Strategie familiari di promozione sociale e letteraria in età Barocca. I Bonarelli tra corte, accademia e tipografia (1604-1669)

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Author: 
Lorenzo Geri

Le pagine seguenti prenderanno in esame le modalità attraverso le quali, nel corso di oltre sessant'anni, i membri di una famiglia aristocratica anconetana, i Bonarelli, perseguirono la fama letteraria e, allo stesso tempo, si servirono del prestigio intellettuale nell'ambito delle loro relazioni con le corti e con i patrizi.

La ricerca dell'"onore" letterario, nel caso dei Bonarelli, fa parte di una strategia complessiva volta a sollevare le sorti della Casa dopo il rovescio subito da Pietro, potente ministro di Guidobaldo II, privato nel 1575 dei feudi e dei beni allodiali posseduti nel Ducato di Urbino per mezzo di un processo sommario voluto dal nuovo Duca Francesco Maria II. Con un'unità d'intenti che lega insieme primogeniti e cadetti, i Bonarelli nel corso di oltre ottant'anni si adoperarono per recuperare i beni perduti, mobilitando la rete sociale a loro disposizione. Sullo sfondo di questa vicenda familiare, gli appartenenti a tre diverse generazioni si presentarono sull'agone letterario: Guidobaldo (1563-1608), Prospero (1580-1659) e Pietro (1615 ca.-1669). Le traiettorie delle rispettive carriere cortigiane e letterarie risultano particolarmente complesse e si snodano, come vedremo, tra numerose città e corti: dall'Urbino degli ultimi Della Rovere alla Curia romana, dalla Firenze dei Medici alla corte di Vienna. Al centro di questa vicenda si trova Prospero, vero e proprio artefice delle fortune letterarie della famiglia: dopo aver contribuito a promuovere la fama del fratello Guidobaldo, infatti, si adoperò per favorire la carriera politica e letteraria del primogenito Pietro. Il suo epistolario [1], allo stato delle mie conoscenze 375 lettere a stampa [2] e 133 manoscritte [3], permette di studiare, talora nel dettaglio, il rapporto di Prospero con l'eredità letteraria di Guidobaldo e il suo ruolo nell'indirizzare le carriere cortigiane e letterarie dei figli. Sulla base di alcune lettere rintracciabili in archivio e dei dati che emergono dai paratesti delle sue opere, infine, è possibile studiare le strategie attraverso le quali Pietro, a sua volta, mette a frutto l'eredità letteraria del padre e dello zio [4].

La famiglia Bonarelli ottenne una fama non disprezzabile presso i letterati italiani dell'età Barocca in virtù di due importanti opere teatrali: la Filli di Sciro (1607), favola pastorale di Guidobaldo, e Il Solimano (1619), tragedia di Prospero, entrambe destinate ad una circolazione europea [5] e ad una fortuna editoriale ininterrotta sino agli inizi del XIX secolo.

Dopo la morte di Guidobaldo, Prospero si adoperò per diffondere e difendere l'opera del fratello ed è una circostanza significativa che il suo esordio  come poeta scenico avvenisse con la stesura di un Prologo per la rappresentazione anconetana della Filli di Sciro del 1609. Ad ogni modo, l'impegno di Prospero nell'attività teatrale fu a tal punto costante da trasformare quello che per Guidobaldo era stato un mero passatempo accademico in una sorta di "mestiere" [6]. Oltre a pubblicare numerose opere teatrali [7], infatti, il più giovane dei fratelli Bonarelli svolse un ruolo di primo piano nella vita spettacolare della città di Ancona [8] ed ebbe modo di dirigere la messa in scena di tragedie, favole pastorali, intermezzi, balletti, melodrammi. Prospero volle considerare la sua attività di autore teatrale in ideale continuità con quella del fratello. In una lettera indirizzata al Segretario di Francesco I d'Este, databile al 1641, ad esempio, Prospero, per esprimere la sua riconoscenza nei confronti del Duca di Modena, che aveva lodato la sua regipastorale Fidalma, si compiace di mettere in relazione il casato estense con l'attività letteraria dei Bonarelli:

Nella reggia dei gran prencipi d'Este hanno avuto i loro primi natali le Muse Bonarelle; qualunque volta però per loro fortuna in quella capitano, non possono non esservi come ancelle domestiche benignamente gradite [9].

L'immagine delle Muse Bonarelle ritorna in una lettera databile al 1645 con la quale Prospero annuncia di aver lasciato in eredità le Muse ai figli, curatori di alcuni suoi testi teatrali e, si intuisce tra le righe, futuri continuatori della sua opera:

Quanto poi alle Muse, hanno elle ormai dimessa affatto la mia pratica; l'entusiasmo, che è uno spirito tutto caldo, fugge dalle teste nevose; non ho dunque che strambotti giovenili, e gli ho lasciati ai miei giovani. Onde Pietro e Lorenzo miei figliuoli hanno voluto mandar fuori uno il Medoro, e l'altro i Melodrammi [10].

Mentre Lorenzo sarebbe stato morto due anni più tardi, senza lasciare traccia di un'attività letteraria, Pietro avrebbe coltivato a lungo le muse teatrali, rivendicando esplicitamente nei paratesti delle sue stampe il prestigio di una vera e propria tradizione familiare. Al momento di pubblicare la sua prima opera, la regi-pastorale l'Olmiro (1655), infatti, Pietro, nell'avvertenza Al lettorei, si appella alla luminosa fama di suo zio e di suo padre per «rischiarare» il suo nome, ancora oscuro:

Concedi che nei laureti di Pindo con lo splendore del Conte Guidobaldo suo zio e con la luce del Conte Prospero, padre del Conte Pietro Bonarelli, si rischiarino l'ombre dell'autor dell'Olmiro [11].

La scrittura di opere teatrali apprezzate ed onorate nelle corte e nelle accademie finì per rappresentare un motivo non secondario di orgoglio per la Casa Bonarelli, oltre che, come vedremo più avanti, un mezzo non disprezzabile per rafforzare i legami con diverse tipologie di protettori e conoscenti.

