa le farà piacere q[ue]l disteso che porta, solamente in voce le parria forse più dura. Quanto più presto verrà, tanto prima batterò questo chiodo, ingegnandomi di rendere persuasa Sua Beatitudine che si domanda cosa honorata per questa Sede, utile a noi, et senza conseguenza necessaria di novità o romore.

Non cercarò più oltre delle parole di Pacecco, sodisfacendosi Vostra Altezza di quel che già glien’ho detto. Li diedi la lettera sua et egli con la alligata risponde quanto habbia passato con l’ambasciatore, se si risolverà Vostra Altezza a valersi del Gerio in nome di Morone, come Pacecco propone. Cesi offerisce di fargli havere licenza da Sua Santità di qua. Ho renuntiato Bevagna in mano del papa et poiché Cesi et Acquaviva, per i quali la desideravo, restono esclusi, ho ricordato il desiderio che ha Madruccio d’havere un governo et sarà forse suo.
//c.532v.// Et io in tanto spedirò per me Castel della Pieve con molta sodisfattione di Sua Santità. Al dottore Errera venne in mano a caso un piego di Spagna indiritto a un amico suo, partito poco prima, con l’avviso della vacanza che dice, la quale domandai et, non senza fastidio, fermai finalmente sì che sta a mia dispositione. Li titoli con la metà del frutto et l’honore si danno a sua requisitione et, oltre a questo, per lui disegnava qualche parte delle pensioni che mi riserba con intentione di rinfrescar con resto più d’uno di quelli servitori che già molti anni mi servono senza havere mai havuto da me aiuto non che recognitione, parendomi che egli habbia cagione di contentarsi della rata sua. Credo che parerà così anco a Vostra Altezza et che non le dispiacerà ch’io pensi a più d’uno, et non di meno farò sempre quel che la mi comanda et la baso la mano.

Di Roma li 16 di luglio 1571.

a Segue ult barrato.
b Segue pros barrato.
c Talché, –che barrato.