L'ambasciata di Spagna a Roma

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Author: 
Isabella Iannuzzi

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L'Ambasciata di Spagna ha sempre avuto un ruolo di primo piano tra le rappresentanze diplomatiche presenti a Roma in età moderna.  Per certi aspetti è stata una specie di guida nelle scelte di tipo propagandistico e cerimoniale che contraddistinsero la presenza diplomatica delle diverse legazioni straniere nella Roma papale tra '500 e '600. Per questa ragione é interessante analizzare lo sviluppo della sua azione nel corso degli anni per percepirne gli elementi di novità e per vedere come queste esperienze si riflessero sul panorama della presenza e dell'immagine che le ambasciate straniere di altri stati vennero ad assumere nel XVII secolo.

A partire dalla fine del '400 per la monarchia dei re cattolici la Roma papale divenne uno scenario privilegiato attraverso cui legittimare la sua politica tesa all'assunzione del ruolo di potenza europea ed atlantica [1]. Per tale ragione i re cattolici incominciarono ad elaborare un'originale propaganda fatta di cerimonie, processioni e festeggiamenti promossa dai diversi ambasciatori ed emissari presenti in Roma. Molto spesso il centro delle manifestazioni divennero la chiesa di Santiago degli Spagnoli e piazza Navona. Per tutto il '500 piazza Navona fu l'epicentro della presenza spagnola: è qui che tutti gli ambasciatori stabiliranno la loro residenza, in considerazione dello scenario propizio che questo luogo forniva ed  in ragione della importante presenza in questa zona della comunità castigliana che faceva riferimento all'ospedale e alla chiesa di Santiago, due fondamentali centri di aggregazione che riunivano la variegata presenza di chierici, diplomatici, commercianti, uomini d'affari e pellegrini che popolavano Roma [2]. L'importanza simbolica di questo luogo fu fin da subito dimostrata dal fatto che molto spesso come  governatori della chiesa vennero nominati ambasciatori dei re cattolici, (come per esempio alla fine del '400 Bernardino López de Carvajal e Juan de Medina): ma ben presto si manifestò, da parte dei sovrani spagnoli, un forte interesse a porre stabilmente sotto l'influenza della corona la Chiesa di Santiago ed il suo ospedale. Un primo tentativo in questo senso si ebbe nel 1558 attraverso il conferimento da parte di Filippo II all'ambasciatore a Roma Juan de Figueroa dell'incarico di creare all'interno dell'edificio di Santiago un archivio con documentazione concernente la Santa Sede e la monarchia spagnola in materia di brevi, bolle ed investiture. Alla fine non se ne fece nulla [3], (l'archivio si costituì successivamente all'interno dell'ambasciata nel 1562), ma attraverso questo episodio risulta evidente la volontà monarchica di controllare un' istituzione che fino a quel momento rappresentava il soggetto con maggior visibilità e capacità mediatica della presenza ispanica a Roma in virtù della presenza di molti ecclesiastici che si muovevano dentro della curia e all'interno dell'apparato burocratico della Camera Apostolica [4].

Nel 1579 prese corpo l'idea di far diventare la Chiesa di Santiago il centro di aggregazione delle varie chiese nazionali presenti a Roma che facevano capo alla monarchia spagnola. Grazie all'azione dell'ambasciatore Juan de Zuñiga si ottenne da papa Gregorio XIII la bolla di fondazione della Archicofradía de la Santísima Resurrección, confraternita posta, significativamente, sotto la diretta protezione del re di Spagna Filippo II e dei suoi ambasciatori presenti a Roma [5]. L'ambasciatore in tal modo diventava ufficialmente protettore di tutti i residenti a Roma che appartenessero ad uno dei territori della corona [6]. Attraverso il suo protagonismo durante le cerimonie religiose ed il suo diretto controllo delle confraternite e chiese nazionali che le organizzano, l'ambasciatore persegue in ambito romano il riconoscimento della politica unitaria e centralizzatrice portata avanti dai sovrani spagnoli. L'ambasciata viene percepita sempre più non soltanto e non tanto come un mezzo per difendere gli interessi diplomatici spagnoli, ma anche come un efficace strumento per imporre la politica interna ed internazionale della monarchia.

