Roma, 28 giugno 1585a
Med. 5092, n° 56 (cc. 140r-141v, 145r), firma autografa
//c. 140r//
L’espeditione della badia è in buon termine, né altra dilatione vi è stata che quella che ha portato la sodisfattione che si doveva ad Altemps [1] di farla piena et bene cautelata per ogni evento. Del piacer che Vostra Altezza glien’ha mostrato, et del ringratiamento fattogliene ringratio io lei, dicendole che non ha passato molto tempo senza segno dell’obligo mio ancora, poiché in certa leggierezza et scappata giovenile fatta da Ruberto [2] suo può havere conosciuto quanto utile gli sia stata l’opera et il rispetto mio in moderar il papa, et debilitare l’impeto d’una gran malignità scopertasi contra di lui come conoscerà Vostra Altezza da quel che gliene scriverà l’arcivescovo, al quale le lasso tutta la cura di questo ragguaglio. Di questi Sforzi lassi Vostra Altezza la cura a me. Di persuader il Papa a far saper al Re [3] il disgusto de suoi ministri non perderò l’occasione, ma Sua Santità in buon proposito, et pur mostrando di veder ogni dì meglio l’animo d’Olivares [4], m’ha detto di volergli in ogni modo farmelo amico, et che il modo sarà di farli conoscere, che nelli negotii suoi con lei ha bisogno di me. Io gl’ho detto, che credo, che ella potrà farli conoscer questo bisogno con la destreza sua, se vorrà favorirmi, ma che procedendo il resto della sua mala natura, et dallo havere troppo aperti et facili gl’orecchi alle malignità, stimo che sarà difficile; che da me ha potuto havere sempre buonissima correspondenza, et che la medesima haverà ogn’altro ministro nel servitio di Sua Maestà, onde starò a vedere dove sia //c. 140v// per parare questa mira amorevole di Sua Beatitudine, ingegnandomi, che se non mi darà guadagno con lui, almeno mi dia di mostrarmi non inutile in servir Sua Maestà. Alla quale pensai che Vostra Altezza potesse lei fare intendere quel che le scrissi havere scoperto nel negotio della iurisdittione, non essendomi parso di dirlo qua a lui, come né anco gli direi altro, se non muta verso, perché tolero malvolentieri vedere sì poco prezato quel che io li dica in negotio, et sia per la gelosia sua di non lassarmi ingerire né poco né molto, o pur per altro, et parmi poter temere che egli più tosto se ne servirebbe in male, se bene a questo posso credere che il Re sentendolo, fosse in parte per incolparne lui. Dell’arcivescovo di Napoli [5] parlai ne primi giorni di questo pontificato con desiderio et mira principale, come dissi a lui che sua fusse la nuntiatura di Spagna, ma trovai Sua Santità di parere, che non convenisse di levare il prelato principale di Chiesa sì nobile per mandarlo a negotio di simile residenza, né per molto che io le replicai in contrario, con le ragioni che me n’haveva dette egli assai apparenti, potetti profittare più oltre, che il ritrarre da Sua Santità, che ella bene l’amava et sentiva bene di lui, et perciò pensarebbe di valersene a certe occasioni, ma in questo di nuntiatura ferma non la possetti indurre: che bene saria piaciuto a me ancora per Spagna, o per altro luogo, dove si trattino interessi nostri, et dove potesse nascere occasione d’aiutare il suo progresso, come sa che io desidero. Intorno a che dico a Vostra Altezza //c. 141r// quel che voglio avvertir lui ancora, che dubito che egli co’l troppo ardore, et mentre con troppi mezi cerca di tirarsi innanzi, si faccia più tosto danno che aiuto, ma che io non per questo lasserò di fare in questo pontificato quella parte, che sa, che ho voluto far nell’altro et che harò molto piacere che le cose succedano conforme alla mira commune, poiché vedo di servirne a lei ancora. Alla quale nel particolare dell’arcivescovo di Pisa [6] dico che mi basta per hora haver visto quello ella mi scrive della sua intentione et del modo che vuol tenere, perché andarò lastricando la strada, sì che il motivo non paia mai nuovo, et l’avvertirò giornalmente […]b vegga che la vuole.
