L'uso della Cappella Reale nel periodo barocco: devozione o giustificazione politica?

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Author: 
Esther Jiménez Pablo
Università di Teramo

Carlo V (1516-1556) e suo figlio Filippo II (1556-1598) mostrarono sempre un particolare interesse nel ridefinire il ruolo della cappella reale all'interno dello spazio costituito dalla casa reale. Per entrambi i sovrani, ristrutturare la cappella reale, non solo con l'ampliamento all'interno dell'Alcázar, ma anche con la creazione di un'etichetta e la definizione di una cerimonia religiosa d'accordo con il potere dei monarchi stessi, era un compito arduo e complicato se teniamo conto del volume di disposizioni riguardanti le funzioni religiose e cerimoniali, e la regolamentazione che derivava dalla composizione stessa delle case reali. [1] Per comprendere la spiritualità della cappella reale durante il periodo barocco è necessario prendere come punto di partenza la composizione e l' organizzazione all'interno delle varie case reali.

 

L'imposizione dell'ortodossia nella Cappella Reale spagnola durante il regno di Filippo II

La casa dell'allora principe e futuro re Filippo II prese forma a partire dall'anno 1548, quando Carlo V ordinò che la casa di suo figlio, di tradizione castigliana, dovesse seguire il modello borgognone. La casa del principe e la servitù al suo interno seguivano, di conseguenza, entrambi i modelli, castigliano e borgognone, anche se gli uffici riconducibili al modello borgognone divennero i più importanti di tutta la casa. [2] Seguendo il modello borgognone, la casa del principe Filippo si arricchì di varie e importanti sezioni, come la camera, la scuderia, la dispensa, il servizio di tavolo, la cucina ed altre attività aggiuntive, mentre il numero dei membri cresceva e il cerimoniale diventava più preciso, raggiungendo le dimensioni e il numero dei membri della casa di Borgogna dell'Imperatore Carlo V. [3] Nel frattempo, la casa del principe di Castiglia veniva gradualmente ridotta alla sola cappella, dal momento che gli altri uffici ed il restante personale erano stati sostituiti dai membri della Casa di Borgogna o in quest'ultima trasferiti. [4]

La compresenza delle due case del principe divenne ancor più complicata quando Carlo V decise di abdicare in favore del figlio, lasciandogli prima le Fiandre nel 1555, e l'anno seguente gli altri territori che costituivano la Monarchia spagnola, compresi i suoi possedimenti italiani e americani. Carlo V, preparato per ritirarsi a Yuste, lontano del governo, decise di trasferire al figlio le sue due case, conosciute anche come casa di Borgogna e casa di Castiglia. Ereditate, quindi, le due case dal padre, queste vennero incorporate alle sue: in tal modo, nel 1559 Filippo II, come monarca cattolico, era il titolare di una cappella impressionante, sia nel numero di servi - Luis Robledo calcola più o meno 201 membri - come nel cerimoniale religioso. [5]

Questa graduale sovrapposizione di case nella cappella reale è stata accompagnata da uno spostamento ideologico durante il regno di Filippo II, che è essenziale per comprendere l'evoluzione spirituale della cappella reale. In questo senso, il settore della casa di Castiglia ha avuto maggior peso nel plasmare una particolare sensibilità religiosa nella corte, e in generale, in tutta la società spagnola, rispetto al settore borgognone che ha messo in risalto la parte cerimoniale della cappella, soprattutto dal punto di vista musicale. Se osserviamo gli uffici della cappella nel 1550, erano i predicatori e i cappellani non cantori quelli che formavano la maggior parte del settore della casa di Castiglia di Filippo II, di contro all'alto numero di cantori e cappellani d'altare che cantavano e che formavano il settore borgognone. Questa distinzione è più evidente se si considera la politica religiosa del Re Prudente e il processo di "confessionalizzazione" frutto del progetto religioso comune alla maggior parte dei predicatori nominati tra il 1556 e il 1557. [6]

