Kepler, Galileo, Bernini e Gaspari. Note sulla controversa associazione tra Ellisse e Barocco

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Author: 
Fabio Colonnese
Dipartimento di Storia, Disegno e Restauro dell’Architettura Sapienza Università di Roma
Kepler e l'orbita ellittica [1]

Johannes Kepler (1571-1630) era scienziato dalle convinzioni esoteriche e misticistiche. Mescolava "con spirito eclettico conoscenze di varia origine: scienza ellenistica, filosofia aristotelica e neoplatonica, alchimia, astrologia e numerologia neopitagorica vengono amalgamate in una miscela nella quale l'elemento agglutinante è fornito dalla teologia". [2] Il cammino verso la definizione delle sue tre leggi venne reso possibile dal contributo lasciatogli dall'astronomo danese Tycho Brahe, che stabilitosi in Boemia come matematico imperiale, offrì a Kepler - scienziato protestante in fuga da una Graz appena riconquistata dai controriformisti - un impiego da assistente, nel 1600. L'anno seguente, quando Tycho morì, fu del tutto naturale che Kepler prendesse il suo posto alla prestigiosa corte di Rodolfo II, e raccogliesse la sua cospicua eredità di calcoli ed osservazioni astronomiche.

Gli scritti di Copernico avevano avuto molteplici conseguenze, non ultima quella di aver indirettamente comportato la perdita di quel comodo riferimento immobile che la Terra aveva fornito in tanti secoli alle misurazioni celesti. L'impegno che attendeva Kepler era mostruoso: calcolare contemporaneamente due orbite, quella di Marte e quella terrestre allo scopo di verificare o aggiustare, alla luce dei dati raccolti da Brahe, il complesso modello eliocentrico di Copernico. Kepler vi si dedicò con spirito missionario e didattico. Egli non si limitava ad esporre al lettore i risultati delle sue ricerche: sebbene con un latino forbito e ricco di citazioni, egli narrava anche i motivi per i quali era pervenuto alle sue teorie, raccontava dei suoi tentativi, delle sue incertezze, si soffermava sui suoi errori. [3] Nell'Astronomia Nova seu Physica coelestis (1609) egli narra di almeno settanta tentativi di far tornare le osservazioni con fantasiose combinazioni di circoli ricavabili dall'astronomia tolemaica e da quella copernicana; forse l'aver raccolto la mole di osservazioni di Tycho lo aveva convinto della necessità di mantenere in perfetto ordine tutte le sue considerazioni.

Il disaccordo fra le previsioni offerte dal modello copernicano-ticoniano e le osservazioni permesse dal telescopio ancora oggi visitabile nella torre del Karolinum a Praga, sarebbe stato da chiunque altro trascurato, celato o classificato come frutto di un insanabile errore strumentale, visto che era solo di 8 minuti di grado. Ma le diligenti osservazioni del danese, approssimate ai 4', suggerivano che l'anomalia quantitativa potesse essere corretta. "La bontà divina", scriveva Kepler, "ha concesso a noi il più diligente osservatore nella persona di Tycho Brahe ed è perciò giusto che noi, con mente grata, facciamo uso di questo dono per trovare i veri moti celesti". [4]

Ripartendo dall'errore rilevato Kepler utilizzò l'"ipotesi vicaria" di un'orbita circolare ma eccentrica; poi trasformò il modello di riferimento da circolare ad ovale, con il Sole eccentrico, ma nessuno degli ovali provati eliminava la discrepanza tra osservazioni e modello teorico. Infine nel 1602 ipotizzò che la velocità non fosse costante e adottò una ellisse, la figura che sta tra le due, con la stella ad occupare uno dei due fuochi. [5] La sua infinita pazienza venne ripagata dalla conferma della natura variabile del moto ellittico marziano. [fig. 1]

La matematica era ufficialmente divenuta la lingua segreta dell'universo. Per la prima volta una singola curva geometrica non combinata con altre curve e una singola legge di moto erano sufficienti a prevedere la posizione dei pianeti e per la prima volta queste previsioni risultavano precise quanto le osservazioni. La volta celeste, non più organismo divino, assumeva le sembianze di un immenso meccanismo ad orologeria mosso da una sola forza magnetica: nelle mani di Newton le traiettorie degli astri diverranno la chiave per risalire dinamicamente dagli effetti alle cause efficienti e scrivere le leggi di attrazione universale.

Kepler morì nel 1630 e, a dispetto del suo impegno nella divulgazione [6] e la sua corrispondenza con Galileo, le sue rivoluzionarie scoperte avevano prodotto poche conseguenze visibili. Ciò nonostante la tentazione di cercarne in campo architettonico ha sedotto più di uno storico, in particolare nella rinnovanda Roma barocca, presso la corte pontificia, sempre aggiornata sulle potenziali minacce al suo millenario potere spirituale e temporale.

 

Gianlorenzo Bernini

Alla morte di Kepler, il trentaduenne Gianlorenzo Bernini, già scultore affermato alle prese col baldacchino in San Pietro (1627-34), si trovava da qualche mese alla guida dell'impegnativa fabbrica di Palazzo Barberini, per il quale propose un grande salone di forma ellittica. [7] La stessa forma ellittica, presente pure nello stesso Baldacchino, ritornerà nella Cappella dei Re Magi del Palazzo di Propaganda Fidae - presto demolita -, nella Cappella Cornaro, nel Sant'Andrea al Quirinale, nei progetti per il Louvre e ovviamente, nel colonnato di Piazza San Pietro. [8] Certo, ogni progetto è una storia a sé, ogni pianta costituisce la risposta a programmi e requisiti diversi [9] ma si potrebbe tranquillamente sostenere che durante la sua lunga e fortunata carriera Bernini operi una sostituzione quasi sistematica della figura circolare con quella ellittica: un atteggiamento che potrebbe apparire come il segnale che suggella il successo e la diffusione del nuovo modello dinamico.

A ben vedere il perimetro del salone di Palazzo Barberini non è una vera ellisse ma un ovato, il cui disegno complessivo si discosta poco dalla prima ma presenta meno difficoltà pratiche di tracciamento. Ovali sono anche tutti gli altri tracciati che Bernini adotta nelle occasioni in cui sembra inseguire la forma ellittica, senza eccezioni. Ma è poi vero che Bernini inseguisse la forma ellittica? Su questo punto torneremo in seguito. Ora è importante sottolineare come l'ovale non costituisse affatto una novità per gli architetti barocchi. [fig. 2]

Nel Cinquecento figure ovali erano comparse sempre più spesso ad incorniciare ritratti ed emblemi, epigrafi e cammei, mentre timpani e nicchie assumevano empiriche traiettorie semi-ovali. [10] Ovale era probabilmente la cripta della tomba per Giulio II nelle intenzioni di Michelangelo, molti anni prima della piazza capitolina, così come ovale diverrà il profilo della cupola di San Pietro. Ovali sono la cupola del Sant'Andrea e la chiesetta di Sant'Anna dei Palafrenieri del Vignola, alla metà del secolo e ancora prima numerose strutture schizzate da Baldassarre Peruzzi [11], in parte revisionate e diffuse in tutta Europa proprio da Sebastiano Serlio. Proprio il trattato del bolognese - la prima edizione del Primo Libro è del 1545 - diviene il principale riferimento per gli artisti tardorinascimentali interessati alla figura ovale in virtù delle quattro diverse costruzioni riportate. [fig. 3]

I progetti di Peruzzi, Vignola e gli altri costituiscono quindi gli esiti di una più ampia ricerca sul tema di un policentrismo (e quindi anche sulle figure bifocali) teso a saggiare i limiti dell'integrità geometrica e sincronica degli organismi centrici e a valorizzare il movimento umano come chiave per la ricomposizione delle singole parti in un'unica esperienza spaziale diacronica. [12] "Quando ancora né le scoperte astronomiche, né l'indagine sistematica sul comportamento dei gravi avevano iniziato a demolire i dogmi antropocentrici e geocentrici, (…) le ricerche architettoniche sulla dialettica delle forme, sulle loro intersezioni, sulle loro contrazioni e anamorfosi prospettiche, tipiche del Bramante, del Peruzzi, del Michelangelo, del Serlio e, più tardi, del De l'Orme, del Palladio e del Montano, preparano ad accettare, mediante l'educazione visiva, la relatività e l'indeterminatezza che il pensiero scientifico introdurrà concretamente in tutti i livelli della vita associata". [13]

D'altro canto è pur vero che l'ellisse stessa era conosciuta dagli architetti rinascimentali. Com'è noto le sezioni piane di un cono circolare proiettivo - "ellisse" nel caso di un piano generico, "parabola" nel caso di un piano parallelo ad una generatrice e "iperbole" nel caso di un piano parallelo all'asse - erano state individuate da Apollonio di Perge nel II secolo a.C. e formalizzate in una grande monografia in otto libri. Il metodo che Antemio di Tralle, l'architetto di Santa Sofia, aveva inventato nel VI secolo, era noto agli arabi e lo ritroviamo, agli albori del Seicento, negli scritti di Guidobaldo del Monte [14], Simon Stevin [15] e dello stesso Kepler. [16] La cosiddetta "costruzione del giardiniere", nota tra gli specialisti di giardinaggio e realizzabile con una corda, un punteruolo e due paletti, non era invece nota a Serlio, che riporta solo la costruzione proiettiva nota come procedimento approssimato di Archimede, mentre il procedimento proto-omologico per stirare un arco mantenendone l'altezza, noto come "arco allungato", era già presente nei disegni di Leonardo [17], nel trattato di Dürer [18] e in quello di Philibert de l'Orme [19]: segno che probabilmente era in uso nei cantieri già in epoca tardo-mediovale, come confermano alcuni trattati pratici di stereotomia del XVI secolo. [20] L'ellisse era infatti considerata una figura empirica di raccordo necessaria in certe transizioni strutturali ma di scarsa utilità in fase compositiva e, soprattutto, difficile da tracciare in cantiere. Essa incarnava quindi l'idea di deformazione dei tracciati circolari in determinati contesti.

