Le botteghe dei barbieri a Roma alla fine del Seicento

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Author: 
Antonella Pampalone

Dall'analisi della documentazione degli atti di fine Seicento di Amico Abinante, notaio capitolino del rione Ponte [1], emerge uno spaccato di grande interesse sociale e artistico riguardante le botteghe romane dei barbieri capillarmente diffuse su tutto il territorio urbano, con una incidenza notevole soprattutto nelle aree coincidenti con l'antico centro storico della città.

L'Università dei barbieri [2], sorta a metà del XV secolo (1440) come corporazione di professionisti specializzati nel taglio dei capelli, rasature, salassi, estrazioni dentarie e piccoli interventi di bassa chirurgia (medicazioni di ferite da arma da taglio e composizione di fratture), fu associata nel 1592 ai cosiddetti stufaroli, ovvero una categoria di operatori sanitari addetta esclusivamente alla pulizia del corpo, distaccatasi nel 1613 per esercitare in proprio in locali specificatamente attrezzati. [3]

I barbieri, adunati in Confraternita sotto l'invocazione della Vergine Maria e dei santi medici Cosma e Damiano [fig. 1], fissarono la sede in una piccola chiesa, oggi scomparsa, dedicata ai due santi protettori prossima a quella di S. Lucia del Gonfalone a via dei Banchi Vecchi, nel rione Ponte, dove erano anche proprietari di una casa da loro venduta nel 1700 a causa delle pessime condizioni di degrado. [4] Dal 1560 si erano trasferiti nel più centrale rione S. Eustachio in un'altra chiesa intitolata ai SS. Cosma e Damiano, posta di fronte Palazzo Cavalieri in prossimità della Torre Argentina (odierna via dei Barbieri), indicata al n. 768 nella pianta di Roma del Nolli del 1748. [5] Qui si adunavano per le funzioni in occasione della festa dei santi patroni e della Purificazione, a cui seguivano le nomine dei Consoli e dei nuovi ufficiali; in questa chiesa sontuosamente apparata, loro sede di rappresentanza, fu concesso dalla Sacra Congregazione dei Riti di celebrare messa solenne con accompagnamento musicale per l'insediamento del cardinale Pietro Ottoboni a protettore «dell'Università e Collegio dei barbieri» il 28 settembre 1704. [6]

Nell'attiguo Oratorio (al n. 769 del Nolli) si tenevano le riunioni del Consolato per deliberare, in conformità con le altre associazioni corporative le questioni inerenti l'attività caritativa confraternale (visita agli infermi, elemosine, doti alle fanciulle [7]), provvedere alle spese per la manutenzione della chiesa. [8] Nello specifico di fine Seicento, dirimere le controversie con i parrucchieri desiderosi di autonomia professionale e distinguersi dai barbieri [9], pretendere anche dai lavoranti nelle botteghe dei parrucchieri gli emolumenti da versare alla chiesa dell'Università dei barbieri [10], nominare i barbieri ammessi al numero degli esaminatori idonei a concedere la patente per l'esercizio della professione [11], stabilire l'indennità economica da corrispondere al barbiere per il vitto offerto al garzone immeritevole che, lasciando la bottega prima della scadenza dei termini contrattuali [12] contravveniva alle normative sulla "accomodatio".

A ordinare nel complesso lo svolgimento dell'attività era l'insieme di regole definite dagli Statuti susseguitisi dal 1478 al 1846 [13], di volta in volta riformati sul modello dei precedenti per introdurre le disposizioni di bandi, editti e brevi prontifici emanati al fine di ristabilire con fermezza le norme contro i frequenti abusi e l'osservanza degli obblighi sulla correttezza professionale. Nei capitolati di compravendita delle botteghe si trova di frequente, oltre alle tematiche accennate, il richiamo al rispetto della distanza da mantenere tra una bottega e l'altra per non ostacolare i reciproci profitti [14], così come il divieto allo stesso esercente di tenere aperte due botteghe sebbene dislocate in rioni diversi della città [15]; oppure nei contratti di affitto si stabiliscono le modalità per gli emolumenti, competenti al locatario o all'affittuario, da versare alla chiesa dell'Università [16]. Ed ancora, dal momento che il possesso di una bottega era vincolato al conseguimento della patente, alcuni contratti societari venivano stipulati al solo fine di ottemperare l'obbligo di ammissione in bottega di un barbiere patentato da parte dell'esercente che ne era privo; a tutti i trasgressori venivano inflitte gravi pene pecuniarie e altri castighi a discrezione dei Consoli. [17]

La licenza per aprire la bottega era concessa dopo il superamento di un esame abilitante fatto davanti ad una commissione di maestri della Corporazione per dimostrare che il barbiere possedeva - al di là di una competenza empirica - anche una conoscenza teorica di base del corpo umano derivatagli da un periodo di pratica ospedaliera e dallo studio di alcuni manuali; tra i più famosi in adozione erano quelli cinquecenteschi di Pietro Paolo Magni sulla circolazione venosa e sulla cauterizzazione. [18] Dopo avere giurato fedeltà ai decreti statutari, gli veniva rilasciata la patente in chirurgia "de levibus" (bassa chirurgia e flebotomia) dal protomedico del Collegio dei Medici dell'università romana, la "Sapienza" [19] dietro pagamento di una tassa di 10 scudi se ottenuta a tempo indeterminato; quando limitata a uno, tre o cinque anni, la tariffa era minore e variava secondo le specializzazioni consentite dell'arte medica: ad esempio, la patente annuale di cavadenti costava 5 giulii. [20]

Un capitolo degli Statuti fissava analoghe modalità per la concessione della patente ai lavoranti barbieri che dovevano essere provvisti dei seguenti requisiti: avere compiuto 25 anni, termine richiesto per il raggiungimento della maggiore età [21]; avere concluso un apprendistato decennale presso un maestro barbiere e svolto un biennio di praticantato presso una pubblica istituzione sanitaria. [22] Il controllo sull'abilità degli aspiranti veniva effettuato sia attraverso le deposizioni dei conoscenti che ne attestavano le tappe della carriera pregressa, anche se svolta all'estero come nel caso degli stranieri [23], sia mediante un esame sostenuto dal candidato alla presenza di quattro barbieri estratti a sorte tra i 17 membri del Consiglio che ne accertavano le capacità professionali. [24] Stabilitane l'idoneità, seguiva una votazione nella sede del Consolato per approvare e sancire il conferimento della patente poi rilasciata dal protomedico. [25]

La subordinazione al protomedico, senza la cui prescrizione scritta non si potevano eseguire i salassi [26], era estesa anche alla farmacopea per l'esigenza di salvaguardare l'assistenza sanitaria dai pericoli della somministrazione di rimedi medicamentosi contraffatti, spacciati nelle piazze dai ciarlatani o proposti empiricamente nelle drogherie. A tal fine fu predisposto il controllo periodico del protomedico sui prodotti in vendita nelle botteghe di spezieria patentate, obbligate all'affissione di un catalogo a stampa con i nomi dei medici riconosciuti dal Collegio dei Medici della Sapienza e con la proibizione di eseguire ricette non comprese nella lista. [27]

Questo importante provvedimento emanato nel corso della seconda metà del Seicento coinvolse anche i barbieri che per i loro interventi terapeutici potevano avvalersi di unguenti o altro venduti nelle spezierie non casualmente limitrofe [28], o che in qualche caso finirono essi stessi con l'essere detentori di una privativa di speziale aperta in un luogo diverso dello stesso rione della barbieria o in altro rione. Questo dato si ricava dalla comparazione dei nomi dei barbieri rintracciati e quelli degli speziali (già barbieri) tenuti alla contribuzione della cosiddetta tassa "del Milione" del 1708 imposta dal pontefice Clemente XI (1700-1721) per rimpinguare le casse dell'Erario. [29]

Nella tabella seguente si riportano i nomi degli esercenti delle due categorie professionali con le date e l'ubicazione delle botteghe.

 

Tabella 1

Ciacci Antonio

Barbiere in via della Vite, rione Colonna.

Il 16 novembre 1696 si accomoda presso di lui per tre anni il garzone Lorenzo Laurenzi di Santo Pellino, diocesi di L'Aquila (ASR, TNC, Uff. 9, vol. 526, cc. 296r/v, 299r). Il 17 giugno 1699 accoglie come garzone per tre anni Marco Antonio Riccardi di Olevano (Ibidem, vol. 536, cc. 824r/v, 841).

Speziale in Strada Fratina, rione Colonna, paga nel 1708 una tassa di scudi 330 (KOLEGA, Speziali, spagirici cit., p. 347).

De Romanis Giacomo, da Lucca

Barbiere di fronte S. Callisto (piazza di S. Maria in Trastevere), rione Trastevere.

Il 12 novembre 1700 acquista i beni della bottega di Francesco Cipriani, da Tolfa, per scudi 65 rateizzati in tre anni e assume l'inquilinato pagando le pigioni al monastero di Sant'Anna (ASR, TNC, Uff. 9, vol. 542, cc. 372-374v, 392r/v).

Speziale a Porta Settimiana, rione Trastevere, paga nel 1708 una tassa di scudi 920 (KOLEGA, Speziali, spagirici cit., p. 345).

Oddi Giovanni Battista, da Colle Vecchio

Barbiere dietro il monastero di S. Silvestro in Capite, rione Colonna.

Il 7 gennaio 1700 vende a Pietro Monti, da Todi, mobili, stigli, quadri (8 in tutto per un valore di 60 baiocchi), col posto e avviamento per il prezzo concordato di scudi 20 (ASR, TNC, Uff. 9, vol. 539, cc. 98-99v, 103r).

Speziale alla Madonna di Loreto, rione Monti, paga nel 1708 una tassa di scudi 1080 (KOLEGA, Speziali, spagirici cit., p. 345).

Barbieri Giovanni, detto La Fontana, da Torino

Barbiere in via dei Greci, rione Campo Marzio.

Il 30 luglio 1703 accetta come garzone per quattro anni, con decorrenza dal primo luglio, Giovanni Antonio Fasoli, da Arpino, nel Regno di Napoli (ASR, TNC, Uff. 9, vol. 553, cc. 186r/v, 195r/v). Può interessare sapere che il 28 dicembre 1703 la spezieria della Compagnia dei SS. Bartolomeo e Alessandro dei Bergamaschi fu data in gestione ad Antonio Giulianelli per tre anni (27 giugno 1702-26 giugno 1705) e l'inventario fu stilato da Giovanni Barbieri con una stima di scudi 2.214:70 (Ibidem, vol. 551, cc. 1-8v, 59-64v).

Speziale alla chiavica di S. Lucia (via dei Banchi Vecchi, presso S. Lucia del Gonfalone), rione Ponte, paga nel 1708 una tassa di scudi 2600 (KOLEGA, Speziali, spagirici p. 345).

 

 

La medicina galenica, alla base della preparazione formativa condivisa dai due gruppi corporativi [30], favoriva la compatibilità di mestiere incardinato in entrambi i casi sulla continuità familiare. [31] L'affinità professionale tra i due corpi trovava riscontro nella affinità degli Statuti [32] che tuttavia contribuirono a sviluppare non tanto atteggiamenti di solidarietà, quanto rivendicazioni di distinzione sociale. [33] Pertanto non sorprende la coincidenza di alcuni cognomi tra gli esponenti delle due attività commerciali legati, come è lecito supporre, da vincoli di sangue. Citiamo, a titolo esemplificativo, il cognome Angelini pertinente agli speziali Paolo e Bartolomeo, documentati nel 1675 e nel 1704 [34], a cui corrisponde quello dei barbieri Clemente, negli anni 1697-1698 nel rione Colonna [35], e Angelo Maria Angelini, nel 1703 in piazza S. Marco (rione Pigna). [36] Invece il cognome Cecchini richiama innanzi tutto quello di Prospero Cecchini, il valente fisico e chirurgo pontificio attivo alla fine del Cinquecento [37], da cui potrebbero discendere Bartolomeo Cecchini, barbiere a Campo Marzio tra il 1697 e il 1702 [38], e lo speziale Domenico Cecchini al Mascherone di Farnese nel 1708. [39] Ma sicuramente è nipote di Giuseppe Meli, barbiere calabrese in piazza Nicosia (rione Campo Marzio) dal 1696 al 1698 [40], lo speziale Giuseppe Meli che nel 1781 rilevava la privativa dal padre Filippo. [41]

Il passaggio dall'una all'altra professione verificatosi all'inizio del Settecento potrebbe essere stato determinato dalla prospettiva di più redditizi guadagni (a quanto sembra appannaggio di buona parte degli speziali [42]), favoriti dal flusso immigratorio di persone anche dai paesi esteri con conseguente incremento della popolazione. L'accelerazione dello sviluppo demografico di Roma, seguita alla fase di stallo causata dalle carestie e dalla peste del 1656, toccò il suo apice nel 1699 con la presenza di 135.000 unità destinate a crescere nei primi anni del nuovo secolo. [43] L'impennata coincise ovviamente con la scadenza dell'anno giubilare nel 1700 che attrasse pellegrini e artigiani determinando il moltiplicarsi di tutte le attività professionali.

