‘Sempre tra gli oggetti’ poveri e/o simbolici. Per una storia comparata della civiltà materiale e popolare barocca tra Spagna e Italia

Printer-friendly versionPrinter-friendly version
Author: 
Máximo García
Universidad de Valladolid – IUHS

Dal punto di vista della storia sociale e culturale, la Castiglia del XVII secolo vide la prevalenza di una contraddittoria instabilità dei suoi valori terreni. Ecco perché le rappresentazioni del corpo e l'opinione dell'apparenza (oggettiva e soggettiva) occupavano il centro nevralgico di numerose forme del vivere collettivo.

In quell'epoca, sebbene non vi fosse ancora una separazione fra pubblico e privato che privilegiasse la sfera domestica (infatti i mobili di casa definivano più il "corpo" collettivo della famiglia che l'individuo), alcuni corredi funebri già rivelavano lo splendore o la raffinatezza, nella misura in cui i vincoli con gli oggetti riflettevano una storia della domanda e dell'offerta, dei circuiti commerciali e dei mercati, del contesto sociale e dell'apparenza pubblica. Il paradigma dell'emulazione aveva vigore anche quando la relazione fra il patrimonio e la quantità di beni posseduti non era lineare né puramente utilitaristica: la stanza di una donna povera era più ricca di oggetti rispetto a quella di uomini dello stesso livello socio-economico; oppure se si acquisivano determinati accessori per la casa, non necessariamente per il loro valore di autoconsumo in luogo del loro valore culturale.

Si tratta di una visione sociale e culturale della storia, i cui cambiamenti, a partire dal ruolo di irradiazione dai centri urbani, erano sfaccettature di una nuova concezione filosofica e di un'altra attitudine esistenziale, nonché i catalizzatori di un incremento e di una diversificazione della domanda in grado di indurre un mutamento profondo tanto nella produzione come nel consumo. Il caso spagnolo (o quello italiano) non poteva essere diverso, e già a partire dal XVI secolo, il padre Antonio de Guevara si riferiva ai numerosi "gastos extravagantes" dei cortigiani dell'epoca. [1]

La nozione del Barocco come equilibrio diseguale tra un oscuro disordine opposto all'armonia, sarebbe all'origine di una grande instabilità e disuguaglianza nella vita collettiva. In un processo culturale complesso - che precede l'individualismo moderno, che sarebbe nato solo verso la metà del XVIII secolo, o solo con il liberalismo nel XIX secolo - quei tempi singolari della Controriforma cattolica avrebbero forgiato, in contrapposizione all'universo rinascimentale e a quello illuminista, la visione europea dell'hispánico, come categoria antropologica. Allora nacquero i modelli culturali del pícaro, del piccolo commerciate in rovina, dell'hidalgo pieno di onori, del cortigiano collezionista di oggetti esotici o del tipo ideale dell'aristocratico immerso in una vita irreale. [2] Paradigmi archetipici e contraddittori della realtà castigliana, sebbene nel loro insieme evocano anche un insolito, vario e crescente movimento di oggetti materiali, a seconda delle diverse forme di mobilità sociale, di circolazione artigianale, cerimoniale, scenografia o drammatizzazione rituale. Come mostrano i negozi di robivecchi, i mercati di seconda mano o le vendite d'occasione, gli oggetti domestici circolavano, venendo ricevuti in regalo, rubati, riparati più volte, consegnati per motivi caritativi, ereditati da un padrone o dal padre, dati in pegno o semplicemente utilizzati nei momenti di difficoltà. [3] Li si poteva anche trovare da mercanti di tessuti, sarti, venditori ambulanti, presso cui si potevano comprare, a volte in luoghi remoti, nastri, tende o tela per lenzuola, camicie e biancheria intima.

Questa linea di ricerca ambiziosa costituisce l'obiettivo del progetto internazionale di cui chi scrive è "Principal Investigator" (PI): Civiltà, gioventù, cultura materiale e immateriale. Famiglia e identità sociale: domanda e apparenze in Castiglia (1500-1850). Tale progetto verte sul rapporto fra civiltà e cultura materiale castigliana, analizzando gli oggetti come simboli. Occorre peraltro tener presente che siamo in un'epoca in cui non si può ancora parlare della nascita di una società moderna basata sul consumo: la maggior parte della popolazione, urbana e rurale, continuava a soffrire di enormi carenze materiali di ogni genere, anche se in una prospettiva di evoluzione secolare, gli oggetti si andarono facendo sempre più numerosi e vari, cominciarono ad essere accumulati per uso domestico e l'aspetto delle abitazioni si andasse trasformando.

