Il cardinal Ferdinando al granduca Cosimo I

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Roma, 21 novembre 1571

Med. 5085, [già num. 273], cc. 585r-586v.; c. 588r- 593v.

Io disegnavo di trattar con Nostro Signore ordinatamente sopra l’instruttione di Vostra Altezza, ma il negotio et il tempo m’hanno fatto preponere alle cose di Germania quelle di Francia et credo non sarà tornato male per quel che ella appresso intenderà essersi scoperto incidentemente. Stamane dunque sono stato da Sua Santità preparato per far ogni sforzo di servir a quelle Maestà. Prima nelle visite fra varii ragionamenti era occorso a più d’un cardinale grave entrare in questo come in materia notabile di questi tempi, ond’io ascoltando havevo compreso un solo parere di tutti essere che Sua Santità in nessun modo non dovesse, né potesse concedere la dispensa come cosa direttamente et indispensabilmente contraria a sacri canoni stante quel principe heretico. Udivo volentieri, ma dissi sempre creder che, se la volessero, doverebbono quelle Maestà mandare qualche personaggio espresso a questo effetto. Et fra tanto feci giuditio che bisognaria del buono a superar questa difficoltà, onde per disponere meglio la materia deliberai di leggerle //c.585v.// prima la lettera di Giovangaleazzo, come feci, la quale per la speranza che dà della quiete gli fu sommamente cara come a quella che sentirebbe gravissimamente ogni travaglio da quella banda per il disturbo che portarebbe all’imprese universali. Et alla fine le soggiunsi che Sua Santità potria bene comprendere da quella lettera molta unione di volontà fra quelle Maestà et Vostra Altezza, ma che credevamo che la fusse anco per giudicarne bene et non male, come altri maligni seminavano et cercavano di persuadere forse a lei medesima, sapendo ella meglio d’ogn’altro la mente di Vostra Altezza et a che fine la mirassi, poiché il medesimo fine poteva essere considerato proprio servitio della Santità Sua. Rispose essersi bene sforzati alcuni di darlene carico appresso Sua Beatitudine, ma che non haveva accettato tali calunnie, sapendo che così le conviene et richiede il servitio di Vostra Altezza et che, se questa medesima copia si fusse da lei mandata anco in Spagna, come io di più le dicevo, credeva che non haria potuto fare se non buon frutto in quelle //c.586r.// parti il vedersi quanto le sia deferito da quelle Maestà et a che camino vadano le cose del mondo per consiglio suo. Sopra la persona di Giovangaleazzo le dissi (in proposito che ella mi domandò di lui)a che egli era ben quello di cui le fu fatta già così mala relatione et di cui mi domandò informatione, cognominandolo altrimenti, ma che questa lettera le poteva dar di lui miglior testimonio, oltra quello che ne faceva Vostra Altezza (nel cui servitio havea praticato molti anni) et che ne facevo io, che l’havevo conosciuto già un pezo con lei insieme per gentilhomo d’honore, per catolico et per vero servitore dei suoi padroni; che era quella cosa da che, con la sua espeditione in diverse parti del mondo et con il praticar con ogni sorte d’homini, secondo che di mano in mano havea richiesto il servitio del Re, haveano preso ansa i calunniatori et maledici di ponerlo in mal concetto di Sua Santità. Con le quali et altre parole ella venne nel parere mio benignamente, dicendo di credere d’essere stata mal informata et hora haverlo per homo diligente //c.586v.// et accorto et restare sodisfatta di lui et della lettera sua. Così con un poco d’esageratione dell’inclinatione che si scopriva nell’animo di quelle Maestà alla quiete tanto desiderata da Sua Santità et anco dell’autorità di Vostra Altezza con esse, parendomi vedere indolcito l’animo suo sì che fusse tempo d’entrare al negotio della dispensa, io, premessa la scusa di Vostra Altezza come necessaria, esposi tutte le ragioni che la movevano a persuaderla, parte delle quali ella, storcendosi, non accettava, parte mostrò non esser bastanti per quel che non poteva domandarsi, né concedersi per ragione alcuna, perché da christiano è, disse ella, il non parlarne et che per ciò haria caro che non si dicesse che Vostra Altezza n’havesse mai mosso parole non che fatto tante volte tanta instanza et mi comandò di tacerlo in ogni luogo, et era per isdegnarsi et prorompere stranamente, se io con ardire et modestia non lo ripigliavo, dicendo che poteva ben aborrire alcune cose, ma non //c.588r.