L’epistola eroica nell’Europa Barocca (1590-1717)

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Author: 
Lorenzo Geri

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1. Premessa: un genere barocco

Nell'Europa barocca autori di svariate estrazioni culturali (letterati, poeti, teologi, gentiluomini) e appartenenti a diverse nazioni (italiani, inglesi, francesi, olandesi, tedeschi) scrivono lettere fittizie, in versi o in prosa, in latino o in volgare, ad imitazione delle Heroides di Ovidio. [1] Tanto nel caso poeta marinista Antonio Bruni (Epistole eroiche, 1627), come dell'austero gesuita tedesco Jakob Balde (Urania victrix, 1663), dell'inquieto poligrafo François Tristan l'Hermite (Lettres mêslées, 1642), come del gentiluomo scozzese Mark Alexander Boyd (Epistulae et hymni 1592), l'ambizione è quella di ricreare in una foggia argutamente nuova un classico ben noto, praticato sin dai banchi di scuola. Le variazioni non riguardano soltanto l'aspetto formale, ma, tra l'ultimo decennio del XVI e la prima metà del XVII secolo, si esercitano con particolare foga inventiva sugli argomenti da trasporre in forma epistolare. Le lettere in questione, infatti, attribuite perlopiù alle eroine e agli eroi del mito si estendono in alcuni casi ai protagonisti della storia sacra e della storia antica, sino ad includere i personaggi delle opere letterarie in volgare (i poemi cavallereschi, il romanzo, il teatro), dando vita a quella che potremmo definire una mappa dell'immaginario barocco.

Presentate da Erasmo come esempio di amatoriae epistolae [2], tipologia di testi da far praticare agli studenti più grandi, dopo un'opportuna censura preventiva [3], le Heroides si impongono tra Rinascimento ed età barocca come modello di retorica epistolare e di poesia elegiaca. Adottate nelle classi dei Gesuiti [4] come nelle grammar schools inglesi [5] e nei collèges francesi [6], le lettere in versi ovidiane segnano la formazione di innumerevole generazioni di letterati e poeti in un'Europa accomunata da un canone scolastico per molti versi omogeneo. [7] Dopo le prime, sporadiche, imitazioni quattrocentesche delle Heroides, il genere comincia a prendere forma nella Francia del primo Cinquecento, nell'ambito della voga per i volgarizzamenti dei classici. [8] Quando il libro di lettere, nato in Italia nella prima metà del secolo [9], nel corso del Cinquecento si diffonde in Francia e in Inghilterra, la fortuna dell'anomala opera ovidiana, libro di poesia e libro di lettere a un tempo, si intreccia con quella del nuovo genere editoriale. Non soltanto, allora, volgarizzamenti ovidiani vengono compresi nelle raccolte di lettere, ma alcuni poeti cominciano ad ideare libri ad imitazione delle Heroides. Il passaggio, tra Cinque e Seicento, dalla stesura di sporadiche imitazioni delle lettere in versi ovidiane  all'ideazione di libri interamente dedicati a moderne eroidi.

A lungo privo di uno statuto ben definito (la prima compiuta teorizzazione risale alla metà del Settecento in Francia [10]), il genere dell'epistola eroica nella sua accezione barocca trova una limpida definizione nel progetto editoriale delineato da Giovanbattista Marino. Nella Lettera attribuita a Claretti che apre la terza parte della Lira (1614), infatti, il poeta, delinea con suggestiva precisione le caratteristiche del suo libro delle Epistole eroiche, annunciato come imminente ma destinato a non vedere mai la luce. [11] Si tratta di una definizione che può essere estesa a tutti i libri di epistole eroiche pubblicati in Europa tra la fine del Cinquecento e la seconda metà del Seicento:

L'Epistole eroiche son quasi tutte in terza rima, e tutte piene d'affetti amorosi, imitate da Ovidio, e parte da Aristaneto, e fondate o nel Furioso, o nella Gierusalemme del Tasso, o in azioni notorie e vulgari di persone introdotte in altri Poemi e Romanzi Greci, Latini, e Spagnoli. Et come ch'egli abbia pensiero di tirarne dell'altre con personaggi istorici e già ne abbia fatte non so quante, per ora nondimeno non vuol dar fuora se non le favolose. [12]

Le lettere sono "tutte piene d'affetti amorosi" (il registro elegiaco e la materia amorosa), "imitate da Ovidio" e "parte da Aristaneto" (le lettere amore in prosa come modello da affiancare a quello ovidiano), attribuite ai protagonisti della letteratura antica e moderna e ai "personaggi istorici" (e non più unicamente agli eroi e le eroine del mito). Ma soprattutto le lettere sono fondate su "azioni notorie e vulgari", vale a dire su situazioni, vicende, storie e personaggi universalmente conosciuti, come i protagonisti del mito per i lettori antichi. Il gioco intellettualistico che tanto appassiona Marino e che tanto stava appassionando o avrebbe appassionato gli autori europei di epistole eroiche consiste proprio nel variare su situazioni e personaggi noti a partire dalla falsariga del modello ovidiano. Le "favole" moderne sono riscritte adottando l'artificio della lettera e il registro elegiaco, secondo un meccanismo straordinariamente produttivo che si può adattare tanto ai personaggi dei romanzi cavallereschi (Marino, Bruni) quanto agli eroi e alle eroine della storia nazionale inglese (Michael Drayton, John Oldmixon), tanto ai protagonisti del romanzo in prosa (Tristan l'Hermite), come alle donne e gli uomini della storia antica (Pietro Michiel, Lorenzo Crasso).

 

2. Limiti geografici e cronologici del corpus preso in esame

Nel mio studio, tutt'ora in corso, sulla fortuna del genere nell'Europa barocca ho individuato alcuni criteri per ridurre l'ampiezza di un corpus sin troppo vasto ed omogeneo. Anzitutto ho limitato l'indagine alle letterature nazionali nelle quali la fortuna del genere è maggiormente significativa: Francia, Italia, Inghilterra [13] (i Paesi Bassi e la Germania sono caratterizzato dalla fortuna quasi esclusiva del sottogenere delle eroidi sacre [14]). L'arco cronologico, volutamente ampio, è compreso tra il 1590, data nella quale appare il volume di Marcus Alexander Bodius (Epistulae quindicem quibus totidem Ovidii respondet), il primo libro interamente composto da lettere ad imitazione delle Heroides), al  1717, data nella quale Alexander Pope manda in stampa la sua  lettera di Elosia ad Abelardo, punto di partenza per una nuova interpretazione del genere nel Settecento europeo. Seguendo la definizione mariniana, tale corpus si riduce a 8 titoli per la letteratura francese, 9 per quella italiana e 14 per quella inglese (per l'elenco dei titoli rimando a: I libri di Epistole eroiche nel Barocco Europeo (1596-1717)). [15]

Quanto presento al lettore è un attraversamento di tale corpus che mira a mostrare varianti e costanti all'interno di questo gioco vertiginoso di riscritture, imitazioni, travestimenti. La materia è suddivisa in sei "capitoletti", frammenti di una storia ancora tutta da scrivere. In particolare individuare i possibili rapporti tra le diverse storie letterarie nazionali risulta un'impresa ardua, sebbene tali rapporti siano ipotizzabili e, talora, molto probabili, come nel caso dell'influenza delle contrepistres francesi su Boyd o degli scambi tra letteratura italiana e francese nella seconda metà del Seicento. Tuttavia la poligenesi delle modalità imitative è essa stessa una circostanza significativa. Il modello ovidiano, infatti, mediato dalla scuola e dai volgarizzamenti, nutre l'immaginario del Barocco europeo seguendo percorsi in parte paralleli in parte convergenti. D'altronde per tutti i paesi presi in esame le Heroides rappresentano un modello di inventio e di elocutio, un autorevole precedente per quanto ricercano uno stile arguto e inventivo. Quando la fortuna di Ovidio come modello di stile declina [16], il genere rinasce dapprima nei travestimenti burleschi inglesi e francesi, e poi, in una nuova veste adatta ai tempi, nell'elegante epistola in versi di Alexander Pope che unisce nitore classicista ad atmosfere gotiche, eleganza formale ed inquietudini preromantiche.

 

3. Rispondere ad Ovidio. Francia 1541-1570

Ogni storia richiede un passo indietro. Nel nostro caso mentre si possono trascurare gli stentati esordi dell'epistola eroica nel Quattrocento italiano [17], risulta tuttavia necessario soffermarsi brevemente sull'incubazione del genere nel Cinquecento francese, rinviando all'esaustiva monografia di Paul White per una ricostruzione più ampia [18].  In seguito alla grande fortuna delle Heroides nel primo cinquecento come repertorio di esemplarità femminile e modello per una rappresentazione retoricamente efficace degli affetti, il volgarizzamento di Saint-Gelais si impone come un modello di elegia in versi, arrivando a contare diciannove edizioni tra il 1500 e il 1550. Dopo alcune, sporadiche imitazioni della maniera ovidiana, nel 1541 viene pubblicato un libro di decisiva importanza nella nostra storia: le Contrepistres d'Ovide. L'autore è Michel d'Amboise (1502-1547) che ha già all'attivo un volume di lettere in versi (Epistres veneriennes 1532). Prendendo spunto dal poeta latino Sabino che avrebbe scritto alcune lettere in risposta alle Heroides di Ovidio [19], d'Amboise risponde a nome degli eroi in diversa misura accusati dalle eroine di infedeltà o crudeltà. Il libro viene "completato", ricostruendo un vero e proprio carteggio poetico per ogni mito. In tale operazione non è esente dall'ambizione di sfidare Ovidio, sommo poeta e sommo retore; in un certo qual senso d'Amboise si contrappone all'"avvocato" latino delle eroine presentandosi come avvocato francese degli eroi. La sfida è apprezzata dai contemporanei: nel paratesto del volume d'Amboise è elogiato come un secondo Ovidio (elogio, come è facile immaginare, destinato ad essere rivolto anche ad altri protagonisti della nostra storia) e Chevillon, patria del poeta francese, è contrapposta a Sulmona.

