Instruction to Abbot Orsini

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Transcription by Maria Antonietta Visceglia

Biblioteca Nacional Madrid ms. 973, ff. 291 -309

Istruzione data all'abate Orsini promosso al Cardinalato da Paolo V, Circa il modo di com­portarsi nella Corte per acquistare Aura, quello deve studiare e come deve portarsi con tutti ed, in particolare, per ilconclave e altre particolarità curiose e politiche.

Concorrono a rendere la persona di vostra illustrissima riguardevole anzi guer­reggiano insieme molte qualità le quali io riduco a tre principi: la nascita, l'educazione e la fortuna; la natura ha prodotto vostra iUustrissima di nobilis­simo sangue che per diverse vie ha unito la sua Casa ai più potenti principi e alle più fortunate famiglie d'Italia e d'Europa, le ha dato forma eccellente nel corpo, inclinazione di cui è degno, che risultano da un così fatto temperamen­to, ingegno elevato, intelletto capacissimo, l'educazione che vostra illustrissi­ma ha avuto come non grandi principi sotto la disciplina del più saggio ed ac­corto Signore che regnaste già lungo tempo, aggiunta alla esatta cura paterna ha causato che alle doti eccellentissime della natura abbia lei accumulato tutti quegli abiti dell'intelletto e del costume, che se è stato lecito per pietà, la for­tuna che dai primi anni ha ordinato alla vita dietro gli auspici di un cosi grande zio, che cosi teneramente l'ama, non poteva con più sicuro cammino portarla alla prossima aspettativa, in che ora si trova del Cardinalato e pare che abbia voluto fare a gara con la natura e con l'educazione, poiché se queste l'hanno reso in così giovanile età meritevole di un onore cosi grande, la fortuna ha provvisto che dove questo è solito dispensarsi per Grazia e liberalità del Som­mo Pontefice a lei si deve per interesse e stabilimento della grandezza della Casa propria di sua maestà. Questa persona porta oggi nella scena della Corte (di vostra signoria illustrissima) candidata di così grande dignità della quale attende ciascuno di giorno in giorno, di vederla porporata né è così facile da terminare se maggior ornamento sia per portare tal dignità; ma perché si suol dire che l'uomo non ha maggior nemico dell'aspettativa che egli ha di se me­desimo alla quale sono stati pochi quelli che hanno corrisposto e perché in questa navigazione hanno navigato uomini per se stessi chiarissimi che nel Cardinalato sono stati ritenuti inferiori di quanto fossero stati giudicati prima; non sarà infruttuoso ragionare di alcune condizioni che possano nella persona di vostra illustrissima far maggiormente risplendere questa dignità. Né è mio pensiero sopra le doti che vostra signoria illustrissima possa formare dalla na­tura e dagli studi come egualmente si potrebbe l'idea di un perfetto Cardinale che in questo faticarono con molta cura e con felice successo uomini grandis­simamente dotti della nostra età; intendo solo adattare alla sua persona alcune considerazioni premeditate che a lei possono recar utile nel principio e nel cor­so dei suoi onori.

La lode delle nostre azioni consiste nell'elezione del fine e nell'invenzione dei mezzi che a quello ci possono condurre. Il suo cardinalato deve incontrarsi in tempi nei quali, perché avrà molti colleghi per nobiltà di sangue, per seguito e per ricchezze riguardevoli, a lei non resta campo più vacuo o più sicuro che quello della virtù e a chi deve esser posto, come città sopra il monte e come lucerna per illuminare gli altri, non ha dubbio che conviene prepararsi a quella composizione dell'animo e dei costumi, che si vede espressa appunto nel vol­to e negli atti esteriori di V.S. Ill.ma ma questo beneficio della natura e dell'educazione colto dall'arte e dello studio della filosofia si farà in lei di gran lunga più risplendente.

La filosofia informa l'animo alla cognizione di se stesso e degli altri, dà noti­zia della virtù degli abili, delle potenze, degli effetti senza la quale non si può né scrivere né parlare, insegna a dilettarsi dei piaceri onesti ed evitare i contra­ri e porta l'intelletto molto vicino a contemplare e pascere nell'essenza di Dio; quindi scendendo alle azioni umane, insegna all'uomo ad ''usare'' verso gli al­tri quello che ha imparato nel reggimento interiore di se stesso e lo dispone all'amministrazione della Repubblica ed è cognizione necessaria a chi deve presiedere al governo della Repubblica ed opportuna per giudicare gli scritti dei moderni politici e distinguere con buoni principi e con vere conclusioni il vero dal falso l'utile dall'apparente. Queste discipline le ha insegnate Aristote­le con principi sensati e sicuri e con ordine meraviglioso benché abbia "avvol­to" la sua dottrina in oscura oracoli con la vastità delle digressioni e con la lunghezza e sottigliezza delle dispute nondimeno perché dove terminò il sape­re e la virtù dei gentili, qui è il principio della filosofia; la perfezione di tali conoscenze si deve ricavare dalle fonti del Vangelo, della Scrittura e dei dotto­ri sacri del cui studio pare che convenga al Principe occuparsi piuttosto che aggirarsi intorno alla dottrina delle scuole propria di uomini regolari e oziosi. E' necessaria poi la buona conoscenza della storia dalla quale dipende la c0­gnizione delle cose profane né solo del cambiamento degli Stati, della Chiesa, della depressione e assalto della Sede Apostolica, ma dei Concili, dei riti della tradizione, dell'elezione dei Pontefici e dei Cardinali, dei tempi, delle vite e fatti loro.