// doveva già adirarsi, perché noi le ne parlassimo, poi che conviene alli amici obligati usare ogni studio per servir gl’amicib et a noi, come ben sa Sua Santità, comple hoggi il non lassar offitio (che giovi quanto si voglia) per sodisfare a Francia et mostrare volontà corrispondente a quella che ci tengono per conservarla ben disposta per tutte le occasioni, come qualche volta havea persuaso Sua Santità ancora, quando l’era parso veder chi lei, et noi, volesse troppo tenere sotto. Così ella, quietatasi, disse che dicevo bene et che farebbe ben ogni gran cosa per Vostra Altezza, ma che questa non poteva farla quando bene volesse, non v’arrivando la sua autorità; et che se quelle Maestà volevano farla, la facessero a sua posta, pur che fussero certi di far pessimamente et contra la volontà di Sua Beatitudine et che ella glie ne prediceva la intera destruttione loro; che ad alcun luterano non poteva mai essere stata concessa simil benedittione, come diceva Vostra Altezza, et che non potendo //c.588v.// lei, manco dovea potere alcun altro prelato benedir o dispensare cosa sì iniqua et indispensabile; che il prometterne secreteza era una chimera; et che se essi vi trovariano altro modo, non vedeva però potere essere tale che quella signora non fusse per dirsi più veramente et più christianamente concubina che moglie; et che ella non voleva già dannare l’anima sua, né macchiare tanto notabilmente l’honore suo et di questa Santa sede per ritener chi per altro mostravasi resoluto a precipitarsi; né porrebbe mano a tal dispensa se le n’andasse il collo. Qui feci cadere destramente proposito di Loreno, conforme a quel che Vostra Altezza desiderava, allegando la procuratac nuova amicitia con l’ammiraglio, et soggiugnendo che egli ricordava et persuadeva la licenza delle monache di Genova come havea fatto lui di sua nipoted et che si governava con l’interesse suo temporale, posponendo lo spirito così ben come qualsivoglia altro, sebene con ogn’arte cercava dar la polvere negl’occhi. Et qui mi fermai //c.589r.// tanto che Sua Santità mostrò non haverlo se non per malo instrumento. Di poi, vedendo io pure che le persuasioni non giovavono, mi voltai a proporre altri partiti, ricordando a Sua Santità che, non potendo fare se non malo effetto una esclusione così dura, era pure bene lassarsene parlare, udire benignamente et voltarsi a qualche altro modo di mezo da ponere et trattenere la cosa in negotio fino all’andata del legato, per temperar questo primo et caldo volere franzese et cercare come benigno padre di farli capaci dolcemente di quel che debbono chiedere et volere da Sua Santità perché forse si ridurrebbono le cose a più honesto segno. Et conoscendo quelle Maestà non potersi concedere tal dispensa per principe heretico, forse fariano opera (quando gli fusse detto) di cavar da quel signore qualche segno di penitenza et emendatione di vita. Udì tutto non molestamente. Ma disse bisognare che egli di così publico delitto publicamente s’abiurasse innanzi al nuntio suo o altro deputato //c.589v.// da lei. Io le replicai che questo potria parere modo et mezo meno buono a ridurlo, perché i signori nobili pari a lui stimano ordinariamente più uno iota d’honore del mondo che la salute dell’anima et ogn’altro interesse et un simil fatto se lo stimaria ciascuno a gravissima vergogna, et che per ciò, non disconvenendo a Sua Santità il compatir et condonare qualche cosa alla consuetudine et opinione universale, alle quali se referisce questo honor mondano, non saria stato forse male il concorrere a contentarsi, anco see la penitenza et promissione di vivere catolicamente si potesse da quel principe ottenere secretissima innanzi al nunzio predetto o altro deputato da lei, alla quale, per li mali che si evitano et altri beni che potevano seguir da questo atto, doveria bastare che egli in qualunche modo tornasse al gremio della Chiesa et promettesse bene. Con questo fatta anco più mite, rispose che si contentaria di tal penitentia secreta, // c. 590r. // et concederebbe la dispensa se tornasse alla Chiesa et a sacramenti. Molte cose occorsono, che non fa bisogno di dirle, ma a questo si ridusse la cosa, che è anco quel più che Sua Santità possa fare, et più di quel che io credetti potere ottenere da lei et che non doverà dispiacere a quelle Maestà, se christianamente vorranno esaminarlaf, come da Vostra Altezza potrà esserli ricordato, et non vorranno sdegnarsi et alienarsi da Sua Santità senza causa, come avverrà veramente se con questo pretesto si mettessero a fare la scissura che minacciono, poi che nella mano di Sua Santità non è riposto il rimedio, ma nella loro istessa, con la quale, se non in uno tratto, possono al men pian piano andar disponendo la materia.