Viceversa nel 1603, l'ovale aveva ricevuto il plauso ufficiale dell'accademico Zuccari, per il quale "la pianta ovale, graziosissima tra le altre, eletta per più propria convenienza, avanza di gran lunga tutte le altre forme e similitudini proposte da Vitruvio e da altri eccellenti ingegni nel formar templi". [21] Il risultato è che Bernini, come altri suoi colleghi, pur conoscendo l'ellisse e sue possibili costruzioni, adottò sempre costruzioni ovali. A questo punto, la nostra indagine si sposta dal piano quantitativo a quello qualitativo: per giudicare se Bernini, pur adottando tracciati ovali, volesse alludere all'ellisse, dobbiamo analizzare che tipo di costruzione policentrica abbia elaborato e in che modo e misura la struttura architettonica si conformi ad essa.

 

Il Gran Teatro del Bernini

Bernini non è certo celebrato come teorico. Anthony Blunt lo descrive come un artista "brillante e precoce, affascinante, socievole" [22] e tatticamente abile a muoversi nella Corte Papale, sicuro di sé grazie alla protezione dei Barberini. Lo Chantelou, suo biografo parigino, lo ritrae come un attore consumato, un fine dicitore con "un talento tutto particolare nel manifestare le cose con la parola, con l'atteggiamento del viso e con i gesti, e di esprimerle tanto piacevolmente quanto i più grandi pittori hanno saputo fare con i loro pennelli". [23]

Bernini sembra aver posseduto una capacità innata di "pattinare" elegantemente sulla sottile superficie dello sterminato patrimonio storico e iconografico romano senza rimanerne invischiato da questioni filologiche. I disegni parlano piuttosto chiaro. Al contrario del tormentato e minuzioso lavorio cerebrale del Borromini, "Bernini si sottrae a quanto di ripetitivo, di meccanico, di artigianale c'è nel disegno dell'architettura in quanto disegno geometrico per concentrarsi esclusivamente sull'idea registrata in appunti veloci, sommari, disinteressati di ogni aspetto morfologico, dimensionale, di rappresentazione in scala". [24] "La rappresentazione emblematica, ecco ciò che appartiene proprio al Bernini in quanto interprete e inventore del Barocco, quella capacità di concentrarsi sull'essenziale, quel ridurre tutto (...) ad una idea semplice, essenziale, in qualche modo elementare". In lui prevale la sintesi, il gesto, uno schematismo emblematico che è l'esito di un processo mentale fantastico, col quale insegue il coinvolgimento emotivo dello spettatore, "una idea di stupore straordinario" [25], come scrive egli stesso; gli esercizi di Sant'Ignazio, quotidianamente praticati, potrebbero ulteriormente aver sviluppato questa sua immaginazione. [26]

Questo ci induce a suffragare quanto Wittkover ha scritto della sua produzione plastica. Egli sostiene che, nonostante le sculture di Bernini siano concepite in profondità, in continuità con l'ambiente in cui sono pensate, esse restino legate come immagini ad un unico punto di vista principale. "Sebbene stimolino lo spettatore a circolare, esse richiedono il punto di vista esatto non solo per rivelare le loro qualità di assorbire e penetrare lo spazio, ma anche per afferrare in pieno il significato dell'azione o del tema raffigurati. È certamente il fatto che Bernini rappresenti continuamente un momento transitorio a rendere inevitabile l'aspetto del punto di vista unico: il punto culminante di un'azione può essere rivelato completamente da un punto di vista solo". [27]

Questo sembra essere valido anche per le sue architetture meticolosamente studiate per lo spettatore. Quando entriamo nel salone ovale di Palazzo Barberini, per un istante restiamo come bloccati sulla soglia, perché si realizza il sogno segreto dei primi autori dei templi centrali rinascimentali e dei loro visitatori: il sogno di trovarsi di colpo al centro della "rotonda", da dove godere indisturbati le sue molteplici simmetrie. Egli stesso avrebbe notato anni dopo che "quando si entra nelle chiese che sono completamente circolari si fanno solitamente sette o otto passi e ciò impedisce di percepirne bene la forma". [28] L'ovale trasverso consente invece di stupire il visitatore/spettatore attraverso una illusione che si materializza quando egli giunge in corrispondenza del centro che sottende l'arco maggiore della curva policentrica perimetrale e che, in virtù dell'ampiezza del campo visivo umano indirizzato dagli stipiti del vano d'ingresso, determina la sensazione di entrare in un vasto ambiente cilindrico, anzi di trovarcisi già nel mezzo. Naturalmente il passo successivo spezza il fragile incantesimo e rivela la natura pseudo-ellittica del salone ma attiva un nuovo movimento di esplorazione e conduce ad una "esaltazione trasversale del campo visivo dell'occhio umano, ad una rotazione quindi dinamica dello sguardo per appropriarsi e percepire l'intero fenomeno" [29], perfino all'alterazione dei tempi e delle traiettorie del movimento umano. [fig. 4]

Ecco il sorprendente coup de theatre utile a travolgere lo spettatore. "Il Barocco è servito", verrebbe da dire, e col Barocco quella ricerca di grandeur e di sensazionalismo che anticipa, grazie alla luce alla bernina, cromaticamente alterata, gli esiti del diorama e che sfocerà - ci sia concessa la semplicistica associazione - nell'urbanistica monumentale e, secoli dopo, nel Cinemascope.

Da queste prime osservazioni si potrebbe pensare che l'ovale seduca il Bernini innanzitutto per le sue intrinseche proprietà ottiche e le sue conseguenze percettive sull'osservatore in movimento. D'altro canto l'originalità e il segreto della proposta berniniana risiedono nel disporre l'ovale in pianta con l'asse maggiore ortogonale all'ingresso, come solo Peruzzi [30] e Michelangelo fino ad allora avevano osato proporre. [31] Tale disposizione si accorda perfettamente con l'idea di condensare lo spettacolo in un luogo preciso per un preciso punto di vista, invece di diluirlo, disponendo l'ovale longitudinalmente, o di frantumarlo in molteplici centri, come avevano sperimentato artisti dalla sensibilità manierista e tormentata.

Eppure il rilievo metrico della sala, eseguito personalmente [32], ci suggerisce la presenza di una attenzione alla forma dell'ovale che ci costringe a riconsiderare le prime impressione e a ricollocarne il baricentro progettuale a metà strada tra le questioni di "carattere", come direbbe Colin Rowe [33], e quelle di "composizione".

La costruzione geometrica [fig. 5] segue uno schema a quattro centri che prende avvio da un rettangolo aureo: la sua diagonale individua un triangolo rettangolo che, riprodotto simmetricamente rispetto agli assi individuati dai cateti, allestisce lo schema romboidale di base con i quattro centri nei vertici. A questo punto occorre costruire due circoli ausiliari aventi come centro i due vertici acuti del rombo e come raggio il cateto minore del triangolo aureo, che individuano sull'asse minore i punti di intersezione dei circoli minori dell'ovale e, di conseguenza, il loro raggio. I prolungamenti delle ipotenuse su questi circoli individuano infine i punti di continuità e, di conseguenza, il raggio degli archi maggiori.

Tra le proprietà di un simile ovale c'è quella di avere il rapporto tra i due assi molto prossimo a 2/3 e di distaccarsi di pochissimo (2,5% più stretta sul raggio dell'arco minore) dall'ellisse costruita sugli stessi assi. Ma la peculiarità di questo specifico ovale, che siamo tentati di chiamare "aureo", è quella di individuare nei quattro punti di continuità degli archi, i quattro vertici di un altro rettangolo aureo, che peraltro presenta lati di lunghezza doppia rispetto al rettangolo di partenza (ed è perciò uguale ma ruotato di 90° rispetto all'ipotetico rettangolo che circoscrive il rombo di base). Corollario di questa proprietà è quello di avere i centri degli archi minori su una circonferenza inscritta nel rettangolo aureo o, se preferite, sui vertici di un quadrato ruotato a 45°, in analogia col secondo e col terzo schema disegnati dal Serlio.

Tale risultato ci suggerisce la possibilità che il Bernini, o qualcun'altro prima di lui, abbia elaborato tale schema proprio come revisione degli schemi del bolognese, nel tentativo di mantenere attiva la relazione geometrica tra l'ovale e il rettangolo inscritto e, addirittura, pensare di definire l'ovale a partire da un rettangolo aureo, seguendo il procedimento inverso a quello qui ipotizzato. [34]

È bene sottolineare che nel salone Bernini non aveva il problema di dover orientare ingressi o vani finestra verso i centri, visto che doveva prevalere l'andamento ortogonale dell'impianto planimetrico e dei saloni limitrofi; né aveva vincoli di copertura, visto che al di sopra della cupola non ci sono altri ambienti. Egli ha quindi avuto la possibilità di orchestrare i rapporti geometrici secondo la sua precisa volontà. E dal risultato, si può certo dire che Bernini conoscesse bene sia le costruzioni di Serlio che le proprietà delle policentriche, tanto da riuscire ad assoggettarle ad uno schema proporzionale tanto personale quanto classicheggiante.

Il salone ovale di Palazzo Barberini si può quindi considerare il risultato di un ovale "a vocazione ellittica"? Diciamo che da una struttura ellittica ci si aspetterebbe una relazione più evidente tra il disegno dei partiti architettonici (lesene, pavimento, cupola, ecc.) e il centro oppure, in alternativa, i due fuochi. Qui, invece, Bernini propone una volta intonacata priva di caratterizzazioni architettoniche ed un pavimento in pianelle di cotto orientate a 45° per dissimulare assi e allineamenti. Ciò nonostante occorre sottolineare che le lesene lungo le pareti sono leggermente concave, a sottolineare una matrice comune con la forma generale dell'ambiente: questa leggera deformazione è una soluzione che ritroveremo anche in altre sue opere ma che, come vedremo, egli non riuscirà mai ad applicare alla colonna libera, l'elemento principe dell'architettura, ma solo alle sue proiezioni sulle pareti.

