Introduzione

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Questo libro tratta di artisti ma non di arte, di letterati ma non di letteratura, di scienziati ma non di scienza, di avvocati e giuristi ma non di diritto. Il suo obiettivo non è infatti di far avanzare le nostre conoscenze in uno o più di questi specifici campi disciplinari, bensì di affrontare in maniera diversa e innovativa la questione del ruolo e della posizione degli intellettuali italiani nel corso dell'età moderna. [1]

La prima novità consiste nell'includere nella categoria «intellettuali» tutti coloro che svolgevano una professione che si auto-definisse intellettuale, anche se si esprimevano in forme ben diverse da quelle letterarie, usando per esempio il linguaggio delle arti figurative o quello della musica o quello delle allegazioni forensi. La seconda innovazione sta nell'abbandonare la compartimentazione professionale - di qui i pittori, di là gli scienziati, in un'altra casella ancora gli avvocati e così via - per prenderli in esame tutti insieme e sottoporre le vite e le azioni degli uni e degli altri allo stesso tipo di osservazione e di questionamento. Il libro muove infatti dall'idea che molte più cose unissero tra loro artisti, letterati, studiosi, medici, giuristi, scienziati, di quanto non li dividessero la diversa professione e il censo, e che sia quindi sensato considerarli un ceto unitario.

Siamo abituati a cercare le essenze delle cose, a far partire l'indagine dalle definizioni, dai nomi - i pittori, gli avvocati, gli scienziati - e da lì facciamo discendere il resto dell'analisi. Se viceversa considerassimo le azioni anziché le definizioni, le tante cose che le persone fanno, piuttosto che quell'unica cosa che dovrebbe contraddistinguerle in maniera inequivocabile, vedremmo in effetti comparire somiglianze e analogie tra individui che fanno mestieri diversi, così come vediamo emergere grandi differenze tra soggetti che invece esercitano la stessa professione. Quello che fanno i personaggi di cui si occupa questo libro è impegnarsi attivamente nella costruzione di una propria immagine di «persone eccellenti». Sono artisti, letterati, studiosi, medici, giuristi, scienziati e altri membri delle professioni liberali, tutti provenienti dagli strati non aristocratici della società e tutti variamente di successo, e il loro obiettivo è far sì che quella che ritengono la propria «eccellenza» [2] - che è il risultato di dottrina e di ingegno ed è quindi un carattere eminentemente individuale, legato alla persona e non ad altro - venga socialmente riconosciuta. In questo modo essa si può tradurre in rango sociale, che a sua volta ha caratteristiche specifiche: la persona eccellente non è «nobile», nel senso formale, politico, del termine ma nemmeno «ignobile», perché la reputazione di cui gode la affranca dall'assimilazione alle classi laboriose.

Sebbene questo fosse un obiettivo condiviso da molti, è tuttavia difficile definirlo «comune» in senso proprio: chi puntava a far riconoscere la propria eccellenza lo faceva spesso del tutto individualmente, attraverso azioni e rivendicazioni personali piuttosto che sistematizzazioni teoriche generali. Eppure anche queste ultime non mancavano, come vedremo, e anzi costituivano un repertorio di argomentazioni che circolava tra i diversi ambienti, arricchendosi nei vari passaggi e facilitando la traduzione delle azioni in parole e viceversa.