A livello metodologico, il progetto persegue una duplice finalità di comparazione su scala internazionale e di forte impronta interdisciplinare, che si esprimono in special modo nell'obiettivo di analizzare i processi legati alla costruzione di una civiltà giovanile europea moderna. Ciò a partire dallo studio esauriente dei meccanismi che, tra il XVI e la metà del XIX secolo, articolarono l'evoluzione della cultura materiale familiare e il contemporaneo cambiamenti delle identità sociali. Nuove domande in linea con la storiografia sociale a livello internazionale e legate alla comprensione dell'importanza che in passato ebbero le apparenze ereditate e le crescenti disponibilità materiali quali formule di identificazione pubblica di un gruppo, ma anche di genere, individuali, di stato civile o età, come pure le implicazioni di mode, lusso e consumi in rapporto alla trasformazione ideologica, economica e politica. [4]

Inoltre il progetto si base su una rilettura delle fonti storiche e del metodo storico al fine di comprendere i meccanismi che presiedevano i cambiamenti della cultura materiale e della mobilità culturale. Problemi che nascono all'interno della famiglia e sono utili a comprendere una società di individui e più moderna, giovane e libera, che trasformano le loro aspirazioni attraverso l'uso di nuovi modi di apparire in termini di aspetto personale. In questo senso intendiamo, per così dire, rivestire la famiglia, sottolineando l'importanza fondamentale della proprietà materiali e immateriali, della vita quotidiana - tanto all'interno quanto all'esterno - della società urbana e rurale, il protagonismo dei giovani e delle donne, nel processo di accelerazione delle mode, gli oggetti domestici, attraverso un confronto fra la realtà della Castiglia interna e quella del resto della Spagna (ma anche del Portogallo e delle colonie spagnole in America).

Il progetto s'inquadra nella attuale riformulazione della storiografia sulla famiglia in relazione al significato degli oggetti come elementi culturali e di civiltà, a partire dall'analisi dello sviluppo della domanda di vestiti e tessuti e della sistemazione degli interni domestici. Tutti questi aspetti, a loro volta, consentono di approfondire, in un contesto sociale dinamico, lo studio dei comportamenti quotidiani della gioventù e la qualità di vita nei diversi strati socio-professionali, soprattutto popolari, esistenti nella Castiglia interna già sin dal XVI secolo [5] e considerati nella loro evoluzione sino alla fine dell'Antico Regime.

Gli approcci complessi legati al processo di accumulazione, perdita e distribuzione dei beni nel corso del ciclo familiare o all'evoluzione delle necessità individuali e collettive sono rimasti nella penombra di molte considerazioni storiografiche. Da questo punto di vista è importante tener presente non solo il progresso dei consumi, ma anche il loro motore, i vincoli delle economie familiari con il mercato, come nella capacità di acquisto, i progressi e le remore della civiltà dei consumi; senza dimenticare l'influenza ideologica dei cambiamenti nel gusto, la propensione di ogni individuo o gruppo a identificarsi in comunità, l'impatto del livello di urbanizzazione, le diverse posizioni circa il lusso e la moda straniera, il livello culturale, il progresso illuministico, gli impulsi politici e istituzionali o il ruolo svolta da donne, uomini, giovani e anziani.

Nell'ambito del sotto-progetto dedicato a Famiglie e individui: modelli di modernità e cambiamento sociale, secoli XVI-XXI, si intende poi mettere a fuoco le identità personali, simbolizzate mediante le loro apparenze civilizzatrici [6], in linea con gli approcci di José Antonio Maravall [7] che ha definito la cultura del Barocco come idea di un'epoca in cui primeggiava il conflitto e in cui il carattere sociale passava attraverso il ruolo giocato dal teatro e dalla festa nel contesto di una civiltà diretta dall'alto, di massa, urbana e al contempo conservatrice.