Appare significativo, a riguardo, che, nella supplica indirizzata a Ferdinando II per ottenere i beni allodiali dei Bonarelli passati in eredità alla Gran Duchessa di Toscana Vittoria della Rovere [12], Prospero narri le sventure occorse a suo padre nei termini di una «tragedia» che il Gran Duca ha il  potere di mutare «in una di quelle a lieto fine». L'escamotage intende, da una parte, rendere più interessante la lettura del Supplichevole ragionamento, dall'altra ricordare il Solimano, opera dedicata a Cosimo II, padre di Ferdinando:

Serenissimo Principe, vengo alla Real presenza di V. A. introdotto per mano dalla vostra benignità e dalla mia servitù; in mezzo a costoro non posso da Voi esser mirato che con occhio piacevole, che con orecchie sofferenti. Vengo ad rappresentarvi una tragedia che al dispetto della fortuna sarà di quelle di lieto fine, se l'animo vostro generossissimo prestarà, come spero, per lei comodo a dispiacere ed a misericordia.  Questa sorte di componimento è fatta ormai così familiare al mio genio come proporzionata alla mia fortuna. Ne dedica<i> un'altra già sono 20 anni alla gloriosissima memoria del Duca Cosimo Padre di V. A., da me fatta con qualche invenzione sopra avvenimenti infelici della casa ottomana; ne porto or questa a Voi composta senza favoreggiamenti dal mio destino, sopra sfortunati successi della casa mia. Sono, è vero, queste case infra di loro infinitamente dispari, e le persone di questa, non essendo reggie, mancano di una condizione principale per esser boni soggetti tragici; ma tuttavia chi ben avvertirà quanta sia la loro disavventura, vedrà che in essi pur troppo v'è qualche cosa di grande. Procurai con quella d'accennar qualche parte delle glorie infinite del Padre di V. A.; spero con l'occasione di questa far vivamente sfavillare i lampi della Vostra pietà [13].

L'evocazione del Solimano, tragedia ambientata in una corte, rende inoltre possibile un amaro gioco di maschere:

Averà questa ancor essa i suoi Solimani ingannati e i suoi Ruteni ingannatori, i suoi Mustafà perseguitati; la onde s'ho potuto con arti in quella commovere il mondo a compassione d'un barbaro infedele e nemico, potrò ben anche sperar più raggionevolmente, a forza della semplice verità, movere in questa, come dissi pur dianzi, V. A. a misericordia d'un suo servo fedelissimo e divotissimo [14].

Dopo aver fornito tale chiave di lettura, Prospero narra le «sventure» paterne ripartendole in cinque atti:

Ma perché è l'ora, che s'incominci l'opera, ecco il Primo atto raccorre delle cose preandat, e pieno, conforme la regola, d'avvenimenti felici.

Il Conte Pietro Bonarelli mio padre dopo la morte del Conte Antonio Lanoriani suo zio, che fu servitore accettissimo e genero del Signor Duca Guidobaldo II Duca d'Urbino, per spazio di 18 anni con assidua e fedelissima servitù poté tanto in quella avanzarsi ch'agevolmente divenne il più caro e 'l più favorito, e per aventura il più benificato servitore di quell'Altezza. Quivi l'invidia e l'odio, che su la scena della corte fan sempre il Secondo Atto, cominciarono ad ordir varie tele d'insidiose machinazioni, che nel terzo poi, dopo la morte di quel Duca, tramarono in guisa tale che nel quarto, avendo persuaso il Serenissimo successore a fidar in essi l'amministrazione della giustizia, fu da loro essercitata in maniera contro mio Padre che in tre giorni fu citato, condannato e privato di quanto aveva. Non perdé l'onore, perché gli fu diffeso dalla forza del vero e dell'autorità di quasi tutti i Prencipi d'Italia e del Re di Spagna e dell'Imperatore medesimo, che mandando e scrivendo a pro' di lui autenticorono così col loro favore la sua innocenza.

Mancava il quinto atto, ove rimanesse compita la catastrofe e mutazione della sua fortuna, imperoché non restava alla oppressa ed affatto abbattuta s'anco i figli, privati d'ogni loro raggione, non venivano seco a parti delle sue ruine; la onde finalmente tutta la casa precipitata, finì l'opera. Ma non finirono le speranze di risarcirla in parte, né mai si ristò di tentarlo in ogni tempo e con tutti quei mezzi che son compatibili con quel rispetto e con quella riverenza che si vede ai grandi, consumò in questo, benché senza profitto, mio Padre tutto il resto della sua vita, che furono poco men di 20 anni [15].

Il riferimento ai venti anni consumati dal Pietro nel vano tentativo di restaurare le sorti della «casa precipitata» lascia trasparire la frustrazione per il rovescio improvviso subito da una famiglia sino a quel momento in piena ascesa [16].

 

«Ristorare» la Casa Bonarella: 1575-1655

Gli eventi drammatici che colpirono la famiglia Bonarelli nel 1575 sono stati ricostruiti nel dettaglio negli studi ottocenteschi sulla storia del Ducato di Urbino [17] e in una monografia interamente dedicata al rapporto tra Francesco Maria II e i ministri paterni [18]. La ricostruzione storica, però, si arresta al 1594, anno di morte di Pietro. Ad ogni modo, grazie all'epistolario a stampa di Prospero Bonarelli e al fascicolo dedicato alla supplica del medesimo Prospero conservato nell'Archivio di Stato di Firenze [19], nel quale si conserva un corposo incartamento dedicato alle causa giudiziarie intentante dai Bonarelli [20], è possibile seguire le traversie della famiglia sino al parziale recupero dei feudi e dei beni che chiude la vicenda ottanta anni dopo la «tragedia» di Pietro.

Per placare il malcontento seguito alla dura repressione dei moti di ribellione verificatesi nel Ducato tra il 1573 e il 1574 [21], Francesco Maria II  decise di punire in modo esemplare i ministri paterni. Antonio Stati venne incarcerato, prima ancora che venisse formulata un'accusa, nella notte del 31 dicembre 1574 [22] mentre Pietro Bonarelli riuscì a fuggire insieme ai membri della sua famiglia [23]. Condannato in contumacia, il ministro venne dapprima privato degli uffici, dei feudi di Orciano e di Barchi e di tutti i suoi beni, quindi proclamato pubblico traditore e bandito dal Ducato con una taglia di 2.000 scudi sulla sua testa [24]. Il processo assunse un carattere sommario, anche perché fondato su una serie di accuse generiche e, per lo più, improbabili, da malefici ai danni di Guidobaldo II ad intemperanze di carattere sessuale [25]. Pietro, che in qualità di potente ministro del Ducato aveva tessuto una fitta trama di rapporti diplomatici, ebbe buon gioco nel richiedere l'intervento di diversi principi, arrivando ad ottenere una missiva in suo favore da parte dell'Imperatore Massimiliano II [26]. Ogni sforzo, però, si rivelò vano. Durante tutta la vita di Pietro, infatti, non soltanto il Conte si rifiutò più volte di concedere il perdono, ma, come dimostra il suo carteggio, tentò più volte di impedire che il suo ex ministro trovasse un'adeguata sistemazione presso un'altra corte. Dopo la morte di Pietro, come vedremo più avanti, il Duca, con il trascorrere degli anni, assunse una posizione meno severa, pur rifiutandosi di restituire ai discendenti dell'ex ministro i beni confiscati.