 

4. Il nuovo genere tra poesia neolatina e storia nazionale. Inghilterra 1590-1597

I primi libri di epistole eroiche opera di un autore lato sensu britannico sono opera di Alexander Boyd (1562-1601) [20], nobiluomo scozzese dalla vita turbolenta, formatosi culturalmente tra Parigi e Orleans [21]. La sua complessa vicenda biografica si rispecchia nella storia editoriale dei suoi volumi, una storia quant'altre mai emblematica della capacità di diffusione della poesia neolatina. I suoi eleganti volumi di versi, le Epistulae Quindecim (1590) [22], in risposta a quelle ovidiane come le contepistres di d'Amboise, e le Epistolae Heroides et Hymni (1592) [23] sono composti in Francia ma pubblicati a Bruxells ed Anversa. L'ultimo dei due volumi è dedicato James Stuart, VI re di Scozia, destinato di lì a poco a diventare anche sovrano d'Inghilterra col titolo di Giacomo I. Si tratta di una dedica significativa in quanto Boyd, dopo aver menzionato con reverenza una schiera di poeti neolatini d'Italia (Pietro Bembo, Marcantonio Flaminio, Girolamo Fracastoro, Andrea Dazzi), si vanta di aver contribuito a condurre le Muse latine nelle gelide terre del Nord. Tale fiducia è ben riposta, dal momento che tali opere, apprezzate in Francia [24], in Germani e nei paesi Bassi [25], verranno a lungo considerate una gloria delle lettere Scozzesi. Al di là di queste suggestive vicende, i due volumi rappresentano non solo un importante anello di congiunzione tra la Francia e l'Isola britannica ma anche una tappa significativa nella nostra storia. Se le Epistulae Quindecim, come promesso dal frontespizio, rispondono a tutte le lettere ovidiane («totidem Ovidi respondent») in un latino raffinato, ricalcato con maestria su quello ovidiano, le Epistolae Heroides presentano una grande varietà di personaggi e situazioni. Per la prima volta un libro di epistole eroiche è interamente dedicato a eroine ed eroi assenti nel libro ovidiano, scelta che in alcuni casi comporta un ampliamento del registro stilistico; è il caso, ad esempio, della lettera di Antigone ad Emone, intessuta di ricordi sofoclei che innalzano lo stile verso le vette del tragico. L'inventiva del poeta scozzese introduce, inoltre, la presenza di un gruppo significativo di lettere dedicate a personaggi della storia romana, precedente di grande importanza per Michael Drayton. Tra le lettere attribuite a personaggi storici, spicca quella di Paulina a Decio Mundo, ricercata tanto nell'inventio (la scelta di un episodio poco noto tratto dalle Antichità giudaiche di Flavio Giuseppe) quanto nell'elocutio particolarmente artificiosa. [26] Una circostanza significativa è che tra i miti assenti in Ovidio ed elegantemente riscritti da Boyd figuri anche quello di Venere ed Adone, al quale appena un anno più tardi Shakespeare dedicherà le sue stanze [27] e che, non occorre ricordarlo, sarà scelto da Giovan Battista Marino come soggetto di un poemetto destinato con gli anni a divenire uno smisurato poema.

Sebbene nel periodo Tudor e nel periodo Spenser non manchino sporadici esempi di epistole eroiche scritte in inglese, è soltanto in età elisabettiana che il genere da esercizio a margine di volgarizzamenti [28] e testi teatrali [29] diviene autonomo grazie ad un'opera particolarmente fortunata: le England's Heroicall Epistles di Michael Drayton (1563-1631), pubblicate nel 1597, ristampate per altre quattro volte sino 1602 ed in seguito incluse, con qualche ritocco, nell'importante ed altrettanto fortunata raccolta dei Poems (1619, 1635, 1656). [30]

Michael Drayton, da buon cultore della storia patria, alla quale dedica poemi, ballate e tragedie, adotta il modello ovidiano agli eroi e le eroine della storia inglese, intrecciando gli amori dei «semidei» britannici con allusioni a diversi episodi storici [31] dei quali si dà contezza al lettore nelle apposite note e nei riassunti in prosa premessi ad ogni lettera. Drayton, interpreta le Heroides in chiave nazionale. Il susseguirsi di amanti celebri della storia inglese offre al versatile poeta l'occasione di dipingere un affresco non convenzionale e brillante del carattere nazionale, complementare per certi versi con la descrizione geografico-culturale dell'isola veicolata dal poema Poly-olbion. Come nel caso di Boyd, le vicende messe in versi permettono al poeta di estendere il registro sino a toccare il tragico, talora in competizione con i tragediografi del tempo, Shakespeare compreso. Dalle contrepitres di d'Amboise e le Epistulae Quindecim di Boyd il letterato elisabettiano trae spunto per un'altra caratteristica strutturale del suo libro: ogni lettera è seguita dalla risposta. In questo modo il poeta si compiace di variare sul tema, presentando con mirabile arguzia il medesimo episodio da due punti di vista, quello maschile e quello femminile ma anche, in taluni casi, quello di partiti e casate contrapposti. Grazie ad un fitto dialogo con la produzione letteraria del tempo dedicata alla storia nazionale, dagli storici agli autori di teatro (ne dà conto l'ottimo commento dell'edizione Hebel), Drayton, che si professa nella prefazione imitatore di Ovidio, aggiunge un colore britannico al genere delle epistole eroiche. Sin dal titolo, d'altronde, al lettore viene promessa una versione inglese delle Heroides, in una duplice accezione: stilistica, le heroical couplets a sostituire i distici elegiaci, e contenutistica, la presenza dei "miti nazionali". Non sorprende che Drayton sia enfaticamente elogiato nel paratesto come la rincarnazione britannica di Ovidio, sulla scia di analoghi elogi mossi a d'Amboise e Boyd. In questo caso, però, interessa notare che nel sonetto dello scozzese William Alexander of Menstrie tale elogio si riferisca in particolare alla capacità del poeta inglese di far rinascere le acutezze e i concetti del grande poeta latino, attualissimo modello di stile: «Ovid's soul revives in Drayton now, / stille learn'd in Love, still rich in rare Conceits». [32]

Sarebbe impossibile dare conto di un libro tanto complesso. Mi limito, dunque, ad illustrare la tecnica compositiva di Drayton con un esempio. Le prime due lettere del libro sono attribuite ad uno scambio epistolare tra Rosamunda, nascosta nel castello di Woodstock, e il re Enrico II (1133 - 1189), suo amante. L'antefatto sul quale si basano le due missive è degno di un intreccio teatrale: il re, dopo averla reclusa in una torre, per timore della reazione della consorte, ha deciso di mettere alla prova la donna per mezzo di una lettera scritta dallo stesso re ma attribuita ad un gentiluomo a lei ignoto; Rosamunda cede alle offerte dello sconosciuto, nella speranza, si intuisce, di abbandonare il luogo di detenzione. Nella prima delle due missive, Rosamunda ammette la propria colpa con un crescendo di metafore concettose: il suo animo, un tempo puro come il foglio bianco sul quale sta scrivendo, è stato macchiato dalle righe nere del peccato; la luce della candela è come la fiamma della vergogna che le incendia il cuore mentre sta vergando la missiva; il cuore di Enrico, come un diamante, sarà forse ammorbidito dalle sue lacrime; osservando un'immagine di Lucrezia dipinta sulle pareti, ella alterna rossore per la vergogna e pallore per il dolore mortale che l'attanaglia. Dopo aver tessuto la lettera di allusioni mitologiche, Rosamunda descrive in conclusione un gioiello donatale dal re nel quale è istoriato il mito di Io ed Argo, occasione per un velato rimprovero: Enrico ha imitato Giove tramutando, a causa della sua gelosia, la sua amata in una bestia («in this thou rightly imitatest Jove, / into a Beast thou hast transform'd thy Love", vv. 171-2). Se la lettera di Rosamunda è fredda ed elegante, ricca di ekphrasis e allusioni mitologiche (a quanto riportato sin ora si aggiunge l'isotopia del labirinto, metafora centrale nel componimento, ispirata, come spiega la nota di Drayton, alla leggendaria presenza di un vero labirinto nel castello di Woodstock), la risposta di Enrico è tumultuosa e patetica. Il sovrano, infatti, descrive dapprima i moti dell'animo durante la lettura della missiva di Rosamunda e poi le oscillazioni continue tra odio ed amore nel momento della scrittura. Già colpito in precedenza dal tradimento dei figli che stanno guerreggiando contro di lui, il sovrano non riesce a condannare a morte Rosamunda, il cui amore, rigenerante come una posizione magica, è in grado di farlo tornare giovane.

In nessuna delle precedenti imitazioni di Ovidio ci troviamo di fronte ad una riscrittura tanto ambiziosa, sia sul piano stilistico sia su quello dell'invenzione. Ovidio, maestro del wit, è sfidato sul suo terreno, sostituendo alle favole antiche le leggende inglesi. Moltiplicando le metafore e i colori retorici, intessendo allusioni storiche talora davvero peregrine (almeno per un lettore contemporaneo non specialista), moltiplicando i giochi di parole e le acutezze, Drayton propone una riscrittura delle Heroides sorprendentemente vicina a quella che qualche anno più tardi fornirà uno tra i più abili poeti italiani che si dedicheranno al genere, Antonio Bruni.

 

5. Il libro sognato e il libro emulato: da Marino a Bruni. Italia 1614-1627

La definizione del libro di Epistole eroiche consegnato alla Lettera Claretti (1614) ha un effetto immediato nell'Italia del primo Seicento. Prima ancora, infatti, che Marino possa o voglia mandare alle stampe la sua opera, un letterato del quale ignoriamo il nome pubblica nel corso del 1615 un libro di epistole eroiche. [33] Negli anni successivi Marino nel suo epistolario rivendicherà più volte la primogenitura del genere che avrebbe intrapreso sin dal 1602 [34], lamentandosi per il furto subito a causa della sua ingenuità («mio danno, merito peggio perché sono troppo coglione» [35]) ma senza per questo provvedere a pubblicare il suo libro di Epistole eroiche. L'unico lacerto del volume promesso e descritto nella Lettera Claretti, la Lettera di Rodomonte a Doralice, viene mandato alle stampe senza l'autorizzazione dell'autore, da un piccolo editore veneziano nell'agosto del 1619. Il volumetto in questione è "completato" dalla Risposta di Doralice a Rodomonte, opere di un letterato vicentino di scarsa fama, tale Dionisio Viola. Duplice, dunque, l'appropriazione: l'editore sottrae a Marino un testo letterario ancora inedito che circolava in forma manoscritta; il letterato di provincia aggiunge a tale testo una sua "risposta", seguendo la tradizione di Sabino e delle contrepistres. La pubblicazione non autorizzata di una delle ventinove lettere in versi alla maniera di Ovidio promesse da Marino [36] inaugura la voga italiana del genere delle epistole eroiche. Nel 1622, infatti, un letterato cosentino di stanza a Roma, pubblica le Lettere delle dame e degli eroi, raccolta di epistole eroiche attribuite ai personaggi della Liberata e del Furioso. Non pago di aver mandato alle stampe, per giunta presso Ciotti, l'antico editore di Marino, un libro di epistole eroiche, Della Valle promette nella dedica di pubblicare in futuro altre epistole eroiche che egli conserverebbe presso di sé in forma manoscritta, annuncio ispirato con tutta evidenza alla lettera Claretti. Tale promessa sarà effettivamente mantenuta in due distinte tappe: nel 1627 appariranno altre cinque lettere col titolo Nuova aggiunta alla lettere delle dame e degli eroi, mentre nel 1630 vedranno la luce le risposte. [37]

