Nel 1744 Ludovico Antonio Muratori dava alle stampe a Milano i suoi Annali d'Italia dal principio dell'era volgare sino all'anno 1500 e, nel presentare l'opera ai lettori, si dichiarava mosso dal bisogno «che avea la Storia d'Italia d'essere compilata da qualche persona ben conoscente delle antiche memorie, ed amante della verità»1. Quindi, si affrettava a specificare di non riferirsi alla «storia che riguarda gli avvenimenti della Chiesa di Dio, perché di questa ci ha forniti per tempo la penna immortale del Cardinal Baronio colla principal arte d'essa»2, ma di alludere alla «sola Storia Civile d'Italia quella è, che dimanda, e può ricevere aiuto ed accrescimento dai giorni nostri»3. Dopo essersi soffermato sull'«obbligo grande» nei confronti delle opere dello storico cinquecentesco Carlo Sigonio, Muratori si congedava dai suoi lettori, non senza prima averli messi in guardia dalla «impossibilità di raggiungere la verità di molte cose, che a noi somministra la Storia», ricordando «lo spirito della parzialità e dell'avversione» che «troppo sovente guida la mano degli Storici», la mancanza di documenti, la semplicità, la poca attenzione o la malizia che portano a mischiare «favole, dicerie, o tradizioni ridicole dell'ignorante volgo»4. «Di queste false merci appunto - asseriva Muratori - abbonda la Storia de' Secoli barbarici dell'Italia, e più di gran lunga l'Ecclesiastica, che la Secolare». Di fatto, egli prendeva le distanze dal genere della storia ecclesiastica e dal suo rappresentante più insigne, Baronio, optando per un modello di storia civile dell'Italia - quella di Sigonio e la sua - che non fosse avulso dalla storia della Chiesa, ma che la includesse5. Nell'Italia di metà Settecento, segnata dalle dispute giurisdizionali più che da quelle controversistiche, l'abate modenese non aveva tema di affermare, in una lettera a un giovane amico, che «più non ha bisogno la storia ecclesiastica di chi la tratti, dappoiché abbiamo il Baronio, il Pagi, il Fleury ed altri che han soddisfatto. Abbisognava bensì l'Italia della sua storia civile: l'ho io compilata dalla nascita del Signore sino al 1500, e col titolo di Annali d'Italia si va stampando in Venezia»6.
I tempi erano cambiati da quando, nel 1588, i freschi torchi della Tipografia Vaticana avevano siglato il loro esordio con la stampa del primo volume degli Annales Ecclesiastici di Cesare Baronio dedicati al pontefice Sisto V cui il prete oratoriano aveva indirizzato anche le Notationes al Martyrologium Romanum pubblicate a Roma nel 15867. Nell'Italia del secondo Cinquecento, minata dall'assoggettamento di consistenti porzioni di territorio alla monarchia di Spagna e scossa dal dilagare della protesta luterana, si assisteva a una sorta di ripiegamento verso la storia di altri paesi europei8, a una maggiore attrazione verso la storia universale o, viceversa, a un revival della storiografia municipale9. Un drastico ridimensionamento rispetto all'ondata di riflessione storica suscitata nel cinquantennio precedente dalle invasioni straniere, per la quale lo storico americano novecentesco Eric Cochrane avrebbe coniato l'espressione di National History10, con particolare riferimento alla produzione storiografica umanistica di Francesco Guicciardini e di Niccolò Machiavelli. Nel corso del XVI secolo, crebbe il numero degli ecclesiastici impegnati nella stesura di opere storiche, molto diverse tra loro per il taglio cronologico, l'approccio metodologico e la scelta linguistica, ma tutte aventi per oggetto l'Italia: dalla Descrittione di tutta Italia (1550) del frate predicatore e inquisitore di Bologna Leandro Alberti11, all'Italia travagliata (1576) di un altro domenicano e inquisitore di Piacenza, Umberto Locati12, alle Historiae de Regno Italiae (1574) o alle Historiae de Occidentali Imperio (1578) dell'ecclesiastico modenese Carlo Sigonio13. Si tratta di una nuova produzione storiografica che si diffonde nella penisola e che va considerata non tanto come graduale e inarrestabile esaurimento della ricchezza e della vivacità dei modelli umanistici, quanto piuttosto come espressione della profonda trasformazione dell'ordine politico-istituzionale e dei poteri promotori di cultura nella penisola, in una fase storica segnata dall'avvio della Controriforma.
In questa prospettiva, per comprendere il passaggio dalla storiografia umanistica alla storia sacra del XVII secolo, appare cruciale il caso di Cesare Baronio, prete oratoriano di umili origini, chiamato nel 1580 a far parte della «congregatione d'huomini eccellenti» istituita da Gregorio XIII per la revisione del Martirologio romano e guidata dal cardinale Guglielmo Sirleto14, nel 1593 eletto a succedere a Filippo Neri nella carica di preposito generale della congregazione, nominato cardinale nel 1596 da Clemente VIII di cui fu anche confessore, membro della Congregazione dei Beati e della Congregazione dei Riti15, personaggio chiave della Congregazione dell'Indice per un decennio, dal 22 giugno 1596 al 16 dicembre 160616, a un passo dal divenire pontefice nel conclave del 160517. Anche alla luce di una così brillante carriera e nel quadro di un forte incremento della produzione storiografica di origine ecclesiastica, risulta evidente che i dodici tomi degli Annales Ecclesiastici, redatti a partire dalla fine degli anni Settanta del Cinquecento18, non possono essere letti soltanto come una «risposta storiografica»19 e apologetica contro i centuriatori di Magdeburgo, ma vanno studiati anche come una complessa impalcatura politica in cui viene fornita una rilettura della storia della Chiesa e della storia d'Italia, per un arco temporale di oltre mille anni a partire dalla nascita di Cristo nei domini dell'Impero romano sino alla fine del regno normanno in Italia meridionale, nel 1198, con la morte di Costanza d'Altavilla. Lo stesso Baronio, in una lettera al padre del 1579, mostrava piena consapevolezza di questa duplice prospettiva e definiva gli Annales Ecclesiastici, che avrebbero dovuto titolarsi Historia Ecclesiastica controversa, «esser cosa a' tempi nostri molto importante, qual ha da posser restar a martello, non solo contra gl'heretici, ma ancora alle obiettioni d'ogni persona dotta»20.