Nel quadro di quella visione del mondo si andava elaborando un'immagine del mondo e dell'uomo quali elementi della realtà terrena della vita. Era allora onnipresente - pur nella sua intangibilità - un al di là magico e religioso, al tempo stesso, che era in grado di determinare la realtà e di contrastare gli elementi empirici della vita quotidiana. Da quest'ultima nascevano i concetti di esperienza (individuale ma al contempo collettiva, sia pure in modo non omogeneo e dialettico), di cambiamento e movimento come elementi chiave che abbracciano l'esistenza umana nella sua totalità e infine di attenzione alla medesima condizione umana al momento di organizzare i comportamenti. Dunque caducità e rinnovamento erano elementi complementari: "mudando por instantes usos, costumbres, opiniones y apetitos" (Suárez de Figueroa). In questo modo, nel contesto di una morbosa esagerazione del consumo - in un'epoca che oscillava ancora fra l'ostentazione opulenta e la fame - propria della società castigliana del XVII secolo, Jerónimo de San José segnalava anche la soddisfazione delle persone di fronte alla varietà delle invenzioni e preziosità degli abiti e di altri elementi di vestiario personale. La diffusione di questo tema fu tale da raggiungere tutti i livelli sociali in un comune - e nuovo - apprezzamento della differenziazione sociale legata all'abbigliamento. Senza dimenticare che "un mundo mudable y cambiable es fenoménico, en el que las cosas son apariencias […] coloreado y condicionado por los intereses de cada uno". [8]

Conoscere significa decifrare il gioco delle apparenze, esaminarle senza considerarle menzognere, poiché in ogni caso appartengono all'essenza stessa delle cose ("¿no ves que juzgan los hombres lo que es por lo que parece?", La fuerza del interés, 1616): quotidiani disinganni da adattamento, utilizzati come tattica di accomodamento piena di relativismo e di un pragmatismo che si muoveva fra l'agonismo e la ludicità e che coltivava tanto l'apparenza rutilante quanto la dissimulazione - apparenze ingannatrici, passeggere o cicliche? - solo in funzione delle condizioni barocche e dei fini della loro strumentalizzazione culturale, contrapponendo e confondendo verità e menzogna. Ciononostante, "el hombre del barroco piensa que disfrazándose se llega a ser uno mismo; el personaje es la verdadera persona; el disfraz es una verdad. En un mundo de perspectivas engañosas, de ilusiones y apariencias, es necesario un rodeo por la ficción para dar con la realidad". [9] L'immagine è dunque offerta come rappresentazione scenica.

 

1. Guardando al mondo rurale e popolare europeo: una messa a fuoco

Possiamo contare su uno studio esemplare per la comprensione dell'evoluzione socio-economica e culturale degli oggetti di uso comune e personale che costituivano il patrimonio mobile e immobile degli aggregati familiari popolari della regione rurale portoghese del Baixo Miño. [10] All'interno di un'ampia analisi dell'ambiente domestico e che risponde a necessità o distinzioni, funzioni e significati degli oggetti definivano rapporti di forza al fine di costruire gerarchie collettive. Si può apprezzare così il valore degli oggetti dal punto di vista del legame tra il possesso e lo status dei loro proprietari. [11] Tutto ciò indicava e tendeva verso il predominio della semplicità tradizionale, incidendo sul ritardo nella comparsa di nuovi elementi, definendo stili di vita, gusti e mode, carenze e futilità.

Dentro e fuori di casa, uomini e donne soddisfacevano i loro bisogni in modo diverso. 'Produzione maschile e domanda femminile?'. In Inghilterra, tra il 1650 e il 1750, le donne possedevano una maggiore quantità di beni nuovi e decorativi. In tutta l'Europa occidentale esse avevano un rapporto emotivo con gli oggetti domestici e con gli effetti personali; il loro legame con questi ultimi era più intimo. Con la loro eleganza, esse diventavano vetrine di potere, ricchezza e successo maschile. Pertanto non è corretto affermare che esse avevano una propensione a consumare maggiore dei loro mariti. Chi decideva di acquistare i nuovi articoli e secondo quali criteri? Come costoro venivano distribuiti all'interno della famiglia? [12]

 

2. Diversità di culture materiali nella penisola Italiana

La relazione tra le persone e le cose è una storia dell'apparenza sociale. Il mondo "domestico" definiva meglio una collettività che un'identità individuale: erano beni di famiglia. L'aspetto delle camere stava cambiando nel corso del Seicento a Roma; le merci erano sempre più numerose e variegate; si manifestava la tendenza all'accumulo di utensili e oggetti domestici. [13] Anche tra i gruppi intermedi urbani, per i quali il valore di scambio e di mercato o di autoconsumo non sempre appariva immediatamente in ogni oggetto. Così, sebbene esisteva un grande commercio di biancheria domestica, la filatura di lino o la tessitura grossolana domestica erano ancora molto diffuse all'interno delle case; molti di quelle braccia di tessuto si potevano trasformare in denaro per acquistare altri e migliori generi frutto di un'offerta commerciale in aumento.