Nei primi anni del secolo, dunque, il genere in Italia si caratterizza da una parte per un curioso fenomeno emulativo (il tentativo di imitare un volume che Marino promette ma non pubblica), dall'altra per il rapporto strettissimo tra l'epistola eroica e il romanzo cavalleresco. [38] D'altronde nel progetto mariniano la parte del leone spettava proprio alle lettere tratte da Tasso ed Ariosto, circostanza che si univa al fatto che l'unica epistola eroica mariniana effettivamente pubblicata è dedicato a due personaggi del Furioso. Tale circostanza non stupisce se si tiene conto della straordinaria fortuna nell'immaginario dell'epoca dei personaggi dei romanzi cavallereschi, ritratti in quadri e affreschi, messi in scena a teatro, protagonisti di steccati, tornei, spettacoli vari. [39]

Il sogno mariniano di un libro che riscriva in forma epistolare le vicende di personaggi del Furioso, della Liberata e di «altri Poemi e Romanzi Greci, Latini, e Spagnoli», ai quali aggiungere anche alcuni ««istorici personaggi» , viene realizzato da un poeta di ben altra tempre rispetto ai minori e mini che sino a quel momento si erano impadroniti dell'«invenzione» mariniana. Mi riferisco ad Antonio Bruni (1593-1635), il più brillante tra i poeti marinisti del primo Seicento [40], autore di un libro di Epistole eroiche apparso a Roma per la prima volta nel 1627, corredato di pregevoli incisioni [41] e di un ambizioso paratesto. [42] Ampliato nell'edizione del 1634, il volume vedrà nel corso del Seicento ben dieci ristampe. Sin dalla prima edizione, le Epistole eroiche esibiscono una varietà di personaggi pari soltanto a quella immaginata da Marino. Ai cavalieri del Tasso e dell'Ariosto si affiancano coppie dell'epica classica (Turno e Lavinia, Nausica e Ulisse) mentre la storia entra nel volume con episodi tratti da un ampio campionario di storici latini e greci: Flavio Giuseppe, Plutarco, Livio, Marco Giuniano, Gregorio Nicefero. Come nel caso di Boyd, inoltre, Bruni sceglie di riscrivere in forma epistolare alcuni miti assenti nelle Heroides, traendo le favole da fonti volutamente non ovidiane (Nonno di Panopoli, Apuleio, il Boccaccio delle Genealogiae). Non pago di tanta varietà, Bruni inserisce nel libro due epistole tratte dalle opere di scrittori contemporanei, Prospero Bonarelli e Giovan Battista Strozzi, una forma di omaggio che si aggiunge alla dedica premessa ad ogni lettera. [43]

Il libro di Bruni, dunque, non nasconde le sue ambizioni. Opera monstre, nel suo genere, per dimensioni, le Epistole eroiche esibiscono numerosi tratti mariniani non solo sul versante dello stile ma anche sul piano della struttura, dalle incisioni (sorta di risposta ad un altro libro immaginato da Marino, l'edizione illustrata de La galeria) alle virtuosistiche e beffarde allegorie, analoghe a quelle presenti dell'Adone. Omaggio e sfida, "furto" ed emulazione si intrecciano tra l'oro nell'operazione di Bruni come dimostra il più significativo episodio a noi noto relativo alla preistoria del libro. Nel 1624 Antonio Bruni invia l'epistola di Venere ad Adone a Marino, chiedendo un giudizio, così come sta facendo per altri testi spediti per lettera ai sodali appartenenti all'Accademia degli Umoristi. In questo caso, però, tale invio rappresenta un omaggio rivolto all'Adone proprio quando la pubblicazione del poema viene sospeso donec corrigatur, e, al contempo, una sfida alla primogenitura vantata da Marino nei confronti del nuovo genere. Nella sua risposta Marino ricorre, nel definire lo stile del suo emulo, ad un'ironia sottile, che si può interpretare come bonaria o come stizzita («la lettera ha più concetti che caratteri»). Come ho cercato di ricostruire in altra sede, ad ogni modo, prevale in Marino la prudenza, considerando il ruolo che Bruni stava svolgendo nell'ambito del suo processo inquisitoriale. [44]

Pur lasciando trasparire il fastidio per il "furto" subito, il Marino lettore di un'epistola eroica tratta del suo sfortunato poema, elogia la poesia di Bruni come «vezzosa e leggiadra», sfavillante di invenzioni. Ed in effetti dal punto di vista stilistico le Epistole eroiche risultano straordinariamente curate. Come nel caso delle England's Heroical Epistles di Drayton, libro certamente ignoto a Bruni, ogni lettera è costruita intorno ad un determinato campo semantico: per fare un solo esempio, nell'epistola della Madre ebrea a Vespasiano, al centro del componimento si trova la metafora del ventre che diviene la sepoltura del bambino al quale ha dato la vita.

Il libro di Bruni non si limita a realizzare il sogno di Marino ma anticipa gli sviluppi dell'epistole eroica in Italia nel secondo Seicento per quanto riguarda due aspetti: la genesi accademica del libro testimoniata nel paratesto [45] e l'ampliamento sistematico alla storia antica, con la relativa inclusine del registro tragico nel genere.

 

6. Dalle contrepistres alle lettere galanti. Francia 1620-1642

Michel de Marolles (1600-1681) nella prefazione alla sua versione delle Heroides (1661) afferma che molti autori francesi hanno ceduto alla tentazione di farsi, al pari Ovidio, segretari degli eroi e delle eroine. [46] La metafora è significativa in quanto deriva da una concezione dell'epistola eroica come un sottoinsieme dell'epistolografia, genere di gran moda in Francia nel corso del XVII e del XVIII secolo, tra raccolte di missive reali e fittizie, diffusione delle lettere delle dame e primi vagiti del romanzo epistolare. [47] Non sorprende, allora, che le epistole eroiche nel Seicento francese siano in prosa e non in versi, talora ospitate in raccolte di lettere suddivise per categorie e per temi. La scelta della prosa, ad ogni modo, non impedisce agli scrittori francesi, traduttori e libertini, poligrafi e marinisti di disseminare le rispettive epistole eroiche di arguzie, metafore, concetti con l'intento di emulare non soltanto Ovidio ma anche, talvolta, gli scrittori italiani, dapprima Giovanbattista Marino, in seguito romanzieri italiani come Francesco Loredan. [48]

Nei primi anni del secolo, alla persistente fortuna delle contrepistres [49] si affianca un primo esempio francese di libro composto da epistole eroiche di personaggi mitologici assenti in Ovidio: le otto Epistres attribuibili a Jean Baptiste de Croisille († 1650) comparse a Parigi nel 1620 in una dimessa edizione priva dell'indicazione dell'autore e di note tipografiche. [50] Le epistole, a un tempo esili e verbose, sono caratterizzate da un tono nella maggior parte dei casi galante piuttosto che elegiaco e da uno stile ricco di allitterazioni, compiaciute descrizioni pittoriche, giochi concettosi. La scelta delle favole è sapientemente equilibrata tra soggetti pittorici virtuosisticamente tradotti in stile epistolare (L'Aurore à Céphale), soggetti tragici (Hippolyte à Phèdre, Diane à Hipolyte), episodi tratti dalle Metamorfosi di Ovidio (la favola di Iphis à Ianthe vicina per tematica alle epistole eroiche italiane ispirate all'amore di Fiordispina per Brandimarte). Il volumetto sembra andare incontro ad un immediato successo: due anni più tardi, infatti, il marinista Puget de la Serre (1594-1655), futuro storiografo di Maria dei Medici, pubblica le sue Réponses aux Lettres du sieur de Croisilles (1623). Ancora una volta un libro di epistole eroiche si propone come raccolta di contrepistres, destinata, questa volta, a completare l'opera di un autore contemporaneo (si tratta di un precedente particolarmente importante nel caso del libro di Michiel, come vedremo più avanti).

A partire dagli anni Quaranta le epistole eroiche vengono rifuse all'interno delle innumerevoli raccolte di missive, talora dando vita ad una presenza per noi incongrua di carteggi mitologici all'interno di raccolte come di lettere di personaggi contemporanei più o meno famosi, come nel caso della lettera di Aurore à Cephale, imitazione dell'omonimo testo di de Croisilles, inserita da Du Pellettier nelle ultime pagine nella voluminosa e disorganica raccolta di Lettres mêslées (1642). [51] In altri casi la presenza preponderante di lettere fittizie in libri che pure si presentano come antologie di testi realmente spediti trasforma la raccolta di lettere in una sorta di libro di epistole eroiche. Mi riferisco in particolare ai due poderosi tomi del Nouvaeu Recueil de lettres des Dames tant anciennes que modernes (1642) opera di François de Grenaille (1616-1680), storico, romanziere e traduttore di una qualche fama. [52] Il libero adattamento di lettere reali, come quelle di Isabella Andreini al suo amante, si uniscono a vere proprie epistole eroiche come, per fare due esempi significativi, le quattro lettere di Eloisa ad Abelardo (sintomo di una fortuna editoriale della Historia calamitatum che arriverà ad influenzare Pope) e la lettera di Laura a Petrarca.

La più organica ed interessante raccolta di epistole eroiche francesi è opera di Tristan l'Hermite (1601-1655), apprezzato autore tragico e poeta lirico marinista. Nella raccolta delle Lettres mêslées (1642), primo frutto di una vena autobiografica destinata a dare vita l'anno seguente al romanzo Le Page disgracié, l'Hermite introduce una sezione di Lettres Heroïques. [53] Si tratta di un vero e proprio libretto autonomo articolato in un'ampia varietà di tipologie di testi analoga a quella presente nelle Epistole eroiche di Bruni e in quelle coeve di Pietro Michiel. Tra le Lettres Heroïques, infatti, figurano testi attribuiti a personaggi mitologici, personaggi storici e letterari. Le epistole eroiche di Tristan sono strutturate come dei monologhi drammatici, ricchi di arguzie poetiche e brani patetici [54]: ad esempio Teti, dopo un sogno premonitore, scrive ad Achille per avere sue notizie: le lacrime si mescolano ai presagi, secondo un gusto per l'ironia tragica che non sorprende in un consumato drammaturgo. O ancora, lo scrittore francese per mezzo di una lettera di Admete ad Ercole, riscrive in chiave elegiaca ed ovidiana la materia dell'Alceste euripidea, come aveva fatto Alexander Boyd con l'Antigone Sofoclea. La scelta dei personaggi storici è particolarmente curiosa. Tristan, infatti, non si misura con le vicende antiche ma sceglie due episodi tratti dalla storia del Perù e di Goa che testimoniano la crudeltà della colonizzazione spagnola e portoghese. Come nella lettera di Scedasso al senato di Tebe, pubblicata da Bruni nel 1634, e come in numerose epistole degli Incogniti Bruni e Crasso, sui quali torneremo, l'eroide viene adoperata per esprimere la protesta disperata di un innocente perseguitato. L'Hermite, non soltanto, come abbiamo appena visto, è vicino agli sviluppi del genere nel secondo Seicento italiano, ma a differenza degli altri autori francesi sin qui presi in esame si misura anche con i personaggi letterari, dando vita ad un vero e proprio percorso. Il primo testo è dedicato a due personaggi del XXI canto del Furioso, Filandro a Gabrina; il secondo a Dorinda e Silvio, una delle due coppie del Pastor Fido di Guarini; il terzo è dedicato a due personaggi d'invenzione, Ariste a Amarillis, espressamente ricalcati sulla falsariga de protagonisti dell'Astrée di Honoré d'Urfé. Si tratta di una progressione cronologica, da un'opera del primo Cinquecento ad un romanzo coevo, e, allo stesso tempo, di una coerente successione di generi tra loro imparentati: dal romanzo cavalleresco alla favola pastorale e dalla favola pastorale al più importante esempio di romanzo contemporaneo. Tale "canone", fra l'altro, implica anche un certo orgoglio nazionale per il capolavoro di d'Urfé, degno di comparire accanto a due delle opere italiane di maggior successo in Francia e in Italia.