La lista degli aderenti all'Università dei barbieri, redatta in occasione dell'adunanza generale del 27 agosto 1699, contava 159 presenze [44] distribuite in modo articolato secondo una diversificazione proporzionale alle aree più popolate e ai ceti medio-alti della cittadinanza.

Dallo spoglio sistematico delle botteghe romane registrate tra il 1695 e il 1704 [45], emerge che il numero maggiore era situato nei rioni Ponte (20), Campo Marzio (17), Colonna (15), Parione (14), S. Eustachio (14), seguite a piccola distanza da Trevi (12), Monti (10), Pigna (8), Borgo (7), Trastevere (6), Regola (6), S. Angelo (5), Campitelli (4), Ripa (1).

Nella tabella che segue si indicano le ubicazioni per rione come indicate nei documenti, il numero dei barbieri (possessori di bottega, soci, affittuari, subaffittuari, lavoranti) e dei garzoni apprendisti che si sono avvicendati nell'arco del detto decennio.

 

Tabella 2

Rione I Monti.

Barbieri 31: possessori 23, soci 2, affittuari 3, subaffittuari 3; garzoni 7.

Movimento complessivo di 38 persone.

Botteghe 10: via delle Carrette (presso SS. Sergio e Bacco); di fronte S. Agata dei Goti; salita di Marforio a Macel de' Corvi (presso S. Lorenzo ai Monti); piazza della Suburra; via Urbana; accanto S. Maria della Purificazione (presso S. Pietro in VIncoli); alle radici della salita di S. Maria Maggiore; piazza della Colonna Traiana; angolo di S. Eufemia (presso la Colonna Traiana); piazza S. Maria di Loreto.

Rione II Trevi.

Barbieri 36: possessori 30, soci 2, affittuari 3, lavoranti 1; garzoni 11.

Movimento complessivo di 45 persone.

Botteghe 11: vicino S. Carlo ai Catinari sotto palazzo Grassi (via delle Tre Cannelle); sotto palazzo del cardinale Spinola (palazzo Colonna alla Pilota); SS. Apostoli, sotto il convento, dietro la chiesa; piazza dei SS. Apostoli; scesa di Montecavallo verso la Dataria; oltre S. Maria in Via (angolo via dei Crociferi); via degli Acquedotti; verso S. Maria in Via sotto palazzo di Astolfo Galloppi (Quattro Fontane); piazza Barberini; S. Nicola in Arcione, presso Capo le Case; a Capo le Case, di fronte via Rasella, accanto al portone di palazzo Barberini (tratto di via Felice); in cima a via Rasella.

Rione III Colonna

Barbieri 54: possessori 39, soci 4, affittuari 5, lavoranti 6; garzoni 20.

Movimento complessivo di 74 persone.

Botteghe 15: piazza di Pietra; Guglia di S. Macuto, di fronte palazzo Serlupi; vicino palazzo di Montecitorio; dietro monastero di S. Maria in Campo Marzio, sotto palazzo del cardinale Marescotti; vicino piazza Colonna; piazza di S. Lorenzo in Lucina; strada Fratina; 2 in via della Vite, di cui una dietro monastero di S. Silvestro in Capite; 3 in via del Corso: di fronte palazzo Ottoboni, vicino monastero delle Convertite, angolo dopo monastero delle Convertite; strada Paolina; accanto la Madonna di Costantinopoli (oggi via del Tritone); Capo le Case.

Rione IV Campo Marzio

Barbieri 68: possessori 48, soci 7, affittuari 10, subaffittuari 2, lavoranti 1; garzoni 7.

Movimento complessivo di 77 persone.

Botteghe 18: Ripetta, accanto al conservatorio delle Fanciulle della Divina Provvidenza; accanto palazzo Capponi, verso piazza del Popolo (strada di Ripetta); Fontanella Borghese; piazza Nicosia, di fronte il collegio Clementino; S. Lucia della Tinta, vicino piazza Nicosia; piazza di Firenze, di fronte palazzo di Firenze; sotto palazzo Casali (tratto da Campo Marzio alla Scrofa); 3 in via del Corso: sotto S. Giacomo degli Incurabili all'angolo di via Laurina, dopo S. Carlo sotto casa di Lamberto Gottifredi passata la taverna dei 3 Gigli, di fronte palazzo Caetani (poi Ruspoli); 2 in via Condotti; via della Croce, verso S. Carlo al Corso; agli Otto Cantoni; via dei Greci; 2 a piazza di Spagna.

Rione V Ponte

Barbieri 53: possessori 43, soci 3, affittuari 5, lavoranti 2; garzoni 22.

Movimento complessivo di 75 persone.

Botteghe 20: Tor di Nona; 2 in via dell'Anima: sotto il palazzo di S. Maria dell'Anima, e verso Pasquino; 2 in piazza S. Apollinare; 2 in via dell'Orso, di cui una sotto palazzo Pallavicini; via di Panico; via dell'Arco di Parma (vicino S. Maria in Posterula); via dei Banchi Vecchi, di fronte S. Lucia del Gonfalone; piazza Fiammetta; piazza dell'Avila; 5 in via dei Coronari: angolo vicolo della Pace, verso Tor Sanguigna, all'Immagine di Ponte e altre due; Monte Giordano; 2 in via Giulia: accanto S. Maria dell'Orazione e Morte, sotto il collegio Ghislieri.

Rione VI Parione

Barbieri 68: possessori 52, soci 4, affittuari 11, lavoranti 1; garzoni 13.

Movimento complessivo di 81 persone.

Botteghe 14: piazza di Tor Sanguigna; di fronte Tor Mellina (angolo via della Pace); piazza Navona; dietro palazzo Pamphilj (tratto fra piazza Pasquino e S. Maria dell'Anima); S. Pantaleo; via di Parione; via del Pellegrino; piazza di S. Lorenzo in Damaso, sotto palazzo Galli; vicolo del Corallo; piazza del Fico (dietro S. Biagio della Fossa); piazza del Paradiso; piazza de' Pollaroli; piazza di S. Maria di Grottapinta; piazza dei Cimatori.

Rione VII Regola

Barbieri 21: possessori 14, soci 1, affittuari 3, lavoranti 3: garzoni 5.

Movimento complessivo di 26 persone.

Botteghe 6: piazza del Monte di Pietà; piazza Farnese, angolo via di Monserrato; via di Monserrato; piazza Spada; piazza della SS.ma Trinità dei Pellegrini; piazza di Ponte Sisto.

Rione VIII S. Eustachio

Barbieri 50: possessori 39, soci 4, affittuari 4, subaffittuari 2, lavoranti 1; garzoni 15.

Movimento complessivo di 65 persone.

Botteghe 14: strada de' Catinari; vicino piazza di S. Carlo ai Catinari; accanto l'Università dei barbieri (oggi via dei Barbieri); alla portineria di S. Andrea della Valle, sotto il SS.mo Sudario (dei Savoiardi); accanto S. Andrea della Valle; Arco della Ciambella, di fronte la chiesa dei SS. Benedetto e Scolastica dei Norcini; via dei Cesarini; piazza Rondanini, angolo chiesa della Maddalena; accanto il palazzo della Sapienza (via dell'Università, oggi corso Rinascimento); piazza Madama, vicino palazzo Carpegna, verso la Dogana vecchia; sotto palazzo del duca Lante; di fronte palazzo Giustiniani; di fronte la porticella di S. Agostino; piazza della Scrofa.

Rione IX Pigna

Barbieri 26: possessori 22, soci 2, lavoranti 2; garzoni 4.

Movimento complessivo di 30 persone.

Botteghe 8: piazza del Gesù, sotto palazzo Celsi accanto palazzo Petroni; vicino le Stimmate, di fronte palazzo Strozzi (oggi Besso); via del Pie' di Marmo; piazza di S. Chiara; piazza della Minerva; vicino S. Ignazio; via del Corso, di fronte palazzo D'Aste; piazza S. Marco.

Rione X Campitelli

Barbieri 12: possessori 9, soci 1, affittuari 2; garzoni 1.

Movimento complessivo di 13 persone.

Botteghe 4: piazza Margana; piazza Montanara; vicolo della Pedacchia; salita di S. Maria in Aracoeli.

Rione XI S. Angelo

Barbieri 22: possessori 15, affittuari 7; garzoni 1.

Movimento complessivo di 23 persone.

Botteghe 5: piazza Giudea (sotto palazzo Costaguti); alla Catena di Pescheria; di fronte S. Caterina dei Funari; piazza Mattei, via dell'Olmo.

Rione XII Ripa

Barbieri 3: possessori 2, affittuari 1.

Movimento complessivo di 3 persone.

Botteghe 1: al passo di Ripa Grande.

Rione XIII Trastevere

Barbieri 30: possessori 26, soci 2, affittuari 2: garzoni 1.

Movimento complessivo di 32 persone.

Botteghe 6: vicolo del Moro; piazza Romana; ai vascellari di Ripa (accanto S. Francesco a Ripa); di fronte S. Callisto (piazza di S. Maria in Trastevere), S. Maria della Scala; Porta Settignana (Settimiana).

Rione XIV Borgo

Barbieri 25: possessori 16, soci 4, affittuari 5.

Movimento complessivo di 25 persone.

Botteghe 7: 2 a Borgo Nuovo di fronte S. Maria in Traspontina; Borgo Pio, accanto il cortile detto del Catalone; vicolo delle Colonnate di S. Pietro; 2 a Borgo Vecchio: accanto palazzo Acquasparta, e all'inizio di Borgo Vecchio; piazza di Ponte S. Angelo.

 

Su 139 botteghe censite si registra un movimento complessivo di 499 barbieri (di cui 378 possessori di bottega, 37 soci, 60 affittuari, 7 subaffittuari, 17 lavoranti) e di 109 garzoni. A questo computo vanno aggiunti 7 barbieri e 4 apprendisti per i quali non è stato possibile rintracciare la localizzazione della bottega, e altri 17 lavoranti citati nei contratti già come giovani di bottega.

I dati che si ricavano dal censimento consentono di fare un bilancio sulla funzione socio-culturale di questa categoria di professionisti.

Nessun barbiere è proprietario di bottega [46], ma ne usufruisce il possesso avendone acquisito, tramite contratto scritto, il diritto di inquilinato. Molte botteghe mantengono l'ubicazione già registrata alla fine del Cinquecento; al radicamento nel territorio si contrappone la movimentazione interna dovuta agli affitti e subaffitti, alle società, all'assunzione di lavoranti e garzoni, con un infittirsi di frequenza in prossimità dell'Anno Santo. Il ricambio generazionale, prevalente all'inizio del XVIII secolo, interessa maggiormente alcune botteghe nei rioni Ponte, Campo Marzio, Colonna, Parione, dove si verifica il più alto numero di vendite in blocco delle masserizie e conseguente cessione del locale; qui stesso, di contro, si registra una sorprendente stabilità di gestione nelle botteghe poste accanto alle residenze nobiliari o alle sedi di ambasciate. I rioni dove in assoluto è massima la stanzialità sono Regola, Trevi, Monti.

Una evoluzione a sé stante riguarda le richieste di "accomodatio", distribuite in tutti i rioni con percentuali di afflusso corrispondenti al numero delle botteghe. Eccetto rari casi, del tutto esterna all'Urbe è la provenienza dei richiedenti, quasi sempre allocati dai parenti prossimi con procedure contrattuali affini a quelli di altre professionalità [47]: all'offerta di vitto, alloggio e insegnamento del mestiere corrisponde il pagamento di una quota variabile (spesso rapportata al valore commerciale della bottega), in genere rateizzata nell'arco del periodo stabilito mai inferiore ad un anno. In caso di interruzione prematura senza giusta causa, il garzone ha l'obbligo di ricompensare gli alimenti con 2 o 3 scudi mensili, ma ottiene la restituzione della somma versata se la responsabilità è del barbiere; si contemplano altre modalità differenziate a discrezione dell'esercente.