Un caso esemplare. Utilizzando gli inventari post mortem del fondo Archivio Averoldi (tra il 1611 e il 1789) e altri appartenenti a settori sociali medi e alti del dominio veneto, si può apprezzare la divisione degli oggetti presenti nelle diverse case per definire un 'indice di qualità' e uno 'stile di vita' della famiglia privilegiata bresciana secondo il catalogo: beni di 'necessità', 'vita domestica', 'comfort', 'civiltà' e 'lusso'. [14]

In linea con ciò, Venturelli analizza la Milano barocca. [15] Tuttavia, in quel caso, verso il 1633, lusso e sfarzo si trasformarono in miseria, sarebbe aumentato il ricorso a indumenti usati; anche le leggi suntuarie, riproposte nel 1539, 1565 e nel 1584, non furono ripetute fino a un secolo più tardi (nel 1678). Già in precedenza era stato abbandonato l'abbigliamento costrittivo e oppressivo a favore di altri abiti volti a esaltare il corpo. Successivamente, 'vestire alla spagnola' avrebbe significato utilizzare lo stravagante e mostruoso guardinfante, anche se ancora nel 1666 la maggior parte delle donne milanesi lo indossava; segnando una delle oscillazioni, proprie della moda fra le dame di un certo rango, tra il gusto spagnolo e il gusto francese. Negli abiti nuziali e da festa predominava il bianco, sebbene le persone di condizione umile preferissero i colori fino a un secolo prima riservati alla classe dirigente, il rosso o il verde. Già nel XVIII secolo il fatto di presentarsi in pubblico venne acquisendo un carattere rivoluzionario, caratterizzato da comodità (e intimità), contro la cultura dell'abbigliamento propria dell'epoca barocca urbana: l'ostentazione.

Tutto era una questione di apparenza. Di fronte ai cambiamenti dell'abbigliamento, alla crescente volontà di emulazione milanese e al gusto per l'esotico orientale, le idee controriformiste di Carlo Borromeo proponevano uno stile di vita rigoroso e sobrio, esemplificato da abiti molto semplici, dall'abbandono di ornamenti superflui (prammatica suntuaria del 1584) e, da un punto di vista cromatico, dalla rinuncia ai contrasti audaci del binomio rosso-verde.

 

3. Contrasti nella Castiglia urbana e rurale del barocco

In contrasto con la situazione generale del paese, durante il regno di Felipe IV, l'élite sociale si distinse per frivolezza, dissipazione e dissolutezza: "Realidad e intimidad no tenían connotaciones externas ni rasgos espectaculares. Lo doméstico de todos los días precisa buscarse en la literatura, que, aún sin proponérselo, es trasunto del ambiente en el que se mueve la sociedad, sin excepción de lo recóndito". [16] Così sappiamo che le gentildonne erano solite regalare ai cavalieri accessori fatti con le loro mani, come sciarpe, calze o fazzoletti; o che, in occasione di matrimoni, era in uso nella buona società che le signore ricevessero in omaggio gioielli, guanti e ornamenti. Anche contadine e artigiane si distinguevano dalle dame non usando il mantello (La pícara Justina), venendo definite da Tirso de Molina come "mujeres a lo castellano cubiertas". E che alcune delle loro abitudini concernevano la frequentazione di sale dove si serviva la cioccolato e il girare occultando la propria identità per amoreggiare e dotate di assurdi guardinfanti.

L'abito spagnolo era scuro. La dignità e la sobrietà di qualunque personaggio erano molto costosi: quale modo migliore di eccellere che screditare l'immagine nera precedente? In questo contesto si sviluppò un feroce conflitto suntuario tra Spagna e Francia, messo in scena sull'Isola dei Fagiani durante la firma della Pace dei Pirenei nel 1659. L'importanza degli abiti fu fondamentale in quell'incontro diplomatico, dove entrambe le potenze si misurarono in un tesa lotta per il potere (anche letterario). Il contrasto vestimentario era manifestamente evidente, mostrando nel suo aspetto una nuova egemonia (anche nel settore tessile: "caricatura della loro esuberanza barocca"). Trionfò lo splendore dei Borbone: la moda spagnola (satireggiata da Molière) sembrava eccessivamente modesta. Luigi XIV riaffermava in questa maniera estetizzante la sua 'iconografia volontariamente antiasburgica'; e fu così che il più semplice colletto si impose sulla classica gorgiera, divenuta il capo della moda spagnola da riformare per eccellenza.

 

Tabella 1. Evoluzione della Moda Maschile (urbana e privilegiata) in Spagna [17]

Abbigliamento spagnolo tipico (XVII s.)