 

7. Dal romanzo cavalleresco alle storie antiche. Italia 1640-1655

I libri di epistole eroiche raggiungono in Italia la più ampia diffusione editoriale tra gli anni Trenta e Cinquanta del Seicento, allorquando l'opera di Antonio Bruni viene incessantemente ristampata da editori veneziani attenti alla letteratura contemporanea e ai gusti del pubblico come Oddoni [55], Giacomo Scaglia [56], Turrini. [57] Non sorprende, dunque, che proprio a Venezia il genere venga rilanciato nell'ambito dell'Accademia degli Incogniti.

Pietro Michiel (1603-1651) [58], patrizio appassionato di poesia al punto di «passeggiare con più gusto le viottole di Parnaso che le logge del Palazzo» [59] avito sul Canal Grande, esordisce alle stampe a trentun anni con un dittico estremamente significativo dal nostro punto di vista: le Epistole amorose (luglio 1632 [60]), raccolta di lettere in versi indirizzate ad una serie di dame veneziane, e L'arte degli amanti (agosto 1632 [61]) «una leggiadra imitazione» dell'Ars amandi [62]. Nel 1635 Michiel, probabilmente in occasione della sua iscrizione negli Incogniti, pubblica un opuscolo contenente l'Epistola di Idraspe a Dianea tratta dal romanzo di Giovan Francesco Loredan, fondatore dell'accademia. L'omaggio viene apprezzato al punto che tale epistola accompagnerà a partire dal 1638 la maggior parte delle seicentesche della Dianea [63]. Cinque anni più tardi Michiel riunisce un gruppo di epistole eroiche, precedentemente diffuse in forma manoscritta tra i sodali Incogniti, nel Dispaccio di Venere, volume che comprende anche una riedizione ampliata delle Epistole amorose. A differenza di Della Valle e di Antonio Bruni, dunque, lo scrittore veneto ospita le epistole eroiche in una raccolta più ampia di lettere fittizie, sulla falsariga dei volumi francesi coevi. Tra le venti epistole eroiche [64] e la riedizioni delle Epistole amorose si situa una sezione intermedia, le Risposte di diversi alle epistole eroiche del Michiele, una raccolta di contrepistres scritte da accademici Incogniti per "completare" il volume [65]. A differenza dei volumi di Jean Babptiste Croisille e Puget de la Serre, la sezione intermedia del volume veneziano riunisce le risposte di sei differenti autori, secondo le regole di quello che appare un vero e proprio gioco collettivo. Si tratta di una circostanza significativa se si tiene conto del fatto che, come ho già detto, l'esordio di Michiel nel genere risale proprio ad un adattamento in forma ovidiana della Dianea, romanzo del principe degli Incogniti. La circolazione delle epistole eroiche tra i sodali accademici è all'origine di un'appendice del volume analoga, per certi versi, alla sezione di Risposte molto spesso ospitata in chiusura dei libri di poesie del tempo. La presenza di contrepistres si unisce ad un'altra caratteristica peculiare: nei casi nei quali Michiel compone dei dittici, le epistole responsive riprendono le rime della missiva alla quale rispondono, per analogia con i sonetti di corrispondenza [66]. Grazie a tale innovazione metrica Michiel crea un gioco di echi e rimandi che va dalla modulazione, con varianti minime, delle medesime immagini nell'ambito del gioco della seduzione (l'epistola III colla quale Polissena accetta le profferte avanzate da Achille nell'epistola II), ad un vero e proprio "controcanto", non privo di elementi comici, come nel caso della feroce epistola V nella quale Ruggiero rovescia sistematicamente i lamenti di Alcina («A Ruggiero infedel, quasi vicina / a morir per amore, in questo foglio / salute invia l'abbandonata Alcina» [67] «Con pregarle ogni misera rovina, / ogni affanno, ogni pena, ogni cordoglio / Ruggier risponde a l'odiata Alcina» [68]).

Se dal punto di vista stilistico Michiel emula Bruni, imitandone le metafore concettose, la costruzione del testo attorno ad alcune metafore centrali, la variazione continua sulle immagini della scrittura, dal punto di vista tematico ne propone una riduzione significativa. Nel libro veneto di Epistole eroiche, infatti, i testi sono fondati per lo più sul genere del romanzo cavalleresco, con un ampliamento del canone sino ad includere tanto opere precedenti al Furioso (l'Orlando innamorato del Boiardo) quanto un'ampia scelta di testi compresi tra il Furioso e la Liberata: le Prime imprese d'Orlando di Ludovico Dolce, il Floridante di Bernardo Tasso, il Rinaldo dello stesso Torquato. Tra tanti testi ispirati ai poemi cavallereschi si aggiungono due missive dedicate a due romanzi in prosa, volutamente scelti tra un arco temporale amplissimo, dalle origini del genere sino alle opere contemporanee. Mi riferisco alle già menzionate epistole II e III, tratte dalle Guerre di Troia di Ditti Cretese (IV secolo dopo Cristo), e alle epistole VI e VII, tratte dalla Dianea di Loredan (1635). Ad un così vasto campionario personaggi romanzeschi si aggiungono tre coppie mitologiche Argia e Polinice, Deifile e Tideo (dalla Tebaide), Megara ad Ercole (dall'Hercules furens). A differenza di quanto accade nei libri di Boyde, di Drayton, di Bruni e di Tristan l'Hermite, le epistole eroiche di Michiel non presentano variazioni tonali: ogni missiva, infatti, si attiene al tono elegiaco e sviluppa un argomento amoroso, anche quando la "fonte" avrebbe permesso di virare sul tragico. [69]

Le lettere di Michiel sono tutte dedicate a personaggi favolosi, con l'eccezione della missiva di Ovidio a Corinna, omaggio al poeta delle Heroides e dell'Ars amandi. La scelta di rinunciare a dare voce a «personaggi istorici», come previsto da Marino e sperimentato da Bruni, potrebbe essere ricondotta all'intenzione di non entrare in competizione con il Loredan, autore di un'opera per molti versi affine al genere delle epistole eroiche. Mi riferisco agli Scherzi geniali [70], pubblicati per la prima volta in due parti tra il 1632 e il 1634. [71] Il volume del principe degli Incogniti riunisce i discorsi tenuti da personaggi storici in momenti critici della propria vita. Redatti in prosa, tali «scherzi» sono, dal punto di vista della struttura, simili piuttosto ad una lettera che ad un monologo, dal momento che molto spesso l'eroe o l'eroina al quale Loredan dà voce rivolge il suo discorso ad un altro personaggio (Achille a Patroclo, Agrippina a Nerone, Antonino a Caracalla e così via). Sebbene nel titolo manchi un riferimento alle Heroides e alla lettera si sostituisca il discorso [72], il volume di Loredan presenta notevoli somiglianze con i libri di epistole eroiche dal punto di vista del paratesto. Gli Scherzi geniali, infatti, come in tutti i libri di epistole eroiche italiani e francesi, sono corredati dagli argomenti mentre ciascuno scherzo, è dedicato ad un sodale come le epistole eroiche nel volume di Bruni e di Crasso.

Il volume di Loredan, pur non appartenendo di diritto al genere del quale stiamo trattando, dimostra come il diffuso interesse per i rapporti tra narrazione storica e rielaborazione letteraria [73] renda attuale, alla metà del secolo, l'intuizione mariniana in merito alla possibilità di estendere ai «personaggi istorici» lo schema dell'epistola eroica. Da eccezione prevista nella Lettera Claretti e sperimentata da Bruni, l'argomento storico diviene centrale nell'Epistole eroiche (1655) dell'avvocato napoletano Lorenzo Crasso (1623-) [74], quasi tutte attribuite a personaggi della storia antica e sacra. [75] In uno dei componimenti poetici in lode dell'autore premessi al testo, il volume viene esplicitamente considerato come frutto dell'emulazione delle Epistole eroiche di Antonio Bruni [76], considerazione non priva di fondamento se si tiene conto che la struttura del volume ricalca quella ideata dal poeta salentino. [77] Si tenga conto, però, che Crasso ha bene presente il progetto mariniano. Accademico ozioso, come lo stesso poeta dell'Adone, e in possesso, stando a testimonianze coeve, di «molti manoscritti del Marino» [78], Crasso negli Elogi di uomini letterati menziona tra le opere mariniane inedite le Epistole eroiche. [79] In questa sede non è possibile discutere l'eventualità che Crasso conoscesse alcune epistole eroiche di Marino in seguito perdute; quel che conta mettere in luce qui è che il poeta napoletano sceglie come protagonisti delle sue missive in versi personaggi assenti nell'indice mariniano, mentre in due casi non disdegna di riprendere argomenti trattati da Antonio Bruni. [80]