 

Kepler, Bernini e Galileo

Un personaggio carismatico e complesso come Bernini non può certo ridursi a uomo di teatro e l'innata sensibilità per lo spettatore in movimento non è che una delle sue facce. Il giudizio di Franco Borsi, che lo disegna come "uomo senza lettere" cresciuto tra botteghe e cantieri, è forse troppo condizionato dalla scoperta che l'elenco testamentario dei suoi beni non comprendeva alcun libro. [35] Probabilmente Bernini non ne accumulava e, certo, solo occasionalmente costituivano quei preziosi strumenti di ispirazione e di indagine di cui si circondava e armava invece il Borromini, che alla morte ne possedeva almeno 459. [36] Ma questa stranezza è stata spiegata da Sarah McPhee [37], che ha rintracciato il corrispondente inventario del patrimonio del più giovane fratello Luigi Bernini, ingegnere e matematico col quale il primo collaborava. Tale elenco ha rivelato come molti dei 169 titoli possano essere facilmente ricondotti alla biblioteca del cavalier Bernino, visto che dopo la sua morte Luigi si trasferisce nella casa-studio di via della Mercede. Nell'elenco prevalgono la letteratura e i testi in volgare, ma vi troviamo anche Euclide, tre edizioni di Vitruvio, la Simmetria dei corpi di Dürer, gli Ordini e la Prospettiva del Vignola, i trattati di Palladio, Sabbatini, Lorini, Sirigatti, Labacco, L'inganno degli occhi di Accolti e, naturalmente, Tutte l'opere d'architettura et prospettiva di Sebastiano Serlio nell'edizione del 1600. Ma l'aspetto più interessante, su cui occorre soffermarsi, è che vi troviamo libri che confermano l'interesse dei Bernini per il dibattito astronomico dell'epoca. Ad esempio è presente L'Occhiale all'occhio. Dioptrica pratica di Carlo Antonio Manzini, che contiene una discussione pratica dell'occhio umano e il comportamento di luci e ombre rispetto alle lenti; si contano due volumi di matematica di Bonaventura Cavalieri ma la parte del leone la svolge proprio Galileo, il suo raro manoscritto sulla meccanica, di cui si conoscono solo dodici esemplari nel mondo, ed una copia del suo esplosivo Dialogo […] sopra i due massimi sistemi, di cui conosciamo gli storici esiti. Se a questi documenti aggiungiamo l'episodio del frontespizio astrografico [fig. 6] che il Bernini disegna personalmente per il libro Optica Philosophica di Nicola Zucchi, ci troviamo di fronte ad un "quadro accusatorio" che, per quanto indiziario, lascia pensare che l'artista fosse interessato e documentato sul dibattito in atto almeno tra sistema copernicano e ticoniano, se non addirittura direttamente coinvolto nella controversia galileiana. [38]

Sebbene i progetti di Bernini sembrano escludere il ricorso diretto all'ellisse e non esistano documenti in grado di mettere in correlazione diretta l'opera dell'artista romano con gli esiti di Kepler, dobbiamo quindi considerare l'eventualità che Bernini, certamente interessato alle vicende astronomiche, ne sia venuto a conoscenza attraverso la mediazione scientifica e divulgativa di Galileo Galilei e le contro-osservazioni elaborate dagli esponenti ecclesiali.

Sappiamo che Kepler e le sue leggi erano note in Italia. Egli aveva studiato a Padova ed era in contatto con diversi scienziati italiani, primo fra tutti Galileo e la sua scuola. A dispetto della sua fede luterana era osservato con interesse dai Gesuiti e gli fu anche offerta la cattedra di Matematica presso l'Università di Bologna. [39] Eppure le leggi del moto planetario rimasero per anni come congelate nell'ambiente accademico, soprattutto in virtù della censura imposta loro proprio dall'amico Galileo. È dimostrato, infatti, che sebbene egli le conoscesse, per qualche motivo, non le introdusse mai nella sua versione del sistema copernicano. Secoli dopo Einstein bollerà tale mancanza come "la dimostrazione grottesca del fatto che gli uomini creativi sono spesso assai poco ricettivi". [40] Panofsky ne fornisce invece una spiegazione diversa, per certi versi affascinante, che trova la sua ragione nella formazione culturale classicamente rinascimentale del pisano, che credeva ciecamente nello status privilegiato del cerchio, da un punto di vista matematico, estetico e meccanico.

Oggi noi consideriamo il cerchio come un caso particolare dell'ellisse ma è probabile che Galileo considerasse piuttosto l'ellisse come una distorsione del cerchio, "una forma in cui il perfetto ordine è stato turbato dall'intrusione del moto rettilineo" [41] e, come tale, una geometria sconveniente e inaccettabile a sostenere il moto degli astri. Come Galileo e forse anche in virtù della sua lettura, Bernini sembra riconoscere il primato della geometria circolare su quella ellittica: ce ne fornisce più di una conferma, scegliendo la pianta circolare per il Tempio di Ariccia (1663-65) o plaudendo l'analoga scelta da parte di Guarino Guarini nella chiesa parigina dei Teatini con una sorta di apologia del compasso. [42] Sembrerebbe una contraddizione rispetto a quanto enunciato all'inizio di questo testo, ma è probabile che un certo entusiasmo giovanile verso l'ovale si sia come stemperato nel corso degli anni, suggerendo una posizione di maggior equilibrio nei confronti delle strutture centrali, comunque al centro dei suoi interessi.

A tale posizione potrebbero aver contribuito molti elementi, come l'esperienza di restauro ed isolamento del Pantheon [43], che egli conduce tra il 1662 e il 1670 e la collaborativa amicizia col gesuita Athanasius Kircher, che pure si era interessato alle proprietà acustiche nelle sale a volta ellittica [44] intorno al 1650 ma che si dichiarava ancora fortemente legato al modello astronomico ticonico. [45] D'altro canto anche all'interno dei Gesuiti erano presenti diverse correnti, i cui esponenti erano interessati a mediare tra le posizioni più estremiste per ricomporre lo strappo prodotto dalle osservazioni e dai calcoli degli scienziati.

Lo stesso Guarini ha già un atteggiamento differente rispetto all'ellisse: certamente più teorico e curioso di Bernini, egli ha l'opportunità di conoscere gli scritti di Desargues e quindi di accedere ad una differente e più organica visione della geometria delle coniche. [46] Eppure è come minimo sorprendente che nell'Euclides (1671) egli sostenga l'utilità dell'ellisse per spiegare i moti dei pianeti [47], offrendo non solo un richiamo piuttosto esplicito alla prima legge di Keplero ma anche l'indizio di un atteggiamento critico nei confronti del sistema geocentrico, che pure, in quanto padre Teatino, sostenne per tutta la vita.

 

Il primato del cerchio

La priorità che Bernini assegna al cerchio, e all'ovale in quanto sua composita derivazione, si può ricavare anche dalla sua scarsa attitudine a deformare l'ordine architettonico e a corrompere la direttrice circolare della colonna, come richiederebbe la rigorosa affiliazione del sistema costruttivo dell'ordine architettonico ad una matrice ellittica che possiamo già intuire dal precoce colonnato ovale/ellittico disegnato da Baldassarre Peruzzi. [48]

La cartina di Tornasole di questo atteggiamento ci viene offerta dalla celebre critica di un altro religioso, il cistercense Juan de Caramuel de Lobkowitz. Consapevole della portata rivoluzionaria delle scoperte kepleriane, egli si trovò ad assistere Alessandro VII durante gli anni di Piazza San Pietro (1656-1667). Per Caramuel il disegno della piazza, che egli alternatamente definì ellisse tetrastila e anfiteatro ovale, era sbagliato. Le fontane che avrebbero dovuto simularne i fuochi, negavano la presenza di un unico centro e l'idea stessa di un universo unificato dalla perfezione dell'ellissi. A tale scopo lo spagnolo proponeva di adottare i principi della sua geometria obliqua per deformare le file interne di colonne che delimitano il triplice portico. Nelle celebri laminas incluse nell'Architectura civil (1678), egli illustra due distinte soluzioni [fig. 7] per allestire una grandiosa allegoria della condizione umana, costretta a vedere il mondo da vicino, con tutte le sue manifeste distorsioni, a differenza dell'occhio di Dio, idealmente collocato nel centro della piazza, da dove tutte le colonne sarebbero apparse uguali e circolari. [49]

La lettura critica di Caramuel non che una delle numerose osservazioni e dei contro-progetti che vennero portati all'attenzione di Innocenzo X prima e di Alessandro VII dopo per scongiurare l'ipotesi berniniana. Egli peraltro non si scaglia, come gli altri, contro l'impostazione generale del colonnato, che definisce invece "obra de gran magestad" [50] ma piuttosto contro il modo di risolvere nodi ed elementi di una struttura che contemplava tutti e tre i casi del repertorio obliquo - la presenza di piani di calpestio inclinati o obliquaciòn, l'intersezione di piani non ortogonali o declinaciòn e le configurazioni radiali o circulatiòn - e che quindi avrebbe dovuto mostrare i suoi effetti sulla forma stessa delle colonne. [51]

"La cultura della deformazione presente in Caramuel è la diretta e naturale conseguenza di una cultura architettonica, quella spagnola, che dal medioevo in avanti si è fondata sull'arte del taglio delle pietre, e dunque su strumenti e metodi puramente geometrici per consentire il controllo delle forme nello spazio". [52] Viceversa in Bernini agiva l'eredità dei maestri cinquecenteschi, che non avrebbero mai sacrificato la purezza geometrica e proporzionale di un ordine architettonico deformandolo al servizio della forma dell'ambiente. [53] D'altronde lo stesso pudore nei confronti dell'ordine architettonico lo ritroviamo in quelle occasioni in cui Bernini si cimenta con la prospettiva "solida" o "materiale" [54] allo scopo di ridurre le irregolarità del sito e di amplificarne le dimensioni, come nella celebre Scala Regia [55] o nel meno noto progetto di sacello prospettico destinato ad ospitare la statua di Filippo IV in fondo all'antico portico d'ingresso a Santa Maria Maggiore. [56]

Naturalmente il tema di Piazza San Pietro, in virtù dei suoi superlativi e stratificati connotati iconografici e simbolici, si offriva ad innumerevoli esegesi. Anche solo per restare nell'ambito astronomico, già nel 1667 Athanasius Kircher inviava al Cardinale Nini "il progetto per una meridiana solare per la piazza antistante la basilica di S.Pietro, e costruita in modo da poter indicare, attraverso i colori, le ore astronomiche, solari e zodiacali". [57] Su analoghe suggestioni si muove l'ipotesi iconografica eliocentrica suggerita da Marcello Fagiolo, suffragata anche dalla proposta di una pavimentazione cosmografica per la piazza elaborate da Cornelis Meyer [fig. 8] con le viste dei globi terrestri e celesti, dei diagrammi dei sistemi di Tolomeo e di Tycho, e censurando, in extremis, quelli di Copernico e Cartesio. [58]

