Il cardinal Ferdinando al principe Francesco

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Roma, 20 gennaio 1571

Med. 5085, [già num. 160], cc. 321r-v.

Con Farfanicchio, che partì hieri, scrissi di mio arrivo et di quel più che m’occorse. La dilatione data poi alla partita dell’ordinario m’ha fatto giudicare che non possa se non piacere a Vostra Altezza d’havere mie lettere con esso ancora. Però fo queste poche righe, spinto anco da cosa che non mi pare di minima consideratione per la sodisfattione di Vostra Altezza et per la quiete delle cose di costà. Ha dunque da sapere che l’arcivescovo di Firenze sta ogn’hora travagliato dalla sua febbre con accidenti di peggior natura; che il cardinale Montepulciano è assaltato dagli incommodi della vecchieza talmente che se ne sta in casa con fastidio continuo di sciatiche et tal’hora di dolori colici, che fanno paura a suoi; che l’arcivescovo di Siena è consumatissimo dagl’anni et dalla complessione, sì che paia un morto che si muova et molto vicino a cadere. Debbe anco esserle noto che, quando si credette la morte dell’arcivescovo di Firenze, a Aldobrandino stava promessa quella chiesa, havendo fermo Sua Santità col pretesto d’essere egli di quella patria et alla casa nostra congiunto di volontà a pari d’ogn’altro. Et che il medesimo può avvenire nell’altre due, se prima non si fa qualche offitio per fermare Sua Santità et con altro che con generali, affinché ella non habbia a gabbarsi nell’elettione giudicando il contento nostro dalle parole forse simulate d’altri. Ho voluto perciò dirle tutto questo, soggiugnendo che parer mio sarebbe che la conferisse tutto col Gran Duca nostro Signore et mi ordinassero quel che sia loro volontà ch’io faccia o prima che venga il caso, o nel caso stesso, che per la //c.321v.// qualità de soggetti può avvenire ogn’hora, perché Sua Santità sente mal volentieri la richiesta di sopra sedere così fatte resolutioni et potria farle tali sul fatto che non ci piacessero et non si potessero mutare, onde debbe giudicarsi bene di stare preparato. Se pure altro è il parer loro, doveranno in ciò aggradire da me la mira ch’io tengo continua del servitio di casa nostra. Et non m’occorrendo dir più, oltra la salute di don Pietro, resto raccomandandomi nella buona gratia di Vostra Altezza.

Di Roma li xx di gennaro mdlxxi.

[Post-scripta] Hor hora mi vien detto che l’arcivescovo di Fiorenza, dal governo suo capriccioso et da una sistola, si trova precipitato in termine di pochissima speranza et che questa sera lo conducono in Roma per tentare sua migliore ventura. Onde non è da mettere tempo in mezo, non dovendo dormire chi pretende. Io son d’opinione che bisogni fuggire li scogli co’l proponere persona conosciuta et grata a Sua Santità, né di tali mi si presenta altri più a proposito che l’ambasciatore di Vostra Altezza qua, il quale ho visto altre volte in quanto concetto sia di Sua Santità et anco ultimamente quanta inclinatione ella gl’habbia. Pure sia ciò ricevuto solamente per mio ricordo et rispondasi presto, che così giudico esser servitio del negotio.