Poco diversa è la situazione dei giovani lavoranti i quali, pur godendo di vitto e alloggio, ricevono un salario di piccola entità, ma ugualmente sono sottoposti a un risarcimento economico per abbandono anticipato della postazione. [48]

La composizione anagrafica dei barbieri è assai mista: accanto ai romani, a quelli provenienti dai dintorni della città o da tutto il territorio italiano, si affiancano gli stranieri, con una discreta percentuale di francesi a cui fanno da corollario quelli originari dalla Corsica, i tedeschi, gli spagnoli, gli elvetici; l'identità tra connazionali e corregionali favorisce il ricambio nel possesso della bottega oppure la stabilità nei rapporti societari. [49] Altre alleanze derivano dai matrimoni tra le figlie dei barbieri e altri esponenti della categoria. [50] Spesso le donne, notoriamente interdette da qualunque mestiere sanitario escluso quello di mammana (levatrice) ottenuto dietro rilascio della patente [51], assumono un ruolo determinante nella continuità gestionale delle botteghe, in specie se vedove di barbieri; infatti la mancanza di eredi, ma soprattutto l'indisponibilità all'esercizio della bottega da parte dei figli ancora minorenni, costringe la donna a vendere o affittare la stigliatura e l'avviamento commerciale al migliore offerente onde conseguire una doppia finalità: sollevarsi dallo stato di indigenza per i mancati introiti così da provvedere al mantenimento della prole di cui è tutrice e curatrice; recuperare il capitale spettante ai suoi diritti dotali, quasi sempre investito dal marito (se non dal futuro sposo) per aprire la bottega e acquisire indipendenza economica, secondo una prassi estesa a tutte le attività commerciali. [52]

Al fine di stabilire il valore della bottega, se ne fa la stima da allegare ai contratti. Due periti barbieri, uno per parte (eventualmente un terzo in caso di contenzioso), vengono nominati per stilare l'inventario dell'arredo interno e occasionalmente esterno (l'insegna, la mostra per parrucche e la panca a lato della porta di accesso). La compilazione dell'elenco non sempre è dettagliata e la quantità degli oggetti, come la qualità, varia secondo il livello della bottega; in quelle di elevato tenore si rispetta questa sequenza: la mobilia e gli specchi, gli arnesi da lavoro, i quadri, uno o due tavoli per giocare a dama e a dadi, gli strumenti musicali (rari), due o cinque gabbie con uccelli, i libri di chirurgia (rarissimi).

Dal paragone con gli inventari di fine Cinquecento [53] emerge l'invariabilità di un modello tipologico di arredo, rispetto al quale le modifiche sono addebitabili al mutamento di gusto che investe i fenomeni culturali: ai corami stampati in oro o argento alle pareti, ancora in voga nella prima metà del Seicento e mantenuti nelle botteghe non rimodernate [54], si preferiscono fregi perimetrali su tela con rabeschi su fondo turchino a ridosso del soffitto, talvolta decorato con rosoni turchini o con una tela riportata dipinta [55]; il compiacimento ai moduli del barocco si manifesta nell'inserimento di una mostra di «fontana di stucco in prospettiva per ornamento di bottega», unico addobbo di un vecchio locale ancora rivestito di corame e del tutto privo di quadri [56], o di una fontana usata come balaustra [57]; oppure della variante, una mostra di fontana con conchiglia, albero e tartari incastonata al muro con colonne e fogliami in trompe-l'oeil [58]; od ancora le antiporte dipinte con cherubini e fiori che si accompagnano ai cherubini indorati sotto lo specchio. [59] Si mantiene l'uso diffusissimo della chitarra, ma ora il cembalo [60] sostituisce la tiorba, il violino o il liuto, spesso raffigurato nelle vignette di metà Seicento, come nell'acquaforte di tono popolaresco del pittore di Anversa Jean Baptiste de Wael II (1632-post 1669). [61]

Gli strumenti musicali, unitamente alle gabbie per i canarini, all'attrezzatura da gioco, e ai quadri, rispecchiano una filosofia del vivere improntata sul valore terapeutico e consolatorio della distrazione dal dolore o dai tempi di attesa. Per il paziente-cliente la bottega del barbiere, oltre che presidio sanitario, diventava luogo di incontro, spazio ricreativo socializzante in cui la realtà si mascherava in positivo e allontanava la mente «dalla angustia dei tempi»: una nota amara sulla percezione dell'esistenza registrata persino nei contratti di vendita. [62] La panca esterna a lato della porta di ingresso e all'interno un certo numero di sedie di appoggio finalizzate all'attività, rendevano questa bottega diversa dalle altre; vi si poteva sostare anche senza necessità di usufruire dei servizi sanitari per conversare con gli altri avventori, o assistere agli interventi dei parenti e amici come mostrano alcune raffigurazioni dell'epoca, passare il tempo giocando a dama o a dadi, ascoltare la musica e arricchire la propria sensibilità culturale anche attraverso l'osservazione dei dipinti. Non diversamente dai moderni circoli sociali, la bottega poteva fungere da luogo di intrattenimento per una clientela variegata e trasversale, aperta ad ambo i sessi che avevano modo di confrontarsi alla pari senza distinzione di ceto.

A questa tradizione inalterata rispondono ancora oggi le barbierie di quartiere e soprattutto quelle dei piccoli centri periferici dove gli uomini si accomodano per leggere il giornale, commentano i fatti del giorno, scambiano opinioni, assecondando una esigenza spicciola di aggregazione sociale. Le botteghe dell'epoca, stando all'arredo descritto, offrivano viceversa un più elevato servizio di interesse socio-culturale veicolato dalle opere d'arte la cui funzione si presta a interessanti riflessioni.

 

L'arte come terapia del dolore e gratificazione edonistica

La rilevante presenza di quadri nelle botteghe evidenzia lo stretto rapporto dei barbieri col mercato dell'arte, comune con altre categorie professionali. Questo aspetto è stato già messo in luce dagli studi sulla pittura a Roma nel primo Seicento, da cui emerge come i barbieri fossero collezionisti di dipinti e occasionalmente intermediari nelle compravendite; gli acquisti crescenti nei decenni successivi, che si riflettono nella aumentata presenza di quadri nelle botteghe, hanno lasciato supporre una tendenza generalizzata dei barbieri al commercio d'arte [63], incoraggiata dal fatto che nel 1633, a seguito di un Breve di papa Urbano VIII a favore dell'Accademia di San Luca, depositaria di tutte le arti del disegno, anche i barbieri furono inseriti nella lista di tutti coloro che praticando commercio artistico dovevano pagare una tassa annuale di 10 scudi alla suddetta istituzione. [64] Per spiegare il fenomeno dello smercio nelle botteghe è stata avanzata l'ipotesi che, in cambio dei servizi ricevuti, i pittori pagassero i barbieri con una campionatura dei propri quadri da vendere poi senza difficoltà alla loro clientela [65]; l'ipotesi è plausibile, ma va dimostrata. Viceversa le sporadiche testimonianze indicano che i barbieri commissionavano le opere direttamente agli artisti, né possediamo una documentazione che accerti la pratica della compravendita perdurante nel corso del secolo; né l'indubbio rapporto col mercato delle opere figurative si identifica forzatamente col fenomeno della commercializzazione che sembrerebbe smentito, come diremo più avanti, dalla documentazione rintracciata di fine Seicento. Rigattieri, coronari, venditori di quadri specializzati erano numerosi a Roma nella seconda metà del Seicento [66] e costituivano il punto di riferimento obbligato della clientela comune che si rivolgeva agli uni o agli altri secondo le possibilità o le esigenze. I barbieri facevano parte di questa clientela.

Il tema sollecita alcune considerazioni.

Il collezionismo di media portata, diversificato nei livelli qualitativi e quantitativi, era diffuso tra le classi sociali accomunate dalla condivisione della varietà iconografica; e da questa tipologia non si discostano i barbieri. Tuttavia sarebbe semplicistico e riduttivo ritenere che il fenomeno trovi risposta nel gusto collettivo dell'epoca a cui i singoli indirizzavano le proprie scelte per assecondare il grado culturale o le esigenze di rappresentazione sociale; una vasta campionatura tematica era di sicuro rappresentativa dell'aggiornamento sulle tendenze artistiche, ma quanti esponenti della categoria, spesso operatori manuali scarsamente alfabetizzati di un'arte meccanica appresa mnemonicamente, avevano interesse ad appagare o a compiacere le proprie esigenze estetiche? È opportuno chiedersi quale fosse la natura del collezionismo dei barbieri e se i soggetti da esporre nelle botteghe fossero selezionati o guidati da motivazioni che, andando oltre la mera, quanto scontata, funzione decorativa, fungevano da filtro di contenuti con i quali la mista clientela si poteva legittimare nella cultura scientifico-religiosa dell'epoca e in essa identificava la propria dimensione esistenziale.

Reputiamo che ai quadri grandi e piccoli ammassati sulle pareti vada attribuito un significativo valore aggiunto all'offerta terapeutica.

Il numero variava dai 15 ai 40 o, eccezionalmente, fino ai 70 dipinti secondo la grandezza e l'ubicazione della bottega o le disponibilità finanziarie del barbiere; nelle botteghe più prestigiose, oltre ai quadri seriali, tipici quelli devozionali e di genere del valore di uno scudo - se non di pochi baiocchi -, figuravano opere di buona mano indicate talvolta col nome dell'autore, che però mai superavano una stima di 12 scudi. [67] La varietà del materiale è dichiarata dai soggetti: ai tradizionali temi sacri di carattere votivo e ai ritratti invalsi nel XVI secolo, o a quelli mitologici già timidamente presenti a metà Seicento, si associano i temi biblici e in quantità massiccia quelli di genere, dalle bambocciate alle pulcinellate, dai fiori, ai frutti, agli animali, ai pesci, agli uccelli, cui fanno da corollario le vedute, i paesaggi, le marine. Un mondo variegato esaltante la natura, sinonimo di vita, la cui ciclicità è espressa dalle Quattro Stagioni, tema ricorrente sin dalla fine del Cinquecento [68], ma in cui ora si riflettono dispiegate le conoscenze dovute al fervore di studi che hanno accompagnato i risultati della ricerca scientifica promossa dall'Accademia dei Lincei, determinante nel Seicento per la nascita della medicina moderna.

Se questa varietà iconografica si riscontra tra i quadri inventariati nelle abitazioni dei privati, i quali ritrovavano le tematiche preferite nel linguaggio figurato presso le botteghe dei barbieri, è pur vero che in quelle botteghe gli stessi messaggi di fede e di cultura erano offerti allo stupore della clientela bassa; anche la multiforme clientela degli umili poteva fare propria la tradizionale dottrina delle immagini trovando eco al proprio edonismo o ai propri malanni nella figuratività visiva, attraverso cui passavano più profondi messaggi sulla vita e sulla morte, o sulla speranza di salvezza con la mediazione dell'intervento divino, in piena adesione al principio aristotelico del delectando docere adottato dalla Chiesa come strumento di persuasione affidato alle immagini che fungono da predica muta. L'arte è propaganda fidei. Il tema della Divina Provvidenza, enunciato negli affreschi dei palazzi nobiliari seicenteschi (Pietro da Cortona a palazzo Barberini) o della Divina Clemenza (Carlo Maratti a palazzo Altieri) esplicita uno dei temi dominanti del secolo: Essa è la sola arbitra del destino umano, della vita e della morte, della malattia e della sanità. Non casualmente i luoghi pii ospedalieri erano le sedi di formazione dei cerusici-barbieri per l'abilitazione al trattamento delle malattie "esterne" e l'assistenza ospedaliera era divenuta una fondamentale emergenza nell'ambito delle prospettive sanitarie della riforma cattolica, che se ne assunse il carico con l'ausilio di gruppi autonomi di laici devoti e delle congregazioni dei chierici regolari, particolarmente disponibili nei confronti di miseri e malati [69], forti della convinzione che la miseria è madre delle malattie. Proprio i solleciti mezzi offerti da queste strutture sociali provvedevano a dare sollievo ai protagonisti del binomio malattia-povertà, «due devianze sociali accorpate che l'ideologia controriformista sublima a sventura». [70] A ragion veduta, tra le attività caritative, la visita agli infermi (professata anche dai barbieri) era una delle opere di misericordia meritevole di indulgenza plenaria ottenuta col rito detto del "perdono grande", di solito celebrato il lunedì di Pasqua; esso è raffigurato nel dipinto di Cornelis de Wael (1592-1667) con La visita agli infermi compiuta dai fedeli nell'ospedale genovese di Pammatone (Genova, Galleria di Palazzo Bianco) [71], sulle cui pareti al di sopra dei letti sono esposti due quadri emblematici del riscatto spirituale del cristiano dal patimento, un Ecce Homo e una Sacra Famiglia.