A questo proposito, giova ricordare che, sebbene in base al racconto agiografico fornito da Baronio durante il processo di beatificazione di Filippo Neri l'ardua impresa degli Annales fosse stata ordinata in sogno dal fondatore degli oratoriani21, in realtà l'opera venne richiesta da un'apposita commissione di cardinali e di studiosi istituita da Pio V nel 1571, al fine di predisporre una replica alle Centurie di Magdeburgo di cui erano usciti i primi tre volumi a Basilea nel 155922. A Baronio si era giunti dopo una serie di tentativi avviati a partire dagli anni Sessanta, ma rivelatisi infruttuosi o giudicati deludenti. Tra questi, Onofrio Panvino, autore di un'erudita cronologia ecclesiastica e di un trattato dall'esplicito titolo De primatu Petri & Apostolicae sedis potestate libri tres contra Centuriarum auctores, era morto prematuramente nel 156823; Girolamo Muzio, informatore laico dell'Inquisizione ai tempi di Gian Pietro Carafa e al servizio di Pio V dal 1567, aveva dato alle stampe nel 1570 una infervorata quanto scarsamente incisiva Historia sacra24. Infine, Carlo Sigonio, prescelto nel 1578 dalla commissione pontificia per redigere «l'historia sacra»25, era rimasto impantanato nelle polemiche suscitate da un suo primo saggio presentato nel 1579 e trattenuto «in mano del sig. card. Sirleto già molti mesi»26, come rammentava il cardinale Gabriele Paleotti in una lettera a Carlo Borromeo, in attesa che l'illustre porporato, più volte sollecitato, si pronunciasse «se si ha da seguitare in quella maniera et con quell'ordine»27. Trascorsi vari mesi, e poi alcuni anni, da Roma non arrivò alcuna autorizzazione a procedere ai fini della stampa e la Historia Ecclesiastica di Sigonio, in quattordici libri, rimase manoscritta fino al 1734, allorquando, «e Vaticanae Bibliothecae scriniis impetratam», fu pubblicata nel quarto volume dell'Opera omnia dello storico modenese, promossa tra gli altri dal conterraneo Muratori28.
Sigonio, già colpito sotto il pontificato di Pio V da un divieto di stampa che riguardava una sua storia della città di Bologna29, non aveva celato nella Historia Ecclesiastica la sua valutazione critica in merito alla controversa Donazione di Costantino e ad altri documenti concernenti la storia della Chiesa dei primi secoli, contravvenendo per questo alle prescrizioni dell'autorità ecclesiastica30 e non comportandosi da buon "italiano" cui «toccava mantener la riputazione del Papato», come asseriva un censore curiale31. Un ufficio, quest'ultimo, che al contrario Cesare Baronio si sarebbe assunto pienamente, non senza attraversare dissidi interiori dinanzi all'adempimento delle richieste che gli venivano mosse, come dimostra la corrispondenza con il confratello Antonio Talpa32. Di fatto, Baronio riuscì nell'impresa alla quale Sigonio si era sottratto, tanto che, alcuni anni dopo l'uscita dell'ultimo tomo degli Annales, un aspro critico di quell'opera come il frate servita Paolo Sarpi accusava l'oratoriano, da lui tanto avversato quanto accuratamente studiato33, di avere ristretto «alle ragioni del solo papato i disegni della Divina Provvidenza nel distribuire i beni e infliggere i mali»34; e il giurista gallicano Pierre Pithou sosteneva che quelli del Baronio non erano Annales Ecclesiastici, ma Annales de potestate Papae35. Lo stesso Baronio, in una lettera al confratello Antonio Talpa in cui riferiva dei frequenti incontri con l'ambasciatore francese a Roma, assicurava: «Si che tal intrinsechezza fa parlar de noi che siamo francesi, ci scusiamo però noi, che non siamo né francesi né spagnoli ma christiani apparecchiati a far servitio a tutti»36. È interessante notare, inoltre, che nell'Ordo qui servandus proponitur in historia Ecclesiastica pervestiganda37, una sorta di guida metodologica con l'indicazione delle fonti da utilizzare, il Baronio, nel distinguere le «res universales» della Chiesa dalle «historias privatas» delle singole province, tra queste ultime tralasciava di menzionare l'Italia come entità autonoma. Essa, infatti, non veniva inclusa nel quadro delle nascenti storiografie nazionali ove comparivano, ad esempio, la Sassonia, la Polonia, l'Austria, la Spagna e la Francia38. Questo, ovviamente, non significava un'esclusione della storia della penisola dalla trattazione baroniana. Basta sfogliare i dettagliati indici degli Annales, cui Baronio, consapevole che avrebbero rappresentato una formidabile bussola di orientamento in quella mole di pagine, dedicò una cura particolare, come dimostra il fitto carteggio con i suoi numerosi collaboratori39, per comprendere che questo testo costituisce una vera e propria miniera, in gran parte inesplorata, per indagare la rappresentazione dell'Italia in età postridentina e, nello stesso tempo, per analizzare la politica italiana della Chiesa negli anni in cui all'interno della curia si avvertiva sempre più l'esigenza di procedere con destrezza di fronte al dilagare del potere asburgico nella penisola40. Alla stesura e alla revisione degli Annales contribuirono gli ingegni più in vista dell'Oratorio. Basti ricordare solo alcuni dei collaboratori di Baronio: Camillo Severini, nel 1581 accusato da Filippo Neri di essere uno «spirito diabolico», denunciato all'Inquisizione di Roma e condannato a cinque anni di prigione41; Tommaso Bozio, promettente giurista e letterato, poi membro del gruppo originario dell'Oratorio, destinato a diventare uno dei principali teorizzatori dell'antimachiavellismo cattolico42; Antonio Talpa, personaggio di spicco della cultura oratoriana, tra i primi animatori della casa professa di Napoli, a poco a poco emarginato dalla memoria storica dell'ordine43; Giovenale Ancina, anch'egli inviato da Filippo Neri a Napoli, poi nominato vescovo di Saluzzo nel 1597, costretto dal papa Clemente VIII ad accettare la carica episcopale, morto avvelenato nel 160444. Destini diversi e incrociati, tutti ruotanti negli stessi anni intorno a Baronio e ai suoi Annales, che si muovevano sullo sfondo di una realtà difficile, percorsa da diffidenze, ricatti e delazioni che attendono ancora di essere studiati alla luce degli interessanti epistolari dei singoli protagonisti solo in parte editi45.