Era un lavoro complesso, svolto allo stesso tempo da vari soggetti che a diverso titolo rappresentavano la corona. L'ambasciatore ordinario era affiancato da figure istituzionali come gli ambasciatori straordinari e gli ambasciatori d'obbedienza [7], senza dimenticare il ruolo svolto dai cardinali protettori e da coloro cui il monarca attribuiva la "voz", ossia il ruolo di capo della fazione spagnola durante i conclavi [8]. Come osserva Visceglia a partire dal V duca di Sessa, ambasciatore dal 1592, si percepisce la volontà di far diventare il titolare dell'ambasciata romana una sorta di "viceré delli viceré" capace di coordinare la politica italiana della monarchia spagnola riuscendo a mediare tra il papa e gli ambasciatori destinati ad altre sedi italiane nel quadro più generale della politica peninsulare ed europea [9].

Un altro importante aspetto da considerare in questo tentativo dell'ambasciata spagnola di imporsi sullo scenario romano ed italiano è quello del rapporto che si venne a stabilire tra la nobiltà italiana e la monarchia spagnola. Era una relazione che si basava sull'applicazione da parte della corona di una politica che dispensava mercedi in modo da attrarre le élites italiane e così renderle fedeli alla monarchia [10]. Spesso questo rapporto si esplicitava nelle relazioni dirette che si stabilivano tra gli ambasciatori, quasi tutti appartenenti al lignaggio dei "grandes" e le famiglie nobili romane che nella frequentazione dei rappresentanti diplomatici vedevano opportunità, soprattutto attraverso le unioni matrimoniali, per migliorare il loro status [11]. In tal senso un altro fondamentale canale di contatto è rappresentato dall'ospitalità data dalla nobiltà romana agli ambasciatori e al loro imponente seguito in palazzi di loro proprietà. E così troviamo II duca di Sessa che alloggia in residenze appartenenti ai Colonna (ed infatti morirà nel 1526 a palazzo Colonna). Juan de Zuñiga nel 1568 abiterà a palazzo Parisani (attuale palazzo Rondanini), contiguo a quello del cardinale Granvelle in un area vicina a San Luigi dei Francesi e a piazza Navona. Nel 1582 Enrique de Guzman, conte de Olivares alloggerà prima a Villa Medici e poi a palazzo Sforza e Juan Fernández Pacheco, duca di Escalona e marchese de Villena risiederà prima in casa di Odoardo Farnese e successivamente a palazzo Cupis a piazza Navona.

La ricerca di alloggi consoni al lignaggio degli ambasciatori ed all'alto compito di rappresentanza era percepito come un grande problema, soprattutto dalla fine del '500 quando sempre più l'immagine ed il cerimoniale divennero un importante aspetto del linguaggio politico papale: era ormai forte la concorrenza dei cardinali residenti o di ambasciatori di altre nazioni nella ricerca di edifici che dominassero il panorama romano. Ce ne dà testimonianza un memoriale destinato all'appena nominato ambasciatore Gaspar de Moncada, marchese di Aitona, con istruzioni riguardanti la corte pontificia redatto nel 1606 dall'arcivescovo di Burgos Alfonso Manrique, in cui si parla dei problemi connessi alla ricerca di un edificio adatto ad ospitare il rappresentante diplomatico. In questo scritto Manrique propone di comprare palazzo de Cupis a piazza Navona e di intestare l'immobile alla chiesa nazionale di San Giacomo degli Spagnoli. Per l'arcivescovo questa residenza rispondeva perfettamente alle esigenze del futuro ambasciatore: "ninguna parece que sería más a proposito que ésta en que a vivido el Marques de Villena por estar ya acomodada para semejante vivienda en muy buen sitio, cerca de la misma iglesia de Santiago" [12].

È da sottolineare come le necessità cerimoniali dell'ambasciatore fossero prese in grande considerazione, in ragione del ruolo che per il sovrano spagnolo l'ambasciata a Roma aveva mano mano assunto. Dal punto di vista abitativo il modello che si seguiva era quello dei cardinali a somiglianza delle regole di comportamento negli incontri all'interno dell'ambasciata e in altre circostanze [13] . Regole complesse ed onerose quelle del cerimoniale papale, come ci testimonia l'ambasciatore Zuñiga nella sua corrispondenza al re nel 1568 [14].

L'apparato che accompagnava l'ambasciatore era imponente. Il seguito, agli inizi del XVII secolo, si componeva per lo meno di 150-200 persone, la cosiddetta "famiglia". Come giustamente osserva Anselmi il numero dei "familiari" era uno degli status simbol dell'epoca, intimamente relazionato alla politica della presenza, dei gesti e della stessa occupazione dello spazio pubblico secondo i dettami imposti dalla corte papale [15]. Per tale ragione già a partire dal 1622 il duca di Albuquerque decise di affittare palazzo Monaldeschi: affitto che poi mantennero i suoi successori, il duca di Pastrana, il conte di Monterrey e il marchese di Castel Rodrigo. Dimensioni e spazi dell'edificio e presenza di un ampia piazza antistante, una delle più grandi di Roma, soddisfacevano appieno le esigenze di rappresentanza e magnificenza.

