Il cardinale Ferdinando al granduca Francesco I, a Firenze

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Roma, 16 luglio 1585

Med. 5092, n° 59 (cc. 149rv, 152r), firma autografa

//c. 149r//

Il medesimo che Nostro Signore ha detto con l’ambasciatore di Vostra Altezza [1] dell’animo suo circa l’impresa di Ginevra, l’ha detto all’ambasciatore cesareo [2], che l’ha publicato per Roma, et poi anco in tavola sua, donde è nato sospetto in qualcuno che la mira possa essere diversa. Io non ho havuto occasione d’intenderne il vero da lei, ma alla prima audienza v’entrarò io medesimo non solo per questo, ma forse anco per mostrarle, che meno sinceramente può essere Sua Santità spinta da chi la stimola a questo, et per farle considerare, che tanto è fare la guerra a Ginevra, quanto accostare, anzi tirare in Italia il principio della rottura fra Francia, et Spagna, la quale quando pur si prevedeva debbe pensarsi, se meglio sia nutrir più lontana, o appiccicarla così vicina, et rimestrarle, come il fuoco facilmente s’accende, ma che nessuno può poi maneggiarlo a modo suo, sì che non vada dove tal hora meno si sia pensato, et meno si vorrebbe //c. 149v//  et che più oportuno sia la medesima spesa volgere alle cose d’Africa mentre il Turco manco basta a soccorrerle, o in Polonia per travagliarlo con le forze de Tartari, o per altra via simile scoprirsi contra heretici o infideli. Este [3] vuol fare largo ragionamento con Sua Santità concludendo, che questo sia una manifesta rottura di guerra fra Francia, et Spagna; poiché Francia vedendosi quasi serrate l’altre vie di passare in Italia, poiché il Re Cattolico [4] s’ha unito la Savoia col parentado, a nessun modo è per comportare, che Ginevra s’acquisti per loro, poiché di spianarla, non può credere, che habbino pensiero. Io ho avvertito il Capilupo [5] per avviso di Mantova, che gl’apparecchi per questa impresa, potranno havere mira di dare in passando la stretta a lo Stato suo di Monferrato, però, che apra l’occhio, et anco Vostra Altezza potrà fare rispondere all’ambasciatore //c. 152r// quel che le dettarà  la prudenza sua, la quale credo, che non la inclinarà a non divertire quanto può questo pensiero in Sua Santità d’intrigarsi in cosa tale, et non più tosto essere autore di portarla a miglior tempo, et veramente anco trovandosi Sua Santità senza danari, non so quanto sia bene pensato così presto intrigare se et altri fra tante spese et pericoli. Che è quanto m’[occorre] dirle et le bacio la mano.
Di Roma li xvj di luglio M.D.LXXXV.