I Bonarelli si rifugiarono dapprima presso Alfonso II. Il Duca di Ferrara tentò di risolvere il conflitto ricorrendo alla mediazione di Lucrezia d'Este, moglie di Francesco Maria II. Tale mossa si rivelò immediatamente controproducente: il Duca di Urbino, infatti, fece formale richiesta di allontanare il proscritto dai confini dello stato estense. La famiglia si rifugiò il 27 aprile di quello stesso anno a Novellara , presso la corte dei Gonzaga [27]. I nuovi ospiti tentarono a loro volta una mediazione ed interessarono il Duca di Mantova ma la richiesta di grazia rivolta da Guglielmo Gonzaga a Francesco Maria non sortì alcun effetto [28]. Nel 1590 Alfonso d'Este incaricò il Vescovo di Reggio Giulio Masetti di intavolare una trattativa con il Duca ma, ancora una volta, senza esito.

Nel frattempo la famiglia Bonarelli aveva riposto le sue speranza in Guidobaldo. Il giovane, nato nel 1563 a Pesaro, durante la residenza a Novellara aveva dimostrato un ingegno fuori dal comune ed era stato preso a ben volere da Carlo Borromeo. Il Cardinale, imparentato con i Gonzaga di Novellara da parte materna, seguì la formazione del giovane [29], indirizzandolo presso il collegio gesuitico di Pont-à-Mousson in Lorena. Nel corso del soggiorno francese (1579-1587) [30] , Guidobaldo studiò filosofia e teologia, acquistando una notevole reputazione. Una volta tornato in Italia si scontrò con il padre in quanto, con una ferma lettera da Roma del 30 marzo 1591, si rifiutò di prendere i voti [31]. I tentativi di Pietro di indirizzare il figlio verso una carriera in Curia non passarono inosservati: in una lettera del 24 agosto di quello stesso anno il Duca Francesco Maria si rivolse a la suo residente a Roma Camillo Peruzzi per impedire che Guidobaldo, per mezzo di una raccomandazione del Cardinale Federico Borromeo, venisse accettato come «servitore di S. S.» Gregorio XIV [32]. La lettera, estremamente minuziosa, impone a Peruzzi di riferire al Pontefice i capi di imputazione relativi a Pietro Bonarelli, allegando a tale proposito un'ampia «informazione» [33]. Le manovre del Della Rovere per troncare sul nascere la carriera del «figliuolo» di Pietro, a quanto pare, ebbero un successo soltanto parziale, dal momento che nel 1592 Guidobaldo si trasferì a Milano al servizio del Cardinale Federico Borromeo.

Nel 1593, a seguito di una clamorosa rottura tra i Bonarelli e i Gonzaga, dovuta, stando alla ricostruzione di Malagoli, ad una relazione tra Guidobaldo e Costanza Gonzaga, nipote del conte Camillo [34], la famiglia si trasferì a Modena, presso la Corte di Alfonso II. Nel 1594, alla morte di Pietro, Guidobaldo, il più anziano di cinque fratelli maschi, si trovò ad occupare il ruolo di capo della casa. Insignito della carica di maestro di camera, ebbe modo di svolgere per conto degli Este numerose missioni diplomatiche tra il 1595 e il 1597, guadagnandosi la fiducia del Cardinale Alessandro.

Il contributo più importante di Guidobaldo alle sorti della famiglia, ad ogni modo, va considerata la pacificazione con i Della Rovere. In occasione della nascita di Federico Ubaldo (16 maggio 1605), un evento inatteso che avrebbe garantito la continuità dinastica nel Ducato, Francesco Maria II nel giugno di quello stesso anno si recò in pellegrinaggio al santuario di Loreto, probabilmente per sciogliere un voto, soggiornando ad Ancona il 7 e recandosi al Santuario il giorno successivo [35]. In quella occasione il Duca, grazie all'intervento del Governatore di Ancona, perdonò la famiglia Bonarelli, un perdono che non implicava la restituzione né dei feudi né dei beni allodiali.  L'evento insperato, narrato da Guidobaldo in una lettera ad Alessandro Guarini [36] e da Prospero nel Supplichevole ragionamento [37], rappresentò il primo passo verso la riacquisizione dei beni perduti. Proprio per questo, nella vita di Guidobaldo premessa all'edizione romana delle sue opere (Roma, Grignani, 1640) [38], l'evento viene narrato con i colori della leggenda:

Avvenne intanto [poco prima della morte di Guidobaldo], che passò per Ancona alla visita della Santa Casa di Loreto il Duca Francesco Maria d'Urbino; alla cui udienza portato il Conte da quattro gentiluomini della Città, essendo inabile a reggersi per la Podagra; giunto avanti sua Altezza nella Chiesa del Duomo, col vigor dell'animo credendo superar la debolezza del corpo, e pensando che l'aspetto d'un Principe di quella stirpe, ch'era solita ad avvalorar la Famiglia Bonarella, sollevasse le sue forze abbattute, cercò di levarsi da sedere; ma la benignità del Duca glie lo vietò: indi cortesemente abbracciandolo udì attentamente da lui quelle parole che dettate dalla memoria dell'antica grazia dei Duchi d'Urbino, e dal dolore delle passate sciagure, che ne tennero priva la sua Famiglia, intenerì a quel generoso Principe l'animo in modo, che ne palesò con le lacrime il suo sentimento. Fu quivi da lui benignamente licenziato il Conte, e d'indi in poi tutta la Casa Bonarella fu accarezza nel suo Stato […] [39].