Altrettanto nelle botteghe dei barbieri il riferimento alla forza salvifica della fede si traeva dai soggetti sacri, in primis dall'effigie della Madonna misericordiosa: protettrice dei barbieri, è una presenza obbligata; il dipinto che la raffigura da sola è spesso illuminato da una lampada votiva, ma è riproposto in più versioni, nella Sacra Famiglia, con Gesù Bambino in braccio o in compagnia di altri santi.

Rara invece è l'iconografia dei due santi medici protettori, Cosma e Damiano [72], ai quali si preferiscono altri taumaturghi, come la triade dei santi invocati contro la peste: San Sebastiano (il cui costato trafitto da frecce è una palese allusione alle ferite da arma da taglio), San Rocco, San Carlo Borromeo, che si propongono come soccorritori nella assistenza agli ammalati. [73] L'Ecce Homo introduce il tema della vittima predestinata alla sofferenza fisica e al martirio, manifestata nei quadretti con la Passione di Cristo; la morte come epilogo della vita è di nuovo esplicitata nel Martirio di san Pietro, nella Crocifissione di sant'Andrea, nel Martirio di s. Caterina d'Alessandria (della Rota), nel Giudizio di Salomone propedeutico alla Strage degli Innocenti, con cui si illustra il gravoso problema della mortalità infantile, accresciutosi dal 1702 per la diffusione del vaiolo, altro flagello divino sostituitosi alla peste, considerato «materia peccante» costituzionale, connaturata al corpo fin dal peccato originale. [74] Al Bambino dormiente, diffuso in Europa dalla tradizione classica, utilizzato da Caravaggio nel Cupido dormiente (Firenze, Palazzo Pitti) e rielaborato nella statuaria seicentesca dal fiammingo Francesco Duquesnoy (1594-1643), è affidata la raffigurazione del memento mori. L'iconografia de La carità di san Tommaso da Villanova apre al tema del pauperismo, a sua volta connesso alla denutrizione, alla malformazione fisica per malattie non curate, espresse da una umanità di rachitici, storpi, zoppi, che rammentano il dramma delle amputazioni chirurgiche degli arti incancreniti e rimandano alle pratiche mediche svolte dai barbieri.

Questi e altri santi elemosinari e caritatevoli, intercessori e guaritori, antichi e moderni, come San Francesco e San Filippo Neri, o dotati di castità, obbedienza e povertà come San Giuseppe invocato dagli agonizzanti per il suo trapasso sereno alla vita eterna, oppure interpreti del trionfo del bene sulle forze del male, come San Michele Arcangelo, vittorioso su Satana ma anche 'interventista' contro la peste, veicolano esempi di virtù cristiana ai malati che possono anche riconoscersi nelle situazioni patite dai santi, come in Sant'Apollonia a cui tolsero tutti i denti con una tenaglia, o subite dai personaggi biblici, come nella storia di Sansone e Dalila focalizzata sul taglio dei capelli.

E così via, attraverso la singolare concatenazione di sacro e profano si snodano soggetti naturalistici e mitologici in una sorta di apparente contradditorio concettuale attraverso cui transitano in armoniosa sintesi le antitetiche interpretazioni: al male e alla sofferenza si oppongono i piaceri della vita, la bellezza della natura, le favole antiche che rinfrancano l'uomo dalla negatività dell'esistenza. La Caccia di Diana, Venere e Cupido raffigurano lo svago e l'incanto d'amore, Susanna al bagno esalta la morbida avvenenza di un corpo femminile come pure la castità della donna virtuosa, Narciso che si specchia alla fonte restituisce l'immagine della propria vanità, quanto mai appropriata alla clientela di un parrucchiere; Le fatiche di Ercole, che rappresentano lo sforzo fisico di un corpo sano e vincente sulle forze avverse, sono un viatico psicologico per il malato che ripone fiducia nella forza dell'organismo umano; il Vecchio che mangia fagioli, gli Scherzi di putti o i Buffoni rimandano alla quotidianità spicciola della vita, dalla sussistenza alla spensieratezza.

Merita osservare come la tipologia di soggetti di genere tenda a prevalere su quelli sacri nelle botteghe frequentate da una clientela meno pronta a riflettere su tematiche impegnative e più disponibile a recepire l'essenza decorativa e descrittiva dell'opera d'arte, altamente didascalica.

Ne sono esempio le barbierie aperte nel rissoso rione di Trastevere. La quindicina di quadri nella bottega in piazza Romana venduta da Antonio Gazzoli a Pietro Antonio Bonfanti il 6 aprile 1700 è rappresentata da un'unica effigie devozionale con la Madonna, da nature morte, paesaggini e da «due pulcinellate senza cornice» (genere praticato in quegli anni dal pittore Pier Leone Ghezzi); temi scherzosi e rasserenanti quanto quelli naturalistici, appropriati a quietare lo spirito focoso e burlone di un pubblico di avventori idoneo ad apprezzare l'unico dipinto storico con Lucrezia Romana, la matrona popolarmente nota come donna virtuosa che si tolse la vita per sottrarsi al disonore dello stupro subito dal figlio di Tarquinio il Superbo. [75] Proprio da questa leggenda il popolino trasse il significato ironico attribuito alle donne atteggiantesi alla casta Lucrezia per camuffare la propria dubbia morale.

Un solo quadro con la Madonna è anche nella bottega in vicolo del Moro, venduta nel 1700 dalla vedova di Angelo Santacroce perché «è scarsa di posto e frutta poco (…) per la scarsezza dei tempi» [76]; è arredata con oltre trenta dipinti di mediocrità seriale in cui spicca soprattutto la pittura di genere, come «Un quadro con un Pantalone con cornice rossa rabescata alta p.mi 2 e mezzo» del valore di 1 scudo, raffigurante un personaggio tipico della commedia dell'arte che tanto successo riscuoteva negli spettacoli teatrali mortificati dal rigorismo di Innocenzo XII Pignatelli (1691-1700); il divertimento suscitato dall'immagine fa da contraccettivo alla raffigurazione allegorica della senilità, nei cui confronti la medicina è impotente, rappresentata da due tele con Vecchi (valutati entrambi scudi 2:50). Viceversa nella scena con un Baccanale o nel quadro con una Venere (scudi 4 ciascuno) si può cogliere l'ebbrezza spensierata di momenti festosi e gaudenti o la bellezza erotica dell'universo femminile: tematiche di immediata comprensione, ma nelle quali è sotteso un messaggio sui pericoli determinati dagli eccessi di una vita sregolata [77]; ubriachezza e sifilide (malattia venerea) erano assai diffuse tra gli strati più bassi della popolazione maschile e in quello scontro perenne tra ragione e religione, proprio dell'ideologia controriformista, l'abuso di vino unitamente all'attività sessuale, erano visti come cause di corruzione ed equivalenti al male-peccato. Ma a un tempo, nell'ambiente romano clericale e aristocratico, che costituiva la clientela nobile dei barbieri, la Venere nuda simboleggia la Bellezza del mondo classico identificabile con la Verità del mondo cristiano.

Dal momento che a questo mondo tutti sono peccatori, alla negatività del comportamento umano la Chiesa suggerisce il rimedio sia attraverso la preghiera ristoratrice che induce al pentimento (nelle botteghe abbondano le raffigurazioni di santi in preghiera o che si mortificano nel deserto, come san Girolamo), sia tramite la punizione corporale di quella particolare «dieta per l'espiazione dei peccati e la mortificazione della concupiscenza, che è costituita dai giorni di magro e dai digiuni quaresimali della terapeutica e liturgia cattolica». [78]

Sulla falsariga delle botteghe trasteverine è anche l'altra posta ai Vascellari di Ripa Grande, tenuta da Agostino Lotti; a causa della morte, la vedova con due figli minorenni a carico è costretta a venderla nel 1697 a Domenico Tognazzi, uno dei tanti barbieri provenienti dalla Corsica, a cui cede per 75 scudi l'attrezzatura, la biancheria («10 sciugatori e 4 rocchetti da barba») e un numero rilevante di quadri decorativi con soggetti di genere (boscarecce, fiori, frutti, «prospettive» (vedute), pesci, un cane, una Figura di vecchio e un'altra di una Vecchia che fila), tre soggetti sacri (Madonna, S. Giovanni Battista, Sant'Antonio) e altri 22 pezzi di quadri piccoli, tutti ordinari. La qualità della raccolta non differisce dalla ben più nutrita collezione di quadri nella vicina casa di proprietà del barbiere accanto la chiesa di S. Francesco a Ripa, sviluppata su due piani con cantina e giardino; qui però figurano numerosi dipinti di soggetto religioso, molti devozionali, come la «sopraporta con Angelo Custode» o la «S.ta Sindone» e «un altro quadro di due palmi e mezzo in seta rapp.ti li Miracoli della Mad.na di Loreto con suo ritratto», ma anche un acquisto recente, un «S. Giovanni di Dio con diverse figure», forse replica di bottega da Lazzaro Baldi, autore dei quadri per la canonizzazione del santo nel 1690. Tra i quadri di genere, insieme a grandi paesaggi, marine, battaglie, uccelli, spiccano le bambocciate di tono popolare («donna che balla», «putto con gatto»), ma è interessante la presenza di quattro piccoli disegni su carta, probabili omaggi, e di tre conclusioni, certamente donate dai clienti neolaureati, indicativi delle sue relazioni sociali confermate dai ritratti del cardinale Chigi, del duca di Bracciano, di due dame francesi, che con un ritratto dello stesso Lotti e uno della moglie profilano il gusto e le consuetudini di un esponente della media borghesia romana il quale, nonostante l'apparente benessere economico, è in debito di 20 scudi per la pigione non pagata della bottega e di altri denari per gli interessi decorsi, forse su qualche censo. [79] Nonostante l'uniformità dei soggetti, i quadri tenuti in bottega sembrano selezionati ad arte per gratificare una clientela senza pretese avvezza a soddisfare l'occhio più che la mente pronta a recepire temi figurati di immediata comprensione.

 

Il collezionismo come forma di investimento

Dall'analisi della documentazione archivistica del periodo qui preso in esame emerge nitidamente come il commercio dei quadri non rientrasse nelle finalità dei barbieri e come la loro bottega non fosse un luogo preposto al commercio. Piuttosto, traspare con chiarezza come il rapporto di questa categoria corporativa col mercato dell'arte trovi specifica giustificazione nello stretto ambito degli interessi professionali; al raggiungimento di questo fine era connesso l'arredo, mirato a compiacere le esigenze delle diversificate fasce sociali della clientela, soddisfatta dalla quantità e valenza dei temi iconografici più che dalla qualità delle opere che, infatti, in buona percentuale erano seriali e spesso indicati anche come «vecchi» o «usati» nella accezione di deteriorati. [80] Non casualmente due barbieri in società si accordavano nel fare un elenco dei pezzi da aggiungere eventualmente all'arredo «per adornare la bottega», e da ritirare a fine rapporto dal socio acquisito per essere adattati altrove. [81]

La normativa contrattuale di affitti e subaffitti vincolava alla restituzione di quanto dato alla consegna, come da inventario allegato, e al pagamento dei danni in caso di mobili o biancheria danneggiata [82]; mai si parla di quadri mancanti, semmai spesso - al riscontro - si trovano indicazioni di opere aggiunte [83]. Se nel passaggio dall'uno all'altro esercente l'inventario non risultava conforme a quello della vendita precedente per la presenza di arredo aggiuntivo, la bottega era sottoposta a nuova stima per accrescerne il valore già dato in precedenza [84]. Viceversa, quando la corrispondenza era identica, si ripeteva l'inventario o si faceva riferimento a quello stilato in occasione della vendita o affitto precedente, anche se fatta a distanza di alcuni anni [85]; quando però gli stessi oggetti subivano una qualche svalutazione, si procedeva all'elenco nominale con la nuova stima segnata a lato. [86]

Se ne desume che i dipinti d'arredo, a cui era attribuito uno specifico valore commerciale, erano considerati un bene inscindibile dalla bottega e con essa formavano un lotto unico. Nei contratti, infatti, è sempre specificato che la vendita comprende stigli, mobili e quadri e nel caso in cui il pagamento è molto dilazionato nel tempo, il venditore si riserva di consegnare parte dell'arredo solo al momento del saldo. [87] In quanto beni materiali, la cui quantità e qualità costituiva un valore aggiunto, laddove i dipinti figuravano in alta percentuale i periti distinguevano la valutazione di arnesi e mobilia da quella dei quadri, il cui totale incideva in misura notevole sul prezzo di vendita. [88] Inoltre, nel caso di insolvenza del pagamento da parte dell'acquirente, al venditore veniva riconsegnato un numero di quadri e oggetti il cui valore era pari alla somma del debito, secondo l'applicazione del "patto redimendi" che consentiva la "datio in solutum", cioè la restituzione del bene materiale sostitutivo del denaro. [89] Solo nell'evenienza di gravi ristrettezze economiche o in previsione di chiusura dell'attività il proprietario vendeva gli effetti della bottega [90], ma era altrettanto a discrezione del venditore togliere dalla vendita alcuni quadri per motivi personali. [91]

Non occorre sottolineare come questa prassi fosse normativa in tutti i contratti di compravendita di botteghe [92] e si applicava anche nel caso di acquisti dei beni di un defunto fatti dai rigattieri. [93] Il valore commerciale dei quadri era contemplato anche nella attribuzione delle doti e spesso, se nelle liste dell'acconcio (il corredo della sposa) la stima dei dipinti incideva in modo congruo, si stabiliva netta la distinzione tra l'entità economica di abiti, biancheria e mobilia da quella dei quadri. [94]

Appare evidente come l'uniformità di questo procedimento commerciale dei beni materiali non sembri avere nulla a che spartire con uno specifico interesse per il commercio dell'arte.