Come pure conviene una mediocre cognizione di cosmografia ed una informa­zione universale del mondo, dei Principi che regnano, degli Stati che possie­dono, dei costumi dei popoli e del Governo di ciascuna o repubblica o monar­chia.

Lo studio delle leggi è necessario per i casi che occorrono alla giornata da de­cidersi e giudicarsi, ma essendo di opera infinita e convenendo al Principe una conoscenza architettonica, basterà una cognizione delle materie legali, dei tito­li, dei termini per poter rendersi capace di qualunque materia occorrente e nel resto riferirsi all'opera dei ministri. A questi studi più gravi introdurre volen­tieri un esercizio continuo della lingua latina per conseguirne un uso facile nel­lo scrivere e nel parlare.

Né si può biasimare la lezione dei poeti e l'ornamento della poesia, in che si ritrova, poiché questo è argomento di nobile ed elevato ingegno e della gio­ventù e dell'ozio non infruttuosamente trapassato ed il saperne dar giudizio è cosa degna di Principe e di uomo grande. Come non si deve negare luogo alla musica, poiché è disciplina liberale di cui tutti hanno gusto naturalmente ma maggior bisogno ne hanno quelli che versano nell'azione, poiché oltre alla ve­ra azione che genera nell'animo nostro una certa affezione di costumi, eleva la mente e ci dispone alla pietà, alla mansuetudine e alla temperanza e conviene almeno servirsene per la composizione dell'animo, per distrarlo da pensieri noiosi e nocivi per passare l'ozio con piacere ed è nobil cosa e degna di perso­na grande il saper giudicare dell'Armonia e della disposizione che da loro na­sce in noi nelle azioni morali. Ma discendendo da questi abiti dell'intelletto al­le azioni della virtù la prima e quella propria della vita e dell'ufficio di V.S. Ill.ma è la religione e la Pietà. Se ogni principe deve procurare questa, tanto più conviene farlo ad un principe ecclesiastico in questo regno sacerdotale, però siccome gli esercizi privati delle occasioni si sogliono fare alle ore dovute con quiete e con attenzione e con l'animo separato dalle cure secolari, cosi le azio­ni pubbliche, come di esempio a chi le vede, si fanno con compassione esterio­re e in modo che appaia che l'animo in essi si fermi e si diletti. La vita clerica­le è ordinata dalla disciplina in maniera che non desidereremo un modo di vi­vere né più comodo né più esatto, ma perché sono infinite le distrazioni della Corte e bisogna servire spesso alle voglie degli altri che alle proprie, basta ac­costarlesi quanto patiscono i negozi e gli uffici della vita civile.

La parte più utile del giorno è senza dubbio la mattina perciò gran vantaggio e comodità della vita è servirsene utilmente ma, fra le azioni pubbliche di queste ore, la prima è quella della messa a cui si potrà assistere in abito, con sottana e mozzetta per stare poi esposto per quel tempo che sarà necessario alle udienze e ai bisogni degli altri; questa sarà bene farla diventare una consuetudine, quando non si hanno altre occupazioni più necessarie e proprie dell'ufficio di Cardinale. E perché a un Cardinale che ha pietà concorrono da infinite parti le occasioni di esercitarla, delle entrate ecclesiastiche si dovrà trarre una parte da spendersi in quest'uso, dandone la cura ad un ministro approvato al quale si facessero le domande e conferendo secondo i casi e non conferendo col Signo­re avvenga che come il non fare elemosine secondo le facoltà che Dio divide, è cosa troppo disdicevole ad un Principe grande. La liberalità dei principi non basta, ad ogni modo, a far che non ci siano poveri ma, perché la pietà ha il suo merito non dalle azioni palesi ma da quelle che si fanno in modo che la sinistra non sa quello che faccia la destra special cura dovrebbe essere quella di soc­correre persone nobili ridotte in povertà, che sebbene quindi non si abbia da affettare lode umana, questa però è lode propria di un Signore Romano e deri­va dalla sua natura, perché l'odor della virtù non può fare in modo che non si senta. Ha ancora plausibilità l'esser frequente nel favorire le feste e le solenni­tà di questa Chiesa e le religioni e le compagnie e giova ad accrescere l'affetto e nutrire l'intelletto, in questi studi della pietà, la conversazione di uomini re­ligiosi e pii ma è utile alcun avvenimento intorno all'aver più domestiche al­cune persone regolari, perché pare che, e di questi non sia di quelli, laddove un cardinale non abbia altra differenza nell'accarezzare e onorare gli uomini vir­tuosi, che il grado della virtù e a tali persone è bene e necessario conferire i segreti della coscienza e permettere il governo dell'uomo interiore ma non dar loro campo di ingerirsi in maneggi di cose secolari, come sovente accade con nota di saccenteria dell'uno o di debolezza dell'altro.

