L'argomento di questo intervento riguarda il complesso problema che verte sul significato del termine "barocco", e in particolare sul "barocco" in musica, problema ampiamente discusso e di cui si è trattato anche in occasione del Convegno per il quale questo breve saggio è stato concepito. Sul sito di ENBaCH è stato pubblicato un saggio dal titolo Il termine "barocco" in musica, [1] nel quale sintetizzo la storia di questo termine, dal significato originario di "irregolare" e "bizzarro" derivato dalla perla "scaramazza", fino alle discussioni perpetratesi negli ultimi decenni tra gli storici della musica, alcuni dei quali adottano il termine finanche nei titoli dei loro scritti (tra gli ultimi esempi, il volume Baroque music, di John W. Hill, New York - Londra 2005), mentre altri hanno evitato - per diversi motivi - di utilizzarlo. Tra questi ultimi è Lorenzo Bianconi, non perché ne accolga l'accezione spregiativa (da altri sostenuta), ma perché, effettivamente, il solo termine "barocco" è troppo limitante per «cogliere, all'interno di un secolo, un disegno contrastato e frastagliato di tante correnti e tradizioni e fenomeni diversi e magari antitetici che, pacificamente o conflittualmente, coesistono». [2]
Ad ogni modo, al termine della rassegna esegetica da me effettuata nel saggio citato, certamente non esaustiva, ho potuto appurare quanto ancora il termine "barocco" si presti a diverse interpretazioni di significato. Pur ammettendo che in certi casi oggi l'aggettivo sia utilizzato con eccesso, quasi vi fosse una "moda" per il "barocco" (festival barocchi, ensemble barocchi, trombe barocche, ecc…), mi sono chiesto se oggi sia ancora possibile fare a meno del termine, e ho provato a formulare alcune ipotesi su come definire, oggi, il "barocco" in campo musicale.
Per convenzione, il termine è ormai diffuso e affermato nella sua accezione che travalica il significato originario di "stravagante" ed "effimero". Rosario Villari scrive che il termine si è distaccato anche «dal legame settoriale con l'arte e la letteratura, […] ed è oggi usato in un contesto più vasto per definire esperienze e condizioni generali (culturali, religiose, politiche) del periodo della storia europea che va all'incirca dalla fine del Cinquecento alla seconda metà del secolo successivo» [3].
Questa accezione può essere accolta se riconosciamo al termine "barocco" il valore di una sineddoche storiografica: il nome di un particolare processo proprio dell'arte sviluppatasi particolarmente a Roma nel secolo XVII si estende ad un intero periodo storico: in tal modo il termine perde il suo significato originario, sostituito con un altro più vasto.
Il problema appare quanto mai complesso e la forzatura più artificiosa quando si prendano in considerazione musiche appartenenti al periodo considerato che con il significato originario di "barocco" (inteso come meraviglioso o stravagante) nulla hanno a che vedere.
Questo paradosso può forse risolversi se distinguiamo tra "musica barocca" (caratterizzata da determinati elementi artistici, riconducibili a un circoscritto insieme di musiche) e "musica dell'età del Barocco" (ovvero tutta la musica prodotta nel periodo considerato).
Per rendere più esplicita questa dicotomia vorrei prendere in considerazione la musica sacra di area romana del secolo XVII.
Tra gli esempi più calzanti di musica definita "barocca" vi è un circoscritto repertorio di musiche di genere sacro (in verità ancora poco studiate a fondo) composte per più cori, il quale ebbe uno straordinario sviluppo nell'Urbe contemporaneamente al periodo che costituisce il fulcro dell'arte barocca, nella Roma di Caravaggio, Pietro da Cortona, Bernini e Borromini.
Pur se la tecnica policorale ebbe origine a Venezia nel Cinquecento, è a Roma che essa si manifestò in modo eccezionale, nel corso del Seicento, mediante forme monumentali caratterizzate dall'impiego di 4, 8, 16 e fino a 32 cori.
Per questo insieme di composizioni policorali, diversi studiosi hanno sottolineato la stretta connessione tra musica e architettura "barocche": negli ampi spazi delle chiese romane, le celebrazioni liturgiche delle festività maggiori assumono un carattere di solennità e magnificenza, e allo stesso tempo si amplificano a dismisura le sonorità di voci e strumenti musicali, con echi ed effetti sonori che di certo suscitavano la meraviglia degli spettatori.
La basilica vaticana, nel nuovo assetto seicentesco, ne è un esempio rappresentativo: le musiche per queste folte compagini corali riempivano i complessi spazi architettonici, in perfetto connubio con lo sfarzo cerimoniale, interpretando perfettamente il bisogno di grandiosità invocato dalla Controriforma: i cori venivano dislocati in diversi punti della basilica, a volte su palchi mobili, spesso con uno coro "d'eco" sistemato in cima alla cupola.