Si può concludere che la collezione di quadri nelle botteghe dei barbieri, grande o piccola che fosse, si configurava come una forma essenziale di investimento economico ai fini del rendimento degli utili e andava di pari passo con l'esigenza di assicurare al cliente una valenza estetica, pedagogica e ricreativa; i dipinti, concepiti come passatempi figurati, sorta di scienza visiva di quanto si praticava in bottega, toglievano dalla noia l'avventore e davano supporto morale o rasserenamento spirituale a chi in specie doveva sottoporsi ad un intervento chirurgico. La dignità dell'arredo di una bottega dove si praticavano salassi, si confezionavano parrucche e si facevano le barbe, poteva costituire una attrattiva in più anche per l'occasionale clientela di passaggio, ad esempio quella dei pellegrini giubilari, i quali transitando per via dei Coronari oltrepassavano ponte Sant'Angelo per recarsi a San Pietro e nella barbieria posta all'Immagine di Ponte trovavano un comodo presidio di assistenza sanitaria paragonabile al moderno pronto soccorso.

Proprio l'arredo faceva la differenza fra le botteghe di basso, medio e alto livello distribuite tra i rioni periferici e centrali della città, talvolta competitive tra loro per la varietà dei servizi offerti.


Immagini

1. Frontespizio degli Statuti dei barbieri, Roma 1783
fig. 1

 


Note

1. Sono stati consultati presso l'Archivio di Stato di Roma i protocolli per gli anni 1695-1704, voll. 519-558. La citazione archivistica degli atti di A. Abinante, uno dei Trenta Notai Capitolini con ufficio 9 in via dei Coronari è d'ora in poi la seguente: ASR, TNC, Uff. 9.

2. La denominazione Universitas sta a indicare una aggregazione aperta a tutti coloro che svolgono lo stesso mestiere e si distingue dal Collegium riservato a gruppi chiusi e selezionati; tuttavia già dalla seconda metà del Seicento, e ripetutamente nel Settecento, si trova la definizione di Collegio dei barbieri indicata dalle fonti documentarie, come nel contratto di "accomodatio" di Giuseppe Mezzanotte, di Palombara Sabina, che vuole imparare l'arte di barbiere nella bottega di Filippo Rampa posta «accanto la chiesa dell'Università e Collegio de Barbieri» (ASR, TNC, Uff. 9, vol. 544, cc. 405r/v, 412r/v, 12 maggio 1701). Cfr. in proposito anche quanto indicato da A. KOLEGA, Speziali, spagirici, droghieri e ciarlatani. L'offerta terapeutica a Roma tra Seicento e Settecento, in C.M. TRAVAGLINI (a cura di), Corporazioni e gruppi professionali a Roma tra XVI e XIX secolo, «Roma moderna e contemporanea» VI (1998), 3, pp. 311-347, in part. p. 317 nota 15.

3. La separazione fu approvata dal Breve di Paolo V, Ex iniuncto Nobis, del 4 maggio 1613: cfr. F. GAROFALO, I barbieri-chirurghi in Roma, Roma 1949, pp. 3-31, in part. p. 6. Inoltre si veda A. CALABRINI, M. MARTA, S. RICCI, I barbieri di Roma. Collegio dei barbieri e parrucchieri di Roma, cinque secoli e mezzo di attività , s. l. 1985; A. ESPOSITO, Stufe e bagni pubblici a Roma nel Rinascimento, in Taverne, locande e stufe a Roma nel Rinascimento, Roma 1999, pp. 77-93, in part. p. 88.

4. Giovan Domenico Pioselli (documentato a Roma dal 1688, morto nel 1716), architetto di fiducia dei barbieri, fece la stima del complesso valutato in circa 810 scudi (ASR, TNC, Uff. 9, vol. 540, cc. 756-758r). Questa sua prestazione non era nota (cfr. T. MANFREDI, sub voce, in In Urbe Architectus. Modelli Disegni Misure. La professione dell'architetto Roma 1680-1750, Catalogo della mostra a cura di B. CONTARDI, G. CURCIO, Roma 1991, p. 421).

5. La chiesa, dopo un primo restauro, fu ristrutturata a spese dei barbieri nel 1722. Scioltasi l'Università dei barbieri nel 1801 ed estintasi la Confraternita nel 1870 (cfr. R. BARTOLUCCI, L'evoluzione delle associazioni dei barbieri di Roma prima e dopo il 1870, in P. DROULERS, G. MARTINA, P. TAFURI (a cura di), La vita religiosa a Roma intorno al 1870. Ricerche di storia e sociologia, Roma 1971, pp. 219-234), la chiesa passò all'Arciconfaternita di Gesù Nazareno alla quale è attualmente intitolata. Per le sedi della Confraternita si veda M. ARMELLINI, Le chiese di Roma dalle loro origini sino al secolo XVI, Roma 1887, pp. 200-201, mentre a p. 498 si menziona la chiesa di S. Pantaleo Affine dove nel 1411 esisteva il Consolato dei Barbieri; A. MARTINI, Arti mestieri e fede nella Roma dei Papi, Bologna 1965, p. 155; C. PERICOLI RIDOLFINI, Guide rionali di Roma, Rione VIII S. Eustachio, parte I, Roma 1980, p. 32, con altra bibliografia a p. 95. Per la soppressione delle università di mestiere si rinvia a A. KOLEGA, Gli effetti delle soppressioni delle corporazioni nell'economia romana nei primi anni del XIX secolo, in A.L. BONELLA, A. POMPEO, M.I. VENZO (a cura di), Roma fra la restaurazione e l'elezione di Pio IX. Amministrazione, economia, società e cultura, Roma-Freiburg-Wien 1997, pp. 513-537.

6. ASR, TNC, Uff. 9, vol. 557, cc. 677-680v.

7. Cfr. C. FANUCCI, Trattato di tutte le opere pie dell'Alma Città di Roma, Roma 1601, p. 380; si veda anche ASR, TNC, Uff. 9, vol. 553, cc. 560-561v, "Estrazione delle doti delle fanciulle", 13 settembre 1703.

8. ASR, TNC, Uff. 9, vol. 536, cc. 114r/v, 133r, 14 aprile 1699.

9. Nella congregazione del 22 settembre 1697 i barbieri decisero di presentare un esposto a monsignore Auditore di Camera per manifestare il rifiuto di accogliere le richieste di coloro che, facendo solo parrucche, volevano fondare una Congregazione di Parrucchieri e acquisire la patente abilitante dietro pagamento di una tassa di 12 scudi (Ibidem, vol. 529, cc. 811-815r).

10. Ibidem, vol. 536, cc. 58r/v, 77r, 7 aprile 1699.

11. Ibidem, vol. 523, c. 112 r/v, 22 gennaio 1696.

12. Ibidem, vol. 559, cc. 751r/v, 756r/v, 1 gennaio 1705.

13. Per l'elenco degli Statuti si rinvia a MARTINI, Arti mestieri e fede, cit., pp. 272, 230-232; L. GIALLOMBARDO, Le Corporazioni d'arti e mestieri attive a Roma nel Seicento. Statuti manoscritti e a stampa conservati nella biblioteca Casanatense, in B. TELLINI SANTONI, A. MANODORI SAGREDO (a cura di), Luoghi della cultura nella Roma del Borromini, Roma [2004], pp. 457-481, in part. pp. 465-466; G. ADORNI, L'Archivio dell'Università di Roma, in Roma e lo Studium Urbis. Spazio urbano e cultura dal Quattro al Seicento, Atti del convegno, Roma, 7-10 giugno 1989, Roma 1992, pp. 388-430, in part. p. 393.

14. Nel contratto societario fra P.A. Fondati e B. Benedetti per la gestione della bottega in via dei Coronari, di fronte l'Immagine di Ponte (edicola sacra ancora esistente), si fa riferimento al Breve di Innocenzo XII che fissava tra le botteghe una distanza di 200 canne (ASR, TNC, Uff. 9, vol. 549, cc. 697r/v, 718r/v, 22 settembre 1702); per la precedente prescrizione di 150 canne cfr. ad esempio, Ibidem, vol. 535, cc. 59-62v, 84-85r, 5 gennaio 1699). Per la distanza di 100 canne alla fine del Cinquecento cfr. A. CESARINI, «Io so barbiero e fo la barbaria». I barbieri di Roma alla fine del Cinquecento tra professione e mercato dell'arte, in F. CURTI, M. DI SIVO, O. VERDI (a cura di), «L'essercitio mio è di pittore». Caravaggio e l'ambiente artistico romano, «Roma moderna e contemporanea», XIX (2011), 2, pp. 259-297, in part. p. 285.

15. Si veda il caso di Antonio Rosselli il quale, per incrementare il giro di affari, aveva rilevato da Giovan Battista Magnoni l'esercizio di barbieria in via di Monserrato, ma contravvenendo agli Statuti fu costretto a vendere a Paolo Cavallucci l'altra bottega che gestiva in via dei Greci: ASR, TNC, Uff. 9, vol. 537, cc. 340-343r, 355-357r, 11 agosto 1699.

16. I maestri barbieri dovevano versare annualmente 24 baiocchi per la festa della Purificazione e 6 giulii a Pasqua per le doti delle zitelle consanguinee dei sodali.

17. Si poteva concedere in alcuni casi una patente provvisoria da rinnovarsi ogni sei mesi, oppure uno, due o tre mesi, (cfr. Garofalo, I barbieri-chirurghi cit., pp. 13, e pp. 18-21 sugli abusi dell'esercizio); i trasgressori erano sottoposti a multe pecuniarie, eventuale chiusura della bottega e divieto di esercitare la bassa chirurgia. In una situazione di attività alterna per patente non rinnovata doveva trovarsi il barbiere Francesco Pieri, soggetto a frequenti cambi di botteghe nel rione Monti tra il 1697 e il 1698 (ASR, TNC, Uff. 9, vol. 527, cc. 685r/v, 706, 19 marzo 1697, subaffitto; vol. 529, cc. 326r/v, 341r/v, subaffitto ad altri della stessa bottega, 7 agosto 1697; vol. 532, cc. 161-162v, 12 aprile 1698, possesso di bottega), quando a novembre cedette l'esercizio in piazza della Suburra a Federico Renzi, chirurgo del rione (Ibidem, vol. 549, cc. 431r/v, 434r/v). Nel 1702 aprì abusivamente bottega nel rione Pigna, accanto la chiesa delle Stimmate «di fronte il duca Strozzi» (odierno palazzo Besso), dove per esercitare stipulò il 18 agosto un accordo societario biennale rinnovabile con il patentato Giacomo Bocci, temporaneamente privo di attività stabile. A fronte di un salario di 6 scudi mensili, costui si impegnava ad esercitare quotidianamemnte in bottega avendo cura del mantenimento della biancheria, attrezzatura di lavoro, mobili e quadri su cui non poteva avanzare diritti; viceversa avrebbe provveduto ai rasoi e, pur mantenendo a proprio beneficio la clientela esterna, avebbe avuto facoltà di lavorare le parrucche oppure di ordinarle sebbene il pagamento sarebbe stato a carico di Pieri, come pure le spese di lavanderia, saponi e altre necessità, l'affitto di casa e bottega, e gli emolumenti annuali alla chiesa dei barbieri (Ibidem). Per altro esempio cfr. Ibidem, cc. 212r/v, 223r, società tra Carlo Trepiedi e Giuseppe Pasquali, 28 luglio 1702.