Anche Carlo Fontana, il principale erede di Bernini - che invece teorico e trattatista ha provato a esserlo - assume un atteggiamento critico nei confronti del maestro. Nel Templum Vaticanum (1694) egli rimarca la natura circolare dei bracci, o meglio di "quasi semicircoli", che vanno a comporre quella che egli definisce "una figura quasi di elipse", ma che poche righe dopo diventa "ovato". [59] Se la sua descrizione ci lascia perplessi sulla apparente interscambiabilità dei due termini, che appare confermata anche nel passaggio dal testo latino a quello italiano, d'altro canto egli sembra voler sottolineare che l'ovale di fronte al Templum Vaticanum avrebbe dovuto essere disposto longitudinalmente e non trasversalmente, ed "essere situati i portici per il longo, e formare la vera figura Elipse, colla quale dovrebbero essere quasi congiunti al Tempio, come è stato pratticato dagl'antichi Romani ne' loro Teatri" [60], quasi che tale disposizione fosse reputata una condizione ineludibile per poter ottenere una "vera elipse". [61]

Timothy Kaori Kitao, che ha dedicato molti sforzi a ricostruire le vicende geometriche della costruzione della Piazza, sostiene che dietro all'uso dell'ovale in piazza S.Pietro si celi l'intenzione di manifestare la perfezione del cerchio: essa sarebbe fondamentalmente l'esito di un progetto in anamorfosi, in cui la forma ovale, utile a risolvere le questioni funzionali e distributive dei due bracci curvi, sarebbe assoggettata alla percezione in prospettiva che ne dissimula la vera forma, visto che, in assenza di riferimenti ortogonali misurabili, l'osservatore sarebbe portato - secondo i principi di comodità ed economia enunciati dalla Gestaltheorie, aggiungiamo noi - ad assumere la sua profondità uguale alla sua larghezza e quindi a considerare che la piazza è molto probabilmente circolare. [62] D'altro canto, come obbietta George Bauer, "nello studio di Piazza S.Pietro, interpretazione e descrizione storica non possono essere separati" [63] e cercare esclusivamente nella contesa tra cerchio ed ovale le motivazioni della forma finale rischia di essere fuorviante. La lunga vicenda del teatro vaticano, con le sue infinite difficoltà operative e le conseguenti semplificazioni e approssimazioni, si intreccia con molti altri aspetti, non ultimi gli sviluppi astronomici, impliciti nella sua ambizione di allegoria dell'universo, che avevano indirettamente certificato il valore empirico e limitato della percezione umana. L'artista Bernini era certamente consapevole di come dissimulare figure e profondità, così come della differenza minima di tracciamento, spesso impercettibile, che corre tra ellissi e certe costruzioni ovali. [64] Tutta la sua architettura si potrebbe descrivere come il risultato di una continua oscillazione tra il primato dell'effetto visivo, proprio dello scultore, e la fondamentale e impalpabile orchestrazione dei tracciati geometrici per le proporzioni dello spazio e per la sua stessa fattibilità costruttiva.

La sua precoce formazione da scultore lo aveva probabilmente convinto dell'importanza di avere le seste negli occhi, come asserito dal suo amato Michelangelo [65] e aveva preso da subito l'abitudine di servirsi di modelli a scala naturale, in legno, creta e stucco, tanto nella scultura che nell'architettura: è il caso della copertura del Baldacchino, attraverso cui si convince a gettare in bronzo un ellissoide appena più alto che largo [66], tale che dal basso sarebbe apparso come una sfera perfetta. Il modello per la Cattedra lo convinse invece ad ingrandirne le parti per accondiscenderne la visione distante, "un inimico con il quale bisogna combattere a campo aperto". [67]

Così in Piazza San Pietro, Bernini cercò di ridurre al minimo gli effetti visivi delle "obliquazioni" orizzontali e verticali necessarie per raccordare i bracci del portico e mise l'intera struttura al servizio della percezione della facciata della chiesa; a tale scopo vennero complessivamente realizzati ben sette differenti modelli per il colonnato che permisero, tra l'altro, di valutare, assieme ad Alessandro VII stesso, la visibilità della loggia papale. George Bauer parla a tale proposito di direct forming, come di un procedimento di realizzazione che avviene per successive approssimazioni di modelli, fino alla sua realizzazione. [68]

 

Sant'Andrea al Quirinale

Nel Sant'Andrea al Quirinale la coreografia spaziale avrebbe dovuto essere gestita dal muro sul filo della strada, che avrebbe nascosto la chiesa e segnato i termini fisici per la percezione del suo involucro esterno. Quando diventò evidente l'impossibilità di filtrare l'ingresso con il cortile presente nella prima chirografia, Bernini decise di raccordare con due pareti concave il filo della strada col volume della chiesa e di affidare ad un protiro semicircolare la transizione necessaria ad apprezzarne l'interno. Otto sono i passi che servono ad oltrepassare la soglia e ad affacciarsi al limitare dell'ovale interno, che costituisce già il punto di vista principale, dove ci coglie l'impressione di essere già arrivati alla fine. Al nostro sguardo puntato sull'altare e schermato dall'iconostasi resta poco da scoprire: solo da ammirare il teatrale spettacolo dell'ascensione del santo attratto verso la lanterna.

Gli straordinari effetti scenici dell'interno sono l'esito di un lungo processo di progettazione e modellazione scultorea, quasi che sul finire della sua carriera Bernini volesse cogliere l'occasione offerta dalla fabbrica al Quirinale per definire un intero edificio con le modalità di un modello in scala 1:1. [69] Pur essendo già eretta e voltata nel 1659 e senza che da parte della commitenza gesuita né dal pontefice mediatore ci fosse alcuna lamentela, Bernini continuò a modificarne e perfezionarne la forma per molti anni tramite piccoli accorgimenti negli spessori murari e nell'orientamento delle cappelle. È significativa in questo senso la testimonianza dello scultore Antonio Raggi, impegnato nelle sculture presso le finestre, "con l'assistenza del Sig. Cavalier Bernini, il quale spesso le rivedeva, faceva disfare e rifare qualcosa che non li piaceva e più volte è salito sopra ad aggiustarle con le proprie mani". [70]

Mentre plasmava senza fretta le superfici interne, valutando de visu l'effetto della luce sull'involucro rustico, l'artista continuava a lavorare sulla pianta allo scopo di ottenere le corrispondenze geometriche e i tracciati desiderati. In lui agiva probabilmente come una rivelazione, la scoperta dei precisi ed elementari rapporti numerici che regolano il Pantheon, del quale stava contemporaneamente seguendo il progetto di isolamento e restauro. Sarà stata la vicinanza col cantiere del suo eterno e talentuoso rivale, Borromini, ma la ricerca di precise corrispondenze numeriche e matematiche assunse nel cantiere sul Quirinale i contorni di una vera e propria ossessione, degna del caparbio Kepler: forse il segnale di una nuova fede nella geometria che si vede nella ricerca di rapporti precisi ma impercettibili ad occhio nudo.

Il perimetro interno della Chiesa di Sant'Andrea è definito nel Racconto della Fabbrica come "di figura ellittica detta ovale" [71], il che dimostra la persistenza di una certa sinonimia tra i due termini. Da un punto di vista progettuale esso è letteralmente il risultato di un cerchio compresso dalle infelici condizioni al contorno, tanto che se viene "dilatato" fino ad assumere una forma circolare, la facciata coincide col filo stradale [fig. 9]; come tale si presta ad essere interpretato come un "ovale a vocazione ellittica". Anche qui, come nel lungo iter esplorativo di Kepler, l'ovale è soprattutto la figura flessibile e facilmente manipolabile in grado di mediare tra le sollecitazioni progettuali del programma funzionale, liturgico e teatrale e l'intrinseca carica simbolica che aveva sempre più assunto la figura dell'ellisse: una "ipotesi vicaria" destinata ad essere deformata empiricamente per gradi, come testimonia la discrepanza tra i progetti e il rilievo dello stato attuale. [72]

La prima chirografia, memore del Tempio Ovale [73] del Serlio [fig. 3e], appare costruita sul secondo schema di Serlio, in cui i quattro centri individuano i vertici di un quadrato e le due circonferenze minori sono tangenti tra loro e con l'asse minore. La sua preoccupazione appare soprattutto quella di ottenere che la lunghezza degli assi corrisponda a numeri interi (64 e 90 palmi all'interno e 104 e 130 all'esterno), più facili da gestire in cantiere, ma anche quella di utilizzare i lati del quadrato orientati a 45° come assi dei pilastri tra le cappelle minori. [fig. 10a] Julia M. Smyth-Pinney [74] mette in evidenza la grande quantità di centri necessaria a soddisfare lo schema di Bernini - un centro per il circolo minore, uno per gli assi della cappelle laterali, uno per i pilastri e un quarto per gli assi delle cappelle mediane - e gli attribuisce la ragione della elaborazione di una seconda chirografia, pochi mesi dopo.

L'altare e le cappelle laterali da quadrangolari divengono quasi curve, pseudo-ovali; lo stretto vestibolo perde le sue colonne laterali e la simmetria con l'altare maggiore, ma la complessità della geometria diminuisce di poco: i centri dei circoli minori vengono avvicinati e le loro circonferenze, che ora si intersecano sull'asse minore, producono un ovale più panciuto; eppure sono ancora necessari tre centri per parte per gestire tutti gli assi dei pieni e dei vuoti anulari. [fig. 10b]

L'ultima soluzione planimetrica, in cui appare il protiro d'ingresso, è fissata su un disegno di Mattia De' Rossi [75] e corrisponde con poche approssimazioni a quella esistente oggi. I centri necessari alla costruzione degli ambienti anulari coincidono con quelli dell'ovale, grazie ad un ulteriore aggiustamento dell'ipotesi vicaria: i centri dei circoli minori si avvicinano ulteriormente e accolgono la convergenza degli assi delle cappelle laterali e quelli dei pilastri, mentre quelli delle cappelle mediane puntano sui centri dei circoli maggiori. Soprattutto Bernini ottiene una semplificazione delle dimensioni principali e dei loro rapporti: il modulo fondamentale di 26 palmi, il lato inferiore del triangolo individuato da tre dei quattro centri dell'ovale, torna raddoppiato come distanza tra i centri dei circoli maggiori (52), quadruplicato (104) come dimensione esterna lungo l'asse minore e quintuplicato (130) come lunghezza esterna lungo l'asse maggiore. [fig. 10c]

Julia M. Smyth-Pinney, oltre a sottolinearne le implicazioni nell'alzato, che riflette fedelmente, come nel Pantheon, la geometria della pianta, individua l'esistenza di almeno altri tre set di moduli e rapporti, che non riducono affatto la straordinaria coerenza matematica ottenuta riducendo a pochi numeri e ai loro multipli il controllo geometrico dell'intero impianto spaziale. Il fatto che in pianta la differenza tra l'ovale di partenza e quello realizzato sia indistinguibile è indice dell'importanza concettuale di un tale lavoro: giungere alla soluzione ideale intuita probabilmente sin dall'inizio doveva appare al cavaliere imprescindibile, necessario esattamente come la dimostrazione di un teorema scientifico o la risoluzione di un rompicapo.