 

Abbigliamento francese (XVIII s.)

MANTELLO

 

CASACCA

ROPILLA (Giubba)

 

GIUBBOTTO

CALZAMAGLIE

 

CALZONI

Goliera; Gorgiera; Copricapo; Lindo

 

Cravatta; Cappello a tre punte; Petimetre; Majo

Filippo II

XVI

Classico egemonico

Marchese di Frómista

1636

Verso la francesizzazione

Luigi XIV

XVII

Moda Militare predominante

Juan José de Austria

XVII

Ambasciatore del vestito alla francese

Marchese di Lapilla

1669

Vestiario alla spagnola

Sagrada Forma (Coello)

1685

Abito modello borbonico

Lugi XIV

XVII

Moda militare predominante

Juan José de Austria

XVII

Ambasciatore dell'abbigliamento francese

Marchese di Lapilla

1669

Abbigliamento spagnolo

Sagrada Forma (Coello)

1685

Benedizione dell'abbigliamento borbonico

 

4. Alcuni confronti tra modello spagnolo e modelli italiani: un fiorentino a Salamanca

È possibile ricostruire la realtà sociale a partire dalla cultura materiale dei mobili domestici e dell'abbigliamento?; essa generava mondi differenziati di gerarchie familiari e comunitarie?; in che misura e in che modo definiva i rapporti?; la chiave era solo economica, anche quando gli oggetti riaffermavano quali indicatori di distinzione culturale? [18]

Si possono apprezzare le miserie popolari a Roma attraverso l'uso di un abbigliamento sporco, lacero, mal equipaggiato e antiquato; e allo stesso tempo criticare le "vanas apariencias del mundo […] dando al siglo, en vez de ejemplo, escándalo […] viviendo a la militar moda". L'anonimo 'pretendente' spagnolo indossava: "un berretto pieno di pelucchi, con una rete sudata sulla testa, un bisunto giustacuore che in illo tempore era stato nero e adesso era del colore dell'ala delle mosche, un sozzo e appiccicoso cappello, stretto alla gola con una cravattucola e con una camicia che una volta era stata bianca. Un amico,a sua volta appariva con uno striminzito collettino stretto, casacchetta nera più vecchia delle calzamaglie attillate, cappello stretto e piena di pulci, avanzi di scarpe ormai divenute ciabattine aperte… e con più melma e toppe che il vestito del primo (un altro "venia el pobrete hambriento de casaca, necesitado de chupa y ayuno de calzones, con carencias de capa"). Entrambi, i cappotti logori, con "con cortas apariencias de mejora". A Roma "l'uso ha fatto sì che trionfi solo la galanteria, l'ornamento, la moda e lo stile". [19]

Un altro esempio paradigmatico analizza in profondità in chiave comparativa quella stessa realtà, per avvertire che non sempre, anzi quasi mai, era così visibile tra la maggioranza della popolazione castigliana dell'età barocca.

Girolamo da Sommaia era l'erede di un ricco nobile fiorentino che sarebbe tornato in patria nel 1607 (a 30 anni e già sposato). Si iscrisse a Salamanca dall'anno 1602-03 per laurearsi in diritto civile nel 1606 e in diritto canonico un anno dopo. Il suo diario è un registro della corrispondenza, breviario di appunti necrologici e libro di cassa; uno "strumento di ricordi e un prontuario contro l'oblio". [20] Se esaminiamo i conti relativi al vestiario, osserviamo come le sue spese domestiche dimostrano che viveva in condizioni agiate, poiché la sua casa era curata da una governante, aveva servi, un cuoco e un cameriere (che prepararono il suo corredo di biancheria nel 1605 quando traslocò in una nuova residenza). Anche così, è però certo che il suo tenore di vita non dimostrava affatto opulenza.

Insieme ad alcuni soprabiti (cappa corta e mantello degli universitari), egli curava maggiormente quelli destinati a coprire la parte inferiore del corpo. Sorprendono infatti le poche camicie acquistate che non corrispondevano affatto alla gran quantità di scarpe da lui utilizzate. Più di una ventina di pezzi diversi, sebbene due terzi di essi si concentrassero nelle sei tipologie più caratteristiche dell'abbigliamento maschile della gioventù universitaria spagnola dell'inizio del XVII secolo: scarpe ("me calcé un par nuevo", ripete più volte), calzoni, calze, camicie, giubboni e guanti. A ciò doveva sommarsi una non disprezzabile spesa in passamaneria, fazzoletti, fustagni, taffetà, fili, teli di lino e di canapa, camoscio e seta… in diversi colori, senza predominio del nero. Più una maschera per il Carnevale del 1607.