È venuto Madruccio, dei meriti del quale verso Vostra Altezza ricordandomi io quanto la mi disse, et quanta volontà per esssi mostrò di servirlo et restando anco di qua molto assicurato che egli habbia //c.590v.// veramente posposta ogn’altra amicitia per la nostra et sia resoluto di vivere congiunto con noi, facilmente mi sono indotto, per le persuasioni d’Altemps et per li preghi suoi, di raccomandarlo a Sua Santità in nome di Vostra Altezza et mio et con representarle il valore suo et le sue deboli facoltà, supplicarla a servirsene con honore et provederlo onde possa vivere da cardinale se non largamente, modestamente al meno, toccandosi con mano che il vescovado suo non li dà 50 scudi al mese liberi, i quali sono debolissima portione al suo bisogno, in ogni conditione di vita, non che nel grado che tiene. Ho trovato Sua Santità molto ben’impressa delle sue qualità et molto disposta a giovarli per se stessa et per amor nostro. Et parendomi che ella habbia aggradito questo offitio mio per persona sì degna, non posso non desiderar et supplicar Vostra Altezza che con quattro righe sue efficaci, ratifichi al fatto con Sua Santità et lo raccomandi di nuovo. Questo diletterà a Sua Beatitudine et stringerà //c.591r.// con vincolo più forte quel signore digno di molta stima per il valor et amorevoleza sua. Et quando bene anco non seguisse mai effetto di suo benefitio, ella l’harà fatto certo della sua volontà senza alcun disgusto, anzi con piacere di Sua Beatitudine. Con la quale, per trattar questo senza affettatione et per modo di proposito, sendomi fatto da lontano dalle cose di Germania, venni a dirle che credevo che Sua Santità sapesse come passavano nel caso nostro et che nell’imperatore non appariva tanta durezza, come soleva etc. Qui, rompendomi ella le parole (et è quel ch’io accennai di sopra nel principio), disse esser bene informata di quel che passava, ma che trattando Commendone con Sua Maestà non la trovava già molto placida, ma rigida, havendoli detto che saria sforzata un dì, quando manco s’aspettasse, a far cosa poco creduta et che meno piaceria a Vostra Altezza, se ella con indignità dell'imperio seguitava di ritenere quel che non le conviene. //c.591v.// Che egli allhora entrò a ragionar con le ragioni dell'autorità pontificia et con esse et con li esempli di Portogallo, di Polonia et di altri havendogliela mostrata tanta che da popoli gli era stato tribuito più obedienza che al comandamento dei padroni, et in cose simili. Sua Maestà si rimesse per queste repliche et disse piacevolmente saper l’autorità del papa essere grande, ma che era tocca la iurisdittione et dignità dell’imperio, il che Sua Maestà non poteva passare in silentio etc. et che a Commendone pareva d’havere pur guadagnato in quel ragionamento, come io vederei dalle lettere sue, le quali non potetti vedere stamane (come cercarò vedere quanto prima) perché desinava Rusticuccio quando io mi licenziai da Sua Santità, il che feci senza entrare con lei in altro, non perché non mi paresse per altro haver buona occasione, ma perché, essendo stato seco assai più che un’hora et sonando le 20 alle quali suol havere desinato, // c. 592r. // non mi parve di abusare la sua patienza, ma da serbare il resto a altra occasione et intanto scrivere a Vostra Altezza quel che m’occorre sopra il negotio. Et è che, non quadrandomi punto che il papa (il quale sempre con noi s’è mostrato resolutissimo di star su la sua ragione), hora con consigli separati da nostri et dalla dignità sua insieme, si fusse volto a scrivere quella lettera che Vostra Altezza accenna nell’instruttione, è sovvenuto al Camaiano et a me che sia non nuova lettera, mag quella medesima scrittura che fu mandata per Commendone la quale, se ben non si parte dalla dolcezza, è però tutta fondata sulla ragione, come Vostra Altezza vedrà dalla copia ch’io glie ne mando inclusa, ritrovata dal cardinale Santa Croce a instanza mia et cortesemente concessami da lui, la quale s’è mostrata anco al Pappone, onde non so se le paia da far tanto gagliardo risentimento o pur parlarne come mi commesse, massimamente che, se si considerarà bene la copia di quel diciferato, non vi è così chiaro il defetto //c.592v.// dei ministri di questa secreteria che il toccarli così quello inditio solo non possa più tosto nuocere che giovare con Sua Santità, la quale di loro sente benissimo, né è per mutarsi senza cose aperte et non conietturali come questa. Pur Vostra Altezza comandi, ch’io obedirò sempre.