In generale, il cambiamento politico che si verificò con il cambio di regno potrebbe essere riassunto come segue. Dal 1554, Filippo II fu assente dal regno perché impegnato a raggiungere i Paesi Bassi e l'Inghilterra (dove avrebbe sposato Maria Tudor) e lasciò sua sorella Juana come reggente in Castiglia. In questa occasione, il nobile portoghese Ruy Gomez de Silva, in seguito principe di Eboli, che era stato all'ombra del governo contrastando l'influenza del duca d'Alba nella corte, accompagnò Filippo II nel suo viaggio. Questa vicinanza al re permise a  Eboli di tessere la propria rete di potere nella corte spagnola fino a formare una fazione politica e cortigiana chiamata "ebolista". [7] I membri di questo gruppo aprofittarono della fiducia della principessa reggente per consolidare il proprio potere nella corte, raggiungendo le più alte posizioni nell'amministrazione della monarchia e attuando una strategia per isolare il capo della fazione opposta, don Fernando Álvarez de Toledo, III duca d'Alba. [8] L'occasione per allontanare il duca d'Alba dalla corte fu la crisi in Italia: quando il Duca venne inviato a Milano, e poi a Napoli, per risolvere le questioni ivi sorte, gli "albistas" vennero allontanati e sostituiti dai membri della fazione "ebolista".

Nonostante ció, la Corte era ancora influenzata da un personaggio che non poteva tollerare l'influenza degli "ebolistas" nell'amministrazione della monarchia. Si trattava dell'Inquisitore Generale Fernando Valdés, caratterizzato da una rigida ortodossia ed un esacerbato formalismo religioso. Valdés cercó di formare una propria fazione all'interno della Corte, ma non fu mai così coesa come la fazione nobile "ebolista". Tra i sostenitori di Valdés c'erano teologi influenti come il domenicano Melchior Cano, professore di Salamanca, con cui Valdés inizió la persecuzione contro la Compagnia di Gesù, l'Ordine religioso protetto dagli "ebolistas". Di conseguenza in quegli anni molti gesuiti vennero accusati e processati per essere considerati illuminati o alumbrados. [9] In realtà si è poi constatato che l'influenza di Valdés e dei suoi sostenitori nella corte spagnola si esprimeva solo al livello teorico e unicamente nel campo inquisitoriale. In pochi anni Valdés pubblicò il catalogo dei libri proibiti del 1559 (causa effettiva del processo contro Carranza), gestì la decomposizione del foco luterano di Valladolid e iniziò la persecuzione inquisitoriale contro Francisco de Borja. [10]

Tale azione inquisitoriale influenzò in modo decisivo l'evoluzione della Cappella Reale: iniziarono i processi e si infuse il sospetto su un certo numero di predicatori e cappellani, tutti della sezione castigliana della cappella reale di Filippo II e tutti protetti dai membri della fazione "ebolista". Non è un caso che tutti gli imputati provenissero da famiglie di origine ebraica, costrette alla conversione per paura di una persecuzione inquisitoriale, e con una spiritualità più personale e intima, lontana dall'ortodossia religiosa che Valdés aveva cercato di imporre alla società. Questo fu il caso di don Bartolomé Carranza de Miranda, che aveva studiato presso l'Università di Alcalá e la cui reputazione come teologo gli aveva fatto guadagnare la fiducia dei membri della famiglia reale, che lo vollero come predicatore eccezionale della cappella reale. Per di più, Carlo V lo inviò al Concilio di Trento come teologo. Ma nel 1557 Carranza fu accusato di eterodossia dall'Inquisizione per il Catechismo che aveva pubblicato, e la sua persona venne legata alla nascita del gruppo di luterani a Valladolid. [11] Da quel momento, Carranza venne allontanato dalla corte e l'inquisizione diede avvio alla sua prigionia e alla distruzione dei suoi libri e documenti. [12] Un altro personaggio allontanato della cappella reale per la sua posizione, legata alla fazione degli "ebolistas", fu il cappellano e predicatore Agustín de Cazalla, che aveva servito nella Casa castigliana di Carlo V. Era figlio del contador reale Pedro de Cazalla e di Leonor di Vibero, che erano stati diffamati dall'Inquisizione di Siviglia e accusati di essere ebrei. Cazalla compì gli studi a Valladolid, sotto la guida di don Bartolomé de Carranza, con cui si confessava. In seguito si recò ad Alcalá, dove si laureò come maestro in arte nello stesso periodo del futuro generale della Compagnia di Gesù, Diego Lainez, anch'egli di origine ebraica. Nel 1542, nominato cappellano e predicatore da Carlo V, viaggiò con l' imperatore per tutto l'Impero e le Fiandre fino al 1552. Al suo ritorno nella penisola, a Valladolid, Cazalla, come Carranza, venne accusato di voler introdurre il luteranesimo nei territori spagnoli dell'imperatore. Costretto a lasciare il suo ufficio nella cappella reale, venne accusato di appartenere al gruppo luterano di Valladolid: l'Inquisizione comminò la sentenza di morte e tutti gli imputati, Cazalla incluso, furono arsi sul rogo. [13]