Vengo a una parte che trascurata da molti signori ha fatto loro e fa continua­mente poco onore, che è la scelta e il governo della famiglia, impero che si usa per lo più di ricevere in famiglia quelli che sono offerti dalla sorte ~, a se­conda della riuscita che fanno, o tenerli o mandarli e pigliarne di nuovi, il che se si potesse difendere, che non fosse fatto totalmente a caso si potrebbe dire che dispendesse da tali opinioni o che ciascuno che serve sia servo per natura o almeno che la fortuna non altro faccia l'uomo signore e servo o che questo servir che si usa, non sia altro che mettere l'opera sua alla ricompensa; servi per natura sono quelli che non hanno altro che l'uso ed il ministero del corpo, ma si vede di molti signori dare loro il maneggio degli Stati e delle propria persone. Questi veramente non si può dire che siano servi per natura, il che prova ancora che per la fortuna non faccia il signore ed il servo ma la virtù. Il locare a mercede la sua opera li può forse verificare da alcuna umile condizio­ne dei servi ma bisognando ai signori aver a chi commettere se stessi e i loro intimi sentimenti e pensieri con l'autorità di tutti gli scrittori e del Vangelo medesimo non chiamiamo servi ma amici. Ma nascono intorno a questa eIe­zione molte difficoltà, impero che gli uomini di qualche talento e virtù. oltre a essere rari, si possono aver se non con dispendio e trattandoli con rispetto il che apporta ai signori incomodo e soggezione, ma non per esserne più onorati e meglio serviti. Avviene che i Principi sono molte volte stimati dalla qualità degli uomini che hanno attorno e, come è migliore quell'opera che si fa da mi­gliore artefice, così è migliore è quella Casa e quella Corte e quel comando dove monsignore è chi serve. Sono tre i luoghi topici; da quelli pare che avan­zeranno i servi: la nascita, il costume, essere all'altezza dell'incarico d9ve de­vono servire, imperocché toccando ai Cardinali qualche volta portare agli ono­ri e incarichi della Corte i suoi familiari, è gran lode averli tali che non faccia­no alle dignità ecclesiastiche quella eclisse che talora si vede e, non potendo non amare quelli che ci assistono e vivono continuamente con noi, gran soddi­sfazione in chi si ama è avere obietto cosi degno di essere amato come è la vir­tù.

Tali uomini si reggono facilmente con l'esempio e col freno della modestia e col premiare, i più meritevoli e i migliori, si rendono solleciti i più tardi; poi­ché la virtù del servo dipende in gran parte dall'uso e dalla disciplina del Si­gnore né si può non biasimare grandemente quelli che pongono tutto il loro af­fetto in uno solo dandosi in preda a qualche convenienza naturale o sensualità, siccome altri tanto difficili che non lasciano, se non dopo molti secoli e dopo un' infinita pazienza, conquistare la loro durezza e per venire i servi alla loro conoscenza e familiarità, imperocché l'umanità del Signore gli acquista l'animo dei suoi e fa che sia volontariamente e con gusto obbedito e servito laddove quella maestà e quel comando induce un timore servile che distrugge la Carità.

Deve dunque il Signore mostrarsi non difficile ma grave e usare coi suoi di­mestichezza, secondo il grado e la capacità di ciascuno. E' ancora reputata so­verchia stitichezza voler sapere ogni piccolezza e discutere la vita di ciascuno, potendo bastare al Signore tanto servirsi dei suoi, quanto conosce ciascuno di sufficienza e di virtù ma come che sia precetto tirannico e che presuppone i nemici il tener divisa la famiglia, nondimeno l'averne molti di una medesima patria cagiona che, non potendo fare nelle occasioni di non aderire l'uno e l'altro, fanno spesso fazione contro gli altri, sarà dunque la famiglia piuttosto modesta che numerosa e di togati più che di abito corto perché se ne riceve servizio più modesto e più quieto. E perché l'ordine della vita facilita sopra tutte le altre cose i negozi e apporta infinita comodità, avrà il signore i giorni e le ore opportune da trattare con i suoi ministri che cosi li renderà più solleciti e più attenti e il suo servizio più ordinato e più riguardevole e mostrandosi ben preposto alla sua Casa, verrà giudicato degno di maggior governo.