Sebbene l'estensore della vita non manchi di colorire gli eventi, la notizia seconda la quale tale perdono diede inizio alla benevolenza di Francesco Maria nei confronti dei Bonarelli è da considerarsi esatta. Tale benevolenza, però, non fu la conseguenza duratura di un atto magnanimo, bensì il risultato di un'accorta strategia portata avanti dai fratelli Bonarelli per entrare stabilmente nelle grazie dei Della Rovere. Nel 1607 Guidobaldo ottenne che gli Accademici Intrepidi dedicassero la stampa della sua Filli di Sciro a Francesco Maria II. Prospero, da parte sua, chiese al Duca di svolgere il ruolo di padrino del primogenito:

L'altr'ieri (la Dio merce') mi nacque della Sig. Clarice mia consorte il primo figlio maschio, il quale non  è stato né da me, né da tuta la Casa nostra per altro con maggior consolazione, e contento ricevuto, che perché ci si prepara con esso il modo di mantener anco dopo noi viva la nostra divozione verso la persona di V. A. e la sua Serenissima Casa, dalla quale sì come noi riconosciamo quanto siamo, così l'esser di qualunque verrà giammai da noi tanto ci sarà grato, quanto per  lei lo potremo impiegare [40]

Una volta entrato al servizio di Cosimo II, in un periodo collocabile a ridosso della composizione del Solimano (1619-1620), Prospero si ritrovò in una temperie politica particolarmente favorevole ai suoi interessi allorquando venne celebrato il matrimonio di Federico Ubaldo con Claudia de' Medici (1621):

Crescevano con gl'anni del Prencipe anche le nostre speranze, che erano nate seco gemelle, ed arrivarono all'auge quando fu stabilito il parentado fra quel Principe e la  Serenissima sua Zia, perché trovommi io appoggiato alla servitù e sotto l'ombra della potentissima protezione del Signor Duca Cosimo, ben aveva raggione di sperar un giorno per suo mezzo d'esser, se non in tutto in parte, e se non per altro, per mera benignità reintegrato in quei beni di cui tanto prima ch'io nascessi m'aveva la mia nemica fortuna privato [41].

È probabile che in occasione all'alleanza dinastica appena siglata, Prospero concepisse la fondata speranza di una restituzione alla famiglia dei beni paterni per mezzo di un interessamento di Cosimo II [42]. La già menzionata Vita di Guidobaldo allude ambiguamente ad una revisione del processo ordinata da Francesco Maria II:

Fu quivi da lui benignamente licenziato il Conte, e d'indi in poi tutta la Casa Bonarella fu accarezza nel suo Stato ordinando sua Altezza alcuni anni dopo che fusse riveduta la causa per la quale fu privato il Conte Pietro Bonarelli del Marchesato d'Orciano, di Barchi, con tre altri Castelli eretti a favor di lui e dei Primogeniti della Famiglia dalla santa memoria di Pio Quinto, dopo che il conte Giovan Battista Fratello del Conte Pietro e Cavaliere dell'Abito di S. Iacopo ebbe servito con nobile comandando nella guerra navale, dove d'una Moschettata gloriosamente morì.

Al di là di questa notizia poco chiara (si può pensare ad una promessa della revisione del processo concessa durante le trattative per il matrimonio) l'abdicazione del Duca in favore di Federico Ubaldo nel 1621 mutò ulteriormente il quadro politico. Dal momento che il Principe era un appassionato cultore di spettacoli teatrali oltre che di attrici, non sorprende che il Bonarelli lo invitasse ad assistere agli spettacoli organizzati ad Ancona dal Legato Pontificio Alfonso Sforzati per il carnevale del 1623 [43], stagione spettacolare nel corso della quale si sarebbe rappresentata un'opera dello stesso Prospero, la tragedia di lieto fine Il Medoro incoronato. Alcuni inconvenienti intercorsi durante la preparazione delle macchine necessarie per la messa in scena costrinsero Prospero a rivolgersi a Girolamo Bentivoglio, Maestro di Camera del Principe, pregandolo di fare in modo che Federico Ubaldo accettasse di recarsi ad Ancona con qualche giorno di ritardo rispetto alla data convenuta:

La tragedia del mio Medoro, ancorché per se stessa sarebbe all'ordine per essere recitata il giorno stabilito, con tutto ciò, perché alcune machine de gl'intermedi non possono essere in quel tempo finite, e per la tardanza d'alcuni musici, bisognerà per forza indugiarla ancora alcuni pochi giorni; ma se quest'inconveniente non ci priverà della grazia tanto da questa città e da me sopra tutti estremamente ambita, della presenza del Serenissimo Padrone, ce la renderà certo meno insopportabile. Supplico adunque V. S. Ill. a voler ella con suoi favorevoli offici supplire appresso S. A. a nostri difetti: sì che  l'indugio necessarissimo di due o tre giorni non ci privi di una grazia di eterno onore, che a lei ne resterà meco tutta questa città con immensa obbligazione [44].

In questo stesso anno il principe Federico Ubaldo morì in circostanze poco chiare dopo una notte di bagordi. Si trattò di un duro colpo per la Casa Bonarelli:

Onde io già, già mi credeva nel porto, già ringraziava Dio del fine delle burasche, quando ecco la morte prima del Gran Duca Cosimo e poi quella del Serenissimo Prencipe d'Urbino sconvolgono di novo e mettono sopra il mare degli amari interessi della mia Casa [45].

Nel dicembre del 1624 il quadro politico venne stravolto con la dichiarazione di Casteldurante che stabiliva la devoluzione del Ducato allo Stato Pontificio dopo la  morte di Francesco Maria II. Prospero, in rapporti di collaborazione ed amicizia con Andrea Cioli, membro del comitato di reggenza e personaggio di primo piano nella politica estera dei Medici, ebbe modo di seguire da vicino gli eventi. L'accordo di Casteldurante riguardava in qualche modo da vicino la famiglia Bonarelli in quanto prevedeva che i beni feudali dei Della Rovere venissero incamerati dal Papato, mentre i beni allodiali fossero trasmessi a Vittoria della Rovere, la figlia di Federico Ubaldo e di Claudia de' Medici. Prospero, dal 1625 a capo della famiglia [46], si trovò dunque costretto a mutare strategia:

In tanta confusione, non fu per noi trovato miglior Consiglio che drillar il timone a seconda del vento ed accomodarsi alla congiuntura del tempo, ch'ormai correva in maniera che potevamo aver sicura speranza che non fosse per esser discaro al Signor Duca, che anche per via di giustizia di nuovo tentassimo la nostra sorte [47].