Prima di soffermarmi su due momenti specifici della ricostruzione storiografica di Baronio, mi sembra utile offrire un saggio dei richiami della voce «Italia» rilevati negli indici tematici dei vari tomi degli Annales46, che compaiono in maniera più significativa a partire dai volumi relativi al V secolo d.C.: Italia liberata a tyranno et ab ingruentibus barbaris (425), Italia ingenti fame vexatur (450), Italia dira fame et peste rursus vexata (534), eam invadunt Franci (540), Italia liberata a Gothis Narsetis opera (554), Italia invaditur a Francis cum Alemannis (555), Italia vastatur peste inguinaria (565), Italia dira passa est a Longobardis (570), Tota Italia vastatur gladio Longobardorum (577), Italia plena Ariana haeresi et Dei auxilio liberata (585), Italia Arianorum peste infligitur per Longobardos (590), Italiae status luctuosus sub Longobardis (593 e 595), Italia liberata ab Eleutherio Exarcho (615), Itali adversus Leonem Imp. ob haeresim rebellant (726), Italia Sarracenorum incursibus infestatur (843), Italia ab Hunnis affligitur (937), a Berengario tyranno divexatur (958), domesticis bellis dilaceratur (1035), Italia et urbs Roma latronibus et sicariis referta propter negligentiam antecessorum Pontificum purgatur a Gregorio VI Papa (1044), inficitur haeresi Arnaldi de Brixia (1139), flagrat bellis civilibus (1141).
Questa rapida e non esaustiva rassegna in cui domina l'immagine di un'Italia incessantemente battuta da eserciti stranieri e da sciagure naturali fornisce una prima possibile chiave interpretativa rispetto al tema di questo intervento.
Il paradigma, alimentato e diffuso dalla stagione delle guerre d'Italia del primo Cinquecento, di una penisola sempre rappresentata come una terra tormentata dalle discordie interne e afflitta da invasori esterni veniva utilizzato da Baronio in modo estensivo e retrospettivamente applicato a un passato anche remoto47. La stessa lettura ricorreva, del resto, anche in altre opere storiche coeve agli Annales, a cominciare dall'Italia travagliata dell'inquisitore domenicano Umberto Locati, pubblicata a Venezia nel 1576 con un titolo quanto mai esplicito48.
Mentre le monarchie europee - in quegli stessi paesi menzionati da Baronio nell'Ordo qui servandus proponitur in historia Ecclesiastica pervestiganda - erano alle prese con la definizione di una storiografia nazionale, anche sulla spinta delle laceranti contrapposizioni religiose, nella "quiete d'Italia" della seconda metà del XVI secolo i travagli appena trascorsi divenivano una moneta ben spendibile nel dibattito culturale e politico, facilmente riconducibile alla necessità di un pacificatore principio di autorità che avrebbe salvato la penisola dalle fratricide lotte confessionali e dal bagno di sangue che stava devastando il tessuto sociale e politico delle comunità d'Oltralpe49.
Se da una parte, però, Baronio ereditava dall'età precedente e assumeva una visione della penisola al negativo, dall'altra la scelta, argomentata dall'autore nella premessa, di intitolare la sua opera «potius Annales Ecclesiasticos quam Historias»50, come anche l'uso esibito, quasi ossessivo, delle fonti, comportava con la tradizione storiografica che l'aveva preceduto alcune implicazioni di non poco momento. Anzitutto, rispetto alla valorizzazione della storia contemporanea, diffusamente praticata dagli storici quattro-cinquecenteschi51, Baronio si concentrava sulla storia romana e su quella medievale. Riguardo alle fonti, in virtù della retorica del documento e dello storico-testimone esposta da Baronio sin dalla Praefatio ad lectorem52, egli ricorreva ampiamente agli autori antichi di cui riportava interi brani, spesso giustapposti senza soluzione di continuità, riducendo al massimo il giudizio storico53, limitandosi, nella maggioranza dei casi, a sottolineare l'intervento divino, e quasi sempre risolutore, nelle vicende umane. Il continuo ricorrere alle fonti significava, inoltre, richiamarsi a una auctoritas che rafforzava le affermazioni dell'autore e le presentava come non discutibili, alla stregua di un dogma per i fedeli54. Nella trattazione di Baronio non vi era spazio per i discorsi immaginati, ma sempre verosimili, né per i ritratti psicologici, che avevano animato alcune delle pagine più celebri della Storia d'Italia di Francesco Guicciardini o delle Historiae sui temporis di Paolo Giovio.
In questa sede mi soffermerò solo su due momenti del racconto di Baronio, in quanto cruciali per la storia della Chiesa e della penisola: il primo è il sacco di Roma del 410 a opera dei visigoti guidati dal loro re Alarico; il secondo è l'invasione dei longobardi nel VI secolo, che avrebbe dato origine nella penisola a un regno autonomo, esteso e potente.
La narrazione dell'anno 410, «funestissimus Urbi»55, come esordisce Baronio, è preceduta dalla dettagliata esposizione di alcuni provvedimenti ed editti dell'imperatore Onorio, tesa a suffragare la tesi, sostenuta a più riprese, di una Roma lasciata in balìa dei barbari per giusta punizione divina, non contro i peccati del sovrano, più volte definito «pio» dall'autore, ma contro «l'ostinata perfidia dei gentili»56, come si legge nella traduzione degli Annales di Baronio compiuta da Odorico Rinaldi. Il medesimo schema viene riproposto da Baronio per narrare l'invasione e l'occupazione messa in atto dai Vandali nel 409 a danno delle province spagnole «date in premio ai barbari per essere predate»57. La vicenda diventa allora l'occasione per un atto d'accusa contro gli Spagnoli sui quali si è abbattuto «il giusto vendicatore Iddio […] per li molti vitij, che tra loro regnavano, e massimamente per l'impurità: e imperciò li diede spetialmente in poter de' Vandali, gente per natura sopra tutti gli altri barbari vile e codarda»58.
Tuttavia, secondo la ricostruzione fornita da Baronio, l'irruzione in Roma del barbaro Alarico e del suo feroce esercito non rappresentava una sciagura, come invece appariva ad altri autori cristiani coevi agli avvenimenti, fra i quali, ad esempio, il padre della Chiesa Girolamo che, ricevendo la «terribile notizia» del sacco mentre si trovava a Betlemme, annotava commosso: «[…] la voce mi si strozza in gola. I singhiozzi mi impediscono di continuare a dettare queste parole. Ecco che viene conquistata la città che ha conquistato il mondo. Roma muore di fame prima che di spada»59. Al contrario, a ripercorre quei frangenti oltre un millennio più tardi, Baronio riduceva drasticamente la portata dell'evento soltanto a tre giorni di saccheggi - quando avrebbero potuto essere tre anni, come precisava - peraltro segnati da episodi di rispetto dei luoghi santi e della religione cristiana da parte dei barbari, dimodoché - scandiva l'autore - sarebbe stato più corretto chiamare il Sacco «minaccia» anziché «flagello»60. Eppure egli si basava su una fonte contemporanea agli avvenimenti, il prete spagnolo Paolo Orosio, lo stesso che riportava il brano di San Girolamo, dai toni ben più angosciosi.