Né si deve trascurare la parte materiale della Casa, l'ornamento della quale al­la persona si richiede piuttosto modesto che sontuoso, conservata nondimeno la convenienza nobiltà e delle ricchezze, siccome l'apparato dei cocchi e delle livree in che si deve compartire in qualche parte agli abusi del secolo che ha posto tutto in queste apparenze lo splendore della Corte.

Ma concilia, sopra tutte le altre cose, la fede e l'autorità, il vedersi nelle nostre azioni una uguaglianza e una uniformità tale che l'una corrisponda all'altra in proporzione al grado della virtù, però è partito molto sicuro tenere in tutte le cose una via di mezzo ed evitare gli estremi, non dilungandosi nella mediocri­tà. La lode del magistrato è piacere al Popolo e il principe si deve nutrire di gloria che non è altro che una buona valutazione e una fiducia che il popolo ha di lui perciò tutti gli uomini grandi hanno posto il loro studio nell'aver quest'aura ed applauso universale, chi con le vere arti chi con quelle apparenti; le apparenze non devono sopravvalutarsi perché appongono la vista almeno di chi mira da lontano, essendo a pochi permesso penetrare l'essenza delle perso­ne grandi ma perché a lungo andare si scoprano deve fare in modo che il suo modo di essere sia tale quale a come egli è considerato dagli altri. Una virtù eminente molte volte fa invidiare chi la possiede piuttosto che amarlo perciò ti lodano alcuni uomini che in certi momenti hanno saputo dissimulare la virtù e il loro sapere ma nelle azioni è utile sempre declinare dal rigore e cercare pri­ma di essere amato e poi stimato perché l'amore opera non certa soavità, la stima è atto di inferiorità accompagnato sempre da un po' di violenza e di noia per cui a chi guarda con l'occhio dell' amore, le virtù di chi si ama sembrano di gran lunga maggiori e le imperfezioni o non si scorgono o si giustificano, co­me se non fossero tali; la severità dei costumi non concilia l'amore e la mode­stia ha talvolta l'apparenza di tristezza e di oscurità perciò conviene togliere l'espressione scontenta dal volto e mostrarsi allegro esteriormente e con una faccia ridente che nel primo impatto concilia e raccoglie l'aura e la benevolen­za dei salutanti; in verità è cosa poco plausibile per un uomo grande andare per il popolo pensieroso e distratto né vedere o guardare chi lo riverisce, il che si avverte di più a Roma dove per il frequente cambiamento del principe. e per la vicissitudine delle cose non è persona che a qualche tempo non possa sorgere e avere grande fortuna e più degli altri a un signore romano e della Casa Orsini che per infinite considerazioni deve fare qualunque cosa per avere la benevo­lenza di questo popolo, tanto più imitare la vicina memoria del cardinale Fla­vio Orsini ma a questa popolarità e a questa apparenza esteriore di umanità e di cortesia converrebbe aggiungere gli effetti, cosa che è difficile in questi tempi e degna, a parer mio, di molta considerazione.

Avviene che si prende una gran briga chi vuoi essere officioso con tutti e usare per tutti l'intercessione e l'autorità e, cosi facendo, si priva molte volte di gio­vare a quelli da cui avrebbe più affetto e obbligazione.

D'altro canto, pare scortese negare a qualcuno un ufficio a parole ma promet­terlo e farlo freddamente, come si usa, e senza curarsi del successo pare atto d'ingenuità oltre a facilitare il rifiuto e diminuisce col tempo quella reputazio­ne. E' però forse meglio il chiedere raramente e ottenere che stancare infrut­tuosamente se stesso e gli altri per conseguire un vano titolo di officioso e cor­tese; questo veramente si considera così negli uffici a bocca come per lettere; materia nella quale pare che convenga alla gravità procedere con qualche esa­me e scelta né scrivere senza discussione del merito, dei negozi e delle persone e senza il dovuto riguardo della persona a cui si scrive, ma ricerca non poco studio ed attenzione negare in questo modo che clù riceve il rifiuto non lo sen­ta e non si parta senza soddisfazione e senza buona opinione della cortesia e bontà di quel Signore, il che quando non riesce a fare immediatamente e trami­te se stesso, si fa con la dilazione e per mezzo dei ministri.