18. P. MAGNI, I Discorsi di Pietro Paolo Magni piacentino intorno al sanguinar i corpi humani, et i modi di attaccare le sanguisughe, ventose, e far frittioni e vescicatorii, con buoni et utili avvertimenti, Roma 1584; ID., Discorso di Pietro Paolo Magni piacentino sopra il modo di fare i cauterii o rottorii a corpi humani, nel quale si tratta de siti, ove si hanno da fare, de ferri che usar vi si debbono, del modo di tenergli aperti, delle legature, et delle palline, et dell'utilità che da essi ne vengono, cose utilissime non solo a barbieri, ma a tutte le persone che n'hanno bisogno, Roma 1588.

19. Sul ruolo del protomedico si veda F. GAROFALO, Quattro secoli di vita del Protomedicato e del Collegio dei medici di Roma (Regesti dei documenti dal 1471 al 1870), Roma 1950; si rinvia inoltre alla bibliografia citata da A.L. BONELLA, La professione medica a Roma tra Sei e Settecento, in C.M. TRAVAGLINI (a cura di), Corporazioni e gruppi professionali a Roma tra XVI e XIX secolo, «Roma moderna e contemporanea», VI (1998), 3, pp. 349-366, in part. p. 351 nota 5.

20. Per la concessione delle patenti nel periodo qui in esame si veda BONELLA, La professione medica cit., pp. 355-357. Per i periodi precedenti cfr. A. ESPOSITO, Note sulla professione medica a Roma: il ruolo del Collegio Medico alla fine del Quattrocento, in M. PICCIALUTI (a cura di), La sanità a Roma in età moderna, «Roma moderna e contemporanea», XIII (2005), 1, pp. 21-52; inoltre CESARINI, «Io so barbiero e fo la barbaria» cit., pp. 263, 266.

21. Il divieto di esercizio da parte dei minorenni non era applicato ad altre professioni, ad esempio quelle liberali.

22. Nei contratti di accoglimento in bottega di un giovane apprendista si trova a volte precisato l'obbligo di frequenza bisettimanale presso un ospedale per seguire i corsi di anatomia; citiamo la "accomodatio" per un anno nella bottega di Clemente Angelini, alla Guglia di S. Macuto, di Francesco Bellomini da Montalcino (Siena), con l'impegno di recarsi due volte a settimana in un ospedale per «imparare di cavar sangue et altre virtù attinenti alla sud.a Professione» (ASR, TNC, Uff. 9, vol. 529, cc. 699r/v, 702r, 10 settembre 1697); o l'altra di Ludovico Malvetano, da Stroncone (Narni), presso Domenico Salmini con bottega vicino la chiesa di Sant'Ignazio, che «Tutte le mattine, fuorché sabato, domenica e le feste di precetto può andare alla Consolazione per stradarsi nella professione et essercitio alla Chirurgia» (Ibidem, vol. 543, cc. 121 r/v, 128, 11 gennaio 1701). Gli ospedali generalmente frequentati erano il S. Spirito, il S. Giacomo degli Incurabili, o quello di S. Maria della Consolazione a cui si rivolgevano più spesso i ceti umili per usufruire delle prestazioni gratuite; resta celebre il ricovero del giovane e ancora spiantato Caravaggio agli inizi della sua carriera romana, per cui si rinvia a O. BARONCELLI, Caravaggio e l'ospedale di Santa Maria della Consolazione, in M. DI SIVO, O. VERDI (a cura di), Caravaggio a Roma. Una vita dal vero, Catalogo della mostra, Roma 2011, pp. 60-64.

23. Molte registrazioni degli interrogatori effettuati dal notaio si trovano nei rispettivi atti, a volte corredati della fede di battesimo attestante l'età.

24. Cfr. GAROFALO, I barbieri-chirurghi cit., p. 12.

25. Non sempre si trovava accordo tra i votanti, talvolta refrattari ad accettare il giudizio positivo dei colleghi; per Antonio Petrignani, benché giudicato idoneo da «Gerardo Guelfi, Giuseppe Odardi e Francesco Ciafretti … fu corsa la bussola e trovate 6 fave bianche [contrarie] e 10 nere» favorevoli; il 18 gennaio 1696 gli fu data la patente anche in considerazione dell'età garantita dalla fede di battesimo e dal periodo già impiegato nello svolgimeno della professione (ASR, TNC, Uff. 9, vol. 523, cc. 75-76r, 90r). Il cognome del succitato barbiere Guelfi è la forma italianizzata di Wulf. Nato a Colonia, da tempo si era trasferito a Roma; risiedeva in una casa all'angolo di via Rasella nel rione Trevi dove continuativamente, tra il 1696 e il 1702, nella sottostante bottega di barbiere e parrucchiere si accomodarono tre garzoni non romani per apprendere il mestiere: Emanuele Terrazzani da Modena, Giovanni Montruccoli da Novellara, Cassio Padovani da Narni (Ibidem, vol. 525, cc. 387r/v, 412r, 3 settembre 1696; vol. 533, c. 417r/v, 14 agosto 1698; vol. 545, cc. 649-650v, 667r/v, 21 settembre 1701).

26. Cfr. il Bando del 4 aprile 1672, in GAROFALO, I barbieri-chirurghi cit., pp. 15-16.

27. Cfr. KOLEGA, Speziali, spagirici cit., pp. 316, 322, 327.

28. Si citano un paio di esempi: l'atto sipulato l'1 settembre 1699 da Pietro Branca da Squillace, con l'anconetano Luca Giuseppe Ferrari, per la vendita della bottega di barbiere posta «di fronte lo Speziale detto della Regina» a Parione in piazza Paradiso (ASR, TNC, Uff. 9, vol. 537, cc. 453r/v, 464r/v); oppure la bottega «accanto lo speziale» di Pietro Quattrocchi in piazza S. Maria di Loreto nel rione Monti, dove il 19 novembre 1696 si accomoda un fattore (Ibidem, vol. 526, c. 348r/v).

29. L'elenco degli speziali soggetti alla tassa, con relativo imponibile da cui si ricava il volume annuo di affari, è stato pubblicato da KOLEGA, Speziali, spagirici cit, pp. 345-347.

30. Kolega, Speziali, spagirici cit., p. 322. Sui prontuari di Galeno consultati dai barbieri cinquecenteschi e tenuti nelle botteghe, cfr. CESARINI, «Io so barbiero e fo la barbaria» cit., pp. 264 e 266 con riferimenti bibliografici. Sulla cultura galenica nel Seicento si rinvia a G. COSMACINI, Storia della medicina e della sanità in Italia, Roma-Bari 1995, pp. 168-187.

31. Sulle norme statutarie dei barbieri che favorivano la continuità di esercizio ai membri della stessa famiglia, cfr. CESARINI, «Io so barbiero e fo la barbaria» cit., p. 275 nota 85. Dal materiale arhivistico ora esaminato emerge che in molti casi la durata temporale della reiterazione onomastica si interrompe con l'estinguersi della discendenza mascolina; citiamo ad esempio Giulio Lotti (menzionato dalla CESARINI a p. 269, nota 40), barbiere in piazza del Pantheon dal 1593 al 1614, antenato di Agostino Lotti con bottega a Trastevere vicino S. Francesco a Ripa, morto senza eredi nel 1697 (ASR, TNC, Uff. 9, vol. 529, cc. 781-782v, 785r/v, 790, 793-794r).

32. L'uniformità degli Statuti che regolavano mestieri diversi tra loro fu un fenomeno generalizzato anche in altre aree geografiche: cfr. S. CERUTTI, Mestieri e interessi: le corporazioni a Torino in età moderna, in G. Borelli (a cura di), Le corpoazioni nella realtà economica e sociale dell'Italia nei secoli dell'età moderna, «Studi Storici Luigi Simeoni», XLI (1991), pp. 103-127.

33. Questo problema è stato evidenziato in area torinese a proposito della omogeneità professionale nell'ambito delle stesse famiglie da S. CERUTTI, Mestieri e privilegi. Nascita delle corporazioni a Torino secoli XVII-XVIII, Torino 1992, p. 260; si veda al riguardo anche S. CAVALLO, Métiers apparentés: barbiers-chirurgiens et artisans du corps à Turin (XVIIe-XVIIIe siècle), in «Histoire Urbaine», XV (2006), pp. 27-48.

34. Menzionati da KOLEGA, Speziali, spagirici cit., p. 339.

35. ASR, TNC, Uff. 9, vol. 529, cc. 699r/v, 702r, e vol. 534, c. 344r/v.

36. Ibidem, vol. 553, cc. 136r/v, 139r/v.

37. Citato da CESARINI, «Io so barbiero e fo la barbaria» cit., p. 270.

38. Assente da Roma, Cecchini non figura in prima persona nell'esercizio della bottega i cui affari sono gestiti dalla moglie, Agnese Spadacci, che il 19 agosto 1697 aveva rilevato l'attività al Corso, di fronte palazzo Ruspoli (già Caetani), cedutagli con l'arredo da Tiberio Carlucci per 102 scudi e 50 baiocchi (ASR, TNC, Uff. 9, vol.529, cc. 421-423v, 433-434v); il seguente 9 settembre stipulava un contratto di mezzadria di durata triennale con Giovan Francesco Ottini (già socio di Carlucci dall'1 marzo 1697 «in quanto alle sanguigne, et altro, che possi appartenere alla cura dell'infermi», Ibidem, vol. 527, 522r/v), con cui avrebbe diviso a metà il guadagno di barbe, parrucche, medicamenti di chirurgia e di flebotomia, ma le spese del giovane lavorante sarebbero state a suo carico (Ibidem, cc.673r/v, 676r). Il 14 marzo 1699 stringeva società con Girolamo Vannini per svolgere le mansioni di chirurgo, mentre le barbe competevano ai due giovani di bottega (Ibidem, vol. 535, cc. 628r/v, 663r). Il 2 maggio 1702 affittava la bottega per sei anni a Felice Durante (Ibidem, vol. 548, cc. 172-177r).

39. Menzionato da KOLEGA, Speziali, spagirici cit., p. 346. Una ricognizione tra gli Stati delle Anime delle parrocchie presso l'Archivio Storico del Vicariato di Roma potrebbe dare sostanza all'ipotesi.

40. ASR, TNC, Uff. 9, vol. 525, cc. 355-356, 373-374, e vol. 534, c. 59r/v.

41. Sulla famiglia degli speziali Meli cfr. KOLEGA, Speziali, spagirici cit., pp. 342-343.

42. La KOLEGA (Speziali, spagirici cit., p. 336) ha dimostrato sulla base della tassazione del 1708 che gli speziali si collocavano nella fascia alta dei contribuenti a confronto con la graduatoria di altre corporazioni lavorative.

43. Per i dati si rinvia a E. SONNINO, "Di qui cominciò qualche terrore considerabile nella città di Roma". Popolazione e sanità nel XVII secolo, in S. ROSSI (a cura di), Scienza e miracoli nell'arte del '600. Alle origini della medicina moderna, Catalogo della mostra, Roma 1998, pp. 60-69, in part. p. 61 con altra bibliografia di riferimento.

44. ASR, TNC, Uff. 9, vol. 537, cc. 428-429v, 432-433r. Sul numero dei barbieri a Roma tra fine Cinque e primo Seicento, oscillante intorno alle 120.000 unità si rinvia a CESARINI, «Io so barbiero e fo la barbaria» cit., pp. 266-267.

45. Cfr. nota 1.

46. L'unica eccezione è Filippo Maurizi, proprietaro di una bottega presso S. Carlo ai Catinari (S. Eustachio), specialista in interventi di bassa chirurgia (ASR, TNC, Uff. 9, vol 545, cc. 296r/v, 315r, contratto societario del 4 agosto 1701).

47. Sulla varietà dei contratti di primo impiego si rinvia a R. AGO, Economia barocca. Mercato e istituzioni nella Roma del '600, Roma 1998, cap. VIII.

48. Ad esempio, Pietro Antonio Bonfante da Savona, si accomoda per un anno come giovane presso il fiorentino Giovan Battista Gorini, barbiere in piazza del Monte di Pietà (rione Regola) con un salario mensile di 25 giulii; se va via prima dei termini stabiliti paga una penale di 30 scudi che riceverà se cacciato (ASR, TNC, Uff. 9, col. 523, c. 74r/v, 16 gennaio 1696). Viceversa, Onorato Rostagni da Nizza, che decide di imparare l'arte di barbiere e parrucchiere nella bottega di Onorato Gioffredo in via Felice, posta sotto il portone di palazzo Barberini, è ospitato con vitto, alloggio e biancheria lavata; finito l'anno «Giofredo promette dargli qualche recognitione secondo il merito di d.o Rostagni, e che a d.o S.r Giofredo parera». Se abbandona il lavoro ripaga gli alimenti alla ragione di 3 giulii giornalieri, ma se mandato via il barbiere perde le spese sostenute (Ibidem, cc.267-268v, 8 febbraio 1696). Merita osservare che il servizio di lavanderia, poco frequente a carico del barbiere, ma più spesso a carico della persona che accomoda il garzone, è indicato nei casi in cui la bottega si trova nei punti nevralgici delle residenze nobiliari.