Ho mutuato il concetto di «persona» da Lorraine Daston e Otto Sibum che, nell'introduzione a un numero speciale di «Science in Context» [3], hanno parlato di «scientific persona» a loro volta ispirandosi al saggio di Marcel Mauss, Une categorie de l'esprit humain: La notion de personne, celle de «moi». Un plan de travail [4] Nel descrivere l'evoluzione di tali concetti, Mauss si soffermava infatti abbastanza a lungo su una nozione «intermedia» di persona non ancora pienamente dissociabile da quella di «personaggio». [5] Ed è proprio a questo che si riferiscono Daston e Sibum nel loro tentativo di definire una «posizione intermedia tra la biografia individuale e l'istituzione sociale: un'identità culturale che modella l'individuo nel corpo e nella mente e al tempo stesso crea un collettivo con una fisionomia condivisa e riconoscibile». [6] La nozione di «persona» è dunque particolarmente adatta a designare un'entità collettiva che, al contrario delle medie statistiche, non cancella l'individualità, ma anzi la considera come una delle possibili varianti del modello. E al tempo stesso individua un modello comune costruito attraverso diversi comportamenti individuali. L'aspetto più interessante della nozione di «persona» mi pare però consistere nel fatto che essa permette di costruire generalizzazioni non a partire da parametri prestabiliti (dalle tradizionali classificazioni socio-professionali alle più sofisticate combinazioni contemporanee che tengono conto anche del genere, dell'età, del corso della vita, ecc.), bensì sulle base delle «somiglianze» che emergono dalle azioni e dalle scelte di attori sociali diversi. In questo quadro tenori di vita comparabili, analoghe tipologie di consumo, ma anche dichiarazioni di analogo tenore, testamenti simili o addirittura paragonabili biografie scritte da quasi-contemporanei possono essere elementi sufficienti a definire la comune appartenenza alla specifica categoria delle «persone eccellenti». [7]

Quella di «persona eccellente» non vuole però essere una nozione universale utilizzabile in qualsiasi contesto. Al contrario ritengo che essa sia inestricabilmente legata al tipo di società gerarchica e programmaticamente ostile alla mobilità sociale che caratterizzava l'Ancien régime, vale a dire una società che pretendeva di fondarsi su status sociali predefiniti e ascritti, a ciascuno dei quali erano connessi specifici privilegi, da cui gli altri erano esclusi. E per quanto ricerche ormai numerose abbiano mostrato come questa fosse molto più un'aspirazione, un modello ideale, che una realtà effettiva, l'ideologia della stabilità aveva un suo peso nel determinare le possibilità di azione delle persone, il loro riconoscimento sociale, il loro potere, e la loro stessa possibilità di lasciare qualcosa dopo di sé: un nome, un patrimonio, una memoria. Contro la pretesa inevitabilità di queste partizioni e contro la pesantezza di alcune di queste esclusioni ognuno cercava di combattere con gli strumenti che aveva a disposizione: la ricchezza, le reti di relazioni, la propria stessa indispensabile funzione, che in molte situazioni costituiva l'unica arma di difesa in mano ai più deboli. [8]

Le «persone eccellenti» disponevano di dottrina e ingegno: che fossero eruditi, oppure artisti o ancora dottori in legge o in medicina, la loro eccellenza si basava su quello che potremmo definire il controllo dei mezzi della produzione intellettuale. E in un contesto in cui la domanda di beni culturali andava crescendo questa non era questione di poco conto. Il possesso degli strumenti della produzione culturale poteva infatti controbilanciare lo stato di perenne incertezza in cui si trovavano in quanto venditori di merci dalla domanda estremamente elastica e dal mercato molto ristretto. Chiunque esercitasse una professione intellettuale dipendeva infatti dalla committenza di un numero assai limitato di grandi «consumatori», che proprio grazie alla loro scarsità potevano dettare quasi tutte le condizioni della transazione. Le «persone eccellenti» erano quelle che riuscivano, o almeno provavano, ad affrancarsi da questa dipendenza, grazie alla crescente richiesta dei propri specifici beni o servizi. L'eccellenza però non si raggiungeva solo vendendo più cara la propria pelle, cioè riuscendo a strappare migliori condizioni di lavoro o retribuzioni più alte della media. L'eccellenza era anche una rivendicazione, una richiesta di riconoscimento sociale, portata avanti attraverso una pluralità di strumenti, che andavano, come ho detto, dagli scritti teorici ai comportamenti quotidiani, dai modelli di consumo alle disposizioni post-mortem. Le pagine che seguono si possono quindi anche leggere come esempio di un tipo molto particolare di conflitto sociale, che non contrappone due classi nettamente definite e soprattutto resta il più delle volte sotto traccia, ammantandosi di stoicismo e disincanto piuttosto che di aperta ribellione.