Nell'esempio n.1, per dare un'idea della complessa tessitura contrappuntistica di tale musica, ho inserito la trascrizione di un passo di una composizione di Orazio Benevoli (sezione finale del Kyrie II da una Messa a 4 cori), insigne maestro di cappella romano. Ma numerosi sono i compositori che si cimentarono in quello che Giuseppe Ottavio Pitoni definì "Stile grosso". [4]
L'idea che il Barocco si configuri come epoca successiva (e contrapposta) al Rinascimento è spesso ricondotta ai mutamenti e ai rinnovamenti che interessarono il linguaggio musicale nel corso del secolo XVII. Dal punto di vista di un osservatore diacronicamente lontano, la concentrazione di eventi e le trasformazioni occorse nell'ambito della musica, a partire dai primi anni del Seicento, hanno determinato la percezione di quest'epoca come "nuova" [5] (che sia oggi chiamata "barocca", si ribadisce, è conseguenza del significato estesoche nel corso degli ultimi due secoli ha acquisito questo termine).
Ci dobbiamo però anche chiedere se, dall'interno dei fenomeni in atto, gli attori di questi mutamenti (musicisti, compositori, mecenati, ecc.) si rendessero contodi tali cambiamenti e di essere entrati in una "nuova" epoca.
In effetti non può escludersi tale consapevolezza, che emerge già - solo per fare un esempio - dall'analisi della trattatistica teorico-musicale coeva. Alcuni trattati dell'epoca, infatti, sono un vero e proprio specchio di quanto accade in ambito compositivo-esecutivo. In essi troviamo conferma che vi sia stata una consapevole coscienza delle principali "novità" del secolo XVII: l'affermazione del principio del concertato, la monodia, l'introduzione del basso continuo, lo sviluppo delle prassi esecutive strumentali, gli esperimenti che determinarono la nascita di nuovi generi musicali quali il melodramma, l'oratorio e la cantata, ecc.Di tutte tali contingenze il musicista doveva essere consapevole e, allo stesso tempo, ne era attivamente artefice e promotore.
Le espressioni con cui viene interpretato questo momento di rinnovamento sono quelle più frequentemente utilizzate nei trattati teorico-musicali e nei documenti vari dell'epoca: in modo particolare ricorre l'espressione "musica moderna". Eccone alcuni esempi:
G. M. Artusi, L'Artusi ovvero delle imperfettioni della musica moderna, Venezia, Giacomo Vincenti, 1600
P. Della Valle, Della musica dell'età moderna che non è punto inferiore, anzi è migliore di quella dell'età passata (1640)
M. Scacchi, Breve discorso sopra la Musica Moderna, Varsavia, 1649.
Il periodo in cui si sviluppa il concetto coevo di "musica moderna" può sovrapporsi con quello oggi denominato "barocco", senza coincidere con esso, perché le due prospettive appartengono a dimensioni diverse. Ma i compositori coevi sono dunque coscienti di praticare una "musica moderna", anche se non sono consapevoli della direzione verso la quale il gusto musicale si evolve.
Per un esempio pratico di tale consapevolezza, dunque, torniamo a considerare l'inseme della musica sacra di ambito romano (e non solo quella policorale): nel corso del Seicento vi è infatti una straordinaria fioritura della musica liturgica e paraliturgica (sia a stampa, sia manoscritta) che si caratterizza attraverso un'articolata diversificazione di tipologie stilistico-compositive, di cui mi sono potuto occupare nel corso delle mie ricerche.
Se nel Cinquecento - semplificando molto - abbiamo un unico stile compositivo la cui pratica è simbolicamente sintetizzata nell'arte dei grandi contrappuntisti quali Giovanni Pierluigi da Palestrina, nel corso del secolo successivo si distinguono almeno 5 tipologie di stili in cui si diversifica la musica vocale sacra d'ambiente romano: tali tipologie sono già perfettamente riconosciute dagli stessi compositori e dai fruitori di tale musica; non potendo in questa occasione soffermarmi sulle caratteristiche peculiari di ognuna di esse, mi limito ad elencarle nello schema seguente, che mostra la suddivisione così come si ricava già dai trattati di teorici coevi quali Marco Scacchi, Angelo Berardi, fino a Giuseppe Ottavio Pitoni: [6]
- Stile osservato (o di cappella)
- Stile piano
- Stile concertato
- Stile moderno (o minuto)
- Stile grosso (policoralità)
Il quadro che se ne ricava, a mio avviso, permette di considerare l'insieme della musica vocale sacra come un modello esemplare di musica dell'età barocca: in essa è possibile riconoscere quegli elementi innovativi che si svilupparono nei primi anni del Seicento (certo non solo a Roma): il principio concertante, l'uso del basso continuo, l'impiego della monodia, il progressivo abbandono della modalità per un'organizzazione dei suoni secondo una logica proto-tonale, e, non da ultimo, l'evidente e consapevole differenziazione stilistica.