Le persecuzioni inquisitoriali di Carranza e Cazalla servono per comprendere la rimozione dalla cappella reale dei membri che, anni prima, avevano monopolizzato l'orientamento religioso della corte e dei regni iberici. Si trattava di religiosi che sostenevano gli interessi politici del gruppo "ebolista" (e, viceversa, "ebolistas" che condividevano la spiritualità di questi religiosi), e ciò evidenzia come la persecuzione inquisitoriale contro di essi nascondesse connotazioni spirituali e politiche. La rimozione dalla cappella reale di questo gruppo di religiosi, tutti cappellani e predicatori, fu un cambiamento radicale nella concezione religiosa e spirituale che aveva, fino ad allora, dominato nella cappella reale. Dal momento in cui ereditò i regni lasciati da suo padre, il Re Prudente si trovò con il doppio compito di articolare i così vasti ed eterogenei territori della monarchia e di impiantare la confessione cattolica adottata come religione della dinastia. Senza dubbio, il processo di confesionalización di Filippo II [14], iniziato nel 1560, serviva per dare alla Monarchia un'unità religiosa, oltre che istituzionale. In questo processo, l'Inquisizione fu l'istituzione che controllava il grado di assimilazione del cattolicesimo nella società. Così, per ottenere un incarico di governo nella monarchia o nella Chiesa era necessario non solo la purezza del sangue in stile tradizionale (cioè, non avere ascendenza ebraica o araba), ma anche non avere antenati processati dall'Inquisizione per qualsiasi eresia. Il monarca si circondò quindi di un gruppo di letrados castigliani per dare vita a un progetto così ambizioso, che imponeva una certa interpretazione del dogma cattolico e determinate pratiche religiose, in maniera non dissimile dalle élites che, durante il XV secolo, avevano spinto i monarchi ad escludere i "nuovi cristiani" dagli incarichi di governo e ad istituire l'Inquisizione. Era il trionfo di una ortodossia intellettuale e formale, già sostenuta dalla scolastica dei domenicani, [15] per la quale avvicinarsi alla divinità era possibile soltanto attraverso l'intelletto, la liturgia e le cerimonie esteriori.

Questo processo si riflette nella cappella reale, dove vennero imposti statuti severi al fine di assicurare la purezza di sangue per la maggior parte dei suoi uffici. Inoltre, entrarono a far parte della cappella un gran numero di persone che avevano difeso l'ortodossia castigliana, mentre, come già detto, vennero espulsi tramite l'Inquisizione quei membri che non condividevano le nuove posizioni dominanti. [16] Pertanto, l'azione politica della monarchia, nelle mani dei letrados castigliani, aveva bisogno di una giustificazione politico-religiosa e, per questo, si rese necessario rimuovere quei predicatori che non erano conformi al tipo di spiritualità che si voleva imporre nei regni, e nominare nuovi predicatori che difendessero l'ortodossia castigliana. Tale cambiamento iniziò negli anni 60 del XVI secolo ed è evidente nella sezione castigliana della cappella, quella che determinava l'ortodossia religiosa che dovevano praticare tutti i regni della monarchia spagnola di Filippo II.

 