In questo senso va interpretata la scelta poi compiuta nel 1647 dal conte di Oñate di comprare l'edificio [16] e, soprattutto, le successive decisioni di ristrutturare palazzo Monaldeschi per farlo diventare un palazzo che rispondesse in pieno a quanto esigeva il cerimoniale romano. Per il progetto di trasformazione Oñate puntò all'artista più in voga nel momento, Francesco Borromini, un protetto del pontefice. La scelta di acquisire una sede permanente era una innovazione nell'ambito dell'azione diplomatica romana ed europea. La repubblica di Venezia aveva qualcosa di simile, ma non si trattava di un intero edificio: gli ambasciatori avevano a disposizione una parte del palazzo di San Marco che Pio IV nel 1564 aveva donato alla repubblica veneziana [17]. Un'altra situazione particolare era quella dei rappresentanti toscani a Roma che potevano occupare una delle tre residenze medicee presenti nella città, ovvero il palazzo di Campo Marzio, palazzo Madama e villa Medici al Pincio se queste ultime non erano utilizzate da membri della famiglia ducale [18].

 

Palazzo di S. Marco

Il conte di Oñate pagò lui stesso l'edificio e per la ristrutturazione aprì un censo pari a 14.000 scudi con l'Ospedale di San Giacomo degli Spagnoli [19]. Iniziò i lavori, ma la rivolta a Napoli nel 1647 e la successiva nomina di Oñate a viceré della città nel 1648 lo allontanarono da Roma e bloccarono la ristrutturazione di palazzo Monaldeschi. Successivamente, verso il 1652, la Corona acquistò l'edificio dal conte di Oñate motivando significativamente l'acquisizione come di "mucha conveniencia para los embajadores de Vuestra Majestad, en Roma por la autoridad della, por el parage en que esta rodeada de toda las Naciones, y porque si pasa a otro possedor, será menester que los embaxadores busquen alojamiento donde le hallaren, y muchas veces será con gran descomodidad suya y de los Negocios" [20].

È interessante sottolineare come per il Consejo de Estado sia determinante che l'ambasciata si trovi " rodeada de toda las Naciones", ovvero in un luogo reputato strategico, sintomo di quale importanza avesse, tra l'altro in un momento di grossa rivalità con la corona francese, l'occupazione di un ben preciso spazio urbano. L'ambasciata infatti portò avanti una politica tesa al controllo sulle strade limitrofe alla sua sede, soprattutto dopo i lavori di ampliamento e ristrutturazione dell'edificio fatti dalla corona spagnola tra il 1654 ed il 1656 sotto la direzione dell'architetto Antonio Del Grande durante l'ambasciata del duca di Terranova. Del Grande venne scelto con molta probabilità per aver lavorato per Girolamo Colonna, con cui Terranova era in buoni rapporti ed aveva anche legami di parentela [21].

In questi anni il quartiere spagnolo visse una vera e propria espansione, facilitata dai forti benefici economici che le attività commerciali sotto controllo spagnolo ricevevano, come per esempio l'esenzione delle gabelle [22] ed anche grazie all'azione spregiudicata di alcuni suoi ambasciatori, che volevano marcare la presenza spagnola. Per queste ragioni vedremo come nella seconda metà del '600 gli ambasciatori cercheranno di espandere il loro raggio di azione per limitare l'espansionismo francese e mantenere i privilegi fino a quel momento acquisiti. Per farlo si combatteranno "guerre" a suon di apparati effimeri, come quello disegnato da Bernini nel 1661 per celebrare la nascita del Delfino e sancire il controllo francese su Trinità dei Monti [23]. Ma anche si creeranno atipiche alleanze, come quella nel 1677 tra il Marchese del Carpio ed il suo collega francese per contrastare l'azione di Innocenzo XI che voleva eliminare i quartieri delle ambasciate. Nel 1678 il quartiere spagnolo aveva raggiunto notevoli dimensioni tanto da riuscire a controllare anche la stessa zona del convento di San Francesco da Paola.