Neppure possiamo escludere un avvicinamento tardo alle deformazioni e alla geometria obliqua promosse dal Caramuel: alcuni indizi si potrebbero trovare nell'angulatiòn delle basi delle colonne del protiro - che peraltro non sembra influenzare la forma dei capitelli che restano a pianta quadrata - e nell'ellisse che sembra affiorare nel disegno del pavimento, riproponendo a terra il disegno monocentrico delle fasce che scandiscono la cupola e scendono lungo gli ordini. Non trapela alcun richiamo alla sofferta sottesa geometria ovale, che ordina invece l'orientamento periferico e in tal modo non si privilegia alcun centro percettivo assoluto. Il disallineamento che si coglie tra cappelle e raggiera pavimentale costringe lo spettatore a muoversi dal suo punto di vista privilegiato per scoprire gli angoli nascosti dietro i setti allineati ai diversi centri dell'ovale. Tale disallineamento suggerisce l'ipotesi di una lenta rotazione delle cappelle lungo l'orbita ellittica del vano centrale, quasi a voler ascrivere alla segreta aspirazione a mettere in scena una metafora astronomica.

Al di là di tutte le illazioni possibili, affiora la convinzione che al Bernini che privilegia l'importanza dell'esito percettivo, finisca negli ultimi anni col prevalere un Bernini a cui sta a cuore l'ordine geometrico e matematico del piccolo templum dei, unica sua opera della quale confesserà la propria fiera soddisfazione al figlio, prima di morire. [76] Ci sembra quindi interessante sottolineare che, osservando l'iter progettuale del Sant'Andrea formato dalle tre piante esaminate, e mettendo a confronto i rettangoli inscritti ai tre ovali mediante i punti di continuità, si ricava l'impressione di un graduale passaggio dalle proporzioni allungate del rettangolo costruibili sulla prima chirografia, a quelle auree del rettangolo inscritto nell'ovale costruito [fig. 10], quasi a voler ripercorrere e attualizzare la soluzione sperimentata in gioventù nel salone di Palazzo Barberini.

In questa attenzione al rapporto aureo è forse possibile indicare un ulteriore punto di contatto col lavoro di Kepler. Nella sua piccola monografia, quasi una strenna natalizia, intitolata Strena seu de Nive Sexangula (1611), a partire da semplici osservazioni sulla struttura esagonale dei fiocchi di neve, l'astronomo si imbatte nella sequenza di Fibonacci. È interessante ricordare che Kepler utilizza termini presi a prestito dagli studi cinquecenteschi di Piero della Francesca e di Luca Pacioli, ma sembra ignorare proprio quelli di Fibonacci. [77]

La sequenza numerica e il rapporto proporzionale a cui dà il nome di sectio divina, rinfocano il suo atteggiamento mistico e lo inducono a cercare nuove formule per dimostrare la segreta convinzione che le orbite planetarie siano basate sui solidi platonici - e tutto questo anni dopo aver scoperto l'orbita ellittica di Marte ed aver collocato il Sole in uno dei fuochi.

Siamo ben consapevoli - e l'esempio di Kepler ne è l'ennesima prova - di come sia facile, se si vuole, trovare rapporti aurei in ogni corpo - architettonico o celeste - che abbia un minimo di complessità, così come siamo coscienti dei rischi nascosti dietro ogni ricostruzione di geometrie più o meno segrete; rimandiamo perciò ad ulteriori verifiche altre considerazioni sull'ipotetico ovale aureo berniniano.

 

Andrea Pozzo e Antonio Gaspari

Per trovare una pianta che aspiri apertamente all'ellisse, non occorre cercare in epoche troppo distanti da quelle del Bernini, e neppure allontanarsi troppo. Vogliamo qui segnalare, a titolo puramente indicativo, le opere di due autori che sono accomunati dalla chiara ispirazione all'artista romano e al Sant'Andrea in particolare. Si tratta di Padre Andrea Pozzo e del veneziano Antonio Gaspari. Entrambi presentano nel loro repertorio progetti ecclesiali databili agli anni ottanta del Seicento ad ovale trasverso, come la Chiesa di San Tommaso di Canterbury nel Venerabile Collegio Inglese a Roma [78] del primo e la Chiesa di San Vitale a Venezia [79] del secondo, che mostrano i primi esiti della ricezione e diffusione del capolavoro berniniano. Ma sono altre due loro opere ad attirare la nostra attenzione, per la loro apparente ambizione di riprodurre una spazialità sinceramente ellittica in un ambiente ecclesiale. Entrambe riconducono l'asse maggiore dell'ovale nella corretta posizione longitudinale ma, allo stesso tempo, mostrano i segni di un differente criterio di organizzazione geometrica della corona di cappelle e altari. La prima è una pianta [80] disegnata da Henri Laloyau, collaboratore di Andrea Pozzo, che assembla due differenti soluzioni per una chiesa ovale [fig. 11a] che abbiamo estrapolato e specchiato per visualizzarle separatamente. [figg. 11b, 11c] Abbiamo inoltre deformato le piante fino ad ottenere delle versioni affini a matrice circolare [figg. 11b', 11c'] utili a mettere in evidenza la struttura monocentrica dei setti radiali che organizzano le cappelle. Queste elaborazioni hanno anche la conseguenza di palesare la generale discendenza di un progetto all'apparenza "eversivo" dai più "innocui" modelli centrici rinascimentali, probabilmente in virtù della affascinante corrispondenza proiettiva che ne legava le singole parti e della "trasparenza prospettica" che permetteva all'osservatore di godere di tutto lo spazio da un unico punto di vista.

"L'intera disposizione dell'edificio si spiegherebbe pertanto come l'audace risultato di una consequenziale trasformazione geometrica che genera un corpo ovale da una rotonda perfettamente circolare" con esiti visivi "del tutto soddisfacenti rispetto ad una soggettiva visuale prospettica offerta dall'unico punto stabile che si trova nel centro dello spazio" e che mostra l'intero edificio "integro e penetrabile sino ai più remoti recessi degli ambienti radiali, senza che alcuna parte venga celata all'occhio". [81]

La stessa "panottica" aspirazione emerge dal lavoro dell'architetto Antonio Gaspari (1656-1723), attivo nell'area veneta sul finire del XVII secolo, e in particolare il Duomo di Este, databile al 1687, appena pochi anni dopo la morte del Bernini. Una delle piante autografe rimaste [82] contiene più di un indizio di una probabile matrice ellittica, nonostante possiamo dirci certi del suo effettivo tracciato ovale, sia da un punto di vista geometrico-costruttivo che storico. In Notizie sopra la caduta e la reedificazione del Duomo (1688), Marco Antonio Da Vò ci offre la cronaca degli eventi che hanno portato alla costruzione del nuovo Duomo, a partire dal terremoto dell'11 aprile 1688 e ai tre disegni prodotti dall'architetto veneziano Antonio Gaspari, tra cui un "ovato perfetto con le sue cappelle laterali". [83] Così all'architetto Gaspari "fu ordinato il modello di legno acioché si potesse veder meglio l'effetto che faceva l'ornato, e con l'aiuto del Signore capitò perfecionato in Este il giorno p.mo di 8bre 1688, con tanta soddisfatione di questo Pubblico, che fatto portare al Pallazzo dell'Ecc.mo Podestà suddetto, niuno se li poteva levare con l'occhio per mirarlo". [84] I dubbi sollevati da alcuni committenti portano a richiedere una consulenza a Carlo Fontana, che dopo aver criticato la forma ovale, spedisce, con indolenza e ritardo, un progetto a pianta longitudinale. "La Congregazione poi, veduto il disegno Fontana […] e piacendo poco la forma della chiesa in tre navate con la crociera non volle nemeno fusse notata alcuna deliberazione qual delli due fosse il migliore, ma unitamente dissero: che La Congregazione haveva accettato il modello Gaspari e che sopra di quello si dovesse proseguire la fabrica, s^ che alli 3 9bre, ritornato in Este il S.or Gaspari vi si fermò a fare il sesto per la 4.ta parte dell'ovato per poter dar principio all'escavazione delle fondamenta, e di fece nella corte delli Ecc.mi Sig.ri Angelo e Domenico fratelli Contarini in S. Pietro per esservi un lastricato molto grande, e che riuscì all'opera molto bene, et il giorno di S. Prosdocimo fu compiuto con soddisfazione di tutti che furono spettatori". [85]

La chiesa ovale viene quindi realizzata a partire da una centina lignea di un quarto dell'intero perimetro realizzata da una sagoma disegnata a terra in scala 1:1; ad essa Gaspari successivamente aggiungerà le complesse sagome delle cappelle laterali, seguendo il cantiere fino alla conclusione della volta nel 1705 e delle decorazioni interne nel 1720. Il risultato è una chiesa a navata longitudinale la cui matrice - ovale nel disegno ma ellittica nelle aspirazioni - sembra conformare tanto gli spazi perimetrali che i dettagli decorativi fino alle estreme conseguenze formali. L'architetto stesso definisce "eliptica la figura geometrica del progetto Pianta prima, pur riferendosi chiaramente al disegno di un ovale". [86] Vista la sua capacità di progettare pure complessi altari in prospettiva solida, non è possibile ignorare una precisa volontà di innestare i semi della geometria obliqua del Caramuel nel solco della consolidata esperienza berniniana.