 

Tabella 2. Articoli acquistati da Girolamo a Salamanca 'alla moda spagnola' 1603-07

 

1603 [21]

1604

1605 [22]

1606 [23]

1607 [24]

TOTALE [25]

Calzamaglie

2

1

1

4

4

12 paia

Giarrettiere

 

 

 

 

1

1 paio

Calzoncini

5

3

3

3

 

14

Ghette

 

1

 

 

1

2 paia

Scarpe

 

6

7

3

 

16 paia (almeno tre paia all'anno)

Pantofole

 

1

2

1

 

4 paia

Berretti

 

2

 

 

 

2

Cappelli

 

1

 

 

1

2

Copricapi

 

 

 

 

1

1

Colletti

 

 

2

 

2

4

Maniche

 

 

 

 

1

1 paia

Guanti

1

 

1

4

1

7 paia

Foulard

 

2

 

 

 

2

Camiciole

 

3

 

 

 

3

Camice

 

 

6

 

 

6

Giubbe

1

 

3

 

2

6

Giustacuore

 

 

1

 

 

1

'Vestiti'

 

 

2

1

 

3

Mantelli

 

 

1

1

 

2

Cotte

 

 

 

1

1

2

Manicotti

 

1

 

 

1

2

Palandrane

 

 

 

 

1

1

Cappotti

 

 

 

 

1

1

Pezzi

9

19

31

19

17

95 (media annuale: 19)

 

Sebbene la spesa per il suo abbigliamento non fosse in proporzione grande, non trascurò la sua immagine di nobile straniero. Regalava capi (mantiglie per un battesimo) e li riceveva in prestito o lo faceva egli stesso; li perdeva; li comprava in alcune botteghe (qualcuno anche nei suoi viaggi a Valladolid o a Barcellona); o li faceva confezionare da sarti e calzettai salmantini. La sua cultura materiale tangibile, è scarsa, anche se di una certa qualità: sei cucchiaini d'argento e due bicchieri (settembre del 1606), con alcuni piatti e alcune scodelle; senza dimenticare l'acquisto di biancheria per mettere a posto la sua casa: due tavole di tovaglie, sei tovaglioli e il suo "corredo di biancheria". Una valigia per un viaggio per recarsi a Medina (comprata per 18 reali) completava il suo esiguo corredo (appena una ventina di pezzi all'anno), sebbene potesse contare su capi esteri di qualità. Le sue spese erano ripartite molto irregolarmente nel corso del tempo e anche all'interno di uno stesso anno, e senza alcuna sequenza precisa.

Un portamento esteriore privilegiato pari a quello che sfoggiava nella sua Toscana natale, però che non corrispondeva alla maniera "barocca" di stimare il valore, definita come generale da Deleito Piñuela al momento di definire l'inseiem del popolo (sebbene solo madrileño) durante i regni di Filippo III e di Filippo IV d'Asburgo. Erano sufficienti; erano le cose necessarie, non numerose … ma di buona qualità, simbolo del potere della sua famiglia italiana, soprattutto in terra straniera.

 


Note

* HAR2013-48901-C6-3-R: Civilización, juventud y cultura material e inmaterial. Familia e identidad social. Demandas y apariencias en la Castilla interior. 1500-1850); Mineco, 2014-2017.

1. Antonio de Guevara, Menosprecio de corte y alabanza de aldea, 1539.

2. Pierre Vilar, "El tiempo del Quijote", in ID., Crecimiento y Desarrollo, Barcelona, 1965.

3. Raffaella Sarti, Vida en familia. Casa, comida y vestido en la Europa Moderna, Barcelona, 2003. En 1617 un autor italiano escribía en su Lamento de los pobrecillos que viven de alquiler y quieren pagarlo: "costui impegna il suo cappello e il mantello e un bracere […] quegli vende il suo materasso, le calze, una giubba e la gioie di sua moglie. Brutta cosa è l'affitto", pp. 245-269. Anche Paolo Malanima, Il lusso dei contadini. Consumi e industrie nelle campagne Toscane del Sei e Settecento, Bologna, 1990.

4. Máximo García, "Evolución de las pautas de consumo doméstico comparadas en el sur de Europa (1700-1830)", Clio. Nova Série, 20/21 (2009), pp. 367-396; Máximo García - Isabel dos Guimaraes Sá (eds.), Portas adentro: comer, vestir, habitar (ss. XVI-XVIII), Coimbra-Valladolid, 2010; o Máximo García, "Home and Outdoors: personal clothing and house comfort: evolution and significance in Castile between 1650 and 1850", in Carlota Santos (ed.), Familia, Espaço e patrimonio, Porto, 2011, pp. 403-418.