Da quanto precedentemente accennato risulta, dunque, che negli anni si erano spostate le zone d'interesse dell'ambasciata: la prima metà del '600 aveva rappresentato un importante momento di passaggio dal punto di vista dell'incidenza culturale e simbolica della presenza spagnola, ma anche della rilevanza economica in virtù dei vantaggi commerciali derivati dalle franchigie del quartiere sotto controllo diplomatico. Si era oramai intensificata l'utilizzazione del linguaggio culturale di cerimonie e opere di mecenatismo e si era prodotto un importante cambiamento della geografia dei luoghi e delle situazioni in cui esso si esprimeva. La zona di piazza di Spagna diveniva sempre più il luogo dove allestire manifestazioni, ma continuavano ad utilizzarsi altri luoghi per determinate cerimonie: soprattutto il tradizionale scenario di piazza Navona e della chiesa di Santiago degli spagnoli. Che l'influenza di questa chiesa fosse comunque ancora molto rilevante in questa zona ce lo testimonia la scelta nel 1641 del vescovo di Lamego, ambasciatore del Portogallo che si era appena ribellato a Filippo IV, che dopo aver affittato come residenza palazzo De Cupis in piazza Navona decide di lasciarlo "considerato essergli molto vicino la Natione Tedesca da un lato e dall'altro la Spagnola haveva perciò ordinato si provedesse d'altra habitatione" [24]

Ma anche la Roma papale stava cambiando: in questi stessi anni il papa trasferiva la sua residenza al Quirinale ed anche i suo itinerari cerimoniali si trasformano così come le direttrici della città e la geografia dello spazio pubblico [25].

Un ultimo importante aspetto da considerare è il gravoso impegno personale dell'ambasciatore nella sua azione di rappresentante del monarca. Egli influisce con i suoi gesti e le sue scelte sulla reputazione sua e su quella della corona, aspetto che richiedeva da parte sua un grosso impegno finanziario [26]: era lui che doveva quasi sempre pagare le cerimonie straordinarie e sostenere i costi connessi all'esigenza di trasmettere un' immagine di magnificenza e grandezza, per farlo molto spesso diveniva mecenate e collezionista d'arte. Altro oneroso compito era quello che esercitava, come già ricordato, in qualità di protettore delle chiese nazionali iberiche presenti a Roma (quelle di Santiago degli spagnoli, di Santa María di Montserrat e di S. Antonio dei Portoghesi) cercando sempre più di influenzarne le attività e arrivando anche a cercare di cambiare gli statuti che le governavano. Era anche protettore della Archicofradia de la Santísima Resurrección, che riuniva tutti i nativi dei territori della corona e che per sottolineare l'unità e grandezza della corona organizzava ogni anno a piazza Navona una solenne processione in occasione della Pasqua di Resurrezione [27] e manifestazioni con complesse scenografie a cui assistevano lo stesso ambasciatore e le persone più influenti della comunità spagnola a Roma [28]. Altre importanti cerimonie a carico dell'ambasciatore erano l'allestimento della tradizionale cerimonia annuale della consegna della Chinea [29], le feste per il carnevale e le cerimonie in occasione di eventi importanti per la corona, come per esempio la nascita dell'infante [30].

L'ambasciata del marchese di Castel Rodrigo, che giunse a Roma nel 1632 e vi rimase fino al 1641, è un perfetto esempio di ciò che significava ed implicava l'essere ambasciatori nel '600: per quasi dieci anni dominerà la scena romana, come mecenate ed attraverso l'organizzazione di feste e spettacoli. Una tra le più significative fu quella che promosse in piazza di Spagna nel 1637 per festeggiare l'elezione a re dei Romani di Ferdinando III. Esistono varie relazioni stampate o manoscritte promosse dall'ambasciatore che raccontano con dovizia di particolari gli eventi e ci fanno percepire la profusione di mezzi messa in campo da Castel Rodrigo. E' una magnificenza testimoniata anche attraverso le acqueforti commissionate a Claude Le Lorrain, per lasciare un vivido ricordo visivo dello splendore di quello spettacolo [31]. Non solo artisti, ma anche letterati vengono ingaggiati per promuovere il connubio tra arte e diplomazia che stava dominando la scena romana [32]. In occasione della festa organizzata da Castel Rodrigo nel 1637 erano stati fatti costruire due macchinari [33]: uno alla porta del palazzo dell'ambasciata e l'altro all'inizio della salita che portava a Trinità dei Monti. Un incredibile spettacolo pirotecnico dominò quest'imponente scenario, marcando simbolicamente gli spazi su cui l'ambasciata incominciava ad esercitare il suo controllo e ad affermare la sua rinnovata esposizione mediatica.