Lorenzo Crasso, quindi, sceglie di aggiornare la formula ideata da Marino e perfezionata da Bruni secondo un gusto nuovo, che risente del successo dei romanzi di ambientazione romana, degli Scherzi geniali di Loredan, della prosa laconica, della produzione teatrale e librettistica del tempo. Non sorprende, allora, che un accademico Ignoto e corrispondente del Crasso, Angelo Aprosio, pubblichi nel 1667 un commento alle Epistole eroiche dal titolo bizzarro di Le vigilie del Capricorno. [81] Si tratta di «note tumultuarie» scritte su richiesta dei sodali allo scopo di sviluppare intorno all'Epistole eroiche un insieme volutamente disordinato di «annotazioni». Le poesie di Crasso, dunque, sono al pari di un testo di storia o di un romanzo l'occasione per continue divagazioni di carattere erudito e morale. Il testo si presta ad una tale lettura in quanto molte delle epistole eroiche di Crasso, di argomento storico, sono ricche di sentenze e riferimenti ad aneddoti storici, come risulta evidente consultando la Tavola degli argomenti posta in conclusione del volume. Un esempio particolarmente calzante di tale modo di procedere di Crasso è rappresentato dall'epistola di Platone ad Aristotele, dedicata proprio ad Angelico Aprosio, nella quale le considerazioni in merito alle divergenti teorie sulla creazione del mondo si intrecciano all'elogio di Diogene, libero dalle miserie della vita di corte. Non è difficile immaginare che Aprosio, ricevendo l'epistola in dono nell'ottobre del 1563, abbia radunato nella sua biblioteca alcuni sodali per discutere intorno al testo, prendendo in esame tanto le allusioni alla biografia dei due filosofi quanto i versi dedicati al contrasto tra le armi e le lettere («mal si confanno infra l'armate schiere / con l'insegne le carte a gloria intese / e con placide penne aste guerriere» [82]). Nella prefazione alle Le vigilie del Capricorno, ad ogni modo, si narra un aneddoto molto probabilmente inventato ma significativo: Aprosio, in occasione della ristampa delle volume di Crasso, avrebbe invitato i frequentatori della sua biblioteca a commentare l'epistola di Platone ad Aristotele ed in seguito alla rinuncia dei sodali, avrebbe in prima persona affrontato l'impresa, dando origine al primo nucleo del libro offerto al lettore. I punti di contatto tra il libro di Crasso e gli Incogniti non si limitano a quanto detto sin ora. Alcune epistole, infatti, sembrano ideate a contatto con le opere degli Incogniti; mi riferisco in particolar modo all'epistola di Adamo ad Eva, ispirata all'Adamo di Loredan (1640), e l'epistola di Carlo I Stuard a Enrichetta Maria di Borbone che risente dell'ampia produzione storiografica veneziana dedicata alle vicende del re decapitato. [83] Proprio la lettera di Carlo I, composta nel 1652 a soli tre anni dall'esecuzione della condanna a morte, testimonia eloquentemente un'altra caratteristica del libro, vale a dire la tensione verso lo stile sublime e la presenza di argomenti tragici. Lo stesso Crasso, infatti, nell'Argomento definisce le vicende narrate dal sovrano nella sua lettera la più «lacrimabile» delle tragedie. [84] Tale missiva può essere considerata un vero e proprio monologo tragico, concluso con la descrizione dei tamburi che annunciano l'imminente esecuzione: «Ma già d'intorno ecco rimbomba / precursor, che mi chiama al fato rio, / il rauco suon della funesta tromba, / dolce mio Ben, già vado a morte, a Dio». [85] La tensione verso la scrittura tragica caratterizza anche l'epistola di Giuditta a Betulia, abilmente intessuta di tessere tratte dalle riduzioni teatrali coeve. Sebbene non manchino epistole di argomento amoroso, la Musa di Lorenzo Crasso privilegia i temi tragici, i motti sentenziosi, le tirate anticortigiane e i facili effetti di un'eloquenza volutamente aspra e solenne. Il genere è a tal punto stravolto da rischiare di dissolversi. Non è forse un caso che l'esperimento del poeta napoletano, per quanto destinato ad un discreto successo editoriale, rappresenti l'ultimo libro del genere pubblicato nel corso del Seicento in Italia. [86]

 

8. Dalla parodia al rinnovarsi del genere. Inghilterra 1674-1713

Nella quarta edizione del suo fortunatissimo poema erocomico Hudibras (1674), vero e proprio "best seller" nell'Inghilterra della Restaurazione, Samuel Butler (1613-1680) inserisce un dittico di epistole eroiche: An Heroical Epistle of Hudibras to his Lady, goffo tentativo di seduzione epistolare da parte del protagonista del poema, e la risposta intitolata The Ladies Answers the Knight. Si tratta di una gustosa parodia del genere che anticipa di due la pubblicazione di un volume fondamentale nella storia della ricezione di Ovidio nell'Inghilterra di fine secolo. Due anni dopo la dissacrante incursione di Butler nel genere delle epistola eroica, infatti, presso l'editore londinese Tonson vede la luce una traduzione a più mani delle Heroides. Nella prefazione il principale responsabile del progetto editoriale, John Dryden (1631-1700) analizza con severità la poesia di Ovidio. La critica, ad ogni modo, è rivolta non tanto al poeta latino, comunque ammirato per la sua grandezza poetica, quanto ai suoi imitatori i quali si sono fatti abbagliare dalle caratteristiche più appariscenti del suo stile. L'eccesso di arguzia («wit») e di bravura retorica rendono imperfetta la sua imitazione della natura. [87] Nella traduzione Dryden e i suoi collaboratori, tra i quali figura un giovane Alexander Pope, si sforzano di ridurre gli eccessi ovidiani e di interpretare in chiave per così dire oraziana e virgiliana la poesia delle Heroides, efficace nella descrizione degli affetti ma talora eccessivamente eloquente a scapito della verosimiglianza.

La nuova traduzione del libro ovidiano comporta una rinnovata fortuna delle Heroides. [88] In un primo momento, però, tale fortuna si innesta nel filone del burlesque e della satira. Alexander Radcliffe, infatti, a pochi mesi dalla pubblicazione delle Ovid's Epistles translated by several hands manda alle stame il suo Ovid Travestie, rozzo ma gustoso travestimento in chiave contemporanea delle Heroides. La presenza di tali parodie testimonia il disagio dei letterati augustani nei confronti del modello ovidiano, avvertito come antiquato. La crisi del genere, investe anche le England's Heroicall Epistoles di Dryaton, considerate non più un classico della letteratura nazionale ma una sorta di imbarazzante ferro vecchio a causa del loro stile sentito come goffo e rozzamente ingegnoso. Nel 1703 John Oldomixon manda alle stampe un volume dall'altisonante titolo di Amores Britannici, espressamente presentato al lettore come una riscrittura in chiave attuale del volume del poeta elisabettiano. Il poeta, dopo aver criticato gli eccessi dello stesso Ovidio, non nasconde di essersi appropriato dell'invenzione di Drayton: «I took the hint of the following Letters from Mr Drayton, whose Language is now obsolete, his Verses rude and unharmoniuos and his Thoughts often poor and vulgar, affected and unnatural». Tale appropriazione è particolarmente significativa: il genere delle epistole eroiche, anche grazie al modello stilistico offerto dalle Ovid's Epistles translated by several hands, volume incessantemente ristampato tra fine Sei ed inizio Settecento, può ancora essere praticato nonostante il «wit» ovidiano sia per molti versi «out of season». Oldomixon, poeta di scarsa vena, non trova di meglio che aggiornare stilisticamente il più riuscito e fortunato libro di epistole eroiche della tradizione inglese. Quattordici anni più tardi, invece, Alexander Pope, che si era misurato giovanissimo con una traduzione dell'epistola di Saffo a Faone (1707), pubblica al culmine della sua maturità poetica la lettera di Abelardo ad Eloisa. Composta tra il 1716 e il 1717 sulla base di una versione inglese delle Abelardo ed Eloisa pubblicata nel 1713, l'epistola eroica di Pope rappresenta un nuovo inizio per il genere. La sensibilità preromantica, la versificazione impeccabile, lo stile nitido ed elegante, preludono ad una nuova interpretazione del libro ovidiano. Le traduzioni francesi dell'epistola di Pope, com'è noto, apriranno la strada alla straordinaria fortuna europea del genere nel Settecento. I libri "barocchi" di epistole eroiche verranno ben presto dimenticati. Emblematica, da questo punto di vista, la prefazione alle Epistole eroiche di Pietro Fantini, un volume di scarsissimo valore poetico pubblicato ad Osimo nel 1777. L'autore infatti, scrive: «Allorché nello scorso anno mi posi a scrivere queste Lettere non mi passava neppure per l'animo di averle poi a dare alle stampe. [...] Ma dipoi, avendone lette or l'una, o l'altra a gli amici, questi mi animarono a proseguir l'impresa, per ciò particolarmente, che tal maniera di Poesia, che presso i latini ebbe Ovidio per Padre, non è stata mai, almeno nei Secoli del buon gusto, dagli Italiani tentata».

 


Note

1. Prende in esame il genere nel suo complesso, dalle origini al XIX secolo, il fondamentale studio bibliografico: H. Dörrie, Der heroische Brief. Bestandsaufnahme, Geschichte, Kritik einer humanistisch-barocken Literaturgattung, Berlin, 1968. Per il Seicento si consultano le pp. 147-157 (la Francia, con l'esclusione delle epistole eroiche in versi), 163-169 (i Paesi Bassi), 170-81 (l'Italia), 182-196 (i Paesi Bassi), 374-377 (la Germania).

2. D. Erasmi Roterodamii , De conscribendis epistolis, ed. J.-C. Margolin in Opera omnia, vol. I, tom. II, Amsterdam, 1971, pp. 153-579, alle pp. 509-513. La prima edizione autorizzata del manuale erasmiano risale al 1522.

3. Ivi, p. 232. Alcune formule di salutatio sono citate in J. L. Valdes, De conscribendis epistolis, critical edition by C. Fantazzi, Leiden, 1989, p. 76-78. La prima edizione di quest'opera, altrettanto fortunata di quella erasmiana, è del 1534

4. Secondo il programma della Ratio studiorum (edizione del 1599) le Heroides, opportunamente purgate, sono studiate nel primo semestre del primo anno dell'ultima classe di grammatica. Le edizioni purgate ad uso dei collegi rivendicano il valore morale delle Heroides, da ricondurre ad exempla degli effetti nefasti dell'amore, secondo una strategia discorsiva già adottata nei principali commenti umanistici riprodotti dagli editori cinque e seicenteschi e raccomandata da Erasmo.

5. H. Moore, Elizabethan Fiction and Ovid's Heroides in «Translation & Literature», IX, (2000) n. 1, pp. 40-64, in part. p. 43, con relativa bibliografia.

6. Vd. P. White, Renaissance Postscripts. Responding to Ovid's Heroides in Sixteenth-Century France, Columbus (Ohio), 2009, pp. 42-86, capitolo Uses of the Heroides in Education.

7. Cfr. le riflessioni di A. Quondam, Il metronomo classicista in M. Hinz, R. Righi e D. Zardin (eds.) I Gesuiti e la Ratio Studiorum, Roma, 2004, pp. 379-507.

8. Y. Le Blanc, "Va lettre va". The French Verse Epistle (1400-1550), Birmingham, 1995; R. Lyne, Writing Back to Ovid in 1560s-1570s, in «Translation and Literature», XIII, (2004) n. 2, pp. 143-164; D. Dalla Valle, Les Héroïdes en France et les Lettres héroïques au XVIe etXVIIesiècles (jusqu'aux Lettres héroïques de Tristan l'Hermite) in Lectures d'Ovide publiées à la mémoire de Jean Pierre Néraudau, Paris, Le Belles Lettres, 2003 pp. 371-384 ; White, Renaissance Postscripts cit.

9. In questa sede mi limito ad indicare alcuni volumi fondamentali: A. Quondam (ed.), Le carte messaggiere. Retorica e modelli di comunicazione epistolare. Per un indice dei libri di lettere del Cinquecento, Roma, 1981, in particolare particolare riguardo al saggio introduttivo di Amedeo Quondam Dal «formulario» al «formulario»: cento anni di «libri di lettere», pp. 13-156; J. Basso, Le genre épistolaire en langue italienne (1538-1662). Répertoire chronologique et analytique, Roma-Nancy, 1990, 2 voll. (amplia ed integra il repertorio presente nel volume Le carte messaggiere cit., pp. 277-331); L. Braida, Libri di lettere. Le raccolte epistolari del Cinquecento tra inquietudini religiose e "buon volgare", Roma-Bari, 2009, al quale rimando per la bibliografia più recente.