49. Si veda il caso di due connazionali francesi: "Monsù" Pietro Ghi (Ghio) di Lione vende la bottega al Corso, di fronte palazzo D'Aste (rione Pigna), al collega Marco Antonio Bassi di Carpentras (Ibidem, vol. 529, cc. 751-752v, 765-766r, contratto del 13 settembre 1697).

50. Si cita il caso di Sebastiano Laghi da Faenza, che l'11 ottobre del 1701 acquista la bottega in Parione posta in piazza de' Pollaroli (Ibidem, vol. 546, cc. 128-129v, 140r/v) e il 14 maggio 1703 la vende al neogenero Giacomo Filippo Strocchi, pure faentino, a seguito delle nozze con sua figlia Anna Lucrezia, già vedova del barbiere Antonio Beccari (Ibidem, vol. 552, cc. 459-464r). Nell'inventario della bottega, specializzata in barbe e parrucche (sono elencati «400 Buccoli in circa per arriciare le pelucche, due teli per tessere le pelucche, un scaldapanno per asciugare li sugatori [sic] per chi si fa la barba»), figurano 25 pezzi di quadri tra grandi e piccoli e un tavolo con le pedine per giocare a dama. Laghi, che nel 1701 stava ospitando in bottega lo Strocchi (Ibidem, vol. 546, cc. 541-542r), aveva periziato per lui gli stigli della bottega di barbiere in piazza Mattei (rione S. Angelo) vendutagli il 21 novembre 1701 dagli eredi del defunto Ettore Damiani per 90 scudi (Ibidem, vol. 546, cc. 515-516v). A sua volta Strocchi, il 28 settembre 1702 la rivendeva a Giovan Pietro Petroni da Rocca Priora (Tuscolo) in solidum col milanese Ottavio Luciani, i quali ne avrebbero preso possesso il primo ottobre; cedeva loro gli stigli per 100 scudi, amichevolmente stimati, solvibili in quattro anni con i frutti del quattro per cento annui da pagare posticipati semestralmente. Questo è uno tra i tanti esempi di rivendita a stretto giro di tempo (a volte il giorno dopo) per lucrare piccole somme spesso utilizzate per saldare debiti pregressi riguardanti l'acquisto di botteghe o le pigioni ai padroni delle medesime; per questa prassi comune a tante categorie di lavoratori cfr. R. AGO, Artisti e ceti 'industriosi' nella Roma del Seicento, in C.M. TRAVAGLINI (a cura di), «L'essercitio mio è di pittore». Caravaggio e l'ambiente artistico romano, «Roma moderna e contemporanea», XIX (2011), 2, pp. 299-309, in part. p. 304.

51. Per l'Editto del protomedico generale del 28 gennaio 1627, si rinvia a BONELLA, La professione medica cit., p. 357 e nota 32.

52. Cfr. AGO, Artisti e ceti cit., p. 307. Per alcuni esempi di modalità adottate dalle vedove nelle vendite, affitti o società si vedano in ASR, TNC, Uff. 9, vol. 525, cc. 355-356r, 373-374v, 28 agosto 1696, e vol. 526, cc. 422-424v, 441r, 443v, 28 novembre 1696, Agata Bani, vedova di Girolamo Gasperini; vol. 526, cc. 319r/v, 340r/v, 15 novembre 1696, Susanna Resta vedova di Sebastiano Antonio Arnaldi; vol. 528, cc. 553-554v, 580r, 10 giugno 1697, vol. 535, cc. 633r/v, 658r/v, 15 maggio 1699, vol. 539, cc. 709-710v, 717r/v, 20 marzo 1700, Anna Maria Margherita Righi, vedova di Angelo Santacroce.

53. Cfr. CESARINI, «Io so barbiero e fo la barbaria» cit., pp. 282-285, 288-299, 293-297.

54. Ad esempio in una bottega in via di Parione (ASR, TNC, Uff. 9, vol. 544, c. 720r/v, 727r/v, 20 giugno 1701), oppure in quella in vicolo del Corallo con fiori di panno riportati sul rivestimento di corame (Ibidem, vol. 539. cc. 563-564v, 583-584r, 5 marzo 1700). Alla fine del Seicento è in voga il damasco per rivestire pareti e sedie. Su questo tema si rimanda a A. Rodolfo, C. Volpi, a cura di, Vestire i palazzi. Stoffe, tessuti e parati negli arredi e nell'arte del Barocco, Città del Vaticano 2014.

55. Si veda la bottega in piazza de' Pollaroli (Ibidem, vol. 552, c. 461-462r, 14 maggio 1703) o l'altra in piazza di S. Lorenzo in Damaso, sotto lo storico palazzo Galli (Ibidem, vol. 552, cc. 94-95v, 123r, 15 aprile 1703), entrambe in Parione; oppure quella in piazza dei SS. Apostoli (Trevi) con «cinque pezzi di tela dipinta con Paesi che fanno apparato alla bottega e fregio, e solaro e turchino di fuora», valutati 12 scudi (Ibidem, vol. 553, cc. 442-446v, 463r, 465-467r).

56. Si tratta della bottega all'angolo di piazza Farnese verso la chiesa di S. Girolamo della Carità (via di Monserrato): Ibidem, vol. 535, cc. 369-370v, 390r/v, 9 febbraio 1699.

57. Guarniva la bottega in piazza Paradiso, Ibidem, vol. 537, cc. 591-593v, 596-597v, 16 settembre 1699.

58. Posta in una bottega accanto la chiesa di S. Maria della Scala a Trastevere: Ibidem, vol. 541, cc. 842-845v, 850r, 852r, 21 settembre 1700. La tipologia cinquecentesca della fontana continuava ad avere successo anche nei cortili seicenteschi dei palazzi nobiliari, come quello di palazzo Borghese a Fontanella Borghese.

59. Si trovavano nella bottega in via Giulia sotto il Collegio Ghislieri: Ibidem, vol. 551, cc. 690-691v, 702-703r, 22 marzo 1703.

60. Negli inventari delle botteghe di quattro barbieri romani, redatti negli anni 1673, 1676, 1678 dal notaio capitolino del rione S. Eustachio, Giuseppe Moro (Ufficio 15), sono stati reperiti quattro cembali da P. Barbieri, Harpsichords and spinets in late Baroque Rome, in «Early Music», 29 (2012), pp. 55-72, in part. p. 65; due di queste botteghe erano gestite da Francesco Cipriani e Giovanni Paolo Pasquini: il primo possedeva un cembalo a coda a due registri, il secondo «un cimbalo del Cortona», ovvero fabbricato dal celebre Giovanni Battista Boni da Cortona, il quale nel corso del Seicento fornì lo strumento ai personaggi più in vista dell'aristocrazia e dell'alto clero. Tra il 1699 e il 1701 i due barbieri esercitavano, l'uno, di fronte la chiesa di S. Maria in Trastevere («Cinbolo con li suoi piedi»), l'altro, nel rione Ponte in via dell'Orso da dove nel 1702 si trasferì nel rione Campo Marzio «di fronte palazzo Caetani», poi Ruspoli, al Corso, ma in entrambe le sedi non figura più lo strumento (ASR, TNC, Uff. 9, vol. 535, cc. 463r/v, 468r, 20 febbraio 1699 e vol. 543, cc. 588 ss., 19 febbraio 1701, per Cipriani; vol. 536, c. 885r/v, 904r, 22 giugno 1699 e vol. 546, cc. 426-427v, 446r/v, 11 novembre 1701, inoltre vol. 548, c. 222r/v, 9 maggio 1702, e cc. 315r/v, 340r/v, 16 maggio 1702, per Pasquini). Viceversa, «un Cimbalo à un registro con pitture» si trovava nella bottega in piazza dei Cimatori (rione Parione) venduta nel 1696 da Filippo Faina ad Antonio Rattazzi (Ibidem, vol. 524, cc. 431-434r, 460-462r). Per quanto riguarda le chitarre, se ne registrano a Parione (una nella succitata bottega e altre due chitarre in quella di via del Pellegrino venduta nel 1702 da Giovanni Modesti a Bonaventura Benedetti: Ibidem, vol. 549, cc. 105-107v, 128r, 130r), e singoli esemplari a Campo Marzio (via del Corso, del defunto Andrea Duranti subaffitata nel 1698 a Biagio Manenti, Ibidem, vol. 533, cc. 84-85v, 93r/v), S. Angelo (via dell'Olmo, venduta nel 1703 da Antonio Petrignani a Giovanni Raffaeli, Ibidem, col. 554, cc. 204-205v), Trastevere (vicolo del Moro, del defunto Angelo Santacroce affittata nel 1697 a Simone Cortesi, Ibidem, vol. 528, cc. 553-554v, 580r).

61. Roma, Istitito Nazionale della Grafica, proprietà dell'Accademia dei Lincei, collezione Corsini; cfr. la scheda di L. LORIZZO, in Scienza e miracoli nell'arte del '600, cit., pp. 256-257, cat. C. 26, fig. a p. 295.

62. Si veda il contratto del primo luglio 1701 in ASR, TNC, Uff. 9, vol. 545, cc. 1-3v, 28-29v.

63. P. CAVAZZINI, La diffusione della pittura nella Roma di primo Seicento: collezionisti ordinari e mercanti, in «Quaderni storici», 116 (2004), 2, pp. 353-374, in part. pp. 365-366; EAD., Oltre la committenza: commerci d'arte a Roma nel primo Seicento, in Roma communis patria: per Luigi Spezzaferro, in "Paragone", LIX (2008), 82. pp. 72-92; EAD., Painting as business in early Seventeenth-Century Rome, The Pennsylvania State University Press, Pennsylvania 2008, pp. 44, 102, 106, 138-139, 200 nota 149; CESARINI, «Io so barbiero e fo la barbaria» cit., pp. 288-291, che ipotizza anche come già nell'ultimo decennio del Cinquecento i barbieri svolgessero questa attività commerciale.

64. L. LORIZZO, Il mercato dell'arte a Roma nel XVII secolo: "pittori bottegari" e "rivenditori di quadri" nei documenti dell'Archivio Storico dell'Accademia di San Luca, in M. FANTONI, L.C. MATTHEW, S.F. MATTHEWS-GRIECO (a cura di), The Art Market in Italy 15th-17th Centuries. Il Mercato dell'Arte in Italia secc. XV-XVII, Modena 2003, pp. 325-336.

65. CAVAZZINI, Painting cit., pp. 138-139.

66. Per un elenco di alcune categorie di commercianti di dipinti stilato intorno al 1675 ad uso dell'Accademia di San Luca che rivendicava il pagamento della tassa annuale, disattesa dai più, si rinvia a LORIZZO, Il mercato dell'arte, cit., pp. 331-334.

67. Ci riserviamo di trattare questo argomento in altra sede.

68. Cfr. P. CAVAZZINI, La diffusione della pittura cit., p. 360.

69. M. ROSA, Forme assistenziali e strutture caritative della Chiesa dal '500 al '700, in Stato e Chiesa di fronte ai problemi dell'assistenza, Roma 1982; M. PICCIALUTI, La carità come metodo di governo. Istituzioni caritative a Roma dal pontificato di Innocenzo XII a quello di Benedetto XIV, Torino 1994. Si veda anche B. PULLAN, Poveri, mendicanti e vagabondi (secoli XIV-XVII), in Storia d'Italia, Annali, I, Torino 1978, pp. 981-1047.

70. COSMACINI, Storia della medicina cit., p. 195.

71. Cfr. la scheda di L. LORIZZO, in Scienza e miracoli nell'arte del '600 cit., p. 323, cat. D. 18 e fig. a p. 277.

72. Il soggetto è menzionato il 21 agosto 1691 nella bottega del defunto barbiere Giovan Francesco Candulfi a piazza della Colonna Traiana, nel rione Monti, insieme ad altri quadri «tutti mezzi usati» (ASR, TNC, Uff. 9, vol. 505, cc. 533-536v, 557-560v, 21 agosto 1691); ed ancora nell'inventario di vendita della bottega di Pietro Branca in piazza Paradiso (rione Parione): «due quadri da mezza testa con l'effigi dei SS. Cosma e Damiano» (Ibidem, vol. 537. cc. 591-593v, 596-597v, 16 settembre 1699). Ancora in questo rione, nel 1697, un dipinto è nella bottega di piazza Navona di Troiano Visconti (Ibidem, vol. 529, cc. 243-245v, 254r, 256r/v), che probabilmente lo trasferì nella bottega da lui gestita sotto palazzo Casali a Campo Marzio tra il 1703 e il 1704 (Ibidem, vol. 555, cc. 663-667v, 680r, 682r/v).