Sono fra le virtù popolari l'affabilità, la mansuetudine, la liberalità, virtù che si esercitano per lo più con gli inferiori; l'affabilità è necessaria nelle udienze e nel sentire le informazioni delle cause non solo per soddisfare le parti con l'attenzione e con l'umanità ma perché impegnarsi ad ascoltare e rendersi ca­pace delle materie, serve una scuola dove si impara e si acuisce l'ingegno. La mansuetudine è una moderazione che ci insegna a fare le cose senza turbamen­ti, a tollerare le inezie e le impertinenze di molti e a ricambiare con scherzo e con destrezza certi motti e "punzecchiamenti" che si ricevono alle volte nelle conversazioni; l'esser facile all'ira è forse il male minore perché quanto l'uomo è più facile all'ira tanto più è placabile, ma comportarsi in maniera che non appaia alcun segno esteriore è atto di perfetta virtù e, tanto più necessario, in quanto fra persone grandi una minima dimostrazione di risentimento o di offesa non si scorda mai. La liberalità si vede nell'ambito della Casa e della famiglia e nel modo di vivere e del trattare con più o meno splendore. E' una virtù che copre molte imperfezioni, esercitandosi in beneficio non solo di quel­li che lo ricevono ma interessando tutti con la speranza ma, perché né la gran­dezza del sapere né il numero dei doni ma la virtù fa l'uomo liberale, conviene usarla con la dovuta misura della comodità di chi dona e del merito di çhi ri­ceve per cui non potendosi donare cosi indifferentemente né a tutti, sarebbe forse azione più giudiziosa e riguardevole, fare per qualche tempo con persone di qualche rispetto alcuna dimostrazione di rilievo che desse alla Corte da ra­gionare giacché, essendosi quasi interamente levato l'uso del donare a un si­gnore che lo volesse praticare nuovamente resta largo spazio per farsi celebra­re. L'essere sincero ed aperto nasce dalla grandezza d'animo e questo per lo più per la generosità del sangue ma l'uomo di Corte deve dissimulare i suoi af­fetti e se sente in sé qualche inclinazione inutile o non buona deve mostrare il contrario poiché gli giova, se non per correggere del tutto quella imperfezione, almeno per moderarla e leva a chi gli volesse nuocere quell'occasione di ma­no. E' altrettanto accettabile in un signore ecclesiastico una prudente sincerità per quanto sia spiacevole essere troppo misterioso, ma specialmente ai cardi­nali conviene pensare che l'abito che portano sia quella della Commedia non il loro proprio e naturale per cui ogni azione e ogni parola fatta o detta fuori dall'argomento della favola è da biasimare; l'argomento è il fine che ciascuno si propone; i cardinali vecchi che hanno le loro aspirazioni più vicine attendo­no solamente a raccogliere la benevolenza del Collegio e della Corte e stanno attenti a non fare qualcosa che possa loro nuocere, ma i cardinali giovani che vogliono acquistare stima e autorità, devono cercare di avere la benevolenza specialmente di quelli che potrebbero diventare pontefici e se hanno particola­re inclinazione verso qualcuno bisogna portarla cautamente per non dispiacere gli altri e perché quella età non ama se non per interesse e per disegno e nel giudicare è più scaltra dell'altra; per spiccare conviene trattare con i vecchi con gran giudizio e circospezione, cercando di guadagnare con la modestia, con il rispetto e mostrando nei fatti e nelle parole grande opinione e osservan­za del loro sapere e della loro virtù; bisogna guardarsi dal non esporre mai; per qualsiasi motivo o passione, concetto d'alcuno, perché in questa corte si vedo­no, molte volte esaltarsi quelli che non saranno mai credenti. Tra i cardinali si deve conversare con infinito avvedimento e prudenza e nel negozio essere se­rio e trattenuto nel resto non uscire dalle cerimonie o dalla burla né basta esse­re accurato nelle cose pubbliche e serie perché in queste ognuno pone atten­zione e diligenza, ma bisogna esserlo non meno nelle piccole e leggeri dalle quali perché comunemente si fanno con più accuratezza gli uomini di giudizio sono soliti "svelare" la disposizione interiore e il segreto degli altri, e se per qualche volta si cade in qualche errore, bisogna rimediarvi con qualche azione contrarla o con un altro modo migliore.