10. Cfr. R. Carocci, A la recherche d'un genre littéraire, Les Héroïdes dans la seconde moitié du XVIIe siècle (1758-1788), Paris, 1988, in particolare i primi due capitoli : A la recherche d'un genre littéraire (pp. 13-37) e L'héroïde dans la presse de l'époque, pp. 41-64.

11. La Lettera indica un mirabolante catalogo di opere ideate da Marino e non ancora venute alla luce. Con tale intervento Marino intende preservare le sue «invenzioni» dai «furti» perpetrati dagli emuli e al contempo rilanciare la propria figura di scrittore dopo le traversie degli anni 1609-1614: cfr. C. Carminati, Giovan Battista Marino tra inquisizione e censura, Padova, 2008, pp. 40-155 (per la biografia di Marino nel periodo in questione); E. Russo, Le promesse del Marino. A proposito di una redazione ignota della lettera Claretti, in Id, Studi su Tasso e Marino, Roma-Padova, 2005, pp. 101-188; L. Geri, La Lettera di Rodomonte a Doralice in L. Geri - P. G. Riga, Per l'edizione degli "Scritti Minori" del Marino, in «L'Ellisse. Studi storici di letteratura italiana», VI (2011), pp. 177-187.

12. Onorato Claretti a chi legge, edizione in Russo, Le promesse del Marino cit., pp. 101-188, citazione alla p. 168.

13. Per l'Italia si veda: V. De Maldé, Appunti per la storia dell'elegia volgare in Italia tra Umanesimo e Barocco, in «Studi secenteschi», XXXVII (1996), pp. 109-134; D. Chiodo, L'Idillio barocco e altre bagattelle, Alessandria, 2000, pp. 170-177; L. Geri, L'epistola eroica in volgare: stratigrafie di un genere seicentesco. Da Giovan Battista Marino ad Antonio Bruni, in R. Gigliucci (ed.) Miscellanea seicentesca, Roma, 2012, pp. 79-156; M. Savoretti, Il carteggio di Parnaso. Il modello ovidiano e le epistole eroiche nel Seicento, Avellino, 2012; per l'Inghilterra: S. Greenhut, Feminine rhetorical culture. Tudor adaptations of Ovid's Heroides, New York, 1988 ; Moore, Elizabethan Fiction and Ovid's Heroides cit.; per la Francia: Dalla Valle, Les Héroïdes en France cit.; M. C. Chatelain, Ovide savant, Ovide galant. Ovide en France dans la seconde moitié du XVIIe siècle, Paris, 2008, pp. 578-84.

14. Cfr. A. Thill, Les Héroïdes chrétienne en Allemagne au XVIe et au XVIIe siècle in Lectures d'Ovide publiées à la mémoire de Jean Pierre Néraudau, Paris, 2003, pp. 361-70; J. Eickmeyer, Der Jesuitische heroidenbrief, Berlin, 2012.

15. Si tratta di un riduzione significativa rispetto al canone proposte da Dörrie che conta, per le nazioni e il periodo preso in esame, ben 286 titoli. Il limite dell'importante libro della Dörrie, d'altronde, consiste proprio nell'inclusione di un numero eccesso di testi, soltanto lateralmente connessi col genere delle epistole eroiche ad imitazione di Ovidio.

16. Si veda per la Francia: C. Volpilhac-Auger, Ovide en France au XVIIIe siècle: l'initiateur du mavais goût in Lectures d'Ovide publiées à la mémoire de Jean Pierre Néraudau cit. pp. 513-526.

17. Per quanto di grande interesse, la storia dell'epistola eroica tra Quattro e Cinquecento, per la quale rimando a S. Longhi, Le memorie antiche. Modelli classici da Petrarca a Tassoni, Verona, 2001, pp. 49-66 e A. Comboni e A. Di Ricco (eds.), L'elegia nella tradizione poetica italiana, Trento, 2003, è quella di un genere "debole". La debolezza è duplice: da una parte, in sede teorica, l'epistola eroica non viene distinta dall'elegia e, a maggior ragione, dalle epistole amorose in versi, in un quadro, d'altronde, nel quale la stessa elegia in terza rima si confonde con il capitolo ternario; dall'altra, i poeti che si cimentano col genere, come Luca Pulci, non entreranno a far parte né del canone tracciato da Bembo e dai classicisti del primo Cinquecento né faranno parte delle letture care alla stagione manierista e barocca.

18. White, Renaissance Postscripts cit.

19. La notizia si ricava da Ovidio, Amores, II, 18, vv. 27-34. Si tenga presente che, a partire dall'edizione parmense delle delle Heroides (1477), molti stampatori aggiungono al corpus ovidiano tre risposte attribuite ad un «Sabinus, eques Romanus celeberrimus vatesque» il quale «Nasonis temporibus floruit». Nel XIX tale Sabinus è stato identificato con l'umanista Angelus Sabinus (Angelo Sani di Cure), autore di alcuni Paradoxa (1467), cfr. I. C. Jahn, De P. Ovidii Nasonis et A. Sabini epistolis disputatio, Lipsiae, 1826 e K. Heldmann, Ovids Sabinus-Gedicht (am. 2,18) und die "Epistulae heroidum", «Hermes» (CXXII), 1994, pp. 188-219.

20. Lord Hailes Dalrymple, Sketch of the Life of Mark Alexander Boyd, Edinburgh, 1787; I. C. Cunningham, Marcus Alexander Scotus in A Palace in the Wild. Essays on Vernacular Culture and Humanism in Late-Medieval and Renaissance Scotland, edited by A. J. R. Houwen, Leuven 2000, pp. 161-174.

21. Rampollo di una nobile famiglia scozzese, dopo essersi vendicato delle angherie di un professore uccidendolo in un duello, Alexander Boyd lasciò la Scozia intorno al 1580. Trasferitosi in Francia, studiò legge a Parigi, Orléans e Bourges. In seguito allo scoppio della peste, fuggì dapprima a Lione e quindi in Italia. Nel 1587 combatté con le truppe di Enrico III contro le truppe svizzere di Henri de Navarre. Dopo la guerra riprese gli studi di diritto civile a Tolosa dove nel 1588 dove venne arrestato in seguito ad una insurrezione. Tornò in scozia nel 1595 e ivi morì nel 1601.

22. M. A. Bodii, Epistolae quindecim quibus totidem Ovidi respondent, in Burdigala, 1590.

23. M. A. Bodii, Epistolae heroides et Hymni. Ad Iacobum Sextum Regem, Antverpiae, 1592. Una scelta di epistole eroiche di Boyd, tratte da entrambi i volumi, è stata pubblicata in appendice ad un recente studio: C. Ritter, Ovidus redivivus: Die Epistulae Heroides des Mark Alexander Boyd, Hildesheim Zürich New York, 2010.

24. Claude Dantonet traduce in francese due delle nuove epistole di Boyd, cfr. White, Renaissance Postscripts. cit., p. 210.

25. I versi di Boyd saranno inclusi nell'antologia Deliciae Poetarum Scotorum pubblicata ad Amsterdam nel 1632.

26. Mi limito a citare il concettoso distico conclusivo: «Me licet immundam mentitus numina Mundus / reddidit, everso numine munda fuit» (Bodii, Epistolae heroides et Hymni cit., p. 58).

27. Cfr. C. Caruso, Adonis. The Myth of the Dying God in the Italian Renaissance, Bloomsbury, 2013.

28. Isabella Whitney (1540ca- fl. 1578) nella sua traduzione dei Remedia (Ovidius Naso His Remedie of Love, London, 1600) inserisce una versione di Heroides VII corredata da una risposta di Didone ad Enea da lei composta, cfr. Lyne, Writing Back to Ovid in 1560s-1570s cit., p. 155; George Turberville (1540ca-1590), traduttore delle Heroides, compone lettere in versi ispirate ad Ovidio e le pubblica nella sua raccolta Epitaphes, Epigrams. Songs and Sonets (1567), cfr. Lyne, Writing Back to Ovid in 1560s-1570s cit., p. 151.

29. Samuel Brandon pubblica in appendice alla Tragicomoedy of the vertuous Octavia (1598) le lettere in versi di Ottavia ad Antonio ed Antonio ad Ottavia, cfr. G. Schmitz, The Fall of Women in Early English Narrative Verse, Cambridge, 1990, p. 230.

30. Come nel caso di molti altri autori elisabettiani, la fortuna editoriale di Drayton declina nel periodo della Restaurazione per ravvivarsi tra fine Settecento ed inizio Ottocento: cfr. R. Noyes, Drayton's Literary Vogue Since 1631, Indiana, 1935. L'edizione di riferimento dalla quale cito è quella compresa nel II volume delle opere, corredata di un prezioso commento: M. Drayton, England's Heroical Epistles in The Works of Michael Drayton, vol. II, edited by W. Hebel, Oxford, 1961 pp. 129-292. Per quanto riguarda la bibliografia secondaria mi limito a citare gli studi di cui mi sono servito, escludendo per ragioni di spazio le pagine delle storie letterarie e le voci di enciclopedia: B. H. Newdigate, Michael Drayton and his Circle, Oxford, 1941; N. C. de Nagy, Michael Drayton's "England's heroical epistles". A study in themes and compositional devices, Francke, 1968; J. Sherwood, Michael Drayton, Elizabethan poet, Nuneaton, 1962; A. Hadfield, Michael Drayton's Brilliant Career, in «Proceedings of the British Academy», CXXV (2004), pp. 119-148; D. Clarke, Ovid's Heroides, Drayton and the articulation of the feminine in the English Renaissance, in «Renaissance studies. Journal of the Society for Renaissance Studies», XXII (2008) n. 3, pp. 385-400; A. Thorne, `Large complaints in little papers': negotiating Ovidian genealogies of complaint in Drayton's Englands Heroicall Epistles, in «Renaissance studies. Journal of the Society for Renaissance Studies», XXII (2008), n. 3, pp. 368-384.

31. Drayton, England's Heroical Epistles cit., p. 130.

32. Ivi, p. 131.

33. Si ha notizia di tale volume da una lettera di Marino a Giova Battista Ciotti, vd. G.B. Marino, Lettere, a c. di M. Guglielminetti, Torino, 1966, pp. 193-194, n. 113.

34. In una lettera databile al 1622 Marino scrive a Ciotti di aver diffuso «venti anni or sono» le sue epistole eroiche, vd. Marino, Lettere cit., p. 345 n. 183.