Ad integrazione di quanto sostenuto da Vincenzo Fontana [87], che ipotizza la matrice della pianta in coppie di rette parallele e tangenti agli ovali centrali, ci sembra evidente una sua genesi per affinità ortogonale a partire da una probabile costruzione ausiliare a pianta circolare e cappelle quadrate orientate verso il centro. Deformando la pianta fino a farle assumere un perimetro circolare, è possibile verificare come tutti gli ambienti periferici "tornino" ad assumere una forma quadrangolare con angoli ortogonali. [fig. 12] Un secondo indizio su cui riflettere è costituito dal rapporto di trasformazione utilizzato, che è poi il rapporto tra asse maggiore e asse minore della figura. Se nella pianta di Laloyau (e Pozzo) tale rapporto è di circa 1,33, risultato di una proporzione generale di 4:3 che imita pedissequamente l'ovale del primo progetto del Sant'Andrea così come il cosiddetto ovale di Vignola, la pianta per S.Tecla rivela invece un rapporto di circa 1,41. Tale numero ci ricorda il valore della diagonale del quadrato di lato unitario, quel "radice di 2" che potrebbe essere la traccia di un preciso criterio di trasformazione geometrica utile a passare da una circonferenza ad una ellisse che abbia l'asse maggiore pari alla diagonale del quadrato che inscrive il primitivo circolo.

 

Conclusioni

Nel corso dello studio delle relazioni che legano l'utilizzo di piante a figura ovale (più o meno a vocazione ellittica) da parte di alcuni architetti barocchi con l'evoluzione formale e concettuale del modello stesso del cosmo, abbiamo verificato che non solo la costruzione ellittica non viene mai utilizzata per impostare geometricamente una pianta architettonica - fatto peraltro già comunemente acquisito -  ma che anche quella ovale viene di norma usata facendo riferimento ai centri geometrici dell'ovale stesso e senza quindi alludere alla figura ellittica che invece molti vogliono vederci.

In questo rapido excursus abbiamo ovviamente trascurato il contributo di Borromini, Guarini e tanti altri maestri, privilegiando Bernini anche in virtù delle sue esclusive relazioni col Vaticano e coi Gesuiti, in particolare, che gli garantivano di essere costantemente aggiornato su ricerche fondamentali come quelle di Kepler e Galileo.

Da quanto detto possiamo facilmente immaginare che, pur essendo indirettamente entrato in contatto con le scoperte di Kepler, Bernini non ne abbia ricavato che una conferma della bontà del proprio alfabeto formale, senza sentirsi obbligato ad una più profonda e critica revisione in virtù delle particolari proprietà geometriche dell'ellisse. Così, sebbene spesso chiamato dai suoi prestigiosi incarichi ad allestire delle complesse "messe in scena" di natura teologica e cosmogonica, il Cavaliere avrebbe adottato l'ovale - e in particolare ovali basati sulla relazione aurea - nel nome di un consapevole divorzio tra teoria e pratica, alla luce di un più generale cambiamento di gusto indirizzato verso la composizione bifocale e le figure direzionate: un divorzio maturato internamente alle arti, frutto di un processo di sperimentazione e deformazione di apparati formali sempre più articolati durato tutto il Cinquecento.

Solo in un secondo momento, durante l'esperienza progettuale e costruttiva di Sant'Andrea al Quirinale, Bernini avrebbe superato la sua predilezione per la geometria del cerchio a favore di una più elevata ed espressiva sintesi tra costruzione geometrica, apparato decorativo ed esito percettivo, spostando la chiave rappresentativa e cosmologica dal piano allegorico-figurativo, come ancora accade in Piazza S. Pietro, alla metafora spaziale e strutturale che perturba formalmente tutti gli elementi strutturali e decorativi. Così facendo egli avrebbe di fatto aperto le porte ad "un berninismo di seconda generazione, di più disinvolto impatto scenico e pronto a contaminarsi con spunti di altra natura" [88] come le indicazioni lasciate da Caramuel.

Alla "rottura del cerchio", avvenuta sotto le spinte dissocianti del Manierismo, come scrive Battistini, gli artisti reagirono "con il bisogno di una soluzione unitaria" [89], utilizzando la metafora e la metamorfosi come tramiti figurativi e geometrici utili a mettere in scena la transizione tra il possibile e l'impossibile, tra il reale e il sogno; ed anche la ricerca, da parte di Pozzo e Gaspari, di una geometria universale e unificata dal punto di vista unico e panottico, potrebbe rientrare nel nostalgico e faticoso tentativo di restituire, se non unità, almeno unitarietà alla struttura architettonica e alla sua esperienza.

L'ovale, già apprezzato per la sua bifocalità e direzionalità, si traduce nel Seicento, come nella vicenda kepleriana, in ambigua figura di raccordo tra cerchio ed ellisse in un momento di passaggio tra un universo rigorosamente centrico, circolare e a velocità costante, ad uno eccentrico, ellittico e a velocità variabile. Così, laddove il cosmo assume geometrie e moti sfuggenti e cangianti, la circonferenza, tradizionalmente evocata per la sua capacità di rappresentare sulla Terra l'ordine divino nei cieli, cambia registro, trasformandosi in figura ideale, in pura astrazione matematica, e come tale sarà indagata, non senza una certa nostalgia, dai maggiori artisti e architetti dei secoli successivi.

 


Immagini

1. L'ellisse disegnata da Kepler (tratteggiata) nell'illustrazione dell'Astronomia Nova (Heidelberg 1609) è in realtà un ovale, come si vede nella ricostruzione geometrica a destra (disegno dell'autore).

 

fig. 1a fig. 1b

 

2. Schemi di piante di edifici ovali progettati nel XVI secolo (disegno dell'autore): a. B. Peruzzi, Villa Trivulzio a Salone (GDSU U453A); b. B. Peruzzi, Chiesa ovale; c. B. Peruzzi, Progetto per San Giacomo degli Incurabili (GDSU U577A); d. Sant'Andrea a via Flaminia di Vignola; e. S. Serlio, Tempio Ovale; f. Vignola, Progetto di chiesa ovale (Parma, Archivio di Stato); g. San Giacomo degli Incurabili di Francesco da Volterra (Stockholm, NationalMuseum, Fullerö, 343); h., S. Spirito dei Napoletani di O. Mascherino (Stockholm, NationalMuseum, Celsing, 293); i. Mascherino, Progetto di portico ovale davanti a S.Pietro (Roma, Archivio Capitolare di S.Pietro in Vaticano).

 

fig. 2a fig. 2b

 

3. Le quattro costruzioni dell'ovale proposte dal Serlio; la costruzione dell'ellisse del Serlio (costruzione approssimata di Archimede); costruzione dell'ellisse di Leonardo da Vinci (disegno dell'autore).
fig. 3

 

4. Gianlorenzo Bernini, Salone ovale in Palazzo Barberini a Roma, 1632 ca. (foto-mosaico dell'autore).
fig. 4

 

5. Ipotesi di costruzione geometrica dell'ovale perimetrale del Salone ovale di Palazzo Barberini. Lo schema "i" corrisponde al perimetro della sala; lo schema "j" corrisponde la rettangolo inscritto nei punti di passaggio tra i quattro archi (disegno dell'autore).
fig. 5

 

6. Nicola Zucchi, Optica Philosophica, Lione 1652-56. Frontespizio inciso da F. Poilly su disegno di Gianlorenzo Bernini.
fig. 6

 

7. Juan Caramuel de Lobkovitz, Arquitectura civil recta y obliqua, Vigevano, 1678. Lamine XXIII e XXXIV.
fig. 7

 

8. Cornelis Meyer, L'arte di restituire a Roma la tralasciata navigazione, Roma 1685, tav. XIV.
fig. 8

 

9. Gianlorenzo Bernini, Chiesa di Sant'Andrea al Quirinale (1658-1676). Ridisegno dalla prima chirografia (26.10.1658): particolare della semi-pianta della chiesa a destra a confronto con una sua ipotetica versione dilatata circolare a sinistra (disegno dell'autore).

 

fig. 9a fig. 9b

 

10. Confronto tra le tre soluzioni ovali del Bernini per la pianta della Chiesa di Sant'Andrea al Quirinale, e i tre rettangoli costruiti sui punti di passaggio tra i quattro archi (disegno dell'autore).
fig. 10

 

11. a. Henri Laloyau (e Andrea Pozzo?), Pianta per una chiesa ovale (Roma, Collezione Aldega, fondo Laloyau B22); b. Pianta ottenuta dalla metà di sinistra; c. Pianta ottenuta dalla metà di destra; b'. Trasformata circolare della pianta b; c'. Trasformata circolare della pianta c (disegno dell'autore).

 

fig. 11a fig. 11b

 

12. Antonio Gasperi, Pianta del Duomo d'Este, 1687 (Venezia, Museo Correr, Raccolta Gaspari, III, 16). Confronto tra la pianta ellittica originale (in alto) e la sua versione circolare ottenuta dilatando verticalmente la prima del 141% (elaborazione dell'autore). Si noti come le cappelle "riacquistino" un perimetro rettangolare.
fig. 12

 


Note

1. Per una versione parziale e sintetica di questo articolo, si veda: F. Colonnese, Kepler, Bernini e l'ellisse: da geometria celeste a prassi architettonica? in «Quaestio. Studi e ricerche per il disegno e la documentazione dei beni culturali», XIV (2012), 25-26, pp.67-74.

2. L. Russo, La rivoluzione dimenticata. Il pensiero scientifico greco e la scienza moderna, Milano 1996, p. 410.

3. P. Rossi, La nascita della scienza moderna in Europa, Roma- Bari 1997, p. 90.

4. Citato in T. Kuhn, La rivoluzione copernicana, Milano 1972, p. 271.

5. Cfr. A. E. L. Davis, Kepler's Unintentional Ellipse: A Celestial Detective Story, «The Mathematical Gazette», LXXXII (1998), 493, pp. 37-43.

6. Sebbene la dottrina delle cause dei fenomeni celesti fosse stata presentata ai pochi lettori dell'Astronomia Nova (Heidelberg, 1609) in un difficile linguaggio matematico, Keplero si impegnò nella divulgazione, elaborando un'opera che si presentasse insieme come una summa della nuova astronomia e come un manuale scritto nella forma questione-risposta. In questa nuova attenzione alla forma della divulgazione scientifica gli fu indispensabile l'esempio fornito da Galileo. Cfr. A. Battistini, Andrea. Galileo e i Gesuiti. Miti letterari e retorica della scienza, Milano 2000, p.21.