Per recuperare i beni feudali, infatti, era ora necessario rivolgersi al tribunale della Camera apostolica, mentre per recuperare i beni allodiali non restava che tentare una mediazione con i Medici, eredi, tramite Vittoria, delle sostanze requisiste da Francesco Maria II ai Bonarelli. Stando ai documenti a me noti, non è possibile ricostruire nel dettaglio l'andamento delle due vicende giudiziarie, la causa con la Camera Apostolica e la supplica a Ferdinando II. Ad ogni modo dai dati  disponibili emerge chiaramente che si trattò in entrambi i casi di una battaglia legale estenuante. Come spesso accadeva in casi simili, sarebbe stata la rete di contatti abilmente e tenacemente tessuta da Prospero, anche grazie ai suoi figli, a permettere di ottenere un accordo risolutore, sia pure in entrambi i casi extragiudiziale.

Per quanto riguarda la supplica, nel faldone conservato all'Archivio di Stato di Firenze si legge un avvertimento, non firmato, nel quale si informa il Duca che tutti i pareri legali concordano «che la sentenza data contro al Conte Pietro l'anno 1575 difficilmente possa difendersi dalla nullità ed ingiustizia notoria», motivo per il quale, considerata l'insistenza dei Bonarelli, piuttosto che attendere la prescrizione si invita a «dar orecchio a qualche composizione, massime potendo farsi con dare a detti Conti qualche cosa di non molta importanza come si crede» [48]. Una lettera di Rendimento di Grazie al Gran Duca Ferdinando II ospitate nell'epistolario di Prospero, induce a pensare che, in una data compresa tra il 1636 e il 1641, tale consiglio sia stato seguito:

Sapeva ben io che quell'immensa pietà, di cui fra gli altri gran Principi V. A. singolarmente riluce, non poteva non iscacciare coi suoi magnanimi splendori quell'atre tenebre di necessità onde la mia fortuna lungo tempo ha tenuto adombrata la casa mia. […] Verrò in persona, se V. A. mi onora della licenza, a renderle, come è mio debito di grazia tanto segnalata le dovute grazie; in tanto la supplico a non isdegnar quelle, che per mia parte da Lorenzo mio figliulo  in voce, già le sono state rese […] [49]

Diverso il caso del processo presso la Camera Apostolica che, nonostante i rapporti tra Prospero e il Cardinale Mazzarini e i Barberini, si risolse in un nulla di fatto sul piano giuridico. Nel 1655, tuttavia, Pietro, il figlio maggiore indirizzato da Prospero ad una brillante carriera in Curia, riuscì ad ottenere dal neo eletto papa Alessandro VII la concessione, a titolo di risarcimento, del feudo di Montemarciano, nei pressi di Ancona. La notizia si ricava da una lettera indirizzata da Prospero a Mario Chigi:

Sempre vigilante a pro' del mondo ci palesa la provvidenza Divina, ed ora più che mai la riconosciamo per l'elezione  nei mesi passati di Nostro Signore al Pontificato […] V. E. è stata il braccio destro della Santità sua, della quale in sollevamento non solo della città. e delle province, ma delle case private ancora dei Cittadini s'è voluto servire Iddio; io più d'ogni altro ciò riconosco nella mia, mentr'ella dopo esser stata priva per lungo spazio di tempo delle sue più ragguardevoli sostanze, finalmente aderendo S. Santità alla propria clementissima giustizia, supplicatane da V. E. e persuasane dalla Congregazione Camerale, s'è compiaciuta oggi di ristorarla in parte delle fin qui sofferte disgrazie. La primogenitura eretta da Nostro Sig. d'alcuni beni posti nel territorio di Monte Marciano per capitale della mia famiglia, in luogo di quella delle giurisdizioni controversa da noi con la Reverenda Camera, mi si rende tanto più cara, quanto che serve a me d'argomento certissimo dell'accetto servizio di Pietro mio figliolo all'Eccellenza Vostra e s'egli ha meritato appresso la nostra Casa per tal acquisto, Iddio l'ha premiato ancor fra gli altri, avendo fatto nascere primo dei miei figlioli; onde dopo me viene ad essere il più vicino al godimento fatteci da Nostro Sig. Ho commesso per tanto a lui, che ne porti ai piedi di S. Santità. ed a V. Ecc. umilissime grazie, che però rimettendomi ad esso, per non recarle più lungo tedio finisco, e riverentemente l'inchino [50].

Sia pure con molti anni di ritardo rispetto a quanto egli aveva sperato, Prospero assisteva al riscatto della Casa Bonarelli. Per utilizzare un'espressione metaforica presente in una lettera di Prospero al figlio Andrea del 1634, non soltanto la famiglia recuperava i beni perduti ma, riacquistando interamente l'onore, usciva per sempre dal suo doloroso «inferno»:

Io trovo che due sono gl'inferni, uno per l'anime, l'altro per l'onore: quello per l'onore non è altro che la bocca maldicente; nell'uno l'anime sono tormentate dai Diavoli, nell'altro l'onore è lacerato dai rimproveri. Bisogna viver bene perché l'anima non vada in quello e perché l'onore cada in questo. È vero che in quello non sono mai l'anime condannate ingiustamente, e in questo l'onore, anche talvolta innocente, vi trabocca. È necessario dunque tanto più star avvertito, e poi confortarsi, perché la verità è un olio che finalmente viene a galla. L'onore innocentemente offeso dalle detrazioni non può star molto in questo inferno, ma se ne libera alla fine: onde può dirsi che più tosto stato sia un purgatorio che un inferno [51].

 

Prospero, l'eredità letteraria di Guidobaldo, il teatro

Più giovane del fratello Guidobaldo di diciassette anni, Prospero, nato nell' "esilio" di Novellara, crebbe in una famiglia segnata dai dissesti finanziari seguiti ad una caduta imprevedibile e clamorosa. Sebbene non si conoscano documenti o lettere risalenti alla sua prima giovinezza, nel suo epistolario emerge chiaramente un'ansia di riscatto molto forte e, allo stesso tempo, una solerte preoccupazione per i destini della Casa Bonarelli. È facile immaginare che Prospero abbia seguito con ammirazione la carriera letteraria del fratello che, tra il 1601 e il 1607 annoverò una serie importante di successi, tutti in qualche misura connessi con la produzione teatrale [52]. Il 26 agosto 1601 Guidobaldo recitò un solenne discorso per inaugurare l'Accademia degli Intrepidi di Ferrara, orazione pubblicata a stampa l'anno seguente; nel 1603 seguente la medesima accademia lo incaricò di scrivere una favola pastorale che, molto probabilmente, venne recitata in alcune stanze del Castello di Ferrara, concesse dal Duca in attesa che si completasse la costruzione di un teatro stabile [53]; la medesima favola pastorale venne rappresentata nel 1604 a Mantova, durante il Carnevale [54] e pubblicata col titolo di  Filli di Sciro nel 1607, in un'edizione sontuosa arricchita di un prologo scritto per l'occasione da Giovan Battista Marino [55].