Affinché la veda come habbiamo resoluto procedere nella domanda del breve, acciò Sua Santità non corra subito all’esclusione, ma (non risolvendosi subito di gratificarne) al meno accetti di pensarvi et così dia luogo all’opera degli amici dopo il mio primo assalto, le mando copia d’un capitolo ch’io fingerei havere tratto dalla sua instruttione, il quale facilita la cosa sì che forse non haremo Sua Beatitudine tanto ritrosa, come al sicuro l’haremmo affrontandola a meza lama. Di questo ancora desidero la sua opinione et volontà. Mando anco copia della protesta fatta a Sua Santità dall’ambasciatore catolico, la quale dice Pacecco esser quella stessa. Me l’ha data il Musotto //c.593r.// senza volermi dire donde esca. Ho mostrato stimarla una bella inventione d’otiosi et finto non saperne, né crederne altro, ma egli l’ha mandata a Loreno con l’ultimo corriere et Farnese glie la fa chiedere con instanza, come io voglio fare sapere a Sua Santità con occasione. Ritraggo da Pacecco che Vormiens più tempo fa havea la nuova et la copia ancora, come li affermò Colonna, a cui esso Vormiens disse la nuova et offerse la copia suddetta. Ma non se n’essendo parlato prima, andavo pensando se questo potesse esser trovato da Pacecco per coperta di spagnoli da quali si può credere che sia uscita, et me ne chiarirei facilmente se questa certezza giovasse, quanto forse nocerebbe l’andar più tosto stuzzicando col parlare, che ricoprendo col tacere questa notitia. Dica Vostra Altezza quel che le occorre et fra tanto mi conservi la buona gratia sua. Che Nostro Signore Dio la conservi et prosperi sempre più.

Di Roma li 21 di novembre 1571.

[Post scritto] Dal secretario franzese ho havuto la carta di Vostra Altezza et, secondo che la mi comanda, me li sono offerto et mostrato desideroso di servire a loro Maestà in ogni occorrenza a pari di qualsivoglia altro servitore loro, et, se mi richiederà, trovarà alle parole corrispondenti l’opere ancora, sì che non potrà referire d’havermi trovato di volontà inferiore ad alcuno. Non li dirò già altro del negotio suddetto di loro Maestà, poiché né egli ha lettere loro per me, né Vostra Altezza me lo comanda. Quanto passi nel particolare del nuntio di Francia lo scriverà il vescovo Salviati, a cui lasso questo negotioh, trattandolo egli ben volentieri et diligentemente ecc. et io solamente farò di mano in mano quel che egli mi mostrarà o d’altra banda vedrò bisognare.

a (In proposito che ella mi domandò di lui) interl. sup.
b Preceduto da altri barrato.
c Procurata interl. sup. con segno di richiamo.
d Come havea fatto lui di sua nipote marg. sinistr.
e Segue l’abiuratione barrato.
f Segue cosa barrato.
g Da “Non... ma” interl. sup. con segno di richiamo.
h Segue la barrato.