Non solo, Baronio andava oltre lo spirito apologetico della fonte iberica tesa a fornire ai fedeli una ricostruzione dell'evento che giustificasse la mancata punizione divina. Egli, infatti, ricordava la protezione concessa da Alarico a quanti avessero trovato asilo nelle chiese dell'Urbe. Ben lungi dal presentare il Sacco come momento iniziale dell'inarrestabile crollo dell'impero, dunque, Baronio risolveva tutta la vicenda in un trionfo di Roma e della religione cristiana contro i pagani, vinti e abbattuti e con il riconoscimento da parte dei popoli barbari dell'autorità morale e religiosa della Chiesa61. A degno suggello del racconto, Baronio riportava la messa in scena di una solenne processione per le vie di Roma, ove i cristiani cantavano lodi a Dio, divenuti - «non senza gran miracolo», come sottolineava Baronio, «di vinti vincitori»62. Riecheggiando l'antico adagio «Graecia capta vincitores coepit» che asseriva l'idea di una superiorità della cultura greca sulla potenza militare romana, il prete oratoriano propugnava la tesi di una superiorità della religione sulla forza, mettendo in evidenza la funzione civilizzatrice svolta dalla Chiesa nella storia della penisola. I romani, che avevano soggiogato i greci con le armi, e i barbari, che si erano impossessati di Roma, apparivano accomunati, nella prospettiva di Baronio, dall'adesione a una medesima religione civile, quella pagana, incapace di resistere all'unica e vera religione, quella cattolica e romana, che unisce e che rafforza. Agli antipodi del paradigma machiavelliano63, che alla Chiesa attribuiva la responsabilità della divisione politica della penisola preda dei nuovi barbari, e che invece esaltava la forza di coesione della religione romana, Baronio sottolineava l'opera di unità religiosa e politica perseguita dalla Chiesa e sembrava occhieggiare al contemporaneo Giovanni Botero e alla sua idea di un cattolicesimo necessario all'Italia in virtù di un compromesso raggiunto con i poteri civili, un compromesso di quiete, di stabilità e di conservazione del potere.
A partire da quel drammatico evento, in cui Roma e i suoi abitanti erano stati soccorsi dalla Chiesa, si assiste negli Annales, da parte dei vari personaggi successivamente menzionati, a un sempre più esplicito e più diffuso sentimento di adesione alla causa romana e insieme cristiana. A questo proposito, è interessante notare che, dopo avere narrato la fine della guerra contro il tiranno Giovanni, nel 425, impossessatosi di Roma dopo la morte improvvisa di Onorio, e contro il generale Ezio sotto il regno ndi Galla Placidia, tornata l'Italia «col divin aiuto» in «somma pace»64 con l'imperatore Valentiniano III, Baronio riproduceva, a riprova della felicità dei tempi, una significativa medaglia d'oro. Essa riportava, da un lato, l'effigie di Valentiniano con un vangelo nella mano destra e una croce doppia ornata di perle nella sinistra; dall'altro lato, riproduceva la figura di Galla Placidia che con la mano destra sollevava l'Italia oppressa dal tiranno e, nella sinistra, teneva la croce gemmata grazie alla quale aveva riacquistato l'Impero occidentale65.
In queste pagine, il prete oratoriano mostrava tutta la sua distanza da una tradizione culturale secolare, quella umanistica, che, cimentatasi nella messa a punto di un'immagine coerente della realtà italiana a partire dall'Italia illustrata di Biondo Flavio, aveva fissato nell'anno 410 un punto di non ritorno per il declino della civiltà latina66. Secondo il racconto di Baronio, l'Italia cinquecentesca discendeva direttamente dall'età romana e non da quella barbarica, donde invece prendevano le mosse le grandi storie umanistiche della penisola, a cominciare dalle Decades ab inclinatione Romani imperii dello stesso Biondo, nonché le più tarde Historiae de Regno Italiae di Carlo Sigonio che si concludevano, all'incirca come gli Annales Ecclesiastici di Baronio, con l'anno 1198, ma esordivano con l'anno 568, al principio della parabola dei longobardi in Italia. Negli Annales la grandezza di Roma antica e dell'impero proiettava sulla penisola, sin dall'inizio della narrazione con l'avvento di Cristo sotto il regno di Augusto, una fisionomia unitaria, cosicché all'universalismo romano subentrava quello cristiano. Nella scansione cronologica degli Annales, alla successione degli imperatori si affiancava quella dei pontefici; due sequenze di altrettante declinazioni della storia apparentemente parallele, ma costantemente intrecciate poiché di una sola storia si trattava, ossia di quella ecclesiastica.
Il secondo aspetto su cui desidero soffermarmi riguarda la trattazione del regno longobardo in Italia. La discesa in Italia, nel 568, del re dei longobardi Alboino era preceduta, nella ricostruzione di Baronio, dal verificarsi di alcuni prodigi nei cieli della penisola che preannunciavano «l'uccisione grande degli italiani»67. Tuttavia, già prima di narrare l'espansione longobarda, dopo avere indugiato sul racconto della morte di Alboino, Baronio forniva al lettore la sua interpretazione di quella vicenda: la creazione di un regno longobardo in Italia appariva come voluta da Dio, al fine di rimuovere dal dominio della penisola gli imperatori orientali, ancora più crudeli dei barbari nei confronti dei romani. Distrutto il potere dei greci e poi quello dei longobardi, grazie all'intervento dei franchi, l'Italia sarebbe rimasta «in gran parte sotto la signoria del Pontefice»68.
A partire dal V secolo, dunque, i popoli barbarici si erano susseguiti nella penisola, eliminandosi reciprocamente; ma di fronte al continuo mutare delle vicende umane, all'inarrestabile declino dell'impero e alla generale precarietà delle realtà temporali (si trattasse di visigoti o di longobardi, nel cui regno qualche anno prima Carlo Sigonio, con ben altra sensibilità, aveva suggerito di scorgere le radici più autentiche della storia italiana) i papi avevano sempre svolto una funzione di baluardo nella penisola, come quando avevano aiutato la popolazione in tempo di carestia e di epidemie o come nell'anno 595 - ricordava Baronio - in cui avevano impedito che i longobardi entrassero a Roma, riacquistando «la libertà della Chiesa e la salute della città» con denari «oltre alle continue vigilie, a' molti digiuni e alle assidue orationi»69.