Un anno più tardi Guidobaldo, incamminatosi verso Roma dove avrebbe dovuto svolgere il compito di maggiordomo del Cardinale Alessandro d'Este, venne colto da un attacco di podagra particolarmente violento e fu costretto a fermarsi a Fano. Prospero, che lo raggiunse a Fano, scrisse numerose lettere per annunciare la malattia prima e poi la morte del fratello [56] e, allo stesso tempo, per richiedere che la benevolenza rivolta a Guidobaldo venisse indirizzata agli altri membri della sua casa. Particolarmente cerimoniosa quella indirizzata ad Alessandro d'Este:

Egli, a cui la vita non era ormai per altro cara [si tenga presente che Guidobaldo era rimasto vedovo nel 1605] che per impiegarla al servizio di V. S. Illustriss. et Reverendissim, non può della morte dolersi, se non perch'ella questo da lui tanto dovuto e desiderato affetto gl'interrompe per ciò con la debole e fiacca voce si sforzò egli stesso talora di proferire, aggiungendo aver nulla dimeno tanto di refrigerio in sì dolorosi pensieri che se la sua poca fortuna gl'avrà pur tolto il vivere più lungamente servitore di V. S. Ill. non gli averò potuto mutare il morire con questo da lui tanto stimato titolo [57].

Tale lettera rappresenta in un certo senso l'ultimo omaggio di Guidobaldo nei confronti del suo protettore ma anche una sorta di passaggio di consegne al fratello minore. Non è un caso, allora, che un paio di anni più tardi, sia proprio il  Cardinale d'Este a tenere a battesimo Pietro, nipote di Guidobaldo e primogenito di Prospero [58]. Dopo la morte del fratello si susseguono missive con le quali Bonarelli riannoda le fila dei contatti di Guidobaldo. Tale meccanismo è particolarmente esplicito nel caso di una lettera alla marchesa Polissena Gonzaga nella quale Prospero afferma che «di tutta l'eredità del Conte Guidubaldo mio fratello, che sia in Cielo, non ho certo redato cosa più preziosa e cara della buona grazia di V. S. Illustrissima» [59].

L'eredità di Guidobaldo, però, comprendeva anche il manoscritto inedito della Difesa di Celia, discorso con il quale l'autore della pastorale si difendeva dalle accuse di immoralità mosse al protagonista femminile della sua opera. A Franco Saracini, membro dell'Accademia degli Intrepidi, che gli aveva richiesto il manoscritto, Prospero racconta in che modo il fratello gli avesse comunicato le sue ultime volontà a riguardo:

Poco avanti, che morisse il Conte Guidubaldo, chiamommi al letto e mi disse che la Difesa di Celia non mostrassi ad alcuno, s'io prima non l'avessi con le sue postille riordinata; la qual poi quando cotesta Accademia non pensasse onorarla di metterla alle Stampe, dovessi io per altra strada mandarcela, e quanto prima. Or veramente per altre occupazioni non ho per anco avuto tempo di pur leggerla, onde si sta ancora così tutta scommessa: ma ormai ci porrò le mani ed io stesso, che forse avanti Pasqua verrò costà ne sarò il portatore [60].

La lettera a Franco Saracini è estremamente significativa non soltanto perché sancisce il ruolo di Prospero come editore dell'opera fraterna, ma anche perché contiene un solenne ringraziamento, a nome della famiglia Bonarelli, per le iniziative con la quali i membri dell'Accademia intendevano tenere viva la memoria di Guidobaldo:

Deliberando pur cotesta Illustriss. ed Eccellentiss. Accademia di rappresentar la Filli di Sciro, richiedendomi la Difesa del doppio amor di Celia, e finalmente rappresentando il funerale alla buona memoria del Conte Guidoubaldo mio fratello, non fa già altro, che apertamente dichiarare l'eccesso della propria benignità, la quale non contenta d'esercitarsi entro i confini della vita, trapassa ancora ad onorar i morti. Ma perché riman dell'onor de' Morti l'obbligo ai vivi, il Conte Antonio [lo zio di Guidobaldo, a capo della Casa dopo la morte di Pietro] però ed io restiamo a tutti cotesti Signori altrettanto obligati, quanto la memoria del Conte Guidubaldo, e noi medesimi in quella favoriti, e preghiamo con ogni stanza V. S. che voglia per sua gentilezza renderne a nostro nome a cotesti Signori le dovute grazie. […] Quanto agli onori del Conte Guidubaldo e della Casa nostra, che cotesti Signori desiderano per registrare nell'Orazione funebre [composta da Ottavio Magnini, sarebbe stata recitata a Ferrara il 16 febbraio 1609], posso dire che il Conte Guidubaldo Accademico Intrepido, ned egli, né la casa nostra può desiderar maggior onore, né se ne dovrebbe ricercar più onorata informazione. Con tutto ciò per obbedire a chi lo comanda, manderò per l'ordinario seguente intorno a questo particolare, quello che parerà men soverchio, che è quanto mi occorre in risposta dell'ultima sua. E per fine le bacio con ogni affetto le mani [61].

Prospero non si limitò a favorire le iniziative promosse dagli accademici Intrepidi nel 1609, ma organizzò nella sua Ancona una rappresentazione della Filli di Sciro: il 22 ottobre del 1608 richiese alle autorità cittadine l'autorizzazione a rappresentare la pastorale presso l'Arsenale e l'anno successivo diresse in prima persona la fastosa messa in scena, componendo per l'occasione un prologo con musica e macchine sceniche [62], che rappresenta, come ho detto sopra, il suo esordio come poeta scenico.

Soltanto undici anni dopo tale primo contatto con il teatro Prospero scrisse, fece rappresentare e pubblicò la sua prima opera: il Solimano, tragedia destinata ad una straripante fortuna durante tutto l'arco del Seicento. Le vicende relative a tale testo sono ben note [63], in questa sede mi importa mettere in evidenza alcuni dati: a) il Solimano venne composto nel corso del 1618 per essere rappresentato ad Ancona nel carnevale del 1619 b) nel corso della stesura Prospero intrattenne un carteggio con i membri degli Intrepidi, ai quali richiese dei pareri [64] c) prima ancora della stampa Prospero inviò la sua tragedia in lettura al Principe d'Urbino Federico Ubaldo, allora tredicenne [65],  e al Duca di Mantova Ferdinando Gonzaga [66]; d) subito dopo la rappresentazione del Solimano, e a ridosso della sua pubblicazione a stampa, Prospero si trasferì a Firenze, al servizio di Cosimo II [67] e) il Solimano venne pubblicato a stampa nel 1619 con una dedica al Gran Duca.