I dati storici su cui si basa questa ricostruzione provengono da fonti diverse, che però convergono nel delineare un quadro coerente. La ricerca parte dalle affermazioni e dai commenti contenuti nelle raccolte di Vite - il cui esempio più noto sono le Vite de' piu eccellenti pittori scultori, e architettori di Giorgio Vasari - che, al di là delle diverse occasioni e condizioni di pubblicazione, condividono tutte l'obiettivo di celebrare l'eccellenza dei propri biografati. A questi ritratti letterari si aggiungono i ritratti e gli autoritratti veri e propri che, con altri linguaggi, dicono tuttavia le stesse cose.

La ricostruzione e l'analisi non possono tuttavia limitarsi al piano intellettuale. Sono infatti convinta che anche la maniera di organizzare e gestire la propria vita quotidiana svolga un ruolo importante nel determinare la posizione e la reputazione di una persona. L'eccellenza, soprattutto in età pre-romantica, non può essere una qualità puramente interiore e chi mira ad affermarsi come eccellente deve anzi curare in modo particolare la manifestazione esteriore della propria grandezza, circondandosi di oggetti che fungano da marcatori identitari, e imprimendo un'organizzazione particolare alla propria vita domestica, che va dall'uso degli spazi alla composizione dei nuclei familiari. D'altra parte gli stessi biografi annettono importanza a questo genere di dettagli, dilungandosi spesso a descrivere la maniera «splendida» in cui questo o quel personaggio trattava se stesso e la propria famiglia. Per verificare e arricchire queste informazioni, le ho poi messe a confronto con quanto emerge da documenti di natura molto più concreta e materiale, come gli inventari dei beni, le notizie sulla composizione degli aggregati domestici, e quelle sulle dimensioni delle abitazioni e la distribuzione degli ambienti al loro interno.

Altrettanto se non ancora più importante dell'organizzazione della vita si è infine rivelata la gestione della morte, E' infatti attraverso le disposizioni post-mortem contenute nei testamenti che le persone «eccellenti» cercano di garantire il ricordo di se stessi e della propria attività. La memoria si rivela così come la posta in gioco essenziale di questo anomalo conflitto sociale: i «grandi» hanno patrimoni, palazzi, gallerie di ritratti di antenati a garantire la perpetuazione del loro nome; le persone eccellenti, che su quel piano non possono certo competere, devono costruirsi un percorso alternativo fondato sulla voce dei loro biografi ma anche su iniziative che partano direttamente da loro come, per esempio, la fondazione di istituzioni culturali a loro intitolate, cui non a caso cercano di dare tutta la pubblicità possibile.

In tutto questo la Roma tardo-rinascimentale e barocca costituisce un vero e proprio laboratorio, capace di mettere in contatto persone provenienti da paesi diversi e di indurle ad operare scelte più o meno simili: non si tratta semplicemente di emulare la nobiltà ma di «rappresentare» concretamente la propria eccellenza culturale. Il sentirsi e dichiararsi «moderni» e il rivendicare il primato dell'esperienza diretta rispetto al giogo della tradizione fanno spesso parte di queste strategie di promozione e autopromozione. Nonostante la censura e grazie alla pluralità dei suoi centri di potere culturale - che va dalle tante diverse corti cardinalizie ai molti conventi e collegi dei vari ordini religiosi - la città non è infatti del tutto ostile alle innovazioni e alle sperimentazioni. Al contrario, ricerche recenti mostrano come diversi membri delle élite politiche e intellettuali condividano un'attitudine fondamentalmente scettica, in un tacito patto di non belligeranza che vale fintanto che queste idee non conformiste rimangano all'interno dei loro propri confini, confondendosi col rumore di fondo. [9]