Allo stesso modo - ricordava Baronio mentre si accingeva a raccontare l'incoronazione di Carlo Magno - era stato il papa a riportare l'imperio occidentale a Roma, come si leggeva nelle sacre scritture: «Per me reges regnant, per me principes imperant»70. In sostanza nel racconto di Baronio procedendo lungo i secoli segnati dalla lotta per le investiture e dalla creazione del regno normanno in Sicilia si assisteva alla rappresentazione di un patrimonio storico della penisola in cui il papa e la Chiesa costituivano una garanzia di pace e dove i principi consolidavano il loro dominio o viceversa lo perdevano a seconda della loro condotta nei confronti della potestas pontificia. «Papae et Italiae status pariter procedunt», avrebbe sintetizzato nel 1596, Tommaso Bozio, prete oratoriano e collaboratore di Baronio, in un'opera intitolata De antiquo et novo Italiae statu, tutta incentrata nel narrare i disastri naturali e umani sofferti dalla penisola prima dell'avvento dell'impero cristiano71.
L'idea che il papa potesse svolgere un ruolo importante nella penisola era maturata negli anni delle guerre d'Italia durante i quali intorno ai pontefici erano ruotate molto spesso le alleanze militari e le trattative politiche tra i diversi principati della penisola. Pur tra ambiguità e contraddizioni, tale convincimento aveva rappresentato in quella fase cruciale la possibilità di una qualche reazione alla sistemazione geo-politica italiana, così come si andava definendo all'indomani dell'incoronazione imperiale di Bologna. Tra gli altri, il vescovo di Nocera de'Pagani, Paolo Giovio, in una lettera scritta nel 1549 al vescovo di Terragna durante il conclave di Giulio III, esponendo le sue previsioni sull'elezione del nuovo pontefice, aveva scritto: «si ha da presupporre che la memoria di papa Adriano sia assai fresca e per ciò non doveranno li Cardinali con tal esempio lasciar uscire il Papato da Italia come scelerati e traditori del nome della patria».72 Una difesa della "italianità" del papato che, tuttavia, esprimeva delle perplessità verso le nuove esigenze di riforma della Chiesa che lo stesso Giovio - come asseriva in un'altra lettera ad Alessandro Farnese del 1540 - ravvisava nell'intransigenza dei teatini: «i quali con strani appetiti vogliono zuccaro brusco e legare li elementi di questa antica macchina, e metterli in un sacco […], né si puone reformare con estrema severità li costumi e modo della corte romana: si puonno bene con dolce destrezza attenuare l'abusi, castigare l'avarizia, reprimere il lusso»73. È interessante notare che anche Giovio aveva scritto un'opera storica, le Istorie del suo tempo, venti libri riguardanti gli avvenimenti occorsi alla penisola a partire dalla discesa di Carlo VIII in Italia nel 1494 fino alla morte del re di Francia Francesco I nel 1547. Le Historiae di Giovio venivano date alle stampe nel 1550 dopo quasi trent'anni di lavoro minuzioso e indefesso tra interviste, sopralluoghi e fitti epistolari, attraverso uno dei periodi più travagliati della storia italiana, in una continua dialettica tra potere politico e potere religioso, vita civile ed ecclesiastica, tra cultura e religione74. Nel progetto storiografico di Giovio e di altri ecclesiastici che come lui nel Cinquecento rimasero fedeli al travaglio politico e religioso dell'umanesimo, la distinzione tra storia ecclesiastica e storia civile sarebbe stata impensabile. I nuovi equilibri tra potere politico e potere religioso75, venutisi a creare nella cosiddetta età della "quiete d'Italia" e delle guerre di religione in vari paesi d'Europa, resero inevitabile quella divisione che ancora oggi è immediatamente percepibile agli occhi del visitatore della splendida Sala Borromini nella Biblioteca Vallicelliana dove tra le diverse classi seicentesche di catalogazione dei libri colpisce nella sezione dedicata alla Historia vedere nettamente distinti gli «historici ecclesiastici» dagli «historici profani». Che la pubblicazione degli Annales Ecclesiastici di Baronio avesse significato apporre come un sigillo alla fulgida epoca della storiografia politica cinquecentesca, era ormai del tutto evidente allorquando, nel XVIII secolo, Ludovico Antonio Muratori si accingeva a scrivere quegli Annali d'Italia da cui abbiamo preso le mosse in questo contributo. Lo storico ed ecclesiastico modenese, estimatore di Carlo Sigonio - «perché niuno ne conosco, che sia da paragonar [con lui]»76 - guardava al modello umanistico e a questo intendeva idealmente ricongiungersi quando affermava di voler condurre la propria narrazione fino all'anno 1500 «nel quale ho deposta la penna, perché da lì innanzi potrà facilmente il Lettore consultar gli Storici contemporanei, che non mancano, anzi son molti»77.
1 L.A. Muratori, Annali d'Italia dal principio dell'era volgare sino all'anno 1500, Milano, G.B. Pasquali, in Venezia, 1744, p. ar.
2 Ibidem.
3 Ivi, p. av.
4 Ivi, p. a3v.
5 G. Ricuperati, Cesare Baronio, la storia ecclesiastica, la storia "civile" e gli scrittori giurisdizionalisti della prima metà del XVIII secolo, in Baronio storico e la Controriforma, Atti del convegno internazionale di studi (Sora, 6-10 ottobre 1979), a cura di R. De Maio, L. Gulia, A. Mazzacane, Sora, Centro di Studi Sorani, 1982, pp. 757-814, in particolare pp. 790-795.
6 L.A. Muratori, Carteggio con G. Domenico Brichieri Colombi, a cura di F. Marri e B. Papazzoni, Firenze, Olschki, 1999, vol. 10, t. I (Edizione Nazionale del Carteggio di L.A. Muratori, Centro di Studi Muratoriani di Modena), p. 240, lettera a Brichieri Colombi, Modena, 23 dicembre 1742.
7 Sulla genesi redazionale delle Notationes e sul loro stretto legame con gli Annales si veda G. Guazzelli, Cesare Baronio e il Martyrologium Romanum: probemi interpretativi e linee evolutive di un rapporto diacronico, in Nunc alia tempora alii mores. Storici e storia in età postridentina, Atti del Convegno internazionale (Torino, 24-27 settembre, 2003), a cura di M. Firpo, Firenze, Olschki, 2005, in particolare pp. 60-77.
8 Per una rassegna delle opere storiche di autori italiani riguardanti le guerre di religione in Francia, si veda S. Moretti, Da una "allegrezza" all'altra dalla pace di Cateau Cambrésis alla notte di San Bartolomeo, in «Annali dell'Istituto storico italo-germanico in Trento», XXI, 1995, pp. 229-266.
9 Cfr. G. Galasso, Aspetti della storiografia italiana tra Rinascimento e età barocca, in Id., Dalla "libertà d'Italia" alle "preponderanze straniere", Napoli, Editoriale Scientifica, 1997, pp. 374-396; A. Musi, Forme della storiografia barocca, in I capricci di Proteo. Percorsi e linguaggi del Barocco, Atti del convegno di Lecce, 23-26 ottobre 2000, a cura di E. Malato, Roma, Salerno editrice, 2002, pp. 457-478.