5. Anastasio Rojo Vega, El Siglo de Oro. Inventario de una época, Salamanca, 1996.

6. Máximo García (ed.), Cultura material y vida cotidiana moderna: Escenarios, Madrid, 2013; o Juan Manuel Bartolomé - Máximo García (eds.), Apariencias contrastadas: contraste de apariencia. Cultura material y consumos de Antiguo Régimen, León, 2012. Máximo García - Francisco Chacón (eds.), Ciudadanos y Familias. Individuo e identidad sociocultural hispana (Siglos XVII-XIX), Valladolid 2014.

7. José Antonio Maravall, La cultura del Barroco, Barcelona, 1986 (1975), pp. 356-418.

8. "Pintar apariencias"; "el mundo son trazas"; por encima de la 'manera de ser'; ibidem, p. 394.

9. J.B. de Villegas, Cómo se engañan los ojos, 1622; ibidem, pp. 381-405 y 408.

10. Olanda Barbosa Vilaça, Cultura material e património móvel no mundo rural do Baixo Minho em finais do Antigo Regimen (tesis doctoral de la Universidade do Minho, 2013).

11. Nuno Gonzalo Monteiro (ed.), Historia da vida privada em Portugal. Idade Moderna, Maia 20111.

12. Sarti, Vida cit., pp. 270-280. Jennie Batchelor - Cora Kaplan (eds.), Women and Material Culture, 1660-1830, Basingtoke, 2007.

13. Renata Ago, Il gusto delle cose. Una storia degli oggetti nella Roma del Seicento, Roma, 2006: sull'abitazione degli sposi, pp. 59-63; sul mobilio, pp. 63-84; circa lo spazio domestico, pp. 84-85; sul servizio da tavola, pp. 87-93; sulla biancheria, pp. 93-95; sull'abbigliamento, pp. 95-102; per mode, colori e status sociale, pp. 102-117.

14. Barbara Bettoni, I beni dell'agiatezza. Stili di vita nelle famiglie bresciane dell'età moderna, Milán, 2005; p. 23. La classificazione funzionale ('primario', 'secondario' - per settori; abbiggliamento - e 'dettagliata') proposta e utilizzata per inquadrare gli oggetti inventariati differenzia i diversi registri (p. 43).

15. Paola Venturelli, Vestire e apparire. Il sistema vestimentario femminile nella Milano spagnola (1539-1679), Roma, 1999.

16. José Deleito y Piñuela, La mujer, la casa y la moda (en la España del rey poeta), Madrid, 1966, p. 297.

17. Arianna Giorgi, De la vanidad y de la ostentación. Imagen y representación del vestido masculino y el cambio social en España, siglos XVII-XIX, Tesi di Dottorato, Universidad de Murcia, 2013; parte II: "Hegemonías vestimentarias en la Europa Moderna: España y Francia", pp. 165-381.

18. Michel Figeac (dir.), L'ancienne France au quotidien. Dictionnaire d'Histoire matérielle, París, 2007; "Vie quotidienne et matérielle au XVIIe siècle", in La société en France, en Espagne et en Angleterre au XVIIe siècle, París, 2007, pp. 7-48; e "Les délices de la chair dans les demeures nobiliaires de la Guyenne au XVIIIe siècle", in Du bien manger et du bien vivre à travers les âges et les terroirs, Bordeaux, 2002, pp. 221-232.