Quale luogo che, con la sua connotazione religiosa e la sua curia aperta a tutta la cattolicità, ma anche con la sua arte e le sue vestigia di un passato glorioso, esercita un forte potere di attrazione su artisti, scienziati, letterati provenienti da varie parti d'Europa, la città beneficia inoltre di diverse fonti di informazione su quanto avviene al di fuori delle sue mura, che ispirano nelle sue élite culturali il desiderio di non esserne tagliate fuori, di tenere aperti i canali di comunicazione con il resto del mondo che conta. Anche Roma aspira a esercitare un ruolo di capitale culturale e, in più di un caso, sono gli stessi detentori del potere politico a sentirne l'esigenza. L'attribuzione di un valore specifico all'innovazione e il riconoscimento del primato dell'esperienza diretta peraltro non si limitano al campo della cosmologia e della filosofia naturale, ma investono anche quello della ricerca antiquaria, in particolare per quello che riguarda le antichità cristiane. La riconosciuta erudizione dei migliori studiosi viene volentieri messa in campo a difesa delle prerogative della Sede apostolica, soprattutto nel caso delle controversie giurisdizionali con la Repubblica di Venezia o con Luigi XIV; e tuttavia ciò non toglie che possa diventare pericolosa e che vada maneggiata con estrema cura: ne faranno la diretta esperienza alcuni personaggi di cui si parlerà nelle pagine che seguono.

Un laboratorio non è però tale senza la collaborazione dei pari. Paragonata alle altre capitali europee, Roma è relativamente piccola e il mercato dei beni e dei servizi intellettuali è ristretto a pochi committenti. Pochi sono anche i possibili mediatori tra chi offre i propri servizi e chi è disposto a comprarli. Coloro che svolgono una professione intellettuale hanno quindi un'alta probabilità di conoscersi tra loro, e anche di condividere almeno alcuni obiettivi. [10] E sebbene l'ambiente sia spesso lacerato da pesanti rivalità, è al tempo stesso tenuto insieme da plurime forme di solidarietà che consentono ai singoli di contare sul contributo di altri personaggi a loro simili. In questo processo di scambio e condivisione ciascuno può e deve giovarsi di amici e sodali che partecipino alla sua celebrazione e ne curino la reputazione. In tale maniera queste persone che, al contrario della maggior parte dei nobili, non possono vivere di sola rendita ma devono lavorare per vivere, cercano di affrancarsi dalla dipendenza economica dai pochi grandi committenti cui per ora si restringe il mercato dei loro clienti. E qualche volta ci riescono.

 

 

Ringrazio David Freedberg e tutte/i le amiche e gli amici Fellow dell'Italian Academy di New York per aver discusso con me una versione embrionale di questa ricerca. Ringrazio inoltre Angiolina Arru, Roberto Bizzocchi, Benedetta Borello, Sabina Brevaglieri, Simona Cerutti, Simone Collavini, Federica Favino, Andrea Gamberini, Diego Moreno, Osvaldo Raggio, Vittorio Tigrino, Angelo Torre, Massimo Vallerani delle tante intelligenti osservazioni fatte a una prima versione di questo testo. Ho cercato di tenerne il massimo conto.

 

Questo libro esce unicamente in edizione digitale "open access". Difronte alle crescenti difficoltà cui vanno incontro le pubblicazioni scientifiche ho infatti voluto sperimentare questo nuovo modo di comunicazione dei risultati della ricerca.