10 E. Cochrane, Historians and Historiography in the Italian Renaissance, Chicago and London, The University of Chicago Press, 1981, pp. 295 e sgg.
11 Sulla diffusione a metà Cinquecento di una produzione storiografica impegnata a definire un modello di storia d'Italia si vedano le considerazioni di A. Prosperi, L'Italia di un inquisitore, in L'Italia dell'inquisitore. Storia e geografia dell'Italia del Cinquecento nella Descrittione di Leandro Alberti, Atti del Convegno Internazionale di studi (Bologna, 27-29 maggio 2004), a cura di M. Donattini, Bologna, Bononia University Press, 2007, pp. 4-10.
12 Per una riflessione su quest'opera nel quadro di un'affermazione del ruolo della Chiesa e del papa come tutori dell'unità religiosa dell'Italia e della sua difesa anche sul piano temporale, mi permetto di rinviare al mio saggio L'Italia travagliata dell'inquisitore Umberto Locati (1503-1587), in Nunc alia tempora alii mores. Storici e storia in età postridentina, cit., pp. 311-334.
13 Sul contributo delle opere di Sigonio considerate principalmente dal punto di vista del rapporto tra storia sacra e storia profana si veda P. Prodi, Storia sacra e controriforma. Note sulle censure al commento di Carlo Sigonio a Sulpicio Severo, in «Annali dell'Istituto storico italo-germanico in Trento», III, 1977, pp. 75-104; Id., Vecchi appunti e nuove riflessioni su Carlo Sigonio, in Nunc alia tempora alii mores. Storici e storia in età postridentina, cit., pp. 291-310; più in generale sullo storico modenese si rimanda alla monografia di W. McCuaig, Carlo Sigonio: the changing world of the late Renaissance, Princeton, Princeton University Press, 1989.
14 Cfr. G. Guazzelli, Cesare Baronio e il Martyrologium Romanum, cit., p. 55, cui si rinvia per un'accurata ricostruzione dei contenuti e delle vicende redazionali del Martyrologium Romanum.
15 Cfr. M. Gotor, I beati del papa. Santità, Inquisizione e obbedienza in età moderna, Firenze Olschki, 2002, p. 135.
16 Cfr. G. Fragnito, La Bibbia al rogo. La censura ecclesiastica e i volgarizzamenti della Scrittura (1471-1605), Bologna, Il Mulino, 1997, p. 201, nota 3.
17 Sugli schieramenti in campo nei conclavi del 1605 e sulle ragioni della mancata elezione di Baronio, definito nelle fonti spagnole «que solo se ha ocupado en historia […] hombre de poca noticia o ninguna en las cosas políticas», si rinvia alla recente ricostruzione di M.A. Visceglia, «La reputación de la grandeza»: il marchese di Villena alla corte di Roma (1603-1606), in «Roma moderna e contemporanea», XV, 2008, fasc. 1-3, pp. 141-147, da cui è tratta la citazione a p. 154. Sul veto opposto dalla Spagna si veda anche F. Ruffini, Perché Cesare Baronio non fu papa. Contributo alla storia della "Monarchia sicula" e del 'Ius esclusivae', in Per Cesare Baronio. Scritti vari nel terzo centenario della sua morte, Roma, Athenaeum, 1911, pp. 361-394.
18 Cfr. S. Zen, Baronio storico. Controriforma e crisi del metodo umanistico, Napoli, Vivarium, 1994, pp. 159 e sgg.
19 L'espressione è di G. Ricuperati, Cesare Baronio, la storia ecclesiastica, la storia "civile" e gli scrittori giurisdizionalisti della prima metà del XVIII secolo, cit., p. 760.
20 Lettera del 25 aprile 1579, cit. in G. Calenzio, La vita e gli scritti del cardinale Cesare Baronio della Congregazione dell'Oratorio, Roma, Tipografia Vaticana, 1907, pp. 162-163. Su questo punto si vedano S. Zen, Baronio storico, cit., p. 130; A. Walz, Baronio "Pater Annalium Ecclesiasticorum", in A Cesare Baronio. Scritti vari, Sora, Tipografia Editrice M. Pisani, 1963, p. 269.
21 Il primo processo per san Filippo Neri, a cura di G. Incisa della Rocchetta e N. Vian, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, vol. II, pp. 292-293.
22 S. Zen, Baronio storico, cit., pp. 69-70, p. 129.
23 J.L. Ferrary, Onofrio Panvinio et les antiquités romaines, Rome, Ecole française de Rome, 1996.
24 Cfr. S. Bertelli, Ribelli, libertini e ortodossi nella storiografia barocca, Firenze, La Nuova Italia, 1973, pp. 61-63.
25 P. Prodi, Il cardinale Gabriele Paleotti (1522-1597), vol. II, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1967, p. 256, nota 126.
26 Ivi, p. 257, nota 128.
27 Ivi, p. 257.
28 C. Sigonio, Historia Ecclesiastica a Christo nato ad annum CCCXI nunc primum e MSS. Bibliothecae Vaticanae in lucem edita, in Id., Opera omnia, vol. IV, Mediolani, in aedibus Palatinis, 1734 (la citazione è tratta dalla lettera prefatoria di Filippo Argelati, curatore del volume, al domenicano Nicola Maria de Franchis, pp. nn.). Come si evince dall'incipit del I libro, nel progetto iniziale la narrazione di Sigonio doveva giungere fino all'anno 1580.
29 P. Prodi, Il cardinale Gabriele Paleotti (1522-1597), vol. II, cit., pp. 252-253.
30 P. Prodi, Storia sacra e controriforma, cit., p. 85.
31 R. Fubini, Baronio e la tradizione umanistica. Note su di un libro recente, in «Cristianesimo nella storia», XX, 1999, p. 155; W. McCuaig, C. Sigonio: the changing world of the late Renaissance, cit., p. 258*.
32 Lettera di Baronio a Talpa, Roma 1° dicembre 1590: «[…] Di più l'editto della donatione è pieno di bugie inescusabili. Vi prego per carità non mi fatte imbrattar la penna a scrivere et defendere si fatte menzogne a Dio odibili, qual è Dio di verità. Ho visto quanto sopra di ciò è stato scritto da altri in difensione, et trovo tutto esser pagliaccia, ne credo possi aggiungervisi altro. Assai mi par portarmi modestamente a non la impugnare à fatto, come converrebbe a chi fa professione scrivere la verità. Se le reverentie vostre trovaranno altre parole per le quali io così passandola, non meriti taccia, le ascolterò volentieri. De volerla difendere et indrizzare le gambe ai cani, perdonatemi non lo saprei mai fare perché certo mi parrebbe peccare e gravemente. Quel che ho scritto , parmi che possi stare, parlando solamente che nessuno mi possa opporre ch'io la neghi, ne altri homini dotti ridersi ch'io la confermi» (M. Borrelli, Memorie baroniane dell'Oratorio di Napoli, in A Cesare Baronio, cit., p. 111, si veda anche la lettera a pp. 114-115, Roma 20 giugno 1591).