7. La costruzione del salone era iniziata nel 1628, quando Carlo Maderno era ancora alla guida della fabbrica. Peraltro Maderno aveva familiarità con l'ovale, visto il suo incarico come direttore dei lavori nella fabbrica di S. Giacomo degli Incurabili. Cfr. W. Lotz, Spazi ovali nelle chiese del Cinquecento, in id., L'architettura del Rinascimento, Milano 1997, pp.50-52. Ciò nonostante l'idea del salone ovale è generalmente attribuito a Bernini.

8. Si potrebbe aggiungere anche il progetto per il Casino Barberini a Mompecchio, presso Castel Gandolfo, del 1633, il cui salone ovale ricorda molto quello del Palazzo, ma il disegno conservato alla Biblioteca Apostolica Vaticana (Vat.lat.11258, fol.174) è stato anche identificato come un progetto di Girolamo Rainaldi per Villa Pamphili presso Porta San Pancrazio (fatto che peraltro dimostrerebbe il grande successo dell'ovale Barberini). Cfr. P. Portoghesi, Borromini e i protagonisti dell'età barocca, in R. Bösel, Richard, C. L. Frommel (eds.), Borromini e l'universo barocco, Milano 2000, pp. 75-83.

9. In realtà non tutte le piante ovali sono scelte personali del Bernini. L'ovale di San Pietro sarebbe stato indicato dallo stesso Alessandro VII, dopo aver scartato le soluzioni circolare e quadrata; lo stesso sembra avvenuto per l'ovale del Sant'Andrea, dopo un'improbabile prima proposta pentagonale che, pur rispondendo alla lettera alla richiesta da parte dei Gesuiti di "una chiesa non grande ma comoda con cinque altari", sembra che fosse stata concepita dall'artista solo per essere scartata, non prima di aver instradato maliziosamente il pontefice proprio verso l'ovale. C. L. Frommel, S. Andrea al Quirinale: genesi e struttura, in M. Fagiolo e G. Spagnesi (eds.), Gian Lorenzo Bernini architetto e l'architettura europea del Sei-Settecento, Roma 1983, p. 217.

10. Panofksy indica come precursori nell'uso dell'ovale, oltre a Michelangelo per l'architettura, il Correggio con la Madonna di San Francesco in pittura, e Pierino da Vinci e Guglielmo della Porta in scultura. Cfr. E. Panofksy, Galileo critico delle arti, Milano, 2008, p.61.

11. Baldassarre Peruzzi, che in diversi schizzi dimostra di conoscere la terza e quarta costruzione di Serlio, propone piante ovali con una certa assiduità, come dimostrano i fogli conservati al Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi (GDSU) per la cappella di un monastero (U553 Ar), la chiesa di S. Giacomo in Augusta presso lo Spedale degli Incurabili (U577 Ar.), una grande chiesa ovale (U4137 Ar), il giardino-vigna di Villa Trivulzi a Salone (U453) o per il bagno di un palazzo (U599 Ar). Di Serlio, oltre l'esplicito Tempio ovale, segnaliamo "la quartadecima Casa fuori Città (…) con cortile in forma ovale". S. Serlio, Tutte l'opere d'Architettura et prospettiva … diviso in sette libri, Venezia, 1619, L.V, p.205; L.VII, p. 37. A parte il Vignola, sono Francesco da Volterra e il Mascherino i principali investigatori dell'ovale nel secondo Cinquecento, assieme al parmense Fornovo, allievo del Vignola stesso. Cfr. W. Lotz, Spazi ovali cit., pp.15-88; M. R.  Nobile, La chiesa a pianta ovale in Italia (XVI-XVIII sec.): problematicità del tipo, Tesi di Dottorato, Torino 1990. Neppure bisogna dimenticare la tradizione spagnola inaugurata con il trattato di stereotomia di Alonso De Vandelvira, Exposición y declaración sobre el tratado de cortes de fábricas..., Madrid 1580. Per un quadro storico generale sull'utilizzo delle volte ovali, cfr. S. Huerta, Oval Domes: History, Geometry and Mechanics, in «Nexus Network Journal», IX, (2007), 2, pp. 211-248; per approfondimenti sull'utilizzo storico di costruzioni ovali ed ellittiche, cfr. «Disegnare. Idee Immagini», X (1999), 18/19 (numero monografico dedicato agli anfiteatri antichi).

12. Cfr. F. Colonnese, Movimento Percorso Rappresentazione, Roma 2012, cap.4.

13. "I temi delle nuove scienze sono certo solo espressi metaforicamente in tutto quello scomporre, ricomporre, violentare le leggi prospettiche e i codici visivi acquisiti. Ma lo scoprire la possibilità di trattare lo spazio come un vero e proprio laboratorio permette all'architettura di avanguardia del '500 di esplorarne in anticipo l'universo formale policentrico che la riforma scientifica renderà realtà, tanto da corrodere, fino a renderlo inattuale, il postulato che aveva attribuito all'arte un valore immediatamente conoscitivo". M. Tafuri, L'architettura dell'Umanesimo, Bari-Roma 1969, p. 353.

14. G. del Monte, Guidubaldi E Marchionibus Montis Perspectivae Libri Sex, Pesaro 1600.

15. S. Stevin, Meetdaet, Leyden 1605, pp. 18-20.

16. J. Kepler, Ad Vitellionem paralipomena quibus Astronomiae Pars Optica traditur, Frankfurt 1604, cap. IV, sez. 4; cfr. W. K. West, Problems in the Cultural History of the Ellipse, in «Technology and Culture», XIX (1978), 4, pp. 709-712.

17. Leonardo da Vinci, Codex Atlanticus, f.318b.r., ca.1510.

18. A. Dürer, Unterweisung der Messung,1525.

19. P. de l'Orme, Nouvelle inventions pour bien bastir et a petits fraiz, Paris 1561.

20. Huerta, Oval Domes cit., p. 230. Cfr. anche F. Ragazzo, Geometria delle figure ovoidali, in «Disegnare», VII (1996), 11, pp. 17-24.

21. Citato in V. Fasolo, Sistemi ellittici in architettura, «Architettura e Arti Decorative», VII (1931), p. 310.

22. A. Blunt, Borromini, London 1979, pp. 20-21.

23. 6 giugno 1665; citato in D. Del Pesco, Bernini in Francia. Paul de Chantelou e il journal de voyage du cavalier Bernin en France, Napoli 2007, p. 207.

24. F. Borsi, Bernini, Roma 1986, p. 14.

25. Estratto dal parere sulla facciata del Duomo di Milano del 1642, riportato in M. Fagiolo dell'Arco, Novità sul regista del Barocco, Milano 2002, premessa (s.n.).

26. A. Blunt, Alla scoperta di Roma Barocca, Roma 2004, p. 65.

27. R. Wittkover, Arte e Architettura in Italia 1600-1750, Torino 1993, p.133.

28. citato in Del Pesco, Bernini in Francia cit., p. 216 (14 giugno 1665).

29. F. Borsi, Bernini Architetto, Milano 1991, p. 39.

30. Si vedano il progetto peruzzesco per San Giacomo in Augusta (GDSU 577Ar.) e quello per S. Giovanni dei Fiorentini (GDSU 510r.), in particolare la cappella in alto a destra. Cfr. F. Colonnese, M. Carpiceci, Baldassarre Peruzzi e il concorso per San Giovanni dei Fiorentini, in A. Grijalba Bengoetxea, M. Ubeda Blanco (eds.), Concursos de Arquitectura, Valladolid 2012, pp. 83-88.

31. Ci riferiamo qui al progetto michelangiolesco per San Giovanni dei Fiorentini (Casa Buonarroti, 124A) del 1560, del cui perduto plastico esistono molte trascrizioni. Cfr. P. Ruschi, Michelangelo Architetto nei disegni di Casa Buonarroti, Milano 2011, pp. 133-147.

32. Il rilevamento è stato effettuato dall'autore con metodologia integrata di rilevamento strumentale (stazione totale) e rilevamento diretto tramite distanziometro laser, per definire il vano d'ingresso e l'ovale perimetrale in pianta e in sezione verticale e, soprattutto, individuarne i centri geometrici degli archi che lo sottendono e stabilirne la gerarchia nell'ambito della definizione formale dei partiti architettonici.

33. Cfr. C. Rowe, Character and composition; or Some Vicissitudes of Architectural Vocabulary in the Nineteenth Century, «Oppositions» (1974), 2.

34. Per un quadro comparativo delle costruzioni ovali, cfr. P. L. Rosin, On Serlio's constructions of ovals, in «The Mathematical Intelligencer», XXIII (2001), 1, pp. 58-69.

35. F. Borsi, C. Acidini Luchinat, F. Quinterio (eds.), Gianlorenzo Bernini. Il testamento, la casa, la raccolta dei beni, Firenze 1981, p. 12.

36. J. Connors, Borromini and the Roman Oratory. Style and Society, Cambridge (Mass.), 1980, p.140.

37. S. McPhee, Bernini's Books, in «The Burlington Magazine», CXLII (2000), 1168, pp. 442-448.

38. I. Lavin, Gianlorenzo Bernini. New Aspects of His Art and Thought, University Park-London 1985, pp. 209-14; cfr. H. Feigenbaum Chamberlain, The influence of Galileo on Bernini's Saint Mary Magdalene and Saint Jerome, in «The Art Bulletin», LIX (1977), pp.71-84.

39. A. Koestler, The Sleepwalkers, London 1979, pp. 202, 353-4, 387.

40. E. Panofsky, Galileo cit., p. 59.

41. Ivi, p. 61.

42. "Quando Archimede aveva bruciato e distrutto le navi dei nemici con macchine di sua invenzione, il Re gli aveva fatto inviare una quantità d'oro che egli aveva rifiutato, sostenendo che bisognava farne dono agli dei che avevano fatto concepire il cerchio ed il compasso con cui si traccia il cerchio". Citato in Del Pesco, Bernini in Francia cit., p. 216 (14 giugno 1665).

43. J. Curzietti, Gian Lorenzo Bernini e gli interventi di ristrutturazione del Pantheon promossi da Alessandro VII Chigi, in «Annali. Associazione Nomentana di Storia e Archeologia», (2008), 9, pp. 172-183.

