Il cardinal Ferdinando al granduca Cosimo I

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Roma, 17 aprile 1572

Med. 5087, n. 50 (cc. 128r-131r).

Non ho scritto già più giorni a Vostra Altezza dell’indispositione di Nostro Signore perché li ragguagli non variavano di molto, havendoli da persone che, come stanno continuamente attorno a Sua Santità, non s’accorgono tanto della sua declinatione quanto quelli che la rivedono dopo l’intervallo di qualche giorno, su la relatione certissima de quali torno con mio dispiacere al tenor delli miei primi avvisi, dicendo in sustanza che Sua Beatitudine sta talmente affetta del corpo et della mente che di lei non occorra far più disegno, ma si possa riponer fra morti; ributtando li negotii interamente et sendo per essi tanto poco habile che nessun fondamento sia da fare in cosa che s’havesse da lei in questi giorni che le restano, i quali dovranno esser assai pochi, consumandosi ella et caminando a mancar a poco a poco. Onde è che concludiamo convenire che si volti l’animo a tutte le provisioni necessarie al servitio nostro nella sede vacante mentre ci si dà tempo di ordinarle destramente, mirando alla presteza poi che presto ha da esser il bisogno. Io a questo effetto dico a Vostra Altezza che (et non bisogna ingannarsi) le pratiche di Farnese per la sua persona stanno molto bene, sì che bisogna aiuto, vigilanza et industria non piccola per evitar questo scoglio, perché //c.128v// egli ha delli amici vecchi constanti; ha buona parte nelle creature di Pio V; ha l’esca di molti benefitii; de nimici alcuni n’ha lontani di qua, come Commendone, Dolfino et Servantes, i quali importano molti voti. Non è senza intentione et speranza (per quanto io son avvertito) di haver favorevoli i franzesi et li spagnuoli non sono forse lontani da lui, come mostra il non esserci per ancora ordine nello ambasciatore di attraversare la sua esaltazione, talché non è da starne senza timore. Però torno a dire che utile et forse necessario è che Vostra Altezza, non l’havendo fatto fin qui, scriva in Francia acciò che sia dato ordine a quelli cardinali di convenir con noi o in tutto o almeno nelle esclusioni, et mai non accostarsi con lui o con altri che non piaccia a Vostra Altezza. Che con Spagna faccia offitii che persuadino al re il volere che si declini questo suggetto, poi che sempre mirarebbe a voler del suo, et travagliar per ponerlo in necessità di dargliene et per sodisfar la mala natura sua con ingarbugliar il resto, come può conietturarsi dalle cose passate. A questo giovarà anco se con lettere proprie o con li ambasciatori suoi ella stimoli il Casale a eseguire sollecitamente //c.129r// in questa parte l’ordine di Sua Santità, mostrandoli con destreza che di qua terremo conto del suo particolare, se avverrà che per miglioramenti di lei si tratti in assenza sua di poterli far commodo et honore. Giovarà anco che ella scriva a Alessandrino una buona lettera, dandogli qualche ricordo amorevole et proportionato a questo tempo, per renderlo cauto in ogni evento contra li incanti et lusinghe della corte et sicuro della sua protettione, perché questo con la presentia et continui offitii miei varrà assai per conservarloci. Et dove egli stia saldo con noi sarà d’assai momento alla nostra intentione et al suo proprio servitio, se ben non harà molto seguito. Io, prevedendo che l’amicitia stretta di Maffeo con Rusticuccio era atta a sviarcelo, ho fatto che Alessandrino non confida punto di Rusticuccio, con mostrarlia che ha ben a trattenerlo et dissimulare per valersene come di creatura di suo zio, ma non già fidarsene, acciò non lo precipitasse etc. et il negotio è successo felicemente. Crede Pacecco che li spagnuoli proporranno Piacenza, forse anco in nome del re, nel qual caso è bene che io sappi la volontà precisa di Vostra Altezza, massimamente perché né Altaemps lo vorrebbe, né delle creature di Pio IV //c.129v// vi andarebbe altri che Borromeo. Altaemps li dì passati venne qui in casa mia, dove era Pacecco ancora, et con noi si messe a parlar molto caldamente nel particolare di Montepolciano, dicendo volere che Vostra Altezza sapesse quanto lib occorreva in questa materia et di poi far quello che la comandasse come servitore suo, che è resoluto di correr la medesima fortuna. Che della persona d’esso Montepulciano lui non dubitava che fusse amorevole a Vostra Altezza et che a lui non dispiaceva, essendosi resoluto, fin nell’ultimo conclave, venirne ancorché Borromeo non volesse, ma che, considerandolo di poi homo di 76 anni, grave et aggravato d’alcune infirmità, talché per forza ha da essere governato da alcuni, che li dispiacciono sommamente quelli che li sono d’attorno, come Annibale et Oratio Rucellai, cognati di suoi nipoti, carissimi suoi et inimici di Vostra Altezza, delli quali lui dice d’haver penetrato l’intrinseco, essendo in Padova con Oratio et in Roma con il vescovo, et che Cornaro, che saria il 3° di questo governo, lo tiene per malissimo homo et anco per poco amorevole di Vostra Altezza, massimamente dopo il negotio del Camarlingato con Alessandrino. Oltra di questo, dice dispiacerli sommamente il venire //c.130r// tanto volentieri Farnese in questo suggetto, per l’amicitia d’esso Farnese con Annibale sudetto. Messe anco in consideratione che era un depositare il pontificato per pochi anni a commodo di Farnese, perché tutti li cardinali che egli farebbe, fuorché uno o due per noi, sariano homini della corte (non sendo per dare in frati o teatini). La qual corte ha homini tutti dependenti et obligati a esso Farnese, per l’autorità et commodità che hebbe di poner le mani per tutto il pontificato di suo avolo: come Odescalco, il vescovo sudetto di Carcassona, Doria, Macerata et altri. Mi pregò per ciò che io scrivessi questo a Vostra Altezza, perché sa quanto son gelose le cose di Stato et quanto le importi l’haver un papa vicinoc confidente. Et se, considerato tutto questo, ella pur vorrà che egli vada in lui, farà quanto o lei gli comandarà o io gli dirò in nome di Vostra Altezza, sendo resoluto come di sopra. Fin qui è il discorso suo, sopra il quale, ragionando io con Cesi, havevamo pensato a quel temperamento che ci fusse migliore, et era che lui et io parlassimo liberamente con Montepulciano, mostrandoci //c.130v// per altro resoluti nella sua esaltatione ma, dalla ragione delli Stati mostrarcisi che dovemo temer di questi suoi intrinseci et di fiorentini, et Rucellai particolarmente. Però, che se egli volesse promettermi di non mescolarli al meno nelle promotioni senza participatione et contento nostro, vederebbe che io sarei di non poco momento alle cose sue con gl’amici miei. Questo con quello insieme viene al giuditio prudente di Vostra Altezza, dalla quale attenderò risposta chiara della sua volontà, non lassando di dire che la mira principale d’Altemps è in Buoncompagno, il quale, per comune giuditio, ha gran parte.

Alessandrino dette la lettera di Vostra Altezza a Sua Santità la quale lesse tutta quietamente et non faceva parola. Onde egli (come io l’havevo avvertito che doveva fare per metterla in ragionamento) disse credere che la contenesse certi particolari delle galeaze, le quali Vostra Altezza non voleva mandar senza suoi proprii capitani.

Ella rispose che non conteneva quello, ma de tali et tali particolari et sopra tutti disse non so che, fuor che sopra il breve. Ma ha voluto Alessandrino che io non mi curi di saper altro, accennando che fusse poco a proposito. //c.131r// Comunche si sia, Sua Santità abbruciò in tanto quella lettera, siché non apparirà più. Et Alessandrino cerca tuttavia le altre che vi siano di Vostra Altezza in camera o in Secreteria per farne il medesimo. Che è quanto ho da dirle, oltra il mandarle uno scritto di messer Agusto Titio per ragguaglio pur dello stato di Sua Santità, havendolo io spinto hove ha potuto sentir quanto dice. Et in buona gratia di Vostra Altezza mi raccomando. Di Roma li xvii di aprile 1572.

a Mostrarli in un primo tempo seguito da ben, poi cassato.
b Li aggiunto in interlinea superiore.
c Vicino, in un primo tempo seguito da et, poi cassato.