33 P. Sarpi, Opere, a cura di G. e L. Cozzi, Torino, Einaudi, 1978, ad indicem.
34 Lettera a Isaac Casaubon, 8 giugno 1612, in P. Sarpi, Lettere a gallicani e protestanti, a cura di G. e L. Cozzi, Torino, Einaudi, 1978, p. 47.
35 *I. Casaubon, De rebus sacris et ecclesiasticis exercitationes XVI ad Cardinalis Baronii Prolegomena in Annales et primam partem de Domini Nostri Iesu Christi nativitate, vita, passione, assumptione…, Londini, Billium, 1614, lettera dedicatoria a Giacomo I d'Inghilterra, pp. nn. (il giudizio è citato in G. Ricuperati, Cesare Baronio, la storia ecclesiastica, la storia "civile" e gli scrittori giurisdizionalisti della prima metà del XVIII secolo, cit., p. 769).
36 Lettera di Baronio a Talpa, Roma 23 settembre 1595 (in M. Borrelli, Memorie baroniane dell'Oratorio di Napoli, p. 170).
37 L'Ordo è stato pubblicato, di recente, in S. Zen, Baronio storico, cit., pp. 348-354.
38 Ivi, p. 352. Si sofferma su questo aspetto R. Fubini, Baronio e la tradizione umanistica. Note su di un libro recente, cit., p. 156.
39 M. Borrelli, Memorie baroniane dell'Oratorio di Napoli, cit., pp. 102-103, 217-218. Cfr. S. Zen, Baronio storico, cit., pp. 162 e sgg.
40 Sul ruolo e sulle strategie della corte papale dinanzi alla presenza spagnola nella penisola, si vedano i saggi di G. Signorotto, Note sulla politica e la diplomazia dei pontefici (da Paolo III a Pio IV), in M. Fantoni, Carlo V e l'Italia, Roma, Bulzoni, 2000, pp. 47-76; Id., Lo Stato di Milano nell'età di Filippo II. Dalle guerre d'Italia all'orizzonte confessionale, in Filippo II e il Mediterraneo, a cura di L. Lotti e R. Villari, Roma-Bari, Laterza, 2003, pp. 25-56.
41 M. Gotor, I beati del papa, cit., p. 109-113; S. Zen, Baronio storico, p. 160.
42 P. Craveri, Bozio, Tommaso, in Dizionario biografico degli Italiani, vol. 13, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1971, pp. 568-571. Cfr. S. Mastellone, Tommaso Bozio, l'«intransigente» amico del Baronio, teorico dell'ordine ecclesiastico, in Baronio storico e la Controriforma, cit., pp. 219-230.
43 M. Borrelli, Memorie baroniane dell'Oratorio di Napoli, cit.; cfr. M. Gotor, I beati del papa, cit., p. 91, nota 48.
44 P. Damilano, Ancina, Giovanni Giovenale, in Dizionario biografico degli Italiani, vol. 13, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1961, pp. 40-43; M. Gotor, I beati del papa, cit., pp. 386-387; S. Zen, Baronio storico, cit., pp. 71-72.
45 M. Borrelli, Memorie baroniane dell'Oratorio di Napoli, cit.
46 Si veda l'edizione degli Annales Ecclesiastici, a cura di A. Pagi, Lucca, Typis Leonardi Venturini, 1738-1759, voll. I-XXXVIII.
47 Per un'applicazione recente di questo modulo interpretativo della storia italiana si veda G. Arnaldi, L'Italia e i suoi invasori, Roma-Bari, Laterza 2002.
48 Per alcune considerazioni su quest'opera, mi permetto di rinviare al mio articolo L'Italia travagliata dell'inquisitore Umberto Locati, cit., pp. 321-324.
49 Si tratta di una interpretazione accreditata anche in tempi recenti, tra gli altri, da L. von Pastor, Storia dei papi dalla fine del Medio Evo, vol. VIII, Pio V (1566-1572), Roma, Desclée, 1951, pp. 262-263 e da A. Stella, L'Inquisizione romana e i movimenti ereticali al tempo di San Pio V, in San Pio V e la problematica del suo tempo, Cinisello Balsamo (MI), Cassa di Risparmio di Alessandria, 1972, p. 65.
50 C. Baronio, Annales Ecclesiastici, Romae, Ex Typographia Congregationis Oratorij apud S. Mariam in Vallicella, 1593, p. b4.
51 Cfr. R. Fubini, Storiografia dell'umanesimo in Italia da Leonardo Bruni ad Annio da Viterbo, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 2003, pp. VII-XVII; F. Tateo, Storiografia e trattatisti, filosofi, scienziati, artisti, viaggiatori, in Storia della letteratura italiana, vol. IV, Il primo Cinquecento, diretta da E. Malato, Roma, Salerno editore, 1996, pp. 1029-1030; G. Ianziti, Storiografia e contemporaneità. A proposito del "Rerum suo tempore gestarum commentarius" di Leonardo Bruni, in «Rinascimento», XXX, 1990, pp. 3-28.
52 C. Baronio, Annales Ecclesiastici, (Romae, 1593), cit., t. I, p. b5r: «In primis igitur, quod ad titulum spectat, cur potius Annales Ecclesiasticos quam Historiam, huiuscemodi lucubrationes nostras maluerimus nuncupare, hunc afferimus rationem, eo nempe discrimine veteres ab Historia Annales distinxerunt, quod illa proprie res suorum temporum gestas, quas auctor vel vidit, vel potuit videre, pertractet, neque tantum quid gestum sit, sed et qua ratione, quove consilio, indicet: Annalium contra scriptor res antiquas, ut plurimum, quas sua non novit aetas, easdemque per annos singulos monumentis commendet».
53 Cfr. S. Bertelli, Ribelli, libertini e ortodossi nella storiografia barocca, cit., pp. 65-66.
54 Sull'uso della fonte come esigenza di richiamarsi a un principio di autorità negli storici del secondo Cinquecento si vedano le considerazioni di G. Spini, I trattatisti dell'arte storica nella controriforma italiana, in Contributi alla storia del Concilio di Trento e della Controriforma, Quaderni di «Belfagor», 1, 1948, pp. 109-136.