L'ampia varietà della produzione musicale sacra è strettamente connessa alle diverse funzioni che tali musiche potevano acquisire e al luogo in cui dovevano essere eseguite: che sia un salmo policorale eseguito in una festività straordinaria, un "concertino alla moderna" cantato negli appartamenti privati del papa, una messa "piena" eseguita nella cappella di San Giovanni in Laterano, un'antifona concertata per una cappella minore, o un mottetto in forma di dialogo destinato a uno dei Collegi gesuitici: è in tale variegato panorama che mi è sembrato di poter individuare un'immagine sonora dell'età barocca, intesa come «epoca di pluralismo, di convivenza e di conflitto, di trasformazione». [7]
Per concludere: la discussione sulla effettiva funzionalità e plausibilità del termine "barocco" è tuttora aperta e difficilmente giungerà ad un compromesso.
Scriveva con ragione Mila: «è tanto comodo appiccicare etichette storiche sopra un'epoca ed illudersi così di avere spiegato tutto. Se queste epoche si guardano col microscopio anziché col cannocchiale rovesciato, l'etichetta si sgretola e saltano fuori le realtà singole». [8] Ma è davvero possibile oggi fare a meno di questa etichetta? Friedrich Blume, negli anni Cinquanta del secolo scorso affermava acutamente che «l'introduzione del termine Barocco nella storia della musica non è certamente necessaria, ma utile» [9]. E particolarmente convincente, allora, sembra l'intuizione di Rosario Villari, il quale scrive che «forse proprio per la sua ambiguità e per la molteplicità di significati che via via ha acquisito, l'etichetta "barocco" sembra ormai particolarmente adatta a quel periodo». [10]
In questo senso, se consideriamo proprio la pluralità degli eventi e dei prodotti che hanno caratterizzato in musica l'età del Barocco - come per l'esempio della musica sacra romana-, se consideriamo cioè quel «disegno contrastato e frastagliato di tante correnti e tradizioni e fenomeni diversi» [11] - che descriveva Lorenzo Bianconi - , non sembra più così distante ed inappropriato nemmeno il significato originario del termine che indicava le forme irregolari e variegate della perla scaramazza.
Immagini
1. Orazio Benevoli (1605-1672), Messa a 4 cori, sezione finale del Kyrie II
Note
1. In questa occasione si propone una sintesi di quanto già esposto nel saggio citato (disponibile nel portale ENBaCH, all'indirizzo http://digilab4.let.uniroma1.it/enbach/content/il-termine-barocco-musica), al quale si aggiunge un esempio riguardante la musica sacra del Seicento romano, come modello per il confronto tra "musica barocca" e "musica dell'epoca barocca".
2. L. Bianconi, Il Seicento, Torino 1982 (1991), p. XV.
3. R. Villari, a cura di, L'Uomo Barocco, Roma-Bari 1991, p. VII.
4. G. Ottavio Pitoni, La guida armonica (ca. 1690), facsimile a cura di F. Luisi, Lucca 1989, passim.
5. Si contesterà, per questa affermazione, che ogni epoca individuata ad hoc nel flusso del continuum temporale presenti degli elementi di novità. Ma ognuno di tali elementi è specifico del periodo storico o corrente artistico-letteraria in cui si sviluppa.
6. Per un approfondimento sulla suddivisione degli stili e le tipologie stilistiche della musica romana nel Seicento: F. Vizzaccaro, Il mottetto a Roma nella seconda metà del secolo XVII, tesi di dottorato, 2007, capp. V e VI; Id., Tipologie stilistico-compositive nella musica sacra a Roma tra XVII e XVIII secolo, in Giuseppe Ottavio Pitoni e la musica del suo tempo, Atti del Convegno Internazionale di Studi (Rieti, 28-29 aprile 2008), a cura di G. Stella, Roma 2009, pp. 239-281.
7. G. Stefani, Barocco, in Dizionario enciclopedico della musica e dei musicisti. Il lessico, I, p. 264
8. M. Mila, L'equivoco della musica barocca, in «Belfagor», XXXVI (1981), 3, p. 267
9. Die Musik in Geschichte und Gegenwart, Kassel 1945-1951, coll. 1275-1338
10. R. Villari, L'uomo barocco cit., p.VIII.
11. L. Bianconi, Il Seicento cit., p. XV.