Il cardinale Ferdinando al principe Francesco

Printer-friendly versionPrinter-friendly version

Roma, 1 aprile 1570

Med. 5085, [già num. 108], cc. 211r-212v.

Venendo a Fiorenza il signor Mario Orsino gl’ho commesso che in mio nome visiti Vostra Eccellenza et le dia conto del buono stato mio et della continua volontà ch’io tengo di esser comandato da lei, persuadendomi che tutto le sarà grato quanto richiede la singulare affettione et osservanza che le porto. Intanto, se ben le nuove non sogliono essere il suggetto delle lettere mie, me ne servirò per estender al quanto il ragionare con lei che, senza questo, mi conveniva troncare, dicendole che Nostro Signore sta tuttavia in pensiero come non solo possa ribattere i danni del Turco, ma trovare la via di offenderlo nelle cose sue. Per questo sollecita con ogni studio la Lega de principi et, credendo doverli haver pronti, provede già a modi di farla più salda et più formidabile. Al quale effetto, havendo resoluto di espedir un legato con numero di genti (se bene ha differito in altro tempo la dichiaratione della persona), ha fatta una congregatione di cardinali che pensino a trovare danari in quella forma che si può migliore per supplire //c.211v.// a questa spesa, et domani cominciaranno a raunarsi in casa di Montepulciano per consultarvi sopra, come hanno in tanto fatto hoggi sopra il modo di sumministrar grano a venetiani sì che la strettezza di esso non impedisca o retardi le provisioni loro. Di questo hanno resoluto che dalla Marca si veda quel che può spingersi a quella volta senza gran disordine di questo Stato per accomodarne senza dilatione. Quel che dell’altro si risolverà lo saprà parimente Vostra Eccellenza. La quale se talvolta farà darmi alcun lume di negotii che mi faccia scorta a ingerirmi con le diligenze mie o mi accennerà quel che le tornasse bene di sapere, potrà conoscere che non mi manca commodità di penetrar la notitia di qualche cosa. Et rimettendomi al prudente giuditio di Vostra Eccellenza, con tutto il core mi raccomando nella gratia sua.

Di Roma il primo di aprile 1570.

//c.212r.// [Postcritto] È stato mandato il Mannelli dalla regina per la speranza data a Sua Maestà di cavar denari delli suoi beni ecc.

È stata procurata et aiutata questa sua venuta qua da Farnese et da Ferrara per havere una persona dalla quale possano far scrivere del papa et del granduca quel che vorranno et che sia creduta, cercando loro di far nascere tra quelle M[agnifiche] Maestà et Sua Altezza qualche disparere. Et di già hanno cominciato a fare proporre alla regina che, non permettendole Sua Altezza di poter vendere quelli suoi benia, Sua Maestà dovria dar tutte le sue attioni a monsignor d’Angiou. Et mostrano che questa nuova coronatione et titolo habbia irritato tutti li principi et potentati d’Italia contra Sua Altezza et vanno sementando principii di sturbare la quiete et la pace d’Italia. Et si credono per questa strada ciascuno di loro farsi papa et il detto Mannelli è il sensale fra di loro di questa pratica, credendosi ciascuno d’essi che gli basti non havere contrario l’altro.

Oltra di ciò Ferrara pensa di servirsi del detto Mannello in fare scrivere contra l’ambasciatore non potendo comportare in modo alcuno che stia più qua. Ha il medesimo pensiero contra il Musotto, credendosi che egli sia causa che il cardinale di Lorena non pigli per impresa di farne commandare all’ambasciatore che tratti li negoti del re come lui gli comandarà et non altrimenti.

//c.212v.// La regina et madama di Parma hanno fatto nuova convenzione et concordia insieme in questo modo. La regina lassa x mila scudi delli 20 mila (che pretende dalli Altoviti et altri creditorib del cardinale de’ Medici) a madama et ella si obliga finir la lite in tempo di sei mesi.

Di più le cederà tutte le ragioni et diritti che ha nelli beni di Firenze contentandosi di pigliare da lei quel frutto che gliene paga il granduca.

Questa nuova concordia è stata fatta per promessa che il Mannelli ha fatto alla regina di farli cavar molti scudi delli detti beni di Firenze. La qual cosa si tocca con mano esser una inventione posta innanzi solo per far nascere qualche disparere fra il granduca et la regina, essendo impossibile in sei mesi finire una lite nella quale in 35 anni appena s’è potuto havere una sententia. Et essendo impossibile trovare chi voglia comprare beni in Firenze nelli quali il granduca pretenda ragione et goda.

a Segue che barrato.
b Creditori sottolineato. La sottolineatura rimanda ad un’aggiunta nel. marg. ester.: questo non è ancora accordato.