Il cambiamento nella cappella reale durante il regno di Filippo III

Il regno di Filippo III segnò un cambiamento sostanziale nella concezione di ciò che, fino ad allora, aveva significato la monarchia spagnola e, nella cappella reale, è dove si può meglio apprezzare questa trasformazione. L'aspetto più importante fu il cambiamento nei rapporti che la monarchia aveva con il papato e il fatto che, a partire dal XVII secolo, la monarchia asburgica venne conosciuta come "Monarchia cattolica". In questa trasformazione hanno avuto un ruolo da protagonista gli ordini "scalzi e recolletti" che furono utili ai papi (in particolare a Clemente VIII e a Paolo V) per cambiare i rapporti di potere con la monarchia spagnola, che da quel momento si mise a disposizione del Pontefice. Tale passaggio fu possibile per il malcontento di una parte della società verso la spiritualità ascetica e intellettuale che aveva imposto la fazione castigliana. Gli oppositori della religiosità castigliana intendevano la spiritualità come un rapporto più intimo e diretto con la divinità, e nella sua forma esteriore, come pratiche più radicali, quali lunghe ore di preghiera, continuo digiuno, povertà estrema, ecc. Questa spiritualità era promossa dal movimento scalzo-recolletto, che aveva avuto origine in Estremadura e Castiglia, all'interno di Ordini religiosi come quello di San Francesco e del Carmelo. Inizialmente, scalzi e recolletti non erano ben considerati dal governo di Filippo II, ma sì dal Papato, che li protesse visto che la radicalità della loro spiritualità non aveva altro riferimento ortodosso se non la stessa autorità del papa, in quanto capo della Chiesa cattolica. A sostenerli c'erano inoltre i gruppi che erano stati allontanati dal potere dai castigliani. Al fine di essere ascoltato dalla corte, il movimento scalzo-recolletto cercò sempre di coinvolgere le donne della famiglia reale, che intercedevano con il re per fondare nuovi conventi. [17] Fino al regno di Filippo III questa corrente spirituale non aveva avuto successo, e da allora il numero di case e conventi aumentò in tutta la monarchia.

Certamente il nuovo sovrano era salito al trono dopo essere stato educato secondo la spiritualità scalzo-recolletta e circondato da consiglieri che avevano mantenuto un ottimo rapporto con il papato - seguaci della politica e del progetto religioso del gruppo "ebolista" -, e quindi per questo chiamati partito "papista". [18] Allo stesso modo, agli inizi del XVII secolo, predicatori influenti della Cappella Reale che avevano condiviso la spiritualità radicale, come il gesuita Jerónimo Florencia o il trinitario Paravicino Hortensio, predicarono nei loro sermoni l'idea della dipendenza del monarca spagnolo dal Pontefice. [19] Non sembra strano, quindi, che sin dall'inizio il Papa volle conoscere l'educazione che stava ricevendo il principe, futuro monarca. Così, nel 1591, il precettore del principe don García de Loaysa, un membro importante del partito "papista" che era anche cappellano maggiore e limosnero maggiore, informava in questo modo la segreteria di Papa Gregorio XIV sugli studi del giovane Filippo:

El cuydado que V. S. I. pone en favorecer los estudios es digno del peso espiritual que a su cargo tiene, y quanto los que yo trato son en beneficio de la Iglesia Universal. Es mas justo, y ellos han menester ser mas alentados, para que un tan flaco subjeto como el mio pueda dignamente governallos; pidiendo siempre ayuda a N. S. que es el verdadero maestro de los Principes que los guie al bien universal y amplificacion de la Sancta Iglesia Romana: mas como la divina Magestad vee la necesidad que ay de buenos principes en este ultimo tiempo, ha dado a Su Alteza tan excelentes inclinaciones y una indole tan derecha a la religion y virtud, que promete todo lo que se puede esperar de un sabio y sancto rey. [20]

 

Loaysa proseguiva questa lettera tranquillizzando il papa, timoroso che i rapporti problematici con Roma registrati durante il regno di Filippo II potessero ripetersi: il giovane principe mostrava infatti "una disposicion a la obediencia de la Sancta Sede Apostolica tan grande, que todo lo que oye de Su Beatitud lo reberencia y respecta como obedientissimo hijo". Inoltre, assicurava che, in virtù dei poteri che lui aveva come capo della cappella reale, e per la sua vicinanza al principe Filippo come insegnante del giovane, tutto quello che voleva era che "este principe salga como le ha menester la Sede Apostólica y los trabajos de estos tiempos". [21] Così, Loaysa aveva collaborato, nell'ambiente che circondava il futuro re Filippo III, ad assicurare il futuro stesso della monarchia di fianco al Papato.

Il partito "papista", con la collaborazione del pontefice Clemente VIII, cercò una moglie per Filippo III che rendesse il più facile possibile mantenere un buon rapporto con la Santa Sede. La candidata ideale venne individuata in Margherita d'Austria. L'influenza della regina sul monarca servì per estendere la spiritualità radicale degli ordini scalzi e recolletti nella corte spagnola e tale radicalismo si impose anche nella società spagnola. [22] Il buon rapporto che la regina Margherita aveva con papa Clemente VIII traeva origine sin dalla sua infanzia alla corte di Gratz, poiché la sua famiglia era stata sempre fedele e obbediente alle disposizioni del Papato. [23] Tanto che, quando Margherita si trasferì nella corte spagnola come moglie di Filippo III, difese sempre gli interessi di Roma, non solo nelle questioni giurisdizionali [24] - di ciò il nunzio diede sempre conto nelle comunicazioni a Roma - ma anche spirituali, estendendo la spiritulità scalzo-recolletta nella corte di Madrid. Così, Clemente VIII, consapevole dell'influenza dalla regina sul re, non cessò mai di mantenere una corrispondenza regolare con Margherita, favorendo i rapporti del Papato con la monarchia. Ciò a tal punto che Clemente VIII scrisse alla sovrana la seguente lettera nel 1599 - ratificata da Paolo V nel 1606 - per promuovere, attraverso le reliquie, la spiritualità radicale della Regina:

 

Carissima hija nuestra en Christo, salud y apostolica bendición. La piedad y religion de V. M. piden, que quanto nos sea posible en el señor nuestro, miremos benignamente por vuestro espiritual consuelo, por lo qual inclinados a las suplicas, que se nos han hecho en vuestro nombre, permitimos, y concedemos a V. M. que pueda sacar, extraher, recibir, tener, y llevar reverentemente qualesquiera sagradas reliquias de santos y santas, que se os huviere de conceder, y donar graciosamente de quales quier Yglesias, y monasterios, y asi de hombres, como de mujeres, y de otros pios lugares de qualesquiera ciudades y regiones, sitas asi en Ytalia como fuera de Ytalia. [25]

Proprio la regina Margherita d'Austria influì, in maniera decisiva, nella spiritualità radicale che venne sperimentata nella cappella reale durante il regno di Filippo III. In questo senso, il monastero reale della Encarnación di suore agostine recollette, fondato dalla Regina nel 1611 e dove molte donne della nobiltà e della famiglia reale presero i voti, fece da modello di spiritualità per la corte di Madrid. Per ordine della sovrana, il convento della Encarnación venne posto sotto la protezione e la giurisdizione della Santa Sede. [26]

 

I papi erano coscienti dell'importanza di una fondazione così influente per la corte di Madrid, soprattutto Urbano VIII (1623-1644), che si preoccupava dei progressi di questo convento e manteneva uno stretto rapporto con la priora del monastero. Così, il 1° giugno 1627, il cardinal Barberini scrisse al cardinal Pamfilio, nunzio a Madrid, per ricordare alle monache del monastero l'affetto che il Pontefice nutriva verso di loro: "V.S. mi tenga pur ricordato alle Sue signore, e suore della Santissima Incarnatione, a finchè preghino per me, e s'avvertino, ch'io le servirò in tutte le occasioni, e particolarmente la Signora Priora". [27] I regali da Roma alle monache erano continui: anche nel 1626, quando il cardinale Barberini, nipote di Urbano VIII, si recò a Madrid per negoziare con il re sulla Valtellina, il legato pontificio visitò le suore della Encarnación, celebrò la messa, e  incontrò la priora, Mariana de San José. [28] Ma l'interesse di Urbano VIII per questo convento derivava anche dal fatto che le suore non mancavano mai di informare il pontefice sulle questioni religiose e politiche della corte, in particolare sulla politica dei validos o favoriti del re, prima il duca di Lerma e poi il conte-duca di Olivares, per non ostacolare gli interessi di Roma. Il supporto di Urbano VIII al convento della Encarnación era tale che nel 1625 pubblicò la bolla Militantis Ecclesiae Regiminis [29], attraverso la quale il convento fondato da Margherita d'Austria venne indicato come modello e punto di riferimento del movimento recolletto, che tutti i conventi fondati nel territorio spagnolo avrebbero dovuto imitare.

Il collegamento del monastero della Encarnación con la cappella reale era tale che, durante il regno di Filippo IV, il re ordinò che quattro cappellani dell'Encarnación diventassero cappellani d'onore della cappella reale. [30] Inoltre, ci furono gravi problemi di competenza tra il cappellano maggiore della Cappella Reale, don Alonso Pérez de Guzmán (nominato anche Patriarca delle Indie) [31] e il cappellano maggiore della Encarnación, don Juan Francisco Pacheco. [32] Quest'ultimo si lamentava con il sovrano dell'interferenza continua che il cappellano maggiore del re aveva sulle questioni di giurisdizione generale della cappella della Encarnación.