Da questi dati emerge come il Solimano rappresenti uno snodo fondamentale nella carriera letteraria di Prospero. Da una parte, infatti, nasce in stretta connessione con la città di Ancona e l'Accademia degli Intrepidi ed è inviato in lettura alle famiglie verso le quali era tradizionalmente rivolta l'attenzione della Casa Bonarelli: gli Este e i Della Rovere; dall'altra, rappresenta il biglietto da visita per la corte medicea. L'esordio teatrale risulta ben ponderato anche dal punto di vista della scelta del soggetto, che andava incontro tanto alla moda degli spettacoli turcheschi in voga presso la corte fiorentina in quel periodo, quanto alle richieste del mercato editoriale veneziano [68].

Dopo l'esperienza del Solimano Prospero indirizzò la sua attività teatrale lungo due versanti: da una parte animò la vita spettacolare di Ancona, città nella quale tornò a risiedere dopo la morte di Cosimo II, dall'altra si dedicò alla composizione di testi teatrali, intermezzi, balletti, giostre e melodrammi scritti per compiacere una gamma diversificata di committenti principeschi [69].

Tra il 1623 e il 1624, in corrispondenza con un significativo ampliamento degli spazi scenici dell'Arsenale, Prospero venne deputato a sovraintendere alle attività teatrali di Ancona [70]. Non contento di essere ad un tempo sovraintendente ed autore di molti dei testi messi in scena, Prospero fondò nel 1624 una nuova accademia, quella dei Caliginosi che sarebbe stata destinata, sino alla fine del secolo, a svolgere un ruolo di primo piano nella vita spettacolare della città. Anche in questo caso siamo di fronte alla capacità di tenere insieme diversi interessi. Durante l'estate del 1623, infatti, in occasione dell'elezione a pontefice di Urbano VIII, in molte città dello stato pontificio erano state fondate delle nuove accademie, le quali «eregettero l'Api gentilizie dei Barberini per Impresa» [71]. Nel 7 gennaio 1624, per rispondere alle aspettative della nobiltà anconetana che non intendeva essere da meno, Prospero Bonarelli fondò solennemente i Caliginosi, «prendendo per impresa un Orso, in piedi appoggiato ad un tronco di Lauro fatto servire per Alveare di Pecchie, in atto di farsi dalle medesime pungicare negli occhi, e nella lingua, per rischiarar le caligini della vista», con il motto Acuunt vulnera visum [72]. A tale omaggio allusivamente condotto per mezzo dell'impresa, Bonarelli aggiunse la richiesta a Francesco Barberini di ergersi a Protettore dell'adunanza [73].

Ancora più significativa, dal nostro punto di vista, l'attività teatrale su commissione: nel 1631 Prospero scrisse L'allegrezza del mondo, invenzione per un balletto regale per le Nozze di Ferdinando d'Ungheria con Maria Anna di Spagna, lavoro che fu molto apprezzato dal momento che seguirono altre tre opere composte su richiesta di Leopoldo Guglielmo d'Asburgo [74]. Come risultato di tale committenza Prospero ottenne dall'Arciduca due doni di incalcolabile valore simbolico:  un ritratto tempestato di gioie e un sonetto inviatogli nell'agosto del 1649 [75]. Tale episodio sarebbe stato ricordato solennemente nel panegirico In morte del Signor Prospero Bonarelli della Rovere contenuto negli Applausi funebri dedicati dai Caliginosi al loro fondatore:

Non era bastante all'Arciduca Leopoldo augustissimo fratello di Cesare il trattare con lettere reciproche il Conte, e perché volle, se non con la propria persona, almeno con una copia di se medesimo in pittura, essergli più da vicino, gl'inviò cinta di preziosi diamanti la sua nobilissima immagine; volendo il generosissimo Principe dar ad intendere al Conte Prospero con l'esquisitezza della pittura la finezza dell'affetto, che gli portava, e col pregio dell'ornamento la stima ch'egli di lui faceva: ma forse credendo quell'Imperiale Altezza il suo dono soggetto di caducità, gli aggiunse un altro immortale fabbricato dal più nobile Artefice dell'Imperio; il medesimo Arciduca fatto celebratore del Conte ascese in Parnaso, ove intessutagli una preziosa corona di lodi, glie l'inviò con un sonetto scritto co' suoi propri caratteri. Che posso dir più, o Signori? Chi ebbe mai nei tempi andati, e nei presenti Pindari serenissimi per le sue glorie? Chi può vantarsi che un Prencipe di Casa d'Austria abbia tolto la mente dalle cure bellicose, e di stato, abbia deposto la spada per prender la penna, e per impiegar l'intelletto a tesser encomi ad un Cavaliere adoratore ben sì della magnanimità generosa del Serenissimo Arciduca Leopoldo, in cui gareggiavano la nobiltà del sangue il valor della mano, e l'eminenza dell'intelletto? [76]

Tra le committenze spettacolari, infine, merita una menzione il melodramma La gioia del Cielo, scritto per le Nozze di Ferdinando II di Toscana con Vittoria della Rovere celebratesi il 5 luglio 1637. Oltre a rinsaldare i legami con gli Arciduchi, fondamentali, come abbiamo visto, nella strategia volta a recuperare i beni allodiali, tale commissione fruttò con ogni probabilità anche un risultato immediato: proprio nel 1637, infatti, Lorenzo Bonarelli, figlio di Prospero, venne insignito della Croce di S. Giovanni [77].

 

Le ambizioni di un padre: Prospero e figli Lorenzo, Andrea e Pietro

Tra le poche pagine eloquenti che si leggono in un epistolario essenziale e sorvegliato come quello di Prospero si annoverano le lettere dedicate ai figli. Si veda, ad esempio, l'incipit della seguente missiva dedicata alla nascita del primogenito Pietro:

Scrissi altra volta a V. A. S. [Alfonso III d'Este] ch'io per me non istimava poter in questo mondo cosa più grata all'uomo accadere, che 'l vedersi da Dio favorito di figliuoli e particolarmente di maschi: perché ad un certo modo par che s'acheti con essi qual naturale appetito di perpetuar se medesimi e si vede con quelli accomodati gli interessi della propria famiglia; or quel che allora scritti per teorica, ridico a V. A. per pratica […] [78]

Per Prospero, un padre ambizioso che programma per ognuno dei suoi nati una carriera adeguata al blasone familiare, i figli sono considerati preziosi per «gli interessi» della Casa Bonarelli nel suo complesso.