44. A. Kircher, Musurgia universalis sive ars magna consoni e dissoni, Roma 1650, Tomo II, p. 300.

45. Il sistema ticonico o ticoniano è una commistione di quello tolemaico (la Terra è al centro dell'Universo e Luna e Sole gli girano attorno) e di quello copernicano (gli altri pianeti ruotano attorno al Sole) e, nonostante fosse stato contraddetto dallo stesso Kepler, ebbe notevole fortuna per tutto il XVII secolo.

46. G. Desargues, Brouillon project d'une Atteinte aux evenemens des rencontres du cone avec un plan, par L,S,G,D,L., Paris 1639.

47. G. Guarini, Euclides Adauctus et Methodicus Mathematica Universalis…, Torino 1671.

48. GDSU 4137A; cfr. Lotz, Spazi ovali cit., p. 28; F. Camerota, La prospettiva del Rinascimento. Arte, architettura, scienza, Milano 2006, pp. 312-313.

49. J. Caramuel Y Lobkowitz, Architectura civil, Recto y Obliqua, considerada y dibuxada en el Tempio de Jerusalem, Vigevano 1678, lamina XXIV.

50. Ivi, Tomo II, Libro IX, Lám. XXIV, p. 108.

51. S. Iurilli, Trasformazioni geometriche e figure dell'architettura. L'Architectura Obliqua di Juan Caramuel de Lobkowitz, Tesi di Dottorato, Firenze 2011, pp. 84-85. Cfr. anche J. F. S. Ortiz-Iribas, Classicism Hispanico More: Juan De Caramuel's Presence in Alexandrine Rome and Its Impact on His Architectural Theory, in «Annali di Architettura» (2005), 17, pp. 137-166; Camerota, La prospettiva cit., pp. 299-320.

52. S. Iurilli, Trasformazioni geometriche cit., p. 79. La trattatistica sulla stereotomia contribuì alla "riabilitazione" dell'immagine del gotico condotta in Spagna dai trattati di Simόn García e Fray Lorenzo de San Nicolás a cui si accompagna, "in Spagna come in Francia, l'avvio di un processo che porterà la pratica dei maestri tagliatori di pietre ad uscire dal segreto delle corporazioni per diventare materia di studio per gli architetti" (Ivi, p. 37) e che sarà integrato nel linguaggio post-rinascimentale proprio da Caramuel. Cfr. anche R. Evans, Drawn Stone, in id., The projective Cast. Architecture and its three Geometries, Boston 1995, pp. 176-239. La resistenza culturale degli architetti italiani ad una tale posizione è ben sintetizzata da Guarini che, nonostante l'attenzione alle potenzialità espressive dalla deformazione, sottolineò come nessuno dei grandi architetti del passato "mai adoperò sì mostruosa disposizione". G. Guarini, Architettura civile, Torino 1737, L. II, cap. VIII, p. 71.

53. Quando Philibert de l'Orme, nel capitolo XIX di Nouvelles inventions pour bien bastir, menziona la bramantesca scala a spirale del Belvedere Vaticano, rimprovera "l'uso di basi e capitelli orizzontali per le colonne, non appropriati all'inclinazione delle basi d'appoggio e della trabeazione soprastante". A. Blunt, Philibert de l'Orme, Milano 1997, p. 131.

54. Cfr. F. Colonnese, Perspective, illusion and devotion. The chapel of S.Agnese in Sant'Agnese in Agone, in corso di pubblicazione.

55. Cfr. M. Birindelli, La strada nel palazzo. Il disegno di Gianlorenzo Bernini per la Scala Regia. Roma: 1982.

56. Cfr. F. Ostrow, Gianlorenzo Bernini, Girolamo Lucenti, and the Statue of Philip IV in S. Maria Maggiore: Patronage and Politics in Seicento Rome, in «The Art Bulletin», LXXIII, 1, 1991, pp. 89-118. L'autore sta attualmente collaborando col prof. M. Fagiolo ad una ricostruzione critica digitale del progetto berniniano per il sacello.

57. A. M. Partini, Alchimia, architettura, spiritualità in Alessandro VII, Roma 2007, p. 62.

58. M. Fagiolo, L'opera di Bernini nella basilica di S. Pietro, in M. Fagiolo, M. Bevilacqua( eds.), Roma barocca. I protagonisti, gli spazi urbani, i grandi temi, Roma 2013, pp.137-173.

59. C. Fontana, Templum Vaticanum et ipsius origo…, Roma 1694, L. IV, III, p. 183.

60. Ibidem.

61. T. K. Kitao, Circle and Oval in the Square of St.Peter's: Benini's Art of Planning. New York 1974, pp. 74-76.

62. Ivi, p. 55.

63. G. C. Bauer, Circle and Oval in the Square of Saint Peter's: Bernini's Art of Planning by Timothy Kaori Kitao, in «The Art Bulletin», LIX (1977), 4, pp. 643-644.

64. In diversi casi lo scostamento tra l'ellisse e l'ovale armonico con assi di medesima lunghezza, è minimo. L'ovale di 4:3 del Vignola ad esempio presenta uno scostamento massimo dello 0,7% rispetto all'ellisse "corrispondente". Cfr. E. Dotto, Il disegno degli ovali armonici, Catania 2002, pp. 85-88; P. L. Rosin, On Serlio's constructions of ovals, http://users.cs.cf.ac.uk/Paul.Rosin/resources/papers/oval2.pdf

65. G. Vasari, Lettera al Magnifico Messer Martino Bassi, in id., Opere, Firenze, 1832-38, II, p. 1481.

66. La sfera è alta palmi 4 e 3/4 e larga 4 ½. Cfr. M. G. D'amelio, Gian Lorenzo Bernini e gli ori del baldacchino di San Pietro in Vaticano: la doratura secentesca e il suo restauro, in «Annali di Architettura», (2009), 21, pp. 167-183.

67. Del Pesco, Bernini in Francia cit., p. 34.

68. G. Bauer, Bernini e i 'modelli in grande', in M. Fagiolo e G. Spagnesi (eds.), Gian Lorenzo Bernini architetto e l'architettura europea del Sei-Settecento, Roma 1983, pp. 279-290.

69. Cfr. F. Colonnese, Knowing (by) building. Full-scale models in design space envisioning, in J. Verbeke, B. Pak (eds.), Knowing (by) Designing, Ghent 2013, pp. 732-741.

70. Citato in M. Giachi, Sant'Andrea al Quirinale, Roma 1969, p. 51.

71. Racconto della Fabbrica della Chiesa di S. Andrea a M.te Cavallo della Comp.a di Gesù, Archivio della Provincia Romana della Compagnia del Gesù, citato in Frommel, S. Andrea al Quirinale cit, p. 248.

72. Il rilievo di riferimento è quello presentato in J. M. Smyth-Pinney, The Geometries of S. Andrea al Quirinale, in «Journal of the Society of Architectural Historians», XLVIII (1989), 1, pp. 53-65.

73. Il tempio ovale del Serlio non aveva ancora gli assi delle cappelle laterali coincidenti con raggi del cerchio piccolo. Cfr. Dotto, Il disegno degli ovali armonici cit., p. 72.

74. Smyth-Pinney, The Geometries cit., p. 56.

75. Roma, Archivio di Stato, Disegni e mappe, cartella 84, n.476 I.

76. "Figlio, di questa sola opera di architettura io sento qualche particolare compiacenza nel fondo del cuore, e spesso per sollievo delle mie fatiche io qui mi porto a consolarmi col mio lavoro". Citato in M. e M. Fagiolo Dell'arco (eds.), Bernini: una introduzione al 'Gran teatro' del Barocco, Roma 1967, p. 64.

77. R. Tatlow, The Use and Abuse of Fibonacci Numbers and the Golden Section in Musicology Today, «Understanding Bach», 1 (2006), pp. 69-85.

78. Roma, Archivio del Venerabile Collegio Inglese. La pianta è il risultato di un assemblaggio di una tradizionale sezione orizzontale a destra e di una ipografia a sinistra. Assieme alla pianta sono presenti nell'archivio un disegno del prospetto e uno della sezione trasversale. Cfr. C. M. Richardson, Andrea Pozzo e il Venerabile Collegio Inglese a Roma, in R. Bösel, L. Salviucci Insolera (eds.), Artifizi della Memoria. Saggi su Andrea Pozzo, Roma 2011, pp. 116-125.

79. Venezia, Museo Correr, Raccolta Gaspari, III, 65.

80. Roma, Collezione Aldega, fondo Laloyau B22. Per questa e altre soluzioni ovali presenti nella collezione, cfr. R. Bösel, Il profilo di Andrea Pozzo architetto ritagliato con l'aiuto del suo falegname, in, R. Bösel, L. Salviucci Insolera (eds.), Artifizi della Memoria cit., Roma 2011, pp. 202-211.

81. R. Bösel, L. Salviucci Insolera (eds.), Mirabili disinganni: Andrea Pozzo (Trento 1642 - Vienna 1709), pittore e architetto gesuita, Roma 2010, p. 214; cfr. anche A. Roca de Amicis, Andrea Pozzo e Antonio Gaspari, in R. Bösel, L. Salviucci Insolera (eds.), Artifizi della Memoria cit., Roma 2011, pp. 202-211.

82. Venezia, Museo Correr, Raccolta Gaspari, III, 16.

83. Citato in B. Cogo, Antonio Gaspari Architetto Veneziano. Dati Biografici (1656-1723). Il suo capolavoro, Este 2003, p. 35.

84. Ivi, p. 40.

85. Ivi, p. 64.

86. M. Bortolami, Il Duomo di Santa Tecla di Este (1688 - 1705) e il suo architetto Antonio Gaspari. Architettura obliqua ed elementi spaziali e liturgici, Tesi di Laurea, Venezia 2003, p. 89.

87. V. Fontana, Il duomo d'Este (1687-1705) e l'architettura 'obliqua' a Venezia, in M. Fagiolo e G. Spagnesi (eds.), Gian Lorenzo Bernini architetto e l'architettura europea del Sei-Settecento, Roma 1983, pp. 613-640.

88. Roca De Amicis, Andrea Pozzo e Antonio Gaspari cit., p. 204.

89. A. Battistini, Il Barocco. Cultura, miti, immagini, Roma 2002, p.24.