19. Rosa Mª Pérez y Rosa Mª González, Pretendientes y pícaros españoles en Roma. Siglo XVIII, Valladolid, 1992; El Passeo de Roma, concluido en Nápoles. En Roma, año de 1736 (Biblioteca de la Embajada Española en Roma, Archivo de la Iglesia Nacional Española en Roma, mso 95), pp. 53-140 (Prima parte: pp. 63-65, 68, 74 e 104). "Vestíme mis desaliñados andrajos"; "Ajustéme mi más decente vestido, tras lavarme con agua hirviendo […] servíale de tirilla un cuellecillo más mugriento que el de mi capa o el forro de mi sombrero y venía enmantado hasta el tobillo con un raído ropón de cobertores" (ibidem, p. 67). "Todo en él respiraba melancolía, anunciaba miseria, olía a tiricia y resollaba economía, trayendo cierto olorcillo a cera, revuelto con especies de sepultura"; mentre, per contrasto, un abate "se adornaba la cara con una peluca más rizada que la de un petimetre" (ibidem, p. 68). Negli incontri con tanti poveri e miserabili, quanto superbi e presuntuosi spagnoli, sono descritte maniche rattoppate e calzoni di velluto (sebbene con cinture dotate di fibbie alla moda), miseri pezzi di cappa che servivano più come ornamento che come cappotto, calze "di vetro" per la loro trasparenza, scalzi e con indosso una cappaccia scadente che da tempo aveva cessato di essere un mantello e con meno lana di una pecora tosata; di fronte a pizzi che parlavano di vanità, superbia e presunzione ("que por hacer esa lucida y soberbia apariencia, están metidos hasta los hocicos en el albañar de la miseria y llenos hasta los ojos de débitos")… Ancor peggio considerati quanto più quei licenziosi romani criticavano i pietosi costumi di Spagna e quando "muchos sólo en el exterior ostentan ese lucimiento; que yo sé de muchos que mediante unas medias mangas y sus puños encubren todas sus camisas" (ibidem, pp. 69-70 e 77).

20. George Haley (ed.), Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita de Girolamo Da Sommaia, (1603-1607), Salamanca, 1977, pp. 97-647.

21. "Me vestí un par de calzones encarnados que me hizo Salamanca (95 reales en total): paño y pasamanería, 77 reales; hechura pagada a Salamanca, nueve rls.; de botones, seis; por tundir el paño, uno; de faltriqueras, uno; y por las cintas, otro; 8 de noviembre; p. 260.

Inoltre nello stesso dicembre: "me vestí un jubón de tafetán, que me costó 82 reales. Al mercader, por dos varas y media, cincuenta reales y medio; al sastre-jubonero, catorce rls.; de la hechura, ocho; por los ojales, seis; y de botones, tres y medio; p. 266.

22. "Hechura de seis camisas, tres pares de calzones de holanda y cuatro pañuelos", 42 reales; febrero; p. 308.

"Nota de la biancheria y ropa blanca (por Antonio Tello, su camarero) que traslada a su nueva casa: "doce camisas; 24 pañuelos; cuatro botones; seis paños de manos y otros cuatro más labrados y otro peinador; doce pares de calcetas; cuatro toallas y otras doce servilletas más pequeñas; dos pares de cintas; dos pares de sábanas labradas; dos pares de mantas; una colcha de paño de colores; seis varas de batista; y dos ovillos de costura"; 4 de julio; p. 370.

Compró nuevo, "todo pagó [120 reales] a Arralde y a Durán" (7 septiembre); p. 397:

Saqué a Marica, para seis docenas de botones 6 reales.

A Durán 30 De nueve varas y media de bayeta para un vestido, 14 reales; por una vara de fustán, 3,5; media vara de anjeo, 1; dos onzas de seda, 4,5; y por tres cuartas de tafetán doble, 7 rls.

A Durán 51 De tres varas de tafetán verde para un jubón, 31 reales; dos varas de lienzo para el forro, 7; dos varas y media de fustán, 5; otra de anjeo, 3; seis adarmes de seda, 2; y por dos docenas y media de botones, 3 rls.

Todo pagó a Arralde 33 Hechura de un jubón, 8 reales; por los ojales, 6; por la hechura de un vestido, 13; sus ojales, 5; y por las cintas de la sotana, 1.

23. "Nota del ferreruelo de paño negro y el calzón de lienzo blanco"; agosto; p. 534.

24. "Gasto del gabán (131 reales y medio en total): cinco varas y media de raja, 74 reales; una cuarta de terciopelo verde, 11 rls.; pasamanos, 27; seda, 5; dos varas de tafetán, 14; y una sesma de anjeo, medio".

Quattro giorni dopo: "Pagado a Salcedo, el sastre [todo lo dio Arralde], para el gabán, 18 reales; y por tundir el paño, 2 rls.; y por su hechura, 12; y para cuatro docenas de ojales, 4 rls… Para el jubón de holanda: por vara y media de holanda, una vara de anjeo, dos de lienzo casero, media de tafetán, una y media de holandilla y un cuarto de seda…Pagó a Arralde de holandas para cuellos y valonas, 38 reales".

Egli stesso "para el sombrero negro y la hechura de una montera; el aderezo de otro sombrero propio; y por los botones y alamares del balandrán"; 21 de abril, más lo adquirido el 25 de dicho mes; pp. 625-628.

25. Regali alle amiche: un paio di guanti, una dozzina di cinture e fino a sette fazzoletti.