L'adulazione, senza dubbio, deve essere evitata da un uomo nobile e di gran dignità come pure il vizio che è l'opposto della detrazione e dicacità nella qua­le molti scorrono per mostrare prontezza d'ingegno, ma sentendo volentieri ognuno le sue lodi, specialmente i principi e gli uomini di età, di cortesia ed ufficiosità quando occorre parlare ed in assenza loro più che in presenza con persone che possono mostrare di conoscere e di stimare molto quelle parti che ne sono degne e le imperfezioni o tacerle o scusarle, minimizzandole con la dolcezza del nome. Ci sono alcuni che lodano tutti indifferentemente e dicono bene di ogni cosa; questi o lo fanno semplicemente e l'hanno per buona regola o non se ne tiene conto, vedendosi che fanno così per usanza o lo fanno per i­ronia e irrisione e sono odiosissimi dato che non si sa mai quando scherzano e quando parlano seriamente; questi modi siffatti sono non solamente lontani dal costume di un uomo grande ma ancora ogni apparenza e sospetto di essi, né si esclude la grandezza dell'animo e la sincerità nel mostrarsi verace con gli a­mici, lontani dall'ingannare, uomo di parola, tardo al risentimento, facile nel perdonare, costante nelle amicizie e aggressivo contro l'interesse le quali cose partoriscono ammirazione ed opinione di virtù non volgare ma eroica. Tutta­via, le virtù devono essere regolate dalla prudenza ed usate con discrezione ta­le che una vana ostentazione d'animo libero e grande non venga ad incommo­darsi nelle cose gravi e necessarie. Sono quasi il teatro da mostrare il valore e il giudizio le azioni concistoriali prima, sebbene in queste rimanga oggi poca materia di farlo, poi le Congrega­zioni dove si trattano talvolta materie riguardanti lo Stato ma più frequente­mente quelle di giustizia nelle quali pare che tengano conto principalmente del decoro dell'età e dimostri studio e conoscenza ma con modestia e qualche vol­ta dubiti del suo parere fino a che gli anni e l'esperienza gli diano maggiore audacia e sicurezza.

Nelle materie pubbliche pesanti e concernenti gli interessi dei principi, saggia cosa è essere cauto nel palesare il suo sentimento ed è giusto mostrarsi sempre interessato per la Sede Apostolica ma non lasciare sbilanciare la bilancia da un lato in modo che la prudenza non la contrappesi, ma perché tutte le cose che si fanno sconsideratamente, sono fatte senza scelta e a caso, è necessario prepa­rarsi prima e non bisogna mai fidarsi tanto della propria opinione e del proprio sapere e non si conferiscono i negozi importanti con ministri e altri fedeli, ve­dendosi per esperienza che il consigliere "illumina" e apre l'intelletto a cose che non si sarebbero mai pensate.

Mostrarsi troppo affezionato alla sua opinione o alla causa o alle persone, fa sì che, giudicando qualche volta il contrario di quello che abbiamo sentito, si viene a ricevere disgusto e a prendere in qualche modo dell'autorità. Le opi­nioni singolari e ostentare l'impegno hanno spesso apparenza di vanità ma, siccome le prime azioni sono quelle che restano impresse negli uomini, si deve porre grandissimo studio nel far nascere buon concetto di sé nel principio. Per apportare al Cardinale di V.S. III.ma molto splendore e autorità, la nobiltà e grandezza della sua Casa ma non meno l'esser congiunta con la Casa di No­stro Signore con un vincolo così stretto che a lei si appoggi in gran parte la successione di quella e la posterità; con queste vengono congiunte non solo le cose presenti, il favore del Principe, gli incarichi e gli onori che ragionevol­mente si vedono nella persona di V. S. III.ma accumulati ma anche la conside­razione dei tempi futuri e degli accidenti di questa vita mortale dei quali si è visto esempio nella posteriorità di Gregorio XIII. Siffatte considerazioni devo­no rendere alla Corte le azioni di V.S. III.ma più oculate e tanto più per dover mostrare paragone di virtù, di nobiltà, di umanità, di prudenza e di maturità, non tenga presente altro esempio, né altra scuola che quella della sua propria Casa però nel frattempo si dovranno gettare le fondamenta; bisogna perpetuare il suo valore e la sua autorità e, a prima vista, dà segno di animo grande e pari agli onori che si ricevono nel non mostrare alterazione, né mutare subito l'abito, il costume o mettendosi in un atteggiamento troppo differente da quel­lo che era in precedenza o lasciandosi andare ai piaceri e all'allegria che fa di­re e fare in questo tempo molte cose sconsiderate e leggeri ma è meglio deliberare e scegliere la vita che si deve condurre per non dover variare con espressa confessione d'errore o con nota d'incostanza. Vediamo in questa Corte per di­versi mezzi i Cardinali grandi e riputati fra i quali l'amicizia dei Principi vuole apportare molti vantaggi, seguito e autorità ed è un titolo molto ambizioso e dovrà proteggere i regni e gli interessi di un gran re presso la Sede Apostolica ma un signore che nasca dalla prima famiglia di Roma e pervenga, senza favo­re di Principi, alla dignità di Cardinale, io non dubiterei di convincersi che sarà sempre partito più utile e più onorato mostrarsi ed essere veramente ecclesia­stico che essere alle dipendenze di qualche Principe per avere onori e utilità. Succede di rado che dietro a tutti i Principi non sono occupati i primi luoghi da soggetti a loro legati o congiunti di sangue, poi aderire ai Principi pregiudica quel rispetto che, sopra tutti gli altri, deve avere un Cardinale di non mettere obice da se stesso, anche se fosse per l'aspirazione al Pontificato, essendo spe­cialmente la natura dei Principi tale che chi ha il favore di uno, è sicuro di ave­re l'altro contrarlo. Anche quando qualche evidente utilità lo consigliasse, non è mai vietato a un cardinale dichiararsi di quel partito che gli sia più grato ma essere ecclesiastico oltre ad essere in ufficio proprio del Cardinale, acquista presto il Collegio e la Corte benevolenza e fiducia e concilia presso i Principi stessi opinione di bontà, più creduta alle volte e più stimata che un ossequio interessato né chiude questa professione la strada dell'amicizia dei Principi; avviene che non mancano termini e occasioni per mostrare loro obbedienza e affetto e di obbligarseli con l'opera e col consiglio, mostrandosi nei loro con­fronti benevoli e cortesi e verso i loro ministri officiosi senza sostarsi da quel­lo che è ufficio del Cardinale; in questa maniera si può più giustificatamente ricevere da loro qualche aiuto e comodità per sostenere le spese ed il decoro della dignità. A questo effetto giova grandemente l'amicizia degli ambasciato­ri coi quali è utile conservare frequentemente e far nascere benevolenza e fa­miliarità, non solamente perché sono mezzi e strumenti per guadagnare l'animo dei loro Principi ma per acquistare notizia degli Stati e interessi dei lo­ro regni e d'altri regni e paesi da loro visti e praticati, che questa curiosità è degna di uomo straniero o che venisse da paesi stranieri a Roma senza acca­rezzarlo a onorario, procurando di avere, sia a parole che per iscritto, tutte quelle informazioni che si possono della natura, dei luoghi, dei costumi, dei popoli, della forma del Governo, delle forze dei principati, con qualsiasi cosa; che questa sia cognizione di poiché questa Corte e appartenga alla condizione dalla Casa, sta a voi, persona di V.S.lll.ma innalzarsi, in qualche modo, sopra l'uso comune degli altri e esser conosciuto e nominato fra le molte nazioni della Cristianità.