 


Note

1. Con questo, tuttavia, esso spera di riuscire anche a dare un contributo alle discipline appena citate, sulla scia di lavori apparsi più o meno di recente sullo status e le condizioni di vita soprattutto dei pittori ma anche degli scienziati e degli appartenenti alla repubblica delle lettere: cfr. per esempio Patrizia Cavazzini, Painting as Business in Early Seventeenth-Century Rome, University Park, Pennsylvania State University Press, 2008; Philip Sohm, Richard Spear (eds.), Painting for Profit. The Economic Lives of Italian Seventeenth-Century Painters, New Haven-London, Yale University Press, 2010; Mario Biagioli, The Social Status of Italian Mathematicians, 1450-1600, in «History of Science», XXVII (1989), pp. 41-95; Mario Biagioli, Galileo Courtier. The Practice of Science in the Culture of Absolutism, Chicago, University of Chicago Press, 1993; Hans Bots, Françoise Waquet, La Repubblica delle Lettere, Bologna, Il Mulino, 2005;

2. Le basi teoriche di queste rivendicazioni sono esposte molto chiaramente da Vasari, nel Proemio alle Vite, a proposito della supremazia della pittura sulla scultura: «dicono […] che le vere difficultà stanno più nell'animo che nel corpo, onde quelle cose che di lor natura hanno bisogno di studio e di sapere maggiore son più nobili et eccellenti di quelle che più si servono della forza del corpo»: Le Vite de' più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a tempi nostri, nell'edizione per i tipi di Lorenzo Torrentino, Firenze 1550, a cura di Luciano Bellosi e Aldo Rossi, Torino, Einaudi 1986, Proemio, p. 11.

3. Introduction: Scientific Personae and Their Histories, «Science in Context», 16 (2003), pp. 1-8.

4. «The Journal of the Royal Anthropological Institute of Great Britain and Ireland», vol. 68 (1938), pp. 263-281.

5. Mauss, Une categorie de l'esprit humain, cit., p. 277.

6. Daston e Sibum, Introduction, cit., p. 2.

7. E' qui utile richiamare la nozione di «somiglianze di famiglia» sulla quale cfr. Ludwig Wittgenstein, Ricerche filosofiche, a cura di Mario Trinchero, Torino, Einaudi, 1974, pp. 46-47; Rodney Needham, Polythetic classification: Convergence and consequences, in «Man», n.s., vol. 10, n. 3 (1975), pp. 349-369; Carlo Ginzburg, Somiglianze di famiglia e alberi genealogici. Due metafore cognitive, in Clemens-Carl Härle (a cura di), Ai limiti dell'immagine, Macerata, Quolibet, 2005, pp. 227-250; Carlo Ginzburg, Il filo e le tracce. Vero, falso, finto, Milano, Feltrinelli, 2006, p. 166. Siamo anche vicini alla nozione di «idea» usata da Walter Benjamin, ne Il dramma barocco tedesco, Torino, Einaudi, 1999 (ed. or. 1928).

8. Per la diversa situazione dei contadini nei periodi di crescita o di decrescita demografica cfr. Emmanuel Le Roy Ladurie, I Contadini di Linguadoca, Roma-Bari, Laterza, 1984, e tutta la letteratura che ne è seguita; cfr. anche Renata Ago, La feudalità in età moderna, Roma-Bari, Laterza, 1998. Per il rapporto tra scarsità di manodopera e condizioni di lavoro e remunerazione in alcuni mestieri artigiani cfr. per esempio Francesca Trivellato, Fondamenta dei vetrai. Lavoro, tecnologia e mercato a Venezia tra Sei e Settecento, Roma, Donzelli, 2000.

9. René Pintard, Le Libertinage érudit dans la première moitié du XVII' siècle, Paris, Boivin, 1943; Candida Carella, Roma filosofica nicodemita libertina. Scienze e censura in età moderna, Lugano, Agorà & co, 2014; Federica Favino, La filosofia naturale di Giovanni Ciampoli, Firenze, Olschki, 2015.

10. Per avere un'idea dell'importanza e dell'estensione di queste reti di relazioni cfr. Gary Schwartz, The Structure of Patronage Networks in Rome, The Hague and Amsterdam in the 17th Century, in Economia e Arte secc. XIII-XVIII, Firenze, Olschki, 2002, a cura di Simonetta Cavaciocchi, pp. 567-574.

 

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