Il Doni ha molto ben visto […]c io […]d nelle cose loro, et se mi son opposto a qualche disegno che si vedeva tenere in lor danno, et però tanto egli quanto il Zanerino possono esser certi che anco per l’avvenire mi adoprarò per loro conservatione massimamente vedendo quanto Vostra Altezza la desidera. Per Jacopo Blancio sto pronto di fare quel che io possa come ho detto a lui.
Hoggi in Cappella m’ha detto Sua Santità che vacando la chiesa di Cortona, et attesa la promessa della prima vacante di costà per l’ambasciatore Alberti [7], credeva di poterne provedere lui, ma che non voleva farlo se prima non intendesse la volontà di Vostra Altezza. Io le dissi che per il medesimo respetto parendo che Sua Santità potesse provederlo senz’altro, et conoscevo che la fusse per restarne contenta ma Sua Santità non me lo consentì, et volse di nuovo che io gliene scrivessi come fo con questa. //c. 141v// Per alcuni preiuditii si trovava prigione un certo Mariano sicario del signor Paolo [8], che intervenne alla morte del nipote del papa, et sendo in espeditione fu scritto al Governatore [9] una lettera senza nome con la quale gl’era accusato per tale, che sapesse tutto l’intrigo. Il Governatore me la mostrò, domandandomi quel che dovesse fare attesa l’instanza che faceva lo scrittore di farlo sapere al papa, et io gli dissi che none potesse mancarne, la mostrò, et il papa gli disse, che haveva già perdonato, et non voleva procedere col signor Paolo, […]f poiché la iustitia portava cose in questo caso che facesse […]g del prigione. Di ciò il Governatore mi dette conto, come fece poi anco del processo ritrovato in […]h formato da monsignor Asinaro, co’l quale dovranno trattar […]i de Coramboni et d’ognuno. Hor qua si rimescola (come porta questo caso) necessariamente ogni cosa, et se il papa serbarà memoria della promessa, non vorrà però che il processo non apparisca, et che non se castighi il delinquente prigione, et non mi risolvendo io se sia meglio lassare correre, anzi aiutar il papa che riconosca il delitto, et si sfoghi mentre sta bene disposto di sanare l’interesse per Virginio [10], et offerirli li mezi che potiamo, come si fece con Gregorio [11], o pur fare altrimenti, ho voluto darne motto a Vostra Altezza et sentire quel che occorre a lei. Lo sdegno principale mostra Sua Santità con li Coramboni, et io crederei che si trovaria mezo da fare haver in mano Marcello, sì come facilmente può havere gl’altri qui. Quel Morazano et un altro che pur intervennero potrebbero [anco] haversi facilmente […]j et con tutti questi verrebbe spento chiunche vi hebbe parte fuor del signor Paolo, et se si havessero per offerta et opera nostra, non dubito che haremmo //c.145r//Sua Santità più pronta al particolare suddetto di Virginio, ma io sto inresoluto di trattare questo co’l moderno Governatore perché non mi fido di lui, et havendo per meglio monsignor Asinaro [12] stavo in pensiero se fusse bene scoprire tutto questo intrigo a Sua Santità, et allegando il detto sospetto proporre l’Asinaro per il governo et per la causa, poiché ella sta tuttavia in pensiero di mutar governatore, et resta solo per carestia di suggetti. Da questa cognitionek (in qualunche modo ci si mescoli il signor Paolo) non può se non nascere, che egli, almeno in questo Pontificato ma forse anco mai più s’assicuri di venire a Roma, et forse anco nascerà che resti privo della administratione in perpetuo, et conseguentemente a discretione di suo figliolo, ma perché anco possono accadere molte cose, che tirino a peggio (se bene pare da credere, che non se ne possa trattare mai più oportunamente) non voglio passar più oltre senza prima sentirne la volontà di Vostra Altezza, alla quale piacerà di dirmi quel che gli occorre, et le bacio la mano.
Di Roma li xxviij di giugno M.D.LXXXV.
Quel che con l’ultimo corriere sia venuto al cardinale d’Este [13] lo vedrà Vostra Altezza dalla copia alligata, la quale ho stimato a proposito che venga in sua mano.