La maggior azione che si faccia da Cardinali è l'elezione del Pontefice, in cui segnalarsi in qualche opera d'ingegno e di prudenza serve alla fama e alla re­putazione ma per quanto l'uomo abbia visto e osservato in materia di conclavi, vogliono che non basti per farsene maestro altro; l'esperienza conta però gran vantaggio ha chi entra giovane in questa pratica e può sperare di reiterarla più volte perché ai Cardinali giovani sono lecite molte cose che non convengono all'età provetta, né sono utili alla pretesa che ho, palese o nascosta, altri porta al Pontificato. E' osservazione verissima che il Pontificato fugge da quelli che troppo frettolosamente lo procurano perciò la pretesa pubblica comune è con­tro gli emuli e i nemici più di quel acquisti, amici e fautori, le diligenze occul­te, non potendo fare che non siano penetrate, ingelosiscono gli altri pretendenti che, messi insieme, mettono facilmente in atto l'esclusione. Perciò acquistare opinione di merito e di sufficienza e essere attenti a rimuovere gli ostacoli por­ta più sicuramente i Cardinali a questo supremo grado che, travagliare di con­tinuo per costruire questa fortuna, è regola degna di essere osservata eleggere sempre piuttosto uno che si conosca anche con qualche imperfezione di uno che non sia conosciuto perché nessuno è senza qualche difetto e, chi si na­sconde, dà segno di averne più degli altri; appartiene alla reputazione di un Cardinale grande fare opera di avere in essa quella maggior parte, che sia pos­sibile, per occupare nell'animo di un principe futuro grazia e benevolenza; ma, essendo sempre piacevole vivere sotto un Principe nuovo e, usandosi da parte dei Pontefici molto rispetto verso i Cardinali, specialmente per un certo perio­do di tempo, e umanità finché, o dai loro affetti privati o dalla forza del regna­re, non sono mutati, c'è bisogno di un fondamento più solido e più sicuro a chi vuole con un perpetuo tenore condurre la vita con grandezza e dignità. Quando dalle aderenze di V.S. IlI.ma non fosse per avere un maggior seguito e una di­pendenza più propria e più sicura, non sarebbe pensiero indegno dalla gran­dezza e dalla sua Casa cercare d'unire in un concorde sentimento gli animi dei Cardinali romani che saranno molti per esserne un tempo arbitro e moderatore. Questo non è impossibile a chi vi indirizzasse la mira per tempo e attendesse con gli uffici e con la cortesia a guadagnarsi gli animi e con le opere acquistar­si fiducia e con assaporare l'utilità di questo concetto a quelli che avessero più interesse e tramite loro man mano agli altri.