In occasione della nascita di ogni figlio maschio, Prospero informa i protettori della sua famiglia [79], con lo scopo di stabilire un primo, esile legame tra i nuovi nati e la cerchia sulla quale dovranno fare affidamento nel corso delle loro vite. Secondo una strategia ben nota agli storici, Prospero procacciò per i suoi nati padrini illustri oppure li fece battezzare da potenti cardinali: il padrino del primogenito, come abbiamo visto, fu Francesco Maria II mentre Vittoria della Rovere svolse il ruolo di madrina dei gemelli Lorenzo e Teodoro [80]. Questi ultimi, inoltre, vennero tenuti a battesimo dal Cardinale di Cosenza Giovan Battista Costanzo [81]. Alcuni anni più tardi Prospero avrebbe ripetuto tale strategia nel caso dei nipoti, rivolgendo questa volta l'attenzione ai Cardinali nipoti di Urbano VIII [82].

Sebbene non sia possibile, almeno stando alle fonti a me note, ricostruire nel dettaglio le strategie di Prospero, l'epistolario mostra comunque a sufficienza una strategia volta a diversificare gli sforzi, indirizzando i figli nelle diverse corti con le quali era possibile entrare in contatto. Pietro ed Andrea (nato nel 1616 [83]) vennero incamminati «per la vita della pretaria» [84]: il primo, inviato a studiare a Roma durante il pontificato di Paolo V, grazie all'interessamento di Berlingero Gessi [85] entrò a servizio del cardinal nipote Antonio Barberini; il secondo fece parte della cerchia di Malatesta Baglioni, Vescovo di Pesaro e governatore delle Marche. Di Teodoro (1614-1649) non si conoscono notizie, a parte le date estreme della sua vita ricostruibili dall'epistolario paterno, mentre Lorenzo, «l'ultimo dei Maschi» [86], venne guidato con sagacia dal padre in una carriera nella corte medicea. Protetto da Andrea Cioli e, a quanto pare, benvoluto dalla Gran Duchessa, Lorenzo venne insignito del titolo di Cameriere del Duca, ottenendo la «provisione» in precedenza riservata al padre [87]. Pochi anni dopo aver ottenuto la Croce di San Giovanni, Lorenzo morì improvvisamente nel 1649. Il padre si vide costretto a richiedere la restituzione della «provisione» alla quale aveva in precedenza rinunciato in favore del figlio [88].

Nel corso di un medesimo anno, il 1634, ad entrambi i Bonarelli destinati alla carriera curiale, grazie alla rete tessuta da Prospero, fu concessa una straordinaria occasione per mettersi in mostra di fronte ai rispettivi «padroni»: Pietro venne scelto da Antonio Barberini, nonostante la «tenera età» [89], come parte del seguito del Cardinale Mazzarino in partenza per la nunziatura di Francia, mentre Andrea, a soli vent'anni [90], seguì Monsignor Malatesta Baglioni nella nunziatura presso la corte di Vienna.

Prospero dovette seguire trepidamente il comportamento dei due giovani nel corso delle due nunziature, utilizzando lo scambio epistolare come mezzo col quale indirizzare il comportamento dei giovani [91]. L'epistolario a stampa non lascia tracce di tale comunicazione, per sua natura estremamente delicata [92], con una sola, significativa eccezione rappresentata dalla missiva indirizzata ad Andrea in procinto di partire per la Corte di Vienna che venne pubblicata nel 1636 tra le lettere discorsive. Si tratta di una sorta trattato sul «modo di vivere in corte» che lo stesso Prospero definisce una serie di «avvertimenti […] per istar bene con la corte» [93]. È molto probabile che si tratti di una rielaborazione di una missiva effettivamente spedita, circostanza che spiega la reticenza in merito ai dettagli concreti e il tenore moraleggiante delle massime [94]. Per quanto tale lettera sia rielaborata in un secondo momento, tra le righe dei suddetti avvertimenti si può leggere sia l'esemplificazione sentenziosa di alcune linee di condotta effettivamente praticate da Prospero nell'ambito della sua carriere in corte [95], sia la preoccupazione ossessiva per il buon nome della Casa Bonarelli tipica del Nostro [96]. Nel  1634, d'altronde, la posizione dei membri della famiglia è quella di chi non può illudersi di trovarsi in una posizione più elevata di quella degli altri membri della corte, come ha modo di ricordare Prospero al figlio nel raccomandargli la modestia:

Del resto l'età non ha avuto tempo ancora di gonfiarsi il capo né di teoriche, né di pratiche e la fortuna, saettando alla cieca, sono ormai sessant'anni che ferì in guisa la casa nostra, che ne trasse il più sostanzioso sangue: sì che né tu, né altri di noi può aver molta forza di salir sopra i monti. Usa dunque in ogni tempo, in ogni luogo, e con ogni persona discretezza e modestia degna d'un par tuo, e particolarmente nelle parole, le quali vorrei, che tu spacciassi a minuto, cioè che tu parlassi poco, e certo non deve parlar assai, se non chi sa assai [97].

L'edizione delle Lettere del 1636 e quella postuma del 1666 ospitano un vero e proprio carteggio dedicato al soggiorno francese di Pietro [98]. Nel riferire al cognato Muzio dell'Agli la fortuna toccata in sorte a Pietro, Prospero, che probabilmente aveva avuto modo di conoscere Mazzarino quando il futuro Cardinale soggiornava ad Ancona con il ruolo di capitano di Fanteria (1628), scrive:

Vorrei ch'egli valesse a profittarsi della scuola di sì gran maestro; onde un giorno fosse degno nipote di V. S. Non si può negare che la prima nascita di questo figliuolo, dirò dalle scuole, non sia quell'alba chiarissima ch'ella dice promettere un serenissimo giorno per lui ma piaccia a Dio che la fortuna della Casa nostra abbia ora cangiato seco l'ordine dei suoi disordini, cioè al candore di quest'alba non segua un mezzo giorno intempestivamente l'oscurità della notte. Faccia Dio. Speriam bene. Io confido intanto nella misericordia Divina che Pietro sarà ricordevole, e osservante di ciò che deve a se stesso, onde noi tutti dobbiam poi consolarