Alla morte di Francesco de Medici, granduca di Toscana dal 1574 al 1587 e alleato fedele della Spagna, il principato passò al fratello Ferdinando, terzo granduca di Toscana, che cercò immediatamente di distanziarsi dalla Spagna e di avvicinarsi ad altri interlocutori, la Francia in primo luogo. A tal fine, nel corso del suo governo (1587 - 1609), mise in campo delle strategie volte ad aprire le prospettive del suo granducato, ad estendere la rete di relazioni e di appoggi al di là della Spagna, attento a non restringere il ventaglio delle amicizie e delle relazioni a un solo interlocutore importante. Nel quadro della politica di Ferdinando è opportuno peraltro discernere una lunga fase, dalla presa di possesso del granducato all'incirca fino al 1604, in cui egli adottò questa linea politica, e un'altra fase, a essa successiva e che durò fino alla morte, in cui, a causa dei mutamenti nelle dinamiche interstatali più ampie, ritenne più conveniente ricollocarsi sotto l'ala della monarchia iberica. [1]
Nel momento in cui Ferdinando I de Medici era succeduto a Francesco, la sua strategia ambivalente richiedeva agli ambasciatori pari abilità per stringere rapporti e contatti senza piegarsi mai pienamente alla fedeltà alla Spagna. Il suo fine era di costruire un sistema molto denso di inviati a Corte, che gli permettesse di essere informato sui movimenti dei cortigiani spagnoli ma anche su quelli dei propri ufficiali. Ambasciatori, inviati e altri agenti della comunicazione e del negoziato dovevano infatti rappresentare Ferdinando I, non solo mostrando attraverso se stessi la persona del granduca, ma anche trasmettendo nel senso corretto i suoi orientamenti al sovrano spagnolo. Per essere costantemente informato di tutto ciò, Ferdinando poneva nei circuiti della Corte numerose figure che riferivano a lui direttamente anche sull'operato dei 'colleghi'.
Con questo saggio ci domanderemo se i suoi ufficiali furono in grado, ed ebbero la volontà, di trovare il giusto punto di equilibrio, se fecero altresì dei passi falsi involontari o se, infine, furono anche interessati a situarsi in una posizione professionale più favorevole, magari cambiado casacca o cercando di radicalizzare momenti di difficoltà e tensione. In una fase di cambiamento come quella inaugurata da Ferdinando I, infatti, i problemi di questo tipo poterono farsi anche molto acuti. Oltre a quelle fra Ferdinando I e i re di Spagna, si assiste quindi all'aggravarsi delle tensioni fra i diversi ufficiali medicei e nei confronti del loro sovrano che li mandava alle Corte estere con mansioni non chiare e appositamente ambigue. I livelli considerati saranno pertanto almeno due: quello delle intenzioni e delle direttive emanate dal granduca nei suoi rapporti con Filippo II e poi con Filippo III; e quello dell'operato dei suoi emissari, dal punto di vista sia delle concrete capacità di interpretare e mettere in atto tali direttive, che dei loro interessi particolari e specifici, talvolta confliggenti con quelli del vertice.
Ferdinando chiamò i suoi fedeli ufficiali a impegnarsi in questo senso e inviò nuovi emissari a Corte. D'altra parte, soprattutto nelle fasi iniziali del suo granducato, erano presenti a Madrid anche gli emissari inviati dal granduca precedente, che si era posto, come abbiamo detto, in una posizione molto più fedele alla Spagna. Quali furono i rapporti fra queste diverse figure? In queste pagine prenderemo in considerazione proprio il rapporto, basato su fondamenta instabili, fra un ambasciatore ordinario mediceo, accreditato in Spagna dal granduca precedente Francesco de Medici, e confermato dal suo successore, e un inviato di Ferdinando I.
1.
Alla morte di Francesco l'ambasciatore ordinario in Spagna era Vincenzo Alamanni, presente a Madrid dal 1586. L'Alamanni era stato servitore di Cosimo I e poi di Francesco e restò a Madrid fino al 1590. [2] Il primo ambasciatore ordinario in Spagna nominato da Ferdinando de' Medici fu Francesco Lenzoni che ebbe questo incarico nel 1590, e fu residente presso Filippo II per tre anni. [3] Fino al 1590 Ferdinando non disponeva quindi alla Corte spagnola di un ambasciatore ordinario di proprio gradimento. Impegnò invece molte risorse, in termini di denari e di uomini, per collocare in quella Corte alcune figure in qualità di agenti e inviati, nell'ambito della politica assai ambigua che condusse all'inizio del suo governo, quando cercò di mantenere un'apparente adesione alla causa spagnola, portando avanti su più piani i propri progetti politici divergenti da tale adesione.
Sin dai primi mesi del suo granducato inviò diversi ufficiali a Madrid, per rappresentarlo sia in modo ufficiale che in forme ufficiose: durante la fine del 1586 e parte del 1587 si trattenne in Spagna, con l'incarico specifico di trattare del matrimonio di Pietro de' Medici, ultimogenito di Cosimo I che risiedeva alla Corte spagnola, l'ambasciatore ordinario uscente, Bongianni Gianfigliazzi. [4]
Ricordiamo anche Prospero Colonna e Gian Vincenzo Vitelli, marchese di Cetona. Inoltre in questo periodo anche Pietro de' Medici, che trascorreva lunghi soggiorni a Madrid, mantenne rapporti cordiali e una corrispondenza abbastanza densa e regolare con il granduca. [5]
Prospero era membro dell'importante famiglia Colonna. [6] Nel 1578 era al servizio del granduca Francesco e, in qualità di maggiordomo maggiore, aveva accompagnato Pietro de Medici in Spagna, ma fra i due si erano aperti molto presto profondi dissidi che avevano portato il Colonna ad anticipare il rientro a Firenze all'ottobre dello stesso anno. Con la successione di Ferdinando lo troviamo al servizio del nuovo granduca di nuovo a Madrid, dove morì nel maggio del 1588. [7]
Il marchese di Cetona era stato mandato in Spagna per annunciare la scomparsa del granduca Francesco e la successione di Ferdinando I. Egli aveva inoltre l'incarico di chiedere il rinnovo dell'investitura di Siena. [8] Dopo che Pietro ebbe informato Filippo II della morte di Francesco, il marchese di Cetona ebbe il compito di andare a darne "ragguaglio […] più pieno" allo stesso Filippo. [9] Doveva altresì professare la servitù di Ferdinando I e la sua disponibilità a "correre indifferentemente ogni sua fortuna" [di Filippo II] "in tutte le pubbliche et private occasioni". [10] Il marchese di Cetona avrebbe dunque dovuto chiedere, proseguiva Ferdinando I, "di ricever noi sotto l'ale della sua protettione certificandole che in parte alcuna non ce ne troverà meno meritevoli". [11] Ferdinando aggiungeva peraltro che il Vitelli avrebbe dovuto pronunciare questo discorso con destrezza e sagacia, affinché fosse "creduto con intera fermezza". [12] Nel corso dei primi mesi dopo la sua successione, il granduca predicava ancora di voler aderire al partito spagnolo, ma vi era grande attenzione da parte spagnola ai segnali di cambiamento nei suoi atteggiamenti e profonda diffidenza di fronte alle sue parole.
"Il più scrupoloso e fedele servitore che Ferdinando potesse desiderare" [13] alla Corte spagnola fu però Giulio Battaglino, al suo servizio dai tempi in cui Ferdinando era cardinale (1563-1588) e a lungo suo agente in Spagna. Originario di Bergamo, il Battaglino era un uomo "assai facoltoso, raffinato e dotto" [14], che aveva stretto amicizia con figure di spicco della cultura. Nel 1576 Torquato Tasso si professava suo servitore. [15] Battaglino era entrato al servizio di Ferdinando nel 1573, quando quest'ultimo era cardinale a Roma, e aveva continuato a servirlo anche negli anni del granducato. Nel 1582 Ferdinando lo aveva inviato in Spagna, quando temeva che Francesco stesse cercando di ottenere il titolo di principe per il figlio naturale don Antonio, in vista di una sua eventuale successione al granducato. Il Battaglino risiedette colà stabilmente da quella data per seguire le manovre di Francesco. Quando succedette al granducato, Ferdinando disponeva quindi di un proprio agente in Spagna. [16]
Fine primo della presenza di Battaglino a Corte era, come scriveva lui stesso, "formar buona intelligenza con questi ministri appresso de' quali fo progresso di mano in mano, quanto permette però la ritiratezza presente della Corte et la natura de soggetti". [17] Ma l'antico servitore di Ferdinando mostrava piena consapevolezza della difficoltà dell'impresa. Filippo II, abilissimo sovrano, figura monarchica "vecchia nell'arte di dominare", infatti, aveva riunito intorno a sé un pool di ministri a lui fedelissimi sia perché, in molti casi, per loro natura erano portati a obbedire al loro re, sia perché quest'ultimo li gratificava con larghezza, in modo che essi non fossero facilmente corruttibili. [18] Con Juan de Idiáquez, uno degli interlocutori più rilevanti per gli affari dei Medici, come scriveva il Battaglino, "ho parte da contentarmi per l'honore et carezze che mi fa" [19], dacché il grande ministro di Filippo II non subiva il fascino dell'adulazione né era sensibile all' "interesse", ovvero ad arricchimenti personali. Pochi restavano gli strumenti per avvicinarlo, e infatti il Battaglino non credeva di poter far molto per conquistarlo, se non "'honorarlo et mostrar confidenza" [20], perché "l'altra [strada] dell'interesse non crederà mai che ci habbia luogo sì per la sua natura come per tenerlo Sua Maestà contentissimo". [21]
Fra le mansioni del Battaglino era anche quella di riferire dello stato degli 'umori' della Corte spagnola. Su questo punto egli seguiva un'ottica completamente differente da quella degli altri agenti. Il tono delle sue lettere era quello schietto di un servitore a cui da tempo il padrone aveva svelato i propri reali orientamenti politici. [22]
Se su questi piani, quella svolta dal Battaglino era una funzione di grande utilità, su altri piani provocava dei problemi a Ferdinando I. Proprio il fatto che fossero presenti a Corte più referenti medicei, alcuni dei quali, come lo stesso Giulio, senza una qualifica chiara, portava i ministri spagnoli ad adottare un atteggiamento cauto, in attesa di comprendere quale fosse l'effettivo referente del granduca a Corte. Scriveva a questo proposito Battaglino:
L'essere ancora più huomini qui hora per Sua Altezza fa che l'un da per sé ha manco materia di dimesticarsi poiché senza occasione di negotii non si usa comunicar co' ministri i quali ancor o per credere ch'io non sia per star più qui molto, o pare che come subalternato all'ambasciatore mi sia forza comunicar ogni mio lume, non s'apriranno mai meco quanto farebbono forse per le altre circostanze ch'in me concorrono. [23]
L'ambiguità della posizione del Battaglino conteneva elementi funzionali alla costruzione di iniziative non trasparenti, sulle quali Ferdinando giocava buona parte della propria strategia politica alla Corte spagnola, ma la stessa ambiguità rendeva difficile agli ambasciatori o agenti medicei la creazione di rapporti di fiducia con i ministri spagnoli. D'altra parte le cautele di parte spagnola non erano dovute solamente all'indeterminatezza delle funzioni di alcuni emissari di Ferdinando I, ma si legavano ai profondi sospetti con cui quest'ultimo veniva guardato in questo periodo dalla Spagna.
Il fedele servitore del granduca metteva in evidenza difficoltà reali, relative in particolare alla insufficiente definizione del mandato politico dei referenti di Ferdinando I. In un inserto allegato a una lettera per il segretario Pietro Usimbardi, egli dichiarava l'insostenibilità della 'rappresentanza multipla', in particolare in relazione al rapporto fra il proprio ruolo e quello dell'ambasciatore ordinario Vincenzo Alamanni. Egli sollecitava la scelta di un solo ambasciatore mediceo: tale scelta si poteva risolvere sia nel senso di un pieno e sostanziale accreditamento dell'Alamanni, "gentiluomo da honorarlo" [24], che nella nomina ad ambasciatore, concretamente ventilata, dello stesso Battaglino. Quest'ultimo metteva in evidenza la delicatezza della posizione in cui si trovava: da un lato godeva di un "favore" da parte di Sua Altezza, ma dall'altro, ciò lo esponeva "all'invidia et hanco [al] bisogno di essere protetto". Alla sua contrapponeva la posizione dell'Alamanni, il quale, nella lettura che ne dava Battaglino, non era mantenuto a Madrid che "per ombra et non far nulla". A Corte, continuava, ci si interrogava sul suo ruolo, poiché "pare strana la sua conditione", dotato quasi solo del mandato a titolo onorario. [25]
L'ambasciata medicea in Spagna veniva descritta dal Battaglino in una condizione di stallo, in cui nessuno dei due membri principali (Vincenzo Alamanni e Giulio Battaglino) era dotato dei poteri necessari. Fra i due si stava giocando una partita e, se il secondo aveva dalla sua "il maneggio delle cose", il primo, che non era che l'ombra di se stesso, disponeva però dell' "autorità del titolo". [26]
Occorreva superare l'impasse e scegliere uno dei due, che fosse però dotato di tutti i mezzi necessari, ovvero del "decoro et col segreto necessario" [27] per condurre i negozi ed essere riconosciuto a Corte. Ovviamente nel denunciare questa situazione Battaglino era stato mosso anche da motivazioni personali, poiché sperava di acquisire una posizione migliore, magari prendendo il posto proprio dell'ambasciatore ordinario. [28]
Anche Vincenzo Alamanni era consapevole della difficile situazione, tanto che non appena era venuto a conoscenza della morte del granduca Francesco, il 14 novembre 1587, aveva compilato per il suo successore una relazione di tutti i negotii aperti alla Corte di Madrid. In essa rifletteva anche in merito alla propria capacità di reperire informazioni e notizie sulla Corte e che a Corte circolavano. Affrontava esplicitamente alcuni problemi a proposito della qualità del lavoro svolto: ammetteva di non essersi procurato le informazioni con la solerzia necessaria: "io ne sono stato nel vero forse più scarso di quello ch'haverei dovuto". Ma molti erano stati i fattori che lo avevano ostacolato: il primo, era "la naturale segretezza et circospettione di questi huomini", abituati a trattare con sospetto soprattutto figure come la sua, nuove nell'ambiente spagnolo; inoltre da poco tempo si era stabilito a Madrid e aveva trovato scarse opportunità di allacciare "intelligenzie" e "intrisichezze" che lo aiutassero ad addentrarsi nei circuiti segreti della politica. Ma erano stati soprattutto gli scarsissimi strumenti forniti da Firenze, "il piccolissimo modo, che ho havuto, et ho" per poter allacciarre qualche opportuna "intelligenza" che gli avevano impedito di soddisfare appieno "all'ufitio" suo. [29]
Nell'Alamanni, uomo di grande esperienza in campo diplomatico, che era stato più volte inviato alla Corte di Francia ma non conosceva quella di Spagna [30], era viva, pertanto, la consapevolezza dell'insufficienza dei risultati del proprio lavoro di tessitura di rapporti, imprescindibile per inserirsi nei canali informativi. A suo avviso erano state le condizioni oggettive - quale lo scarso tempo trascorso a Corte - che glielo avevano impedito. D'altra parte non si asteneva dal richiamare la scarsezza di strumenti concessigli per guadagnarsi la confidenza di qualcuno - in primo luogo probabilmente i denari - per giustificare le ragioni dei suoi scarsi risultati. Si tratta di un'evidente nota polemica. Infatti egli aveva ben chiaro il significato della sua posizione, essendo di nomina del precedente granduca, e non nascondeva l'importanza, a Madrid, del fidato servitore di Ferdinando I, Giulio Battaglino. Era il confronto con gli strumenti accordati a Battaglino a rendere ancora più forte lo sbilanciamento fra i due. In effetti per le prime incombenze seguite alla successione del nuovo granduca Alamanni era stato accompagnato da Battaglino, con il quale l'ambasciatore ordinario aveva reso e ricevuto molte visite. [31] Dopo la morte del granduca Francesco, il nuovo granduca affidò al Battaglino l'incarico di tessere nuovi rapporti con gli alti ministri spagnoli. Se occorreva incontrarsi con l'Idiáquez, egli accompagnava l'ambasciatore ordinario. A Gianvincenzo Vitelli, Ferdinando ordinava di consultarsi con l'ambasciatore "et più col Battaglino, agente nostro meglio informato". [32] La principale corrispondenza con Firenze era tenuta da lui.
Si tratta evidentemente di una strategia di Ferdinando I per tenere legati a sé i diversi ufficiali, rendendoli il più possibile insicuri e dipendenti dal proprio favore. In questa dinamica ebbe grande importanza la capacità del granduca di attribuire di volta in volta i poteri di negoziazione alle diverse figure presenti a Madrid, senza concedere mai piena fiducia a nessuno, gratificando ora l'uno e ora l'altro. Nondimeno, la tensione fra Battaglino e Alamanni era sfociata in una sorta di paralisi, almeno nella visione che ne trasmise il primo, forse proprio sperando così di spingere Ferdinando I ad attribuirgli un ruolo diplomatico anche formalmente riconosciuto.
Dopo i mesi dell'impasse fra l'Alamanni e il Battaglino, la situazione fu risolta probabilmente grazie alla lettera di quest'ultimo che abbiamo citato più sopra, ma non nel senso da lui auspicato. La proposta di nominarlo ambasciatore al posto dell'Alamanni, infatti, benché dovesse poggiare su concreti fattori di difficoltà, fu immediatamente rigettata da Firenze. [33] Il Battaglino fu accusato di essere troppo ambizioso e gli venne intimato di stare al proprio posto. [34] Ovviamente egli si dichiarò pronto ad accettare la decisione del granduca, e anzi aggiunse che avrebbe operato come meglio poteva per accrescere l'autorità dell'ambasciatore e, scriveva, "mentre Sua Altezza vorrà ch'io continui questa stanza, [provvederò a ]… dargli il lume delle cose che saprò". [35]
Il granduca aveva messo in campo diverse figure per attraversare i mesi dell'insediamento e del trasferimento del potere nelle proprie mani. Aveva favorito una situazione ambigua sul piano dell'attribuzione di mansioni e responsabilità fra i membri della propria ambasciata in Spagna, in linea con la politica dei silenzi, delle ambiguità e della dissimulazione.
In un secondo momento non fu più possibile né utile mantenere la situazione in questi termini. Filippo II di lì a poco avrebbe fatto pressione su Ferdinando I affinché mettesse in chiaro i suoi orientamenti politici, e avrebbe inviato nel 1588 il suo emissario Velasco a Firenze proprio per definire alcune questioni principali. Sul piano informativo Ferdinando dovette infine affidare in modo univoco il mandato a un ambasciatore. Battaglino aveva esercitato pressioni eccessive per prendere il posto dell'Alamanni, ma il granduca aveva riconfermato piena fiducia a quest'ultimo e aveva ridotto gli spazi di manovra dell'antico servitore.
Proprio in questo momento, nel maggio 1588, Alamanni, che aveva taciuto nei mesi di protagonismo dell'altro, riprendeva a scrivere a Firenze. Nella lettera al granduca spiegava il lungo silenzio con il fatto che "non havendo negozii da scriverle, né di nuovo cosa di momento, volentieri ho lassata questa cura a chi havrà havuto materia di far l'uno e l'altro". [36] Egli era infatti al corrente del fatto che altri, come il Battaglino, il cavalier Gianfigliazzi e il marchese Vitelli, aggiornavano costantemente il granduca. Aveva quindi ritenuto superfluo aggiungersi alla conta. Probabilmente, dalla posizione che occupava, l'Alamanni aveva considerato poco dignitoso, e ancor meno efficace, cercare di farsi spazio attraverso un'aperta competizione con inviati di rango inferiore, e aveva invece adottato la strategia del silenzio e dell'attesa, che ora stava dando i suoi frutti. Quando al Battaglino veniva ordinato di non ingerirsi negli affari del diplomatico, quest'ultimo riprendeva a occupare anche gli spazi professionali e pubblici che gli competevano.
Attraverso l'analisi delle prime tappe del lavorio diplomatico degli uomini di Ferdinando I alla Corte spagnola, e soprattutto seguendo l'alternarsi di fasi di ambiguità a fasi di chiarificazione dei ruoli dei suoi diversi emissari (mai peraltro stabiliti in modo definitivo), in relazione alle condizioni e agli equilibri politici fra le due Corti, abbiamo potuto mettere a fuoco un aspetto importante della strategia politico-informativa di Ferdinando. Ci siamo soffermati sugli scambi e sui carteggi quotidianamente inviati al granduca per comprendere come quest'ultimo, e i suoi più fidati segretari, dovessero sbrogliare la matassa delle distinte iniziative portate avanti dagli agenti (dagli ambasciatori agli inviati ad altre figure semi-segrete) e dovessero vigilare continuamente sulla corretta esecuzione degli ordini e sulle spinte provenienti dalle ambizioni personali. Ferdinando I giocò con grande abilità a mantenere aperte delle ambiguità, anche puntando sul fatto che i suoi diversi rappresentanti in Corte entrassero in competizione o in conflitto.
Note
1. Cfr. F. Diaz, Il Granducato di Toscana. I Medici, Torino, Utet, 1976; G. Spini, Il principato e il sistema degli stati europei del Cinquecento, in Firenze e la Toscana dei Medici nell'Europa del '500, Firenze, Olschki, 1983, vol. I, pp. 177-216; E. Romero García, El imperialismo hispánico en la Toscana durante el siglo XVI, Lleida, Dilagro, 1986; E. Fasano Guarini, Ferdinando I, in DBI 46, Roma, Istituto dell'Enciclopedia italiana, 1996, pp. 258-278; Eadem, La fondazione del Principato da Cosimo I a Ferdinando I (1530-1609), in Storia della civiltà toscana, III. Il principato, Firenze, Cassa di Risparmio di Firenze - Le Monnier, 2003, pp. 3-40; F. Angiolini, Il lungo Seicento (1609-1737): declino o stabilità ?, ivi, pp. 41-76; P. Volpini, Toscana y España, in La monarquía de Felipe III: Los Reinos (volumen IV), J. Martínez Millán - M. A. Visceglia (a cura di), Madrid, Fundación Mapfre, 2008, pp. 1133-1149.
2. Cfr. V. Rotondi, Alamanni Vincenzo, in DBI 1, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1960, ad vocem.
3. F. Martelli - C. Galasso (a cura di), Istruzioni agli ambasciatori e inviati medicei in Spagna e nell' "Italia spagnola" (1536-1648), vol. II, 1587-1648, Roma, Ministero per i Beni e le Attività culturali, Direzione Generale per gli Archivi, 2007, p. 9.
4. Il Gianfigliazzi era stato nominato ambasciatore ordinario il 2 febbraio 1583, V. Arrighi, Gianfigliazzi Bongianni, in DBI 54, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana 2000, pp. 349-352, p. 350.
5. Su questa figura cfr. P. Volpini, Medici Pietro de, in DBI, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2009, vol. 73, pp. 161-165.
6. Non è noto il suo legame con il ramo principale, il cui membro più eminente in quegli anni era Marcantonio, cfr. N. Bazzano, Marco Antonio Colonna, Roma, Salerno Editrice, 2003, p. 113.
7. Archivio di Stato di Firenze (ASFi), Mediceo del Principato, 4919 , t. I, lettere di Prospero Colonna alle cc. 33, 84 e 175-76; Gian Vincenzo Vitelli dà la notizia della morte di Prospero Colonna a Pietro Usimbardi con lettera del 15 maggio 1588, ivi, cc. 277-278.
8. L'istruzione per Gian Vincenzo Vitelli, marchese di Cetona, non è compresa in Istruzioni agli ambasciatori e inviati medicei in Spagna e nell' "Italia spagnola" vol. 2, 1587-1648, a cura di F. Martelli - C. Galasso, cit., perché fa parte di un'altra serie archivistica. Sta in ASFi, Mediceo del Principato, 271, cc. 36-41, 26 ottobre 1587 (minuta); lettera credenziale per il Vitelli in ASFi, Mediceo del Principato, 271, c. 41. Sulla sua attività cfr. anche Archivo General de Simancas (AGS), Estado, 1452, c. 60.
9. ASFi, Mediceo del Principato, 271, cc. 36-41, 26 ottobre 1587, c. 36v.
10. ASFi, Mediceo del Principato, 271, cc. 36-41, c. 37r. Su questo modello lessicale cfr. A. Contini, "Correre la fortuna" di Cesare. Instabilità, diplomazia ed informazione politica nel principato di Cosimo I, in F. Cantù - M.A.Visceglia (a cura di), L'Italia di Carlo V. Guerra, religione e politica nel primo Cinquecento, Roma, Viella, 2003, pp. 391-410.
11. ASFi, Mediceo del Principato, 271, cc. 36-41, 26 ottobre 1587, c.38r.
12. ASFi, Mediceo del Principato, 271, cc. 36-41, c. 37v. Il marchese di Cetona doveva inoltre affrontare la questione della protezione di Castiglia, che Ferdinando doveva restituire a Filippo II.
13. Cfr. R. Cantagalli, Giulio Battaglino, in DBI 7, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1975, pp. 232-234, p. 233. P. Usimbardi, Istoria del granduca Ferdinando I de' Medici, a cura di G. E. Saltini, in "Archivio storico italiano", s. 4, X (1880) (estratto) p. 16.
14. R. Cantagalli, Giulio Battaglino, cit., p. 233.
15. Cfr. Lettere di Torquato Tasso, a c. di C. Guasti, vol. I, Napoli, Gabriele Rondinella, 1857, p. 123 (lettera 51).
16. Cfr. R. Galluzzi, Istoria del Granducato di Toscana, Milano, Cisalpino-Goliardica, 1974, vol. II, pp. 362-63; R. Cantagalli, Giulio Battaglino, cit.; dello stesso, Bianca Cappello e una leggenda da sfatare: la questione del figlio supposto, in "Nuova rivista storica" 44 (1965): 636-652, p. 637; F. Diaz, Il Granducato di Toscana. I Medici, cit., p. 251; F. Luti, Don Antonio de' Medici e i suoi tempi, Firenze, Leo S. Olschki, 2006, pp. 69, 76, 82. Dopo la fine del soggiorno in Spagna il Battaglino fu destinato, secondo il suo desiderio, a Napoli, dove continuò a interessarsi per conto del granduca di affari commerciali e ad informarlo circa gli orientamenti dei viceré spagnoli sospettosi della nuova politica filo-francese della Toscana. In questo periodo faceva pervenire ai personaggi di maggior riguardo della corte partenopea doni diplomatici da parte del Granduca. Negli ultimi tempi della sua vita fu inviato di nuovo in Spagna presso Filippo III per controbattere l'azione che don Pietro de' Medici svolgeva in quella corte ai danni del fratello Ferdinando I, cfr. A. E. Denunzio, Giambologna, Alessandro Allori, Federico Barocci. Brevi note d'archivio per doni diplomatici alla Corte vicereale di Napoli fra la fine del Cinquecento e i primi decenni del Seicento, in "Studi di Storia dell'Arte", 21, 2010, pp. 83-88); alcune lettere del 1599 inviate da Napoli dal Battaglino sono edite in "Archivio Storico Italiano", t. IX, 1846, Narrazioni e documenti sulla storia del Regno di Napoli dall'anno 1522 al 1667, pp. 405-406. La sua attività a Napoli è nota anche agli studiosi di Tommaso Campanella perché fu un attento commentatore dei fatti per il granduca Ferdinando, cfr. L. Firpo, I processi di Tommaso Campanella, Roma, Salerno ed., 1998, p. 48. Notizie anche in AGS, Estado, 948, c. 235 e Estado, 1486, c. 4.
17. ASFi, Mediceo del Principato, 4919 , t. I, 111r-113r, c. 111r, Giulio Battaglino al granduca, 6 febbraio 1588.
18. Ibidem.
19. Ibidem.
20. Ibidem.
21. Ibidem.
22. Si veda per es. ASFi, Mediceo del Principato, 4919 , t. I, 82-83, c. 82r, Giulio Battaglino al granduca, 5 febbraio 1588.