Questo diplomatico lasciò il segno anche in ambito artistico contribuendo personalmente, attraverso donazioni, alla costruzione di due conventi spagnoli come Sant' Isidoro e soprattutto San Carlino alle Quattro Fontane, la cui progettazione venne affidata a Francesco Borromini di cui Castel Rodrigo diverrà poi amico [34].

Castel Rodrigo si interessò anche ai lavori nella chiesa di San Antonio dei Portoghesi cercando di avere un ruolo attivo con gli amministratori della confraternita che si stavano occupando della ricostruzione della chiesa [35]. Gli amministratori però mal sopportavano il controllo dell'ambasciatore spagnolo: siamo infatti alla vigilia della sollevazione portoghese.

Questo diplomatico promuove le arti e frequenta artisti anche per soddisfare l' incarico di Filippo IV di procurarsi molteplici dipinti destinati a decorare il palazzo del Buen Retiro costruito a Madrid.

Questa tendenza degli ambasciatori ad investire per il proprio prestigio e per dare attenzione alla politica culturale della corona [36] è qualcosa che si esprimerà in maniera più compiuta successivamente con altri ambasciatori, come i fratelli Pascual e Pedro Antonio de Aragón [37] negli anni sessanta e Gaspar de Haro y Guzmán, VII marchese del Carpio che assumerà le redini dell'ambasciata dal 1677 al 1683. Tutto questo rappresentava il cambio di passo di un sistema, quello monarchico, che sentiva il peso delle crisi, quella catalana e quella portoghese, e che attraverso una rinnovata attività culturale e simbolica a Roma cercava di recuperare spazio e credibilità. Lo faceva adoperandosi a dominare la scena culturale romana e puntando sempre più alla promozione di elementi culturali spagnoli, così da ampliare la pietas hispánica [38] anche in luoghi fino a quel momento estranei al legato culturale e religioso spagnolo. Sempre più arte e politica si incontrano e creano un nuovo linguaggio diplomatico e cerimoniale che riuscirà, nonostante tutti i problemi che in quegli anni stava vivendo la monarchia spagnola, a mantenere ed accrescere il prestigio della corona in quello che in quel momento si proponeva e veniva percepito come il grande palcoscenico del mondo: la Roma papale e barocca.

 


Note

1. A. Fernàndez de Còrdova, Reyes Catòlicos: mutaciones y permanencias de un paradigma político en la Roma del Renacimiento, in C. Hernando Sánchez (coordinador), Roma y España. Un crisol de la cultura europea en la edad moderna, Madrid 2007, vol. I, pp.134-135.

2. Sulle origini e funzioni della chiesa di Santiago degli spagnoli e del suo ospedale vedere: J. Fernández Alonso, Las iglesias nacionales de España en Roma. Sus orígenes, in «Anthologica Annua» vol.4 (1956), pp. 9-96; J. Fernández Alonso, Santiago de los Españoles, de Roma, en el siglo XVI. «Anthologica Annua» vol.6 (1958), pp. 10-122; E. García Hernan, La iglesia de Santiago de los españoles en Roma: trayectoria de una institución, in «Anthologica Annua» vol. 42 (1995), pp. 297-363.; M.Vaquero Piñeiro, Las rentas y las casas. El patrimonio inmobiliario de Santiago de los Españoles en Roma entre el siglo XV y XVII, Roma 1999.

3. Verrà creato da Juan de Verzosa per incarico dell'ambasciatore Luis de Requesens, vedere a tale proposito I. Aguirre Landa, Archivi e documentazione politica: Juan de Verzosa archivista dell'ambasciata di Spagna a Roma,in L'Italia di Carlo V. Guerra, religione e politica nel primo Cinquecento, a cura di F. Cantù e M.A. Visceglia, Roma 2003, pp. 217-231.

4. Á. Fernández de Córdova Miralles, Imagen de los Reyes Católicos en la Roma pontificia cit., in «En la España Medieval», (2005), 28, p. 272, e M.A. Visceglia, Roma papale e Spagna. Diplomatici, nobili e religiosi tra due corti, Roma 2010, pp.16-17.

5. J. Fernández Alonso, Santiago de los Españoles y la Archicofradía de la Santísima Resurrección de Roma hasta 1754, in «Anthologica Annua» vol.8 (1960), pp.279-329.