Dopo la propria grandezza e valore, non c'è cosa che renda in questa Corte un signore più stimato e seguito che il favore del Principe; presso il quale, chi non può prevalere per affetto o per stima, si procuri benevolenza con l'arte e il buon consiglio e il rispetto. Per guadagnare l'animo dei Principi è necessario conoscere bene la loro inclinazione e natura la quale per lo più suole essere cauta e sospettosa, avendo sempre paura d'essere ingannati. Un principe ma­gnanimo si rallegra quando può fare delle grazie ai Cardinali e Signori di qua­lità, sembrandogli allora di usare della sua grandezza e potenza. Un animo an­gusto, all'opposto si rattrista e dà con tanta scarsezza e contraddizione, che nell'atto stesso del dare, perde il beneficio ma, ad ogni modo, a chi voglia es­sere Principe nessuna cosa è più odiosa e più grave di quel che è, che nessuno gli chieda grazie e che non voglia niente da lui; la natura dei Principi è delicata e facile ad offendersi però c'è bisogno di molta arte e destrezza nel portare i negozi senza esserne violento, né rimesso e vuole le grazie senza estorcerle ma col gusto e soddisfazione di chi è ammesso dal Principe ai Consigli e ai segre­ti: apporta grande stima e autorità, ma misurandosi i consigli per lo più dagli eventi delle cose, è maggior cautela esserne anzi scarso che liberale e proporre diversi espedienti e pareri, lasciando accappare quello che sembra migliore ma soprattutto è pericoloso farsi autore di consigli speciosi e arditi che dimostrano bene spiriti e ingegno ma non sempre giudizio e maturità. La gravità dei co­stumi è quasi sempre sospetta ai Principi, parendo che con questa vada con­giunta una censura delle azioni altrui, perciò i Principi non possono amare quelli che non approvano le loro azioni. E' da fuggirsi questa opinione e que­sta fama né solamente biasimare alcuna azione del Principe ma non dare ascol­to a chi le biasimi, né tenere rapporti con persone a lui diffidenti ma pare che siano aborriti daI Principe sopra tutti gli altri quelli che, per opinione degli uomini, sono destinati successori perciò gran ventura è di chi ha tale aspira­zione portarla tanto dissimulatamente prossimo a questo è l'odio, in cui incor­rono quei Cardinali che quando il Pontefice è vivo, o per avere seguito o impa­rare e obbligarsi molti stanno sempre sulle pratiche del Pontificato ma soprat­tutto non bisogna mostrarsi insoddisfatto, lamentandosi o ritirandosi col lascia­re peggiorare gli umori e inselvatichir la confidenza e quale uso familiare di trattare che facilita i negozi e conserva la carità perciò quando si faccia alcuna ostruzione nell'animo del Principe, è difficile toglierla però giova molto tener­lo calmo e ben disposto quanto più spesso ci viene permesso con ragionamenti piacevoli e grati, né però si loda l'essere troppo assiduo né troppo ritirato dall'assistenza e servizio del Principe più di quel che l'ufficio, l'occasione le ricerchi però l'assiduità e l'esser sempre negli occhi della Corte rende gli uo­mini grandi meno riveriti, la ritiratezza meno domestici e confidenti, perciò bi­sogna avere qualunque recesso e qualche diversivo per ritirarsi bene spesso per qualche giusta causa di occupazione e in tutte le cose è bene conservare un ordine e avere un comportamento senza cambiarlo, che possa indicare altera­zione d'animo o di pensieri e seppur si fa qualche cambiamento, lo si faccia a poco a poco, che non possa essere osservata. Coi parenti del Principe e con le persone care, è necessario mostrarsi ufficioso e cortese dando loro quell'ossequio e onore che egli vuole che sia loro dato però, potendosi avere dalla fonte e immediatamente l'amore del Principe, non si vada con poca di­gnità mendicandolo. E perché nella forma di governo che si usa tutta l'autorità e presso il Cardinale nipote e questi tengono il potere degli altri in diminuzio­ne di se stessi, bisogna provvedere con la modestia e l'ossequio affinché la no­stra autorità non sia loro sospetta. Conviene usarla nelle cose più utili, necessarie e con tal temperamento che il Principe si riceva per mano del nipote e si mostri di riconoscerlo da lui con queste osservazioni e altre che saranno assai più pronte all'ingegno e al giudizio di V.S. I1l.ma, a lei sarà lecito col Principe mantenere la sua grandezza e autorità e portarsi vittoriosamente a quei titoli e onori che dalla divina provvidenza sono preparati alle sue virtù.