Il cardinale Ferdinando al granduca Cosimo I

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Roma, 5 maggio 1570

Med. 5085, [già num. 125], cc. 247r-248v.; c. 251r-v.

Alla lettera di Vostra Altezza rispondendo dico che dovendo io stimare sempre buono, per la sua molta prudenza, quel che a lei paia espediente del servitio nostro, mi sono grandemente sodisfatto di sapere la sua volontà, ne particolari ch’io le havevo scritto.

Per Monsignor Illustrissimo Alessandrino non occorrerà altro poi che, sendosi Cornaro accommodato a quelle conditioni che, recusate da lui, lo escludeano, suo è fatto il Camarlingato. Li farò ben vedere l’ordine di Vostra Altezza acciò habbia intanto questo segno di più della sua volontà.

Hoggi debbono esser insieme questi cardinali per conferire tra loro la risposta distesa per l’imperatore et mostrarla poi subito al papa, il quale dal parer di tutti andarà scegliendo quel che giudicarà meglio. Io havendo parlatone con alcuni et con Santa Croce particolarmente, il quale credo che non sarà stimato meno d’altri in questo caso, trovo una risposta tutta honorevole per questa Sede et per Vostra Altezza et piena di paterne reprensioni, et punture così dolcia //c. 247v.// che le medesime feriscono et curano la piaga quasi sempre con le parole istesse della protesta, et si può dir che terminino il negotio et dichiarino la mente di Sua Santità. Quando sarà resoluta, col consenso suo, se ne mandarà copia a Vostra Altezza et tentarassi di far sì che siamo in tempo a ricordar se alcuna cosa n[e] paresse da mutare. Intanto, tornandosene il presente corriere d’ordine del Camaiano, ho voluto accompagnarlo di queste poche righe nelle quali, ripigliando la sua, dico che i commodi miei sono in mano di Vostra Altezza et che a me non peserà mai servitore alcuno che sia secondo la sua sodisfattione. Per ciò mi informarò di questo figliolo della signora Artemisia del quale non ho più notitia che tanto, per fare prima o poi del mio ritorno quel che Vostra Altezza comandarà. Grand’instanza mi fa il signor Marco Antonio Colonna per ch’io accetti al mio servitio un messer Scipione Afflitto gentilhomo prete et dottore napoletano et amato da lui sommamente, delle cui qualità //c. 248r.// buone et virtuose mi predica egli tanto che venendomi confirmato il medesimo da altre bande non sarei forse lontano dal compiacerlob, se fussi con buona gratia di Vostra Altezza, senza la quale io non metterei in casa mia homini di alcuna sorte. Però sia servita dirmi d’ambedue precisamente il suo volere che lo riceverò per gratia.

Alli miei ministri viene scritto da Vergilio Carnesecca che per ordine di lei ha licenziata la casa degli Stufi, il che persuadendomi esser fatto per darne la di Via Larga ch’io le chiesi, la prego a dar ordine che quella ne sia consegnata al mio ritorno, sì che là possa volgersi la famiglia et le robe mie. Che è per fine col quale gli baso la mano, et le prego ogni prosperità.
Di Roma li v di maggio 1570.

[Post scritto] Lassavo di dire che in queste discussioni della protesta imperiale //c. 248v.// è stato sempre parere di Commendone (per quel che più di loro m’hanno referito) che o non si dovesse rispondere o si dovesse mettere in negotio et mandarla in lungo, et questo havere con instanza persuaso forse anco a Sua Santità. Qual fine possa haver havuto, lo pensi Vostra Altezza. Alciato ancora persuadeva che si dovesse aggiugnere certe parole che importassero questa dignità concedersi >non< senza pregiuditio non solo dell’imperatore ma di ogni altro, in tutte le cose mirando a favor de ferraresi de quali è partiale. Feci con Nostro Signore l’offitio che Vostra Altezza mi comandò per monsignor di Foys et con tutti quelli luoghi che mi furono mostrati da lei et da suoi qua cercai di persuaderla a consolarlo. Ma ella, sdegnata anco per quello che il giorno innanzi n’havevano passato seco Chiaravalle, l’ambasciatore et quel segretario franzese, mi rispose che questo era un negotio spallato al quale ella non haveva mai voluto dare orecchie perché era certa che >egli< sentiva male della fede, né era //c. 251r.// pentito o mutato, né ben assoluto, come haveano detto a Vostra Altezza, la quale sapeva anco che se fusse ragguagliata del vero non n’harebbe scritto; che ella gli può comandare (questa parola usò) in tutte le cose, ma in questa voleva esser scusata da lei, se a contemplatione sua non gli concedesse altro che il poter venir privatamente a Roma a giustificarsi et abiurare, caso che fusse trovato colpevole, et manifestare i complici; né di questa sententia si saria potuto muoverla un punto, affermando sapere bene che la corte di Francia non era guasta talmente che s’haveva a temere che dessero grado, massimamente d’importanza, a persona così macchiata et per ciò abominevole nel conspetto di Sua Santità. Se io havessi trovato Sua Beatitudine non guasta dall’offitio suddetto di quelli signori, forse harei potuto profittar più, ma così non ho potuto farne altro ritratto. //c. 251v.// Non ho già staccato il negotio sì ch’io non m’habbi lassato udi[r] di parlargliene di nuovo, il che farò se questi ministri mi riporteranno cosa da non offendere et più per loro sodisfattione che per >nostra< speranza. In tanto ho voluto che Vostra Altezza sappia sin qui.

a Così dolci ms. interl. infer.
b Non sarei forse lontano dal compiacerlo ms. interl. sup. su espunzione.