6. "tanto el que fuere de la Corona de Castilla como de la Corona de Aragón, y del Reino de Portugal, y delas islas de Mallorca, Menorca, Cerdeñae islas y tierra firme de entrambas Indias, sin ninguna distinción de edad,ni de sexo, ni de estado", così recitavano gli statuti, vedere: Libro primero de decretos (leg.1024), f.XI, citato da J. Fernández Alonso, Santiago de los Españoles y la Archicofradía de la Santísima Resurrección de Roma, cit., p.282.

7. M.A. Visceglia, Una cerimonia politica: l'ambasciata d'obbedienza al papa nel XVII secolo, in Studi in memoria di Cesare Mozzarelli, Milano 2008, I, pp. 673-697.

8. M.A. Visceglia L'ambasciatore spagnolo alla corte di Roma: linee di lettura di una figura politica, in Diplomazia e politica della Spagna a Roma. Figure di ambasciatori, «Roma moderna e contemporanea» fasc. 1-3 (2007), p.9.

9. Ibidem p.11.

10. Su questo tema vedere anche D. Carrió-Invernizzi, El gobierno de las imagenes. Ceremonial y mecenazgo en la Italia española de la segunda mitad del siglo XVII, Madrid 2008.

11. ibidem p.14

12. "Pues a de ser orden. a residir embaxador de su M.a en esta corte convendría mucho se comprase casa para éste efecto, y que estuviese en nombre de la iglesia de Santiago, con que cessarían algunas dificultades que se podrían ofrecer, y que los embaxadores pagasen aquella iglesia mil ducados o lo que pareciesse de alquiler para sustento del hospital, con que se venían a hacerdos cosas de gran consideración, porque es muy indecente que cada uno que viene aya de andar a merced buscando donde meterse, y que este en mano de otro desautorizarle en esto o llevarle precio exessivo, en caso que se tomasse resolución en ésto ninguna parece que sería más a proposito que ésta en que a vivido el Marques de Villena por estar ya acomodada para semejante vivienda en muy buen sitio, cerca de la misma iglesia de Santiago, y de ser tres dueños que desean venderla", AMAE, Santa Sede, 54, c.276, Instrucción general de algunas cosas que el Arzobispo de Burgos lleva a España [...] el gobierno de Roma, y otras particulares de que conviene estar advertito [...] Marques de Aitona. Documento pubblicato da A. Anselmi, Il Palazzo dell'Ambasciata di Spagna presso la Santa Sede, Roma 2001, p. 15 e p. 28, che inoltre informa come questo Memoriale fosse già stato pubblicato dal Marqués de Villa Urrutia, El Palacio Barberini, Madrid 1919, pp.16-17.

13. Anselmi, Il Palazzo dell'Ambasciata di Spagna cit., p.18 e p.26.

14. Zúñiga al rey, 27 enero 1568, in Correspondencia diplomatica entre España y la Santa Sede durante el pontificado de S. Pio V, a cura di L. Serrano, Roma 1914, vol. II, pp. 293-296, citato da Visceglia, L'ambasciatore spagnolo alla corte di Roma cit., p.12.

15. Rimando al libro di Anselmi per una dettagliata analisi sulla "famiglia" e sui compiti e funzioni dei diversi addetti dell'ambasciata, Anselmi, Il Palazzo dell'Ambasciata di Spagna cit., pp.18-26.

16. Sulle ragioni dell'acquisto da parte del duca de Oñate dell'edificio vedere A. Anselmi che chiarisce attraverso una ricca documentazione come la vera intenzione di Oñate più che di trasformarlo in sede permanente dell'ambasciata fosse quella di acquisirlo per se in vista della sua possibile nomina a cardinale da parte di papa Innocenzo X, all'insaputa del re. A Madrid Oñate aveva addotto ragioni politiche per acquisire il palazzo: sosteneva che se ne stava interessando l'ambasciata di Francia. Quando Filippo IV venne a conoscenza dei progetti del suo ambasciatore non nascose il suo disappunto sulla vicenda al nunzio Rospigliosi. Inoltre proibì espressamente a Oñate di accettare il cappello cardinalizio nel caso venisse nominato, ed infatti la nomina non avvenne. Vedere Anselmi, Il Palazzo dell'Ambasciata di Spagna cit., pp. 53-54 e per i riferimenti ai documenti che attestano tale ricostruzione pp.71-72.

