Roma, 17 agosto 1585
Med. 5092, n° 68 (cc. 171r-172v), firma autografa
//c. 171r//
Lo stato del signor Paolo Giordano [1] sta in continuo corso di peggiorare, et pericolo anco di perdersi, quello per le gravi spese, che egli patisce, et per gl’intrighi, che gli faranno fare quelli Coramboni, oltra li capricci et voglie sue, et questo per li pregiuditii da lui incorsi per il passato, et ne’ quali sta continuamente, che danno ansa chiarissima al papa per la sua bolla di confiscarglielo senza replica alcuna, poiché sempre nutrisce banditi, et quelli particolarmente che stanno sugl’occhi a Sua Santità, la quale anco qua tiene prigioni instrumenti buonissimi per muoverli travaglio a tale effetto. Egli oltra ciò per fare meglio a gusto d’altri (poiché del suo legato et fascinato non s’ha da tener conto) disegna disporre in tal modo delle cose sue, che mentre vive gl’huomini si assicurino contrattar seco, et dopo la morte stimino sicura l’esecutione della sua volontà, perché il principe di Parma [2], et cardinal Farnese [3], vuol tutori di Virginio [4], et forse gl’ha fatti con l’administratione dello Stato, persuaso dall’Accorambona [5], che altrettanto confida di loro, quanto teme di noi. Né il fidecommisso può dirsi remedio di queste cose, poiché riesce tanto dubio et disputabile, et per la sua parte s’aiuta più la perdita che la vittoria, et anco molte terre et tenute vi sono fuor di esso, che alienandole stropparia quello Stato. Di tutte queste cose io non mi darei pensiero alcuno, se toccassero lui solo, se ben il mancamento fattoci di sua parola mi stimula contra di lui, con la sua mala volontà con noi, ma non posso non me ne pigliare per l’interesse di Virginio, et non credere //c. 171v// con altri insieme, che meglio sia prevenire con li remedii buoni, che aspettare d’esser prevenuto o da lui con le stravaganze, o dal papa con la giustitia; et però con monsignor mio illustrissimo Cesi [6] discorrendo, siamo venuti in sententia, che sia a proposito instare con il papa, che con suo motu proprio privando il signor Paolo, investa il signor Virginio dello Stato con obligo di darli un assegnamento di dodici o diciotto mila scudi per suoi alimenti, come già fu fatto con Ascanio Colonna per il signor Marcantonio [7]. Questo per l’odio di Sua Santità co’l signor Paolo et per amor nostro a favor di Virginio crediamo che Sua Santità farà hora non difficilmente, mentre ancora non sta assodata nel pontificato, et possono [più gl’affetti] et certe memorie, che perderanno forza fra qualche tempo. Però giudicaremmo che non fusse da differire sin che la materia sta in questa buona dispositione, ma da tentarlo senza dilatione, et che in questo sia necessaria l’autorità di Vostra Altezza, la quale, approvando il fatto, scriva a Sua Santità una lettera credenziale in me sopra questo, perché io che già più volte ho tirato qualche motto, et esplorato la campagna crederei potere fare colpo facilmente co’l concerto che faremo di qua monsignor mio Illustrissimo predetto et io dispiacendo anco a lui infinitamente di vedere queste cose a mal camino per quello che può portar il tempo; et co’l crescere del male scemarsi la facultà del remedio. Sua Signoria Illustrissima ancora ne scrive a Vostra Altezza o in conformità, o in confirmatione di questo che ha visto. Però per non havere tardi et forse invano a voler il medesimo, la prego che non fidandosi del //c. 172r// tempo, vi faccia hora consideratione, et si risolva che si assalti Sua Santità in questa pratica prima che ella più sia impapata, et che interessandosi qua con alcuno, fermi la mira su quello Stato, o per la Sede apostolica, o per altro suo fine, come può succedere facilmente, poiché facilissimo è correrlo, sendo tutto aperto, et quanto a lui si può dire che stia continuamente perso, et che per giustitia così possa giudicarsi senza contradditione ogn’hora.
Ogn’altro papa sentirà con Gregorio [8], il quale odiava il signor Paolo a morte, et lo stimava degno di mille pene per le cose fatte, et per la parola mancata, ma non però volse pur a pena vederlo malvolentieri, non che punirlo anzi con bruciare il processo volse, quanto stava in lui, levarne la facultà ad altri, solo per non vedere accostare noi a quello Stato, et Cesi lo sa, a cui lo disse, et questo papa medesimo non sentirebbe diversamente se non lo stimolasse il sangue del nipote. Però pare da valersi dell’occasione in fare cosa di grande utile a Virginio, che se n’uscirebbe il debito in breve tempo, et resterà libero d’ogni intrigo et lite, che potesse lassarli il padre con le sue stravaganze, et sarà anco di merito presso a Dio per quelli poveri vassalli, che stariano meglio in mano de Turchi.
Vostra Altezza è prudente per sé et amorevole verso Virginio, et io havendo detto assai finisco con questo proposito. Quelle donne fu poi preso espediente di mandarle in altro luogo, dove se ne staranno più remote dalla notitia di qua, et conseguentemente sicure //c. 172v// senza molestia di Vostra Altezza. Soggiungo a Vostra Altezza più chiaramente che se a queste cose del signor Paolo non si piglia l’espediente suddetto, facilmente la causa del fidecommisso cominciata intempestivamente, et per suo capriccio più che per consiglio altrui andarà a male, perché ha potenti et diligentissimi avversarii, et dal suo canto manca ogni assegnamento a tempi, et è maneggiata da genti sue, che o per negligenza loro, o per poca fede, o pur per ordine di lui, che non si curi di perderla per rimanere libero, fanno continui errori, a quali non si può remediare a bastanza. Talché se non si muta il nome et interesse suo, odiosi al papa, et alla Ruota et a tutti la vedo per mala via, et stimo perciò tanto più necessario procurara di mutarla in Virginio, che con li adversarii stessi haria migliore conditione.
Nazaret [9] è a Caprarola, donde verrà trionfante co’l favor d’Alessandrino [10] et di Caraffa [11], i quali dicono che nel passare costà dette tanta soddisfatione a Vostra Altezza, che ella resta bene con lui. In che io non so che rispondere né che credere, come non saprei anco in ogni evento che dire al papa, poiché rispondendo Vostra Altezza al resto delle mie lettere, non fa parola sopra quel che le domandai di questo. Il che aspetto tanto più per questo ancora, et le bacio la mano.
Di Roma li xvij d’Agosto 1585.