35. Ibidem.

36. Alla descrizione del genere che ho citato segue nella princeps e nella stampa maceratese del 1615 la descrizione dell'indice del volume che comprende lettere tratte dal Furioso (I. Bradamarte a Ruggiero, II. Ruggiero a Bradarmate, III. Zerbino a Isabella, IV. Isabella a Zerbino, V. Fiordiligi a Brandimarte, VI. Brandimarte a Fiordiligi VII. Olimpia a Bireno, VIII. Ricciardetto a Fiordispina, Rodomonte a Doralice, X Orlando ad Angelica, XI. Tancredi a Clorinda), dalla Liberata (XII. Clorinda a Tancredi, XIII. Erminia a Tancredi, XIV. Armida a Rinaldo, XV. Rinaldo ad Armida), da altre fonti varie, come i romanzi alessandrini, la storia antica e quella moderna (XVI. Leucippe a Clitofonte, XVII. Teagene a Carichia, XVIII. Ismenia a Ismene, XIX. Tristano e Isotta, XX. Lancillotto e Ginevra, XXI. Ginevra a Lancillotto, XXII. Amadigi ad Oriana, XXIII. Euridice ad Orfeo, XXIV. Cleopatra a Cesare, XXV. Berenice a Tito, XXVI. Petrarca a Laura, XXVII. Marina Reina di Scozia a suo Figlio, XXVIII. Solimano a D. Giulia Gonzaga, XXIX. Torquato Tasso al Duca Alfonso d'Este dalla prigione).

37. Per le Lettere di Della Valle si vd. Geri, L'epistola eroica in volgare cit., pp. 101-118.

38. Alla fine del XVI secolo era apparso un libro tanto trascurabile sul piano poetico quanto interessante dal nostro punto di vista: le Lettere sopra il Furioso dell'Ariosto in ottava rima di Marco Filippi, pubblicate postume per cura del figlio Ottavio nel 1584. Tale volumetto, un episodio curioso dell'ariostismo della seconda metà del secolo, può essere considerato anche un esempio sui generis di epistole eroiche, scritte in ottava rima e non in terzine. Allo stato delle mie ricerche ignoro se tale precedente fosse noto a Marino o a Della Valle. Sulla scia di Della Valle, il letterato fiorentino Andrea Salvatori compone delle epistole eroiche dedicate ai personaggi del Furioso e della Liberata che compariranno postume soltanto nel 1669.

39. La bibliografia sul tema è ormai assai nutrita; in questa sede mi limito a rimandare, per le arti a: G. Careri, La fabbrica degli affetti. La Gerusalemme Liberata dai Carracci a Tiepolo (2005), Milano, 2010 (con ampia bibliografia); per le diverse forme di spettacolo, dal teatro al melodramma, a: Tasso, la musica, i musicisti, a c. di Balsano-Walker, Firenze, 1988; I. Gallinaro, La non vera Clorinda: tradizione teatrale e musicale della L nei secoli XVII-XIX, Milano, 1994; L'«arme e gli amori». Ariosto, Tasso and Guarini in Late Renaissance Florence. Acts of an International conference, Florence, Villa I Tatti, June 27-29 2001, a c. di E. Fumagalli, M. Rossi, R. Spinelli, Firenze, 2004.

40. La bibliografia critica dedicata al Bruni è relativamente esigua, considerata la statura non secondaria del personaggio. Dopo le trascurabili monografie della prima metà del XX secolo, bisogna attendere Franco Croce per una prima ricostruzione critica della figura di Bruni (F. Croce, Il manierismo conservatore del Preti e del Bruni, in Id., Tre momenti del barocco letterario italiano, Firenze, Sansoni, 1966, pp. 7-92: Id., voce Bruni Antonio, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. XIV, Roma, Treccani, 1972, pp. 597-599). Fondamentali per uno studio storico e filologico risultano l'Introduzione e la Nota biobibliografica e filologica redatte da Rizzo per la sua edizione (A. Bruni, Epistole eroiche, a cura di G. Rizzo, Galatina, 1993, pp. 9-63). Sui rapporti tra Bruni e Marino si vd. C. Carminati, Marino tra Inquisizione e censura, Padova, 2008 e Ead., Vita e morte del Cavalier Marino, Bologna, 2011 ad indicem.

41. Cfr. S. De Cavi, Le incisioni di Mattäus Greuter per le Epistole Heroiche di A. Bruni (1627-1628), in «Annali dell'Istituto di Studi Storici», XV (1998), pp. 93-285.

42. Oltre ad un'ampia lettera proemiale indirizzata a Girolamo Aleandro, il volume premette ad ogni epistola una dedica, un argomento, nel quale si dichiara la fonte, un'allegoria che si vanno ad aggiungere ad una preziosa illustrazione, affidata in molti casi ad artisti di primo piano

43. Riporto l'indice, indicando tra parentesi quadrate la data delle epistole pubblicate nell'edizioni successive alla prima. Libro primo: I. La madre Ebrea a Tito Vespasiano (dalla Storia giudaica di Flavio Giuseppe), II. Erminia a Tancredi, III. Caterina d'Aragona ad Enrico VIII re d'Inghilterra (dalla Storia d'Inghilterra di Polidoro Virgilio), IV. Fiordispina a Bradamante, V. Turno a Lavinia, VI. Tancredi a Clorinda, VII. Olimpia a Bireno, VIII. Solimano al re d'Egitto, IX. Armida a Rinaldo, X. Radamisto a Zenobia [1628] (dagli Annali di Tacito), XI. Nausicaa ad Ulisse, XII. Diana a Venere (dalle Metamorfosi di Ovidio), XIII. Giove a Semele (dalle Dionisiache di Nonno di Panopoli), XIV. Euridice ad Orfeo [1634]. Libro secondo: I. Zefiro a Clori (dalle Genalogiae deorum gentilium di Boccaccio), II. Angelica ad Orlando, III. Despina a Mustafà (dal Solimano, tragedia di Prospero Bonarelli), IV. Amore a Psiche (dalle Metamorfosi di Apuleio), V. Sofonisba a Massinissa (dagli Annali di Livio), VI. Seneca a Nerone (dalle Storie di Tacito), VII. Venere ad Adone (dal poema di Marino anche se Bruni non può dichiararlo nel paratesto), VIII. Argante a Tancredi, IX. Cleopatra ad Ottavio Cesare, X. Semiramide a Nino (dalle Storie di Marco Giuniano), XI. Issicratea a Mitridate [1628] (dalla Vita di Pompeio di Plutarco), XII. Onoria ad Attila [1628 ] (dalla Venezia edificata poema di Giovam Battista Strozzi), XIII. Gismonda a Tancredi principe di Salerno [1634] (dal Decameron), XIV. Scedasso al senato di Tebe [1634] (dalla Vita di Pelopida di Plutarco), XV. Apollo a Dafne [1628]. XVI. Tamiri a Clearco [1634] (dalla Storia romana di Gregorio Niceforo).

44. Geri, L'epistola eroica in volgare cit., pp. 120-122.

45. Cfr. Geri, Le "Epistole eroiche" di Antonio Bruni tra Umoristi e Caliginosi, in La cultura accademica tra XVI e XVII secolo, a c. di C. Gurreri e I. Bianchi, Avellino, 2014, in corso di stampa.

46. «Plusieurs s'arrêtèrent a la seule version, mais quelquen uns eurent de plus généreuse prétention: ils entreprirent donc par une louable émulation d'imiter Ovide, et se firent Secretaires, comme lui, des Heroines amoureuses de l'antiquité», cit. in Dalla Valle, Les Héroïdes en France cit., p. 377.

47. Un'esaustiva bibliografia dei libri di lettere del Seicento francese si legge in R. Duchêne, Réalité vécue et art épistolaire, vol. I, Madame de Sévigné Madame de Sévigné et la lettre d'amour, Paris, 1970, pp. 391-396.

48. Sulle caratteristiche e le fasi del manierismo francese tengo conto di J.-P. Chauveau, Poètes français et le marinisme après 1640 in J. Serroy (ed.), La France et l'Italie au temps de Mazarin, Grenoble, 1986, pp. 221-228; per i rapporti tra gli scrittori francesi e gli Incogniti si vd. F. Bondi, Belle infedeli. Una traduzione francese della Galeria delle Donne Celebri di Francesco Pona (1632) in D. Conrieri (ed.) Gli Incogniti e l'Europa, Bologna, 2011, pp. 11-39; C. Carminati, Le «istorie meditate»: traduttori inglesi e francesi alla prova, ivi, pp. 41-74.

49. Nicolas Renouard, Les epistres d'Ovide traduittes en nostre langue. Avec quelques autres sujets (1618) e Gilbert de Golefer, Epîstres des héros, ou réponce aux Epîstres d'Ovid (1620).

50. Les epistres de l'Aurore à Céphale, Léandre à Héron, Hélène à Ménelas, Iphis à Ianthe; Hippolyte à Phèdre, Diane à Hipolyte, Echo à Narcisse, Zéphir à Flore, Paris, 1620

51.Lettres mêslées du Sieur du Pelletier Parisien, Paris, 1642, pp. 514-517.

52. Vd. G. Clément-Simon, François de Grenaille, Sieur de Chateaunières, Paris, 1895; F. Bondi, Belle infedeli. Una traduzione francese della Galeria delle Donne Celebri di Francesco Pona (1632) in D. Conrieri (ed.) Gli Incogniti e l'Europa, Bologna, 2011, pp. 11-39.

53. Pur essendo le Lettres mêslées una delle opere meno studiate di Tristan l'Hermite, la bibliografia critica è comunque ricca di indicazioni, a differenza di quanto accade per i titoli sin qui citati: C. Crisé, Introduction in F. Tristan l'Hermite, Lettres Meslées, edition critique par C. Grisé, Genève-Paris, 1972, pp. vii-xxvi; S. Berregard, Le caractère autobiographique des Lettres mêlées, «Cahiers Tristan l'Hermite», (XXI), 1999, pp. 37-45; Ead., Tristan l'Hermite, «héritier» et «précurseur», Tübingen, Gunter Narr, 2006, pp. 170-173.

54. È possibile che Tristan l'Hermite abbia presente gli Scherzi geniali di Loredan, dei quali discuto più avanti.

55. Oddoni, che esordisce nel 1634 proprio con un'edizione delle Epistole eroiche di Bruni, nel proprio catalogo, numericamente modesto, ospita anche le Lettere amorose di Girolamo Brusoni (1642).

56. Scaglia, tra il 1627 e il 1637, pubblica due opere postume di Marino, la difesa dell'Adone di Girolamo Aleandro e la Secchia rapita di Tassoni, oltre alle opere di Michiel e Bruni.

57. Oltre a classici come Ovidio e Apuleio, Torrini pubblica sin dall'inizio del secolo numerosi testi teatrali (favole pastorali e commedie), volgarizzamenti (Ovidio, Plutarco), romanzi (il Calloandro fedele di Marini).

58. Sulla biografia si vd. E. Cicogna, Cenni intorno la vita e le opere di Pietro Michiel poeta del secolo XVII in «Memorie dell' I. R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti», XIII (1866), pp. 387-400; per l'opera poetica la bibliografia è poco numerosa, limitandosi ad un saggio sulle rime (L. Giachino, La sensualitò in barocco. L'esperienza lirica di Pietro Michiel tra erotismo e concettismo, in «Quaderni veneti», XXXIII, 2001, pp. 69-107) e all'Introduzione premessa all'edizione del Dispaccio di Venere (V. Traversi, Introduzione in P. Michiele, Il Dispaccio di Venere, a c. di V. Traversi, Bari, 2008).