55 C. Baronio, Annales Ecclesiastici, (a cura di A. Pagi, Lucca) cit., t. VI, 1740, p. 573.
56 C. Baronio, Annali Ecclesiastici volgari, per Odorico Rinaldi, in Roma, appresso Vitale Mascardi, poi il Varese, 1656, t. II, p. 419.
57 C. Baronio, Annali Ecclesiastici volgari, cit., t. II, p. 421. C. Baronio, Annales Ecclesiastici, (a cura di A. Pagi, Lucca) cit., t. VI, 1740, cit., p. 571: «[…] in praemium datae sunt barbaris Hispaniae depraedandae».
58 C. Baronio, Annali Ecclesiastici volgari, cit., t. II, p. 421. C. Baronio, Annales Ecclesiastici, (a cura di A. Pagi, Lucca) cit., t. VI, 1740, cit., pp. 571-572.
59 P. Orosio, Le storie contro i pagani, a cura di A. Lippold, traduzione di A. Bartolucci, 2 voll., Fondazione Lorenzo Valla, Mondadori, s.l., 1976, II, p. 383 (VII, 39); il passo è citato in G. Arnaldi, L'Italia e i suoi invasori, Roma-Bari, Laterza, 2002, pp. 5-6.
60 C. Baronio, Annali Ecclesiastici volgari, cit., t. II, p. 427.
61 C. Baronio, Annali Ecclesiastici volgari, cit., t. II, p. 425: «Chi, attentamente considerando queste cose, non comprende che Iddio non per altra cagione permise, che Alarico entrasse in Roma, che perché apparecchiasse, a onta degl'idolatri, un nobile trionfo della religion Christiana contra la gentilità vinta e abbattuta? [….] sì che mai Roma non vide più nobile trionfo, dove s'aprirono in un momento per la libertà e salute de' nostri tanti luoghi di franchigia e di sicurezza, quante chiese erano in Roma». C. Baronio, Annales Ecclesiastici, (a cura di A. Pagi, Lucca) cit., t. VI, 1740, pp. 582-583. Su questo punto cfr. R. Fubini, Baronio e la tradizione umanistica. Note su di un libro recente, cit., p. 157.
62 C. Baronio, Annali Ecclesiastici volgari, cit., p. 425: «Né mancò a tanto trionfo la pompa, andando per lungo camino cantando, come havete udito, laudi a Dio innumerabili Christiani, repente divenuti (non senza gran miracolo) di vinti vincitori; e menando quelli, che erano dianzi paruti schiavi de' barbari, in trionfo i barbari medesimi carichi di preda. Di che s'adempiè il divino oracolo». C. Baronio, Annales Ecclesiastici, (a cura di A. Pagi, Lucca) cit., t. VI, 1740, p. 583: «[…] ex victis uno momento magno miraculo victoribus redditis».
63 N. Machiavelli, Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, libro I, cap. 12, in Id., Opere, a cura di C. Vivanti, Torino, Einaudi-Gallimard, 1997, vol. I, pp. 231-234.
64 C. Baronio, Annali Ecclesiastici volgari, cit., p. 514.
65 C. Baronio, Annales Ecclesiastici, (a cura di A. Pagi, Lucca) cit., t. VII, 1741, p. 245. C. Baronio, Annali Ecclesiastici volgari, cit., p. 514.
66 R. Fubini, L'idea di Italia fra Quattro e Cinquecento: politica, geografia storica, miti delle origini, in «Geographia Antiqua», VII, 1998, pp. 53-66; Id., Biondo, Flavio, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1968, vol. 10, pp. 536-559.
67 C. Baronio, Annali Ecclesiastici volgari, cit., t. III, p. 125. C. Baronio, Annales Ecclesiastici, (a cura di A. Pagi, Lucca) cit., t. X, 1741, p. 266.
68 C. Baronio, Annali Ecclesiastici volgari, cit., t. III, p. 132. C. Baronio, Annales Ecclesiastici, (a cura di A. Pagi, Lucca) cit., t. X, 1741, cit., p. 293: «Sed de propagatione Longobardorum in Italia regni, divinum admirare consilium quod manifeste declararunt eventa, Deum permisisse eiusmodi feros barbaros potiri Italia, ut eius dominio Orientales exueret Imperatores quibusvis barbaris adversus Romanos truciores; sicque tandem fieret ut excussa Graecorum tyrannide, et vendicata a Francis cum Urbe Italia eadem magna ex parte cederet Romano Pontifici […]».
69 C. Baronio, Annali Ecclesiastici volgari, cit., t. III, p. 195. C. Baronio, Annales Ecclesiastici, (a cura di A. Pagi, Lucca) cit., t. X, 1741, p. 581.
70 C. Baronio, Annali Ecclesiastici volgari, cit., t. III, p. 479. C. Baronio, Annales Ecclesiastici, (a cura di A. Pagi, Lucca) cit., t. XIII, 1743, p. 359 (Libro dei Proverbi, VIII, 15-16).
71 T. Bozio, De antiquo et novo Italiae statu, Romae, Apud Guglielmum Facciottum, 1596. Il trattato fu pubblicato per la prima volta a Roma nel 1595, la citazione è a p. 293 dell'edizione del 1596.
72 P. Giovio, Lettere, a cura di G.G. Ferrero, in Id., Opera, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1958, t. II, p. 154. La lettera è indirizzata al vescovo di Terracina, Ottaviano Raverta, ed è datata Como dicembre 1549.
73 P. Giovio, Lettere, cit., t. I, p. 247.
74 Per alcune considerazioni sulle vicende redazionali delle Historiae di Giovio rinvio al mio «Historici bugiardi». La polemica cinquecentesca contro Paolo Giovio, in Storia sociale e politica. Omaggio a Rosario Villari, a cura di A. Merola, G. Muto, E. Valeri, M.A. Visceglia, Milano, FrancoAngeli, 2007, pp. 115-137.
75 Rinvio alle considerazioni di P. Prodi, Storia sacra e Controriforma, cit., p. 99, riprese dall'autore di recente in Vecchi appunti e nuove riflessioni su Carlo Sigonio, cit., p. 307; si vedano anche G. Galasso, Cesare Baronio, in Id., Dalla "libertà d'Italia" alle "preponderanze straniere", Napoli, Editoriale Scientifica, 1997, pp. 323-324; E. Norelli, L'autorità della Chiesa antica nelle Centurie di Magdeburgo e negli Annales del Baronio, in Baronio storico e la Controriforma, cit., p. 306.
76 L.A. Muratori, Annali d'Italia, cit., p. a2r.
77 Ibidem.