17. Inoltre molti degli ambienti dovevano condividerli con i cardinali titolari di S. Marco. Come sottolinea Bonaccorsi "l'antica basilica di S.Marco, ufficialmente non fu mai chiesa nazionale dei veneziani, anche se di fatto lo era, poichè intitolata al loro santo protettore". Sulla presenza veneziana a Roma vedere G. Bonaccorso, I veneziani a Roma da Paolo II alla caduta della Serenissima: l'ambasciata, le fabbriche, il quartiere, in La città italiana e i luoghi degli stranieri. XIV-XVIII secolo, a cura di D. Calabi e P. Lanaro, Roma-Bari 1998, pp.192-205.

18. Su quest' aspetto vedere Anselmi, Il Palazzo dell'Ambasciata di Spagna cit., p.16 e p. 29. Sulla presenza fiorentina a Roma vedere anche I. Polverini Fosi, Il consolato fiorentino a Roma e il progetto per la chiesa nazionale, in «Studi Romani» 37 (1989), pp. 50-70; C. Conforti, La "natione fiorentina" a Roma nel Rinascimento, in La città italiana e i luoghi degli stranieri cit., pp. 171-191.

19. "en la descomodidad de poderla pagar, no hablo por ahora, porque en effecto me he concertado con Geronimo Bivaldi, y con el hospital de Santiago de los Españoles, para que pagandoles yo los interesses a su satisfacción ellos desenbolsen el dinero al que es menester para juntar un pedaço de sitio, y abrir calle, con que la casa quedará honrada, y autoriçada y muy codiciable en esta corte. Quedo trazando algun arbitrio para que esta casa quede segura para los embaxadores con poca costa de Su Maiegstad y sin el empeño de ser casa real suya, sino que lo sea, o del hospital de Santiago, o, del cavildo de Santa Maria la Mayor" in AGS, Estado, 3016, lettera del 9 febbraio 1647. Lettera pubblicata da Anselmi, Il palazzo dell'Ambasciata di Spagna cit., p.72 e da M. Barrio Gozalo, La Embajada de España en Roma durante el reinado de Carlos II (1665-1700), Valladolid 2013, p. 77.

20. AGS, Estado,3275, Junta de Estado del 6 marzo 1652, citata da Anselmi, , Il palazzo dell'Ambasciata di Spagna cit., p.76.

21. Vedere Anselmi, Il palazzo dell'Ambasciata di Spagna cit., pp. 81-82.

22. Archivio Segreto Vaticano (ASV), Nunziatura Spagna, 16, cc.138-139, 195r-v, 202 r-v; Archivo General de Simancas (AGS) Estado 3119; Archivio Opera Pia di Spagna, Roma (AOPS), Biblioteca Aneja, Ms. 448, cc.272 sgg.; citato da Anselmi, Il quartiere dell'ambasciata di Spagna a Roma, cit. p.219.

23. C. D'Onofrio, Scalinate di Roma, Roma 1973, pp. 245-248, citato da Anselmi, Il quartiere cit., p. 210.

24. Biblioteca Apostolica Vaticana (BAV), Ott. Lat. 3343, IV, 463v, 28 di settembre 1641, citato da Anselmi, Il palazzo dell'Ambasciata di Spagna cit., p.16 e Invernizzi-Carrió, El gobierno de las imágenes cit., p. 140.

25. M.A.Visceglia, Identità urbana, rituali civici e spazio pubblico a Roma tra Rinascimento e Controriforma, in «Dimensioni e problemi della ricerca storica» 2 (2005), pp.7-38, ma in particolare vedere pp.22-23. Anche A. Menniti Ippolito, Il papa al Quirinale. Il sovrano pontefice e la ricerca di una residenza, Roma 2004.

26. S. Giordano, Introduzione, in Istruzioni di Filippo III ai suoi ambasciatori a Roma 1598-1621 a cura di S. Giordano, Roma 2006, pp. XCIX-CI.

27. Fernández Alonso, Santiago de los Españoles y la Archicofradía cit., p.289; M.A. Visceglia, Giubilei tra pace e guerre (1625-1650), in «Roma moderna e contemporanea» n. 2/3 (1997), pp. 431-474, in particolare le pp. 642-645; J.L. Colomer, Luoghi e attori della "pietas hispánica" nella Roma del seicento, in «Storia urbana» XXXI, (2009), pp.127-148.

28. Vedere L. Fiorani, Processioni tra devozione e politica, in M. Fagiolo (a cura di), La festa a Roma dal Rinascimento al 1870, vol.2 Atlante, Torino 1997, pp. 67-73; G. Briccio, Le solenni e devote processioni fatte nell'alma città di Roma, l'anno del giubileo 1625 con la sontuosa festa fatta la mattina di pasqua di Resurretione in piazza Navona, data in luce da Lodovico Dozza bolognese, Roma appresso Stefano Paolini, 1625, citato da Visceglia, Giubilei tra pace e guerre (1575-1650) cit., p. 463.