59. P. Michiele, L'arte degli amanti, Venezia, Giacomo Scaglia, 1932, c. a3 (cito dalla dedicata dell'editore a Teodoro Caruso).

60. La dedica ad Antonio Rota firmata dall'editore Giaconmo Scaglia è datata 29 luglio 1632.

61. La dedica a Teodoro Caruso, anche in questo caso opera di Scaglia, è datata 5 agosto 1632.

62. Nella premessa Ai Lettori si definisce l'opera «una leggiadra immitazione e non una pedantesca traduzione» del libro ovidiano, mossa dal «capriccio dell'autore» e non per incapacità di «trovare delle invenzioni».

63. Cfr. Menegatti, "Ex ignoto notux" cit., pp. 132-144.

64. Come nel caso del volume di Bruni, riporto qui di seguito l'indice, indicando tra parentesi la fonte dichiarata dallo stesso Michiel negli Argomenti: I. Adrasto ad Armida (T. Tasso, Gerusalemme liberata), II. Achille a Polissena III. Risposta di Polissena ad Achille (Ditti Cretese, La guerra di Troia), IV. Alcina a Ruggiero V. Risposta di Ruggiero ad Alcina (L. Ariosto, Orlando furioso), VI. Idraspe a Dianea VII. Risposta di Dianea ad Idraspe (F. Loredan, Dianea) VIII. Ferraù ad Angelica (M. Boiardo, Orlando innamorato), IX. Fiordispina a Ricciardetto (L. Ariosto, Orlando Furioso) X. Clarice a Rinaldo (L. Ariosto, Orlando furioso), XI. Prasildo a Tisbina (M. Boiardo, Orlando innamorato), XII. Megara ad Ercole (Seneca, Hercules furens), XIII. Filidora a Floridante (B. Tasso, Floridante), XIV. Orbecche ad Oronte (G. Giraldi Cinzio, Orbecche), XV. Floriana a Rinaldo (T. Tasso, Rinaldo), XVI. Argia a Polinice (stazio, Tebaide), XVII. Milone a Berta (L. Dolce, Prime imprese d'Orlando), XVIII. Deifile a Tideo (Stazio, Tebaide), XIX. Ovidio a Corinna, XX. Egisto a Clitennestra (Ditti Cretese, La guerra di Troia).

65. Le risposte sono affidate a poeti poco noti, con la notevole eccezione di Ciro di Pers: I. Paolo Vendramino Armida ad Ardasto II. Andrea Valerio, Rinaldo a Clarice III. Ciro di Pers, Ercole a Megara, IV. Francesco Paolo Speranza, Oronte ad Orbecche, V. Liberale Motense, Rinaldo a Floriana, IV. Ciro di Pers, Polinice ad Argia. VII. Michelangelo Torciliani , Corinna ad Ovidio.

66. Si noti che gli autori delle Risposte di diversi alle Epistole di Michiele non adottano tale innovazione.

67. Michiele, Epistole eroiche cit., p. 129.

68. Ivi, p. 137.

69. L'unica eccezione a tale norma è l'epistola XIV con la quale Orbecche espone ad Oronte il suo proposito di rifiutare il matrimonio con Selino anche a costo della morte.

70. Si vedano le osservazioni di Clizia Carminati nella voce Loredan Francesco in Dizionario biografico degli italiani, Roma, 2005, pp. 761-770, in part. p. 762.

71. L'opera è particolarmente fortunata: viene ristampata 37 volte dal 1632 al 1686, cfr. Menegatti, "Ex ignoto notus cit., pp. 53-87.

72. Si veda il coevo dibattito sulla ricostruzione in sede storiografica delle parole dei personaggi storici: cfr. D. Aricò, "Vestire la persona de gl'altri". Le orazioni immaginarie di Virgilio Malvezzi, fra Tito Livio, Guicciardini e Mascardi in «Studi Seicenteschi», XLVIII (2007), pp. 3-37.

73. Cfr. per un primo orientamento sulla questione dei rapporti tra narrazione storica e narrazione romanzesca nel Seicento: Scarpati - E. Bellini, Il vero e il falso dei poeti. Tasso, Tesauro, Pallavicino, Muratori, Milano, Vita e pensiero, 1990; S. Bulletta, Etica,retorica e "dramma" nelle storie romane di Virgilio Malvezzi, «Studi Secenteschi» (XXXVI), 1995, pp. 3-67; E. Beligni, Lo scacco della prudenza. Precettistica politica ed esperienza storica in Virgilio Malvezzi, Firenze, 1999; Aricò, «Vestire la persona de gl'altri» cit. E. Bellini, Agostino Mascardi tra "ars poetica" e "ars historica", Milano, 2002; Narrazione e storia tra Italia e Spagna nel Seicento, a cura di C. Carminati e V. Nider, Trento,, 2007. [73] Carminati, Il carteggio cit., p. 409, corsivo mio.

74. F. Meninni, Il ritratto del sonetto e della canzone, vol. I, a c. di C. Carminati, Lecce, 2002, p. 77, vol. II p. 329, cfr. G. Fulco, La "meravigliosa" passione. Studi sul Baracco tra letteratura ed arte, Roma, 2001, p. 74n.

75. I. Talestria ad Alessandro (dalle Storie di Alessandro di Curzio Rufo), II. Lucrezia al senato romano (dagli Annali di Livio), III. Adamo ed Eva (dalla Bibbia), IV. Belisario a Giustiniano (dalle Vite imperiali dello storiografo bizantino Eorodiano) V. Santippo ad Enea (dalle Storie di troia di Darete Frigio), VI. Platone ad Aristotele (da Plutarco e Dioegene Laerio), VII. Euridice ad Orfeo, VIII. Orode al Senato romano (dalla Guerra partica di Appiano Alessandrino), IX. Giuditta a Betulia (dal libro di Giuditta), X. Mosè a Faraone (dall'Esodo), XI. Carlo Stuard a H. M. di Borbone, XII. Medea a Giasone (dalle Metamorfosi di Ovidio), XIII. Enea a Turno (dall'Eneide di Virgilio), XIV. Alessandro Severo ad Eliogabalo (dalle Vitae augustae), XV. Didone ad Enea (dall'Eneide).

76. Anello Lottiero, sonetto Qui Lorenzo, eternar fan le tue carte: «Richiarò Bruno il nome, al Ciel sublime, / famoso Cigno infra l'Aonio stuolo / pur con musiche note Eroiche rime. // Degli Apollinei vanti, hoggi tu solo / meriti a par di lui le glorie prime, / c'hai con nobil penne uguale il Volo». Si noti che nella sua vita di Antonio Bruni Crasso si riferisce allo straordinario successe delle Epistole eroiche, di gran lunga l'opera bruniana maggiormente apprezzata da pubblico e intendenti di poesia: «Stampò tre Volumi di Rime intitolati le Veneri, le Grazie, e l'Epitole eroiche, sortendo però l'Epistole maggior fortuna e applausi delle Veneri e delle Grazie» (L. Crasso, Degli Elogi degli huomini letterati parte seconda, Venezia, Combi & La Noù, 1666., pp. 275-6).

77. Ogni testo è corredato da una lettera di dedica ad un sodale napoletano (le date in calce vanno dal settembre 1652 al dicembre 1653), un argomento (privo però di allegoria), e un'incisione di buona fattura. Si aggiunga anche che il testo indirizzato Ai lettori, opera di Giovan Battista Grassi, ricorda la lettera a Girolamo Aleandro pubblicata nella prima edizione delle Epistole eroiche (1627).

78. F. Meninni, Il ritratto del sonetto e della canzone, vol. I, a c. di C. Carminati, Lecce, 2002, p. 77, vol. II p. 329, cfr. G. Fulco, La "meravigliosa" passione. Studi sul Barocco tra letteratura ed arte, Roma, 2001, p. 74n. Crasso nel suo culto mariniano si riallaccia ad una tradizione ben viva a Napoli, in particolar modo tra gli accademici oziosi: vd. Carminati, Vita e morte del Cavalier Marino cit.; P. G. Riga, Giovan Battista Manso e la cultura letteraria a Napoli nel primo Seicento, Sapienza Università di Roma, tesi di dottorato in Italianistica (XXIV ciclo), tutor: prof. Amedeo Quondam; cotutor: prof.ssa Beatrice Alfonzetti; sull'Accademia degli Oziosi nel primo Seicento si vd. G. De Miranda, Una quiete operosa. Forme e pratiche dell'Accademia napoletana degli Oziosi 1611-1645, Napoli, 2000

79. L. Crasso, Degli Elogi degli huomini letterati parte prima, Venezia, Combi & La Noù, 1666, p. 222.

80. Mi riferisco alla epistola VII (Euridice ad Orfeo), scritta in gara con quella di Bruni e all'epistola XIII Enea a Turno che richiama l'epistola bruniana di Turno a Lavinia.

81. Le vigilie del Capricorno note tumultuarie di Paolo Genari di Scio Accademico Incognito di Venetia alle Epistole heroiche, poesie del famosissimo ed eruditissimo Lorenzo Crasso avvocato napoletano; Venezia, Combi, & La Noù, 1667.

82. L. Crasso, Epistole eroiche, Venezia, Baba, 1655, p. 112.

83. S. Villani, Gli Incogniti e l'Inghilterra in Gli Incogniti e l'Europa cit., pp. 233-276.

84. Crasso, Epistole eroiche cit., pp. 199-200.

85. Ivi, p. 216.

86. Non prendo in considerazione le Epistole eroiche di Andrea Salvadori, pubblicate nel 1669 ma composte molti decenni prima e la sezione dedicata alle epistole eroiche nella Enciclopedia poetica di Giuseppe Artale (Venezia, Batti, 1660)

87. «If the Imitation of Nature be the business of a Poet, I know no Author who can justly be compar'd with ours, especially in the Description of Passions [...] / Yet, not to speak too partially in his behalf, I will confess that the Copiousness of his Wit was such, that he often writ too pointedly for his Subject, and made his persons speak more Eloquently than the violence of their Passion would admit: so that he is frequently witty out of season: leaving the Imitation of Nature, and the cooler dictates of his Judgment, for the false applause of Fancy. Yet he seems have found this Imperfection in his riper age [...]» (J. Dryden, Works, vol. I, Poems 1649-1680, Berkley and Los Angels, 1956, pp. 111-112), cfr. D. Hopkins, Dryden and Ovid's "Wit of Season" in (C. Martindale ed.) Ovid Renewed. Ovidian influence on literature and art from the Middle Ages to the twentieth century, Cambridge, 1988, pp. 167-190.

88. Cfr. R. Trickett, The Heroides and the English Augustans, ivi, pp. 191-204.