Pacheco si lamentava, in un memoriale inviato al monarca, che "estando exerciendo este oficio quieta y pacíficamente le ha procurado inquietar, y perturbar la possession del, impidiendole el Patriarca, Limosnero mayor de V. Magestad, su exercicio, por pretender que le toca la jurisdicción y prelacía, sobre el capellán mayor, capellanes y ministros de la dichas Capilla y convento". [33] Continuava a lamentarsi del fatto che il Patriarca delle Indie e cappellano maggiore del re voleva toglier autorità al cappellano maggiore del convento per il fatto che egli aveva piena autorità sulla Cappella del monastero della Encarnación, per "las bulas y breves apostólicos que se han concedido". [34] Infatti, la bolla di Paolo V del 17 febbraio 1614 aveva nominato il cappellano maggiore del re giudice ordinario in prima istanza sui cappellani e i ministri della cappella. A ciò si aggiungeva che tale giurisdizione e prelatura si estendeva a tutti i cortigiani. Attraverso questa bolla, il cappellano maggiore del re pretendeva che la Encarnación, essendo di patrocinio reale, rientrasse nelle disposizioni della bolla, mentre il cappellano del convento sosteneva che la suddetta bolla fosse applicabile solo all'interno del Palazzo Reale. Il 27 Giugno 1622 arrivò il breve di Gregorio XV, che nominava il cappellano maggiore di Sua Maestà visitatore del convento e della cappella della Encarnación. Quindi, l'interesse del cappellano maggiore del re ad influenzare la Encarnación e a cercare di portare la spiritualità recolletta di questo convento alla cappella reale del palazzo, è chiaro nella denuncia espressa dal capellano maggiore del convento al notare che non ci fosse lo stesso trattamento e gli stessi problemi giurisdizionali con il convento delle Descalzas Reales di Madrid. [35]

Questa controversia tra i cappellani maggiori era più di un semplice problema giurisdizionale, in quanto vi era una chiara intenzione di incorporare la cappella della Encarnación con i suoi prelati alla Cappella Reale, per condividere anche la stessa spiritualità recolletta. Non è dunque un caso che il Patriarca delle Indie avesse proposto l'unione delle due cappelle. Tuttavia, quando il cappellano maggiore del convento della Encarnación intuì questa possibilità di unione, mostrò tutto il suo timore di perdere l'autorità sul convento nel caso che tale unione fosse diventata effettiva. [36] Così, don Juan Francisco Pacheco continuò a lamentarsi con Filippo IV dell'interpretazione che il Patriarca delle Indie, cappellano di Sua Maestà, aveva fatto delle bolle e brevi papali che estendevano la sua giurisdizione:

Lo cierto es, que esta comunicación y extensión, no es agregación ni unión a la capilla, ni a la jurisdicción del capellán mayor de V.M. [37]

L'unione non divenne mai realtà, e le lamentele del cappellano maggiore dell'Encarnación ottennero che la cappella della Encarnación non venisse integrata nella cappella reale. Tuttavia, è innegabile l'interesse nel collegare la spiritualità della cappella reale alla spiritualità recolletta praticata dai membri del convento, mentre Roma vedeva di buon'occhio la vicinanza tra le due cappelle in quanto favoriva la dipendenza della monarchia dalle disposizioni del Papato.

 


Note

1. L. Cervera, Carlos V mejora el Alcázar madrileño, in «Revista de Bibliotecas, Archivos y Museos», 5 (1979), pp. 59-150; J. M. Barbeito, El Alcázar de Madrid, Madrid 1992, p. 4; V. Gérard, De castillo a palacio. El Alcázar de Madrid en el siglo XVI, Madrid 1985; J. J. Martín Gozález, El Alcázar de Madrid en el siglo XVI (nuevos datos), in «Archivo Español de Arte», XXXV (1962), pp. 1-19.

2. J. Martínez Millán, H. Pizarro Llorente, La capilla real: integración social y definición de la ortodoxia religiosa, in J. Martínez Millán, S. Fernández Conti, La Monarquía de Felipe II: La Casa del Rey, Madrid 2005, I, pp. 519-526.

3. F. Negredo del Cerro, Una institución en desarrollo: la Real Capilla de los Austrias madrileños bajo Felipe II, in E. Martínez Ruiz (ed.), Madrid, Felipe II y las ciudades de la monarquía, Madrid 2000, II, pp. 91-100; L. Robledo Estaires, Composición, estructuras y evolución de la Capilla Real, in J. Martínez Millán, S. Fernández Conti, La Monarquía de Felipe II cit., pp. 143-151.

