Il cardinal Ferdinando al granduca Cosimo I

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Roma, 19 aprile 1572

Med. 5087, n. 54 (cc. 138r-140r).

Dal commendator Petrucci harà inteso Vostra Altezza quanto seco havesse passato la regina madre su la nuova della grave indispositione del papa, poi che a me scrive per ordine di lei che la gl’haveva detto volere che li cardinali franzesi venissero al conclave et che l’ambasciatore suo si ristringesse meco per far quanto volesse Vostra Altezza et solo d’apparenza non mancasse a Ferrara. L’ambasciatore detto questa mattina è stato a trovarmi, et lassatomi l’inclusa lettera della regina per Vostra Altezza, pregatomi a mandargliene sì che il corriere che passarà per Francia possa di costì levare la risposta, al quale effetto io gliela mando con corriere espresso, non ci essendo altre occasioni fidate. Dicemi d’haver ordine sì bene di dara sodisfattione a Ferrara, ma d’esser con noi poi a ogni resolutione, purché si dia in persona non sospetta al suo re, né vassallo tale a Spagna che si possa verisimilmente giudicare che Sua Maestà Cattolica habbia da maneggiarlo, non desiderando altro il Christianissimo che un homo da bene et senza passioni, soggiungendo che mi mostrarebbe poi la instruttione sopra questo negotio. Domandomi in ultimo se io havevo da dirli particolare alcuno del desiderio et mira nostra, perché lo scrivesse al re, con offerir etc., //c.138v// io lo ringratiai et pregai a far il medesimo con loro Maestà in nome di tutti noi con quello affetto che richiedeva tanto honore et favore, dicendo che il dar sodisfattione a Ferrara si poteva fare senza molto periculo et con poca speranza di successo, però che lassarei a lui la cura di farne prova. Ma che intendevo bene che Farnese si prometteva non punto meno del favore di loro Maestà, il quale se ben in modo nessuno è vassallo di Spagna, non è però secondo la loro intentione nell’altre parti, poiché non manca di passioni et fra noi et lui particolarmente stanno le cose come ognuno sa. Però, sapendo io che Peleve et Armignac sono tutti tutti suoi, talché egli con quelli mezi si promette anco il resto, harei voluto che loro Maestà si fussero apertamente dichiarate con essi, comandandoli a non venire in lui in alcun modo, ma correre con chiunche andasse alla esclusione sua, et con noi massimamente, ancor che in nome loro pur occorresse sodisfarli di proponerlo. Che nel resto non havevamo noi fine discorde da quello di loro Maestà, poi che tutti insieme desideriamo un homo da bene, non passionato, et che io non havevo ragionato né praticato (come non volevo anco far) più una cosa che un’altra, per //c.139r// giusto timor et riverenza della bolla che ci è così terribile contra ambientes, della quale egli mostrò ignoranza et molto timore. Questo dissi non solo per il vero, ma per troncare questo proposito, poi che havevo già visto che non li occorreva dirmi altro particolare della mira sua. Le sue parole battono Piacenza assai manifestamente et io vedo che spagnuoli lo proporranno. Battono anco Crivello che pur, per opinione di Pacecco, sarà forse proposto da loro ma, come a quello non harei ragione da tirarli, così di questo crederei mostrarli che non hanno a diffidare, sapendo dello intrinseco suo, tanto che forse bastarebbe a sodisfarli. Tuttavia io non ho voluto entrar in altro, ma solo avvisar Vostra Altezza di tutto questo proposito, acciò che ella dalla notitia d’esso giudichi se ho fatto a bastanza con l’ambasciatore et mi comandi come voglia che si ristringa seco questa pratica, quando sarà il tempo di maneggiarla, che non dovrà esser molto lontano, se la indispositione di Sua Santità non muta corso, inviandola l’ordinario di passo non molto lento alla sua fine, come si disse con l’altra. Col qual fine in buona gratia di Vostra Altezza mi raccomando.

Di Roma li xviiii di aprile 1572.

[Post scritto] //c.139v// Tenuta fino a questa sera de 20 et m’occorre dirle di più: che Nostro Signore hieri per tre hore se ne stette in Belvedere, caminando in qua et in là, senza altrob aiuto che d’una debole canna, ragionando di sé assai francamente et con speranza non leggieri d’haver a vivere. Gustò d’otto sorte di vini con sua sodisfattione, dando giuditio di ciascuno, et orinò due sole volte in quel tempoc con dolore forse minor del solito. Tuttavia a domestici suoi non cresce la speranza della vita sua. Solo Alessandrino, tirato forse dal desiderio, teme manco. Lesse la poliza di Morone ma non rispose parola alcuna, disegnando forse di ripigliare lui stesso i negotii, poi che domane vuol cominciare a segnare. Che se lo farà, destarò io subito la richiesta del breve. Se non potrò in voce, almeno con una poliza, la quale fidatamente gli sia data et recuperata poi. Ricordavo a Alessandrino il particolar della promotione, ma non confida di far cosa buona hora che il papa seguita di ributtar interamente i negotii, se ben l’ha a core et seguita pur di mostrar la medesima volontà benissimo disposta verso le cose nostre. L’ambasciatore di Francia m’ha dato una lettera del suo re, con la quale molto affettuosamente mi ringratia delli offitii fatti qua per le cose sue, //c.140r// me la raccomanda di nuovo, con demostratione di gran confidenza et con offerte molto larghe di mostrarsene grato con effetti alle occasioni etc. A che io generalmente risponderò come conviene. Et in tanto ho voluto darne conto a Vostro Altezza, soggiugnendo che l’ambasciatore sudetto mi dice d’haver scritto a Sua Maestà quel che io li dissi hieri et in buonissima maniera.

Dicemi Alessandrino che Nostro Signore si contenta che i capitani del governo delle galeaze siano posti da Vostra Altezza insieme con li marinari et che ai suoi bastarà che resti la cura de soldati et delle armi et la obedienza de marinari quanto al combattere solamente.

a Dar aggiunto in interlinea superiore.
b Altro aggiunto in interlinea superiore.
c In quel tempo aggiunto in interlinea superiore con segno di richiamo.