23. ASFi, Mediceo del Principato, 4919 , t. I, 111r-113r, c. 111r, Giulio Battaglino al granduca, 6 febbraio 1588.
24. ASFi, Mediceo del Principato, 4919 , t. I, cc. 261-263, c. 263r, inserto di Giulio Battaglino al segretario Pietro Usimbardi, s. d. ma con lettera dell'8 maggio 1588.
25. Ibidem (tutte le citazioni del paragrafo).
26. Ibidem.
27. Ibidem.
28. Il Battaglino fece questa proposta dopo essere stato ammesso a udienza dal re su incarico di Ferdinando. Il 7 maggio 1588 Giulio Battaglino era ricevuto prima da Juan de Idiáquez e Cristobal de Moura, due dei ministri più vicini a Filippo II, e poi veniva condotto in udienza di fronte al sovrano stesso. Il granduca aveva deciso di affidare a lui la negoziazione di alcuni affari principali e di questo il Battaglino lo ringraziava: "Rendo poi humili gratie a Vostra Altezza perché a tanti suoi ministri c'hora si trovano si sia degnata di preferir me se ben meritevole in quanto più antico creato et darmi sì grata occasione di insinuarmi nella gratia di Sua Maestà et nella confidenza dei ministri come veggo essermi riuscito anchorché questa et quella io stimi principalmente per doventar così più efficace instrumento di maneggiare il servitio di Vostra Altezza in questa Corte dove vedo ch'ella ha mira di tuttavia adoperarmi", ASFi, Mediceo del Principato, 4919 , t. I, cc. 261-263, c. 263r, Giulio Battaglino al granduca, 7 maggio 1588.
29. ASFi, Mediceo del Principato, 4918, lettera di Vincenzo Alamanni, del 14 novembre 1587, cc. 218r-221r, c. 220r, in cui dà conto al nuovo granduca degli affari pendenti.
30. Cfr. V. Rotondi, Alamanni Vincenzo, in DBI 1, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1960, p. 573; per il periodo francese sono disponibili ampie parti dei carteggi in G. Canestrini - A. Desjardins, Négociations diplomatiques de la France avec la Toscane, cit.; il carteggio relativo al soggiorno in Spagna come residente sta in ASFi, Mediceo del Principato, 4917-4920; 5042, 5043.
31. Ricordando il granduca appena scomparso l'Alamanni scriveva "… potevo con molta ragione annoverarmi fra più suoi divoti et accetti vassalli, poiché la sincera servitù mia, cominciata già tanti anni con la gloriosa memoria del granduca Cosimo, fu non solo gradita dall'Altezza Sua et riconosciuta,…. ma datomi luogo di continuarla…" ASFi, Mediceo del Principato, 4918, 14 novembre 1587, cc. 218r-221r, c. 218r.
32. ASFi, Mediceo del Principato, 271, cc. 36-41, 26 ottobre 1587, istruzione a Gianvincenzo Vitelli in Spagna.
33. ASFi, Mediceo del Principato, 4919 , t. I, cc. 261-263, c. 263r, inserto di Giulio Battaglino al segretario Pietro Usimbardi, s. d. ma con lettera dell'8 maggio 1588. Venti giorni dopo aveva già ricevuto il secco diniego per mano del segretario Pietro Usimbardi, ASFi, Mediceo del Principato, 4919 , t. I, cc. 297-300, Giulio Battaglino al segretario Pietro Usimbardi, 28 maggio 1588.
34. ASFi, Mediceo del Principato, 4919 , t. I, cc. 297-300, Giulio Battaglino al segretario Pietro Usimbardi, 28 maggio 1588.
35. ASFi, Mediceo del Principato, 4919 , t. I, cc. 297-300, c. 298v, Giulio Battaglino al segretario Pietro Usimbardi, 28 maggio 1588.
36. ASFi, Mediceo del Principato 4919 , t. I, cc. 301-304, Vincenzo Alamanni al granduca, 28 maggio 1588.