73. Un quadro con San Carlo figurava come unico dipinto nella sede del Consolato dei Barbieri, insieme ad un Crocifisso processionale, un Cristo di cartapesta, uno stendardo vecchio con l'arme di papa Urbano VIII e altri parati e suppellettili sacre di scarso valore: Ibidem, vol. 558, cc. 293-294v, 311r/v, 2 novembre 1704.

74. COSMACINI, Storia della medicina cit., pp. 238-250, in part. p. 247.

75. ASR, TNC, Uff. 9, vol. 540, cc. 38-39r, 54-57v.

76. Ibidem, vol. 539, cc. 709-710v,717r/v, 20 marzo 1700 (vendita); cc. 808-809v, 812, 27 marzo 1700 (quietanza e inventario). Fu acquistata dal siciliano Salvatore Diodato in solidum col fratello di lei, Giovan Battista Righi.

77. Gli altri quadri raffiguravano nature morte, boscarecce, battaglie, vedute di mare e «tondini» privi di soggetto, valutati nell'insieme scudi 43: 60. Il valore commerciale incise sul prezzo di vendita giacché l'intero arredo, stigli compresi, fu periziato in scudi 103. Cfr. la nota 88.

78. E. BRAMBILLA, La medicina del Settecento: dal «monopolio dogmatico alla professione scientifica», in Storia d'Italia. Annali, 7, Malattia e medicina, a cura di F. DELLA PERUTA, Torino 1984, p. 85.

79. ASR, TNC, Uff. 9, vol. 529, cc. 781-782v, 785r/v, 790, 793-794r.

80. Si veda Ibidem, vol. 547, cc. 165-167r, 179-180r, inventario di vendita (14 gennaio 1702) della bottega al passo di Ripa Grande (Ripa), con 36 «quadri piccoli di diverse sorti vecchi». Per un esempio del termine «usati», cfr. nota 72.

81. Ibidem, vol. 549, cc. 697r/v, 718r/v, 22 settembre 1702, società fra il romano Pietro Antonio Fondati e Bonaventura Benedetti proveniente dalla Corsica.

82. Ibidem, vol. 548, cc. 172-177r, accordi tra Agnese Spadacci, moglie di Bartolomeo Cecchini, e Felice Durante per l'affitto ed eventuale vendita della bottega a Campo Marzio, 2 maggio 1702.

83. Si confrontino gli inventari di vendite della stessa bottega del 24 febbraio 1697, già posseduta da S.A. Arnoldi (Ibidem, vol. 527, cc. 442-444v, 461-462r), e del 31 ottobre 1702 (Ibidem, vol. 550, cc. 307-316), quando alla invariata consistenza tipologica si aggiungono piccoli quadri con figure alla francese, tre con galli e altri di soggetto indeterminato. Per altri esempi si veda il contratto di affitto del 3 luglio 1696 (Ibidem, vol. 525, cc. 6-7v, 26r/v), a confronto con quello del 17 giugno 1698 per la vendita della bottega in via dei Coronari (Ibidem, vol. 532, cc. 570-571v, 728r/v, 753); oppure gli inventari di vendita del 13 settembre 1697, 16 luglio 1701, 21 novembre 1703 della bottega al Corso, passata da Pietro Ghi a Marco Antonio Bassi, da questi a Carlo Agostino Borgi e da questi a Domenico Tognazzi, che aumentano da 25 a oltre 40 quadri (Ibidem, vol. 529, cc. 752r/v, 765r/v; vol. 545, cc. 273r/v, 288r/v; vol. 554, cc. 528r/v, 551r/v).

84. Si veda in proposito il contratto dell'8 ottobre 1701 fra Domenico Fanti, di Orte, e il provenzale Raimondo Maggirò per la vendita della bottega al Corso, posta poco oltre il monastero delle Convertite nel rione Colonna (Ibidem, vol. 546, cc. 96r/v, 119r/v).

85. Nel contratto di affitto della bottega in Parione a vicolo del Corallo (28 ottobre 1697), fatto da Pancrazio Lista a Matteo Larchè e a Benedetto De Magistris, il notaio rimanda a quello precedente del 3 agosto per l'affitto concesso a Giovan Lorenzo Ciampalanti (Ibidem, vol. 530, cc. 241r/v, 249r/v). Lo stesso dicasi per la vendita della bottega a piazza Nicosia (Campo Marzio) a Giovanni Maria Cirelli (12 gennaio 1701) in cui si rinvia all'inventario redatto nella vendita precedente del 21 dicembre 1699 (Ibidem, vol. 543, cc. 143 ss.).

86. Si confrontino la stima del 13 settembre 1697 per la vendita della bottega al Corso di Pietro Ghi a favore di Marco Antonio Bassi (Ibidem, vol. 529, cc. 751-752v, 765-766r) con quella redatta il 2 agosto 1701 per la stessa bottega venduta il precedente 16 luglio dal Bassi ad Agostino Borgi (Ibidem, vol. 545, cc. 163-164v, 187r, 272-273v, 288r/v): da un valore di scudi 75:70 si scende a scudi 62:10.

87. Si veda il caso di Antonio Simonetti che, nel vendere l'1 settembre 1699 la bottega ad Arcangelo Graziani con pagamento presunto entro la Pasqua del 1700, fa stilare due inventari: uno con stigli e mobili, da consegnare subito, ed un altro al saldo comprendente un cantarano di noce con cinque tiratori e tutti i quadri della bottega (Ibidem, vol. 537, cc. 455-456v, 461r e 457r/v, 460 (inventario mobili consegnati), 458r/v (inventario quadri da consegnare).

88. Cfr. Ibidem, vol. 541, cc. 232-238, 247r/v, 249-253v: inventario della bottega venduta dalla vedova di Domenico Volpi a Giacomo Filippo Lazzari, già primo lavorante, per un valore di scudi 263, di cui scudi 185:96 mobili e stigli, e scudi 54 quadri (20 luglio 1700). Similmente, nella vendita del 15 ottobre 1703 della bottega di Antonio Petrignani in via dell'Olmo (S. Angelo) stimata scudi 167, «tutti li quadri che sonno n.° 59 et un Arme di Colonna in tavola dorata sc. 50» (Ibidem, vol. 554, cc. 204-205r). Ancora più eloquente è la vendita fatta da Giovanni Modesti a Bonaventura Benedetti l'1 luglio 1702; nella stima complessiva di scudi 183:40, quasi il quaranta per cento riguarda i quadri valutati circa 85 scudi (Ibidem, vol. 549, cc. 1-2v, 25r, 105-107v, 128r, 130r). Cfr. anche la nota 77.

89. Citiamo l'esempio di Domenico Mattei finito in carcere per un debito di scudi 26:60 col socio Giovanni Aiola, il quale acconsente alla scarcerazione del collega dietro promessa di pagamento rateizzato, comprese le spese giudiziarie per un ammontare complessivo di scudi 28:05 (Ibidem, vol. 552, cc. 933-934v, 959r, 28 giugno 1703); a causa del persistere del debito si accede al patto redimendi con la restituzione degli effetti della bottega in via della Vite, dietro il monastero di S. Silvestro in Capite: tre specchi, quindici quadri fra grandi e piccoli, altri oggetti da parrucchiere (Ibidem, col. 554, cc. 10-12r, 16r/v, 1 ottobre 1703). Ancora più interessante è il caso relativo al contenzioso sorto fra Pancrazio Lista e il francese Matteo Larchè. Il primo nel 1692 aveva rilevato il possesso di una bottega all'angolo di via del Corallo (rione Parione) e in seguito, decidendo di interrompere l'attività, ne propose la vendita al suo affittuario Larchè per lo stesso prezzo di scudi 145 con cui l'aveva acquistata; ma avendo aggiunto stigli nuovi fu pattuita una cifra di 175 scudi nel contratto del 19 giugno 1698, con un pagamento a breve di 30 scudi e una rateizzazione del residuo con interessi entro 18 mesi (Ibidem, vol. 532, cc. 732-735v, 747r/v). Larchè, che in bottega introdusse molti quadri e prese come socio Gaspare Mazzante per tutte le mansioni inerenti la chirurgia (Ibidem, vol. 535, cc. 127r/v, 142r, 12 gennaio 1699), diede presto segni di follia (per le testimonianze rese con ordine del giudice criminale, 21 luglio 1699, cfr. Ibidem, vol. 537, cc. 211r/v, 228r), rimanendo debitore; nell'attività fu sostituito da un giovane parrucchiere che si servì di «Larchè per lavorante e da padrone è diventato garzone», commentò il notaio che, in vigore di un mandato di sospetto di fuga per insolvenza, mandò il Bargello dell'Urbe ad inventariare la bottega e Larchè, per evitare l'arresto, il 18 marzo 1700 dette in soluto a Lista gli stigli, i quadri ed altri quadri ancora per un valore di 145 scudi, pari alla somma del debito (Ibidem, vol. 539, cc. 704-705v, 722r/v). Lo stesso dicasi per Tommaso Segni che il 22 maggio 1699 aveva rilevato l'esercizio della bottega all'Arco di Parma (Ponte) per scudi 69:70, ma rimasto debitore di 19 scudi e potendone pagare solo 2, restituì oggetti per la somma residua e tra questi 6 quadri per il valore di 7 scudi (Ibidem, vol. 536, cc. 820-821v, 844r e 822r/v, 843r (per l'inventario).

90. A volte le difficoltà economiche erano al limite dell'indigenza, come nel caso del veronese Guerrino Bonetti, citato in giudizio per non aver pagato scudi 13:50 di affitto della bottega in Parione, accanto la chiesa di S. Maria di Grottapinta proprietaria del locale; per non incorrere nella causa, il 19 gennaio 1699 mise in vendita per quella cifra la vetrata della bottega attrezzata con pochi mobili scadenti e ornata da quattro quadretti con puttini del valore di 4 scudi, acquistata in contanti da Domenico Mozzi di Narni (Ibidem, vol. 535, cc. 180-182v, 201-202r). Non dissimile fu la vendita forzata del 19 marzo 1698 fatta a Francesco Regi, per 10 scudi con cessione di inquilinato, da Giovan Battista Angelotti di Massa Carrara lunense (Sarzana) indebitato col duca di Paganica per la pigione della bottega esercitata all'Arco di Parma nel rione Ponte, provvista solo di vetrate e di quattro quadri di fiori (Ibidem, vol. 531, cc. 676r/v, 683r).

91. Si veda il caso degli eredi di Ettore Damiani che aveva gestito la bottega in piazza Mattei (S. Angelo); nel vendere gli stigli al faentino Giacomo Filippo Strocchi il 21 novembre 1701 (cfr. la nota 50), la vedova e i figli trattengono - evidentemente per ricordo della conclusa attività del congiunto estinto - il bacile d'argento e i quadri, lasciandone uno solo obbligatorio, la «Madonna sopra alla Porticella»; «l'adornamento» della bottega riguardava ormai l'acquirente (Ibidem, vol. 546, cc. 515-516v, 618-619v, 623r/v).

92. Ad esempio, il milanese Giovanni Lamberti acquista in blocco per scudi 164:40 l'arredo della bottega di falegname, composto da stigli, legni e quadri (Ibidem, vol. 524, cc. 130r/v, 135r, 18 aprile 1696).

93. Specialisti di questi affari erano gli ebrei, come Giacomo Posnero e Tranquillo Volter che concordarono con gli eredi di Giuseppe Bolognini l'acquisto dei beni per scudi 440, in cui erano compresi 9 quadri valutati 10 scudi (Ibidem, vol. 524, cc. 603-607v, 624r/v, 628r/v, 15 giugno 1696).

94. Si cita la dote assegnata a Beatrice Maccioni per le nozze concluse nel 1692 con Cesare Ferrari; nell'acconcio valutato complessivamente in scudi 220 erano compresi «quadri di diversi Pittori grandi e piccoli con cornici dorate, e respettivamente verniciate num.° 60 in tutti stimati sc. 120» (Ibidem, vol. 525, cc. 216-219v, 232r/v, 234r/v, 4 agosto 1696, ratifica dei capitoli matrimoniali).

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