4. C. J. Carlos Morales, S. Fernández Conti, La estructura de las casas reales, in J. Martínez Millán, S. Fernández Conti, La Monarquía de Felipe II cit., p. 61.

5. L. Robledo Estaire, Composición cit., p. 143.

6. H. Pizarro Llorente, La capilla real cit., pp. 181-195.

7. J. Martínez Millán, Grupos de poder en la corte durante el reinado de Felipe II: la facción "ebolista" (1554-1573) in J. Martínez Millán (ed.), Instituciones y elites de poder en la Monarquía Hispana durante el siglo XVI, Madrid 1992, pp. 137-197.

8. M. J. Rodríguez Salgado, El Duque de Alba en Italia, in G. del Ser Quijano (ed.), Actas del Congreso V Centenario del Nacimiento del III Duque de Alba, Fernando Álvarez de Toledo (celebrado del 22 a 26 de octubre de 2007), Piedrahita 2008, pp. 431-459.

9. J. L. González Novalín, Reforma de las leyes, competencia y actividades del Santo Oficio durante la presidencia del inquisidor general don Fernando de Valdés (1547-1566) in J. Pérez Villanueva (ed.), La Inquisición española: Nueva visión, nuevos horizontes, Madrid 1980, pp. 193-218.

10. J. L. González Novalín, El inquisidor general Fernando de Valdés: (1483-1568), Oviedo 1968-1971, 2 vols.; J. L. González Novalín, Ventura y desgracia de don Fernando de Valdés, arzobispo de Sevilla: un episodio tridentino y el Concilio Provincial Hispalense, in «Anthologica Annua», 11 (1963), pp. 90-119; F. Cereceda S.I., Episodio inquisitorial de San Francisco de Borja, in «Razón y Fe», 142 (1950), p. 360.

11. J. I. Tellechea Idígoras, Felipe II y el Inquisidor General don Fernando de Valdés. Documentos inéditos, in «Salmanticensis» 16 (1969), pp. 329-372; J. I. Tellechea Idígoras, Sondeo en el proceso romano del arzobispo Carranza, in Archivum Historiae Pontificae, 3 (1965), pp. 194-195; J. L. González Novalín, El deán de Oviedo don Álvaro de Valdés. Gestiones de la Inquisición española contra Bartolomé de Carranza en la Corte de Paulo IV, in «Archivum Historiae Pontificae», 7 (1969), pp. 287-327.

12. F. Herrero Salgado, Fray Bartolomé de Carranza y fray Antonio de Guevara, predicadores del Emperador, in F. Sánchez-Montes González, J. L. Castellano Castellano, Carlos V europeísmo y universalidad. Congreso internacional, Granada, mayo 2000), Madrid 2001, V, pp. 293-314.

13. M. Menéndez Pelayo, Historia de los Heterodoxos españoles, Madrid 2007, I, pp. 875-883.

14. J. Martínez Millán, En busca de la ortodoxia: el Inquisidor General Diego de Espinosa, in J. Martínez Millán (ed.), La Corte de Felipe II, Madrid 1999, pp. 189-228.

15. M. J. Portera Silva, J. García Oro, Felipe II y los dominicos, in «Archivo Dominicano: Anuario» 19 (1998), pp. 163-178; J. Martínez Millán, La Inquisición española, Madrid 2009, pp. 35 y ss.

16. Biblioteca Nacional de España (BNE), Mss. 18716/42. Interrogatorio y limpieza de sangre de los que han de ser capellanes, ff. 40r-41v.

17. F. Antolín, Observaciones sobre las Constituciones de las carmelitas descalzas promulgadas en Alcalá de Henares, «Ephemerides Carmeliticae», 24 (1973), pp. 291-413; A. Uribe, Espiritualidad de la descalcez franciscana, in «Archivo Ibero Americano» (AIA), 22 (1962), pp. 133-161; F. de Lejarza, Origen de la descalcez franciscana, «AIA» 22 (1962), pp. 15-131

18. J. Martínez Millán, El gobierno central de la Monarquía. La casa real de Felipe II in C. A. González Sánchez (ed.), Sevilla, Felipe II y la Monarquía hispánica, Sevilla 1999, pp. 155-160.

19. F. Herrero Salgado, La oratoria sagrada en los siglos XVI y XVII. III La predicación en la Compañía de Jesús, Madrid 2001, pp. 441-472.

20. Archivio Segreto Vaticano (ASV), Segreteria di Stato Spagna 38, f. 324r. Lettera di García de Loaysa a Roma. Aranjuez, 5 giugno 1591.