29. Era una cerimonia che attraverso la consegna di una giumenta bianca che trasportava settemila ducati d'oro rimemorava ogni anno la consegna al papa di un tributo simbolico per la continuità del governo spagnolo sul regno di Napoli, feudo dello stato della chiesa.

30. M. Boiteux, Fêtes et traditions espagnoles à Rome au XVII siècle, in Barocco romano e barocco italiano. Il teatro, l'effimero, l'allegoria, a cura di M. Fagiolo/M.L.Madonna, Roma 1985, pp. 117-134.

31. Relazioni redatte in italiano da F. Corsacci, Relatione delle Feste fatte dall'Eccellentiss. Sig. Marchese di Castel Rodrigo Ambasciatore della Maestà Cattolica, nella Elettione di Fernando III Redei Romani, Roma 1637, ed in spagnolo da M. Bermùdez de Castro, Description de las Fiestas que el S.r. Marques de Castel Rodrigo Embaxador de España celebró en esta Corte a la nueva de la election de Ferdinando III de Austria Rey de Romanos, Roma 1637, citate da D. García Cueto, Mecenazgo y representación del Marqués de Castel Rodrigo durante su embajada, in Roma y España. Un crisol de la cultura europea cit., vol. II, p. 701.

32. Su tali temi ricordiamo i lavori di E. Cropper, (ed.) Diplomacy of Art. Artistic Creations and Politics in Seicento Italy, Milano 2000, e J. L. Colomer, (ed.) Arte y Diplomacia de la Monarquía Hispánica del siglo XVII, Madrid 2003.

33. Il macchinario piazzato davanti alla porta dell'ambasciata rappresentava una torre che si alzava su di una piattaforma e che aveva quattro torrette agli angoli. Era una metafora della forza del regno di Castiglia che dominava sui quattro continenti. L'altro macchinario era stato messo all'inizio della salita che portava a Trinità dei Monti e si componeva di una statua di Nettuno trionfante sopra dei mostri marini che gli obbedivano. Al centro dominava la scena un'aquila imperiale che osservava. Quando incominciarono i fuochi artificiali la torre venne avvolta da fiamme che la distrussero per far comparire al suo interno la statua equestre del re dei Romani, rappresentazione simbolica della mitica storia del cavallo di Troia per simbolizzare la gloria della casa d'Austria, che difendeva la cristianità e incarnava l'ordine. Vedere F. Corsacci, Relatione delle Feste fatte dall'Eccellentiss. Sig. Marchese di Castel Rodrigo, citato da García Cueto, Mecenazgo y representación cit., pp. 702-704.

34. Per tale ragione si pensa che un primo intervento di Borromini sui lavori di ristrutturazione dell'ambasciata spagnola a palazzo Monaldeschi sia avvenuta negli anni trenta sotto la sua ambasciata, per cercare di migliorare le condizioni dell'edificio prima dell'incarico ufficiale datogli da Oñate negli anni quaranta. Castel Rodrigo si mise infatti d'accordo con i proprietari dell'edificio per destinare il corrispettivo dell'affitto dovuto a lavori di "mejoras" del palazzo, vedere Anselmi, Il palazzo dell'Ambasciata di Spagna cit., p. 45.

35. Vedere a tale proposito G. Sabatini, La comunità portoghese a Roma nell'età dell'unione delle corone (1580-1640), in Roma y España, cit., vol. II, pp. 847-869.

36. A. Anselmi, Gaspar de Haro y Guzmán VII marches del Carpio "Confieso que debo al arte la magestad con que hoy triumpho", in Diplomazia e politica della Spagna a Roma. Figure di ambasciatori, «Roma moderna e contemporanea» fasc. 1-3 (2007), p. 192.

37. Su questi due personaggi vedere D. Carrió-Invernizzi, El gobierno de las imagenes cit.

38. Come giustamente indica D. Carrió-Invernizzi nell'introduzione del suo libro, El gobierno de las imagenes cit., in particolare vedere le pp. 16-19. Inoltre l'autrice sottolinea e descrive nel suo libro la stretta ed importante relazione che intercorreva tra politica culturale dell'ambasciatore a Roma e quella dei vicerè a Napoli. Ma già anche aveva trattato il tema J.L. Colomer, Luoghi e attori della "pietas hispánica" nella Roma del seicento cit., pp.142-145.