21. Ibidem.

22. E. Jiménez Pablo, Los jesuitas en la corte de Margarita de Austria: Ricardo Haller y Fernando de Mendoza in J. Martínez Millán, M. P. Marçal Lourenço, Las relaciones discretas entre las Monarquías Hispana y Portuguesa: Las Casas de las Reinas (siglos XV-XIX), Madrid 2008, II, pp. 1071-1120. Anche: C. Alonso, Los conventos de la Encarnación y de Santa Isabel de agustinas recoletas de Madrid según nueva documentación, in «Analecta Agustiniana», 48 (1987); L. Sánchez Hernández, El monasterio de la Encarnación de Madrid. Un modelo de vida religiosa en el siglo XVII, Salamanca 1986.

23. E. Jiménez Pablo, Los jesuitas en la corte de Margarita de Austria: Ricardo Haller y Fernando de Mendoza, in J. Martínez Millán, M. P. Marçal Lourenço (eds.), Las relaciones discretas entre las Monarquías Hispana y Portuguesa: Las Casas de las Reinas (siglos XV-XIX), Madrid 2009, II, pp. 1071-1120.

24. ASV, Segreteria di Stato Spagna 50, ff. 283r-283v. Lettera dal nunzio Caetano al cardinale Aldobrandini. Barcelona, 1 luglio 1599.

25. Archivo General de Palacio (AGP), Real Capilla, caja 23 exp. 1

26. "Como delegado suio, del limosnero mayor de Su Magestad que al presente es y fuere adelante, que por autoridad apostólica es juez hordinario de la capilla real (...) Y que el govierno y jurisdicción de todos los dichos conventos fundados y que se fundaren sea inmediatamente de Su Santidad y de la Santa Sede Apostólica". Archivo Histórico Nacional (AHN), Clero, papeles 7677. Relación que la reyna, Nuestra Señora, mandó embiar a don Francisco de Castro, embaxador de Su Magestad en Roma, del estado que tiene el monasterio de monjas recoletas agustinas que Su Magestad funda en la villa de Madrid y de lo que acerca de él se a de suplicar a Su Santidad.

27. ASV, Segreteria di Stato Spagna 344, f. 28r. Lettera di Roma a monsignore Pamfilio, nunzio in Spagna. Roma, 1 luglio 1627.

28. J. Simón Díaz, La estancia del Cardenal Legado Francesco Barberini en Madrid el año 1626, in «Anales del Instituto de estudios Madrileños», 17 (1980) pp. 159-213; J. Simón Díaz, Los monasterios de las Descalzas reales y de la Encarnación en el año 1626, in «Villa de Madrid», 66 (1980), pp. 31-37; L. Muñoz, Vida de la Venerable M. Mariana de S. Joseph, fundadora de la recolección de las monjas agustinas. Priora del Real Convento de la Encarnación, Madrid 1645, p. 372.

29. C. Alonso OSA, Documentos inéditos sobre el convento de la Encarnación de Madrid de Agustinas recoletas, «Analecta Augustiniana», 49 (1986), pp. 308-310.

30. Real Academia de la Historia (RAH) 15-2-8/23, f. 284r.

31. P. Gil González Dávila, Teatro de la Iglesia de Sevilla, en el catálogo de los varones ilustres, y teatro de las Iglesias de Indias. Vol. II, f. 2.; L. I. Álvarez de Toledo, Alonso Pérez de Guzmán. General de la Invencible, Cádiz 1994, vol. I-II; L. Salas Almela, Medina Sidonia. El poder de la aristocracia 1580-1670, Madrid 2008, p. 472, n. 5.

32. Su questo personaggio: RAH 15-2-8/23.

33. RAH 15-2-8/23, f. 267r.

34. Ibidem, f. 268v.

35. "Desto puede ser exemplar lo que passa en el convento de las Descalças reales desta Corte; que aunque es fundación Real, no tiene jurisdicción en su capellán mayor, capellanes y ministros, el capellán mayor de V. Magestad ni la ha pretendido en virtud desta bula (Paulo V)". Ibidem, f. 284r.

36. Infastidito, dichiarò: "Contra toda razón jurídica es querer, que la adequacion que se haze de la Capilla de la Encarnación a la Real de V. M. redunde en extensión que dilate, y amplíe la de la Capilla Real". Ibidem, ff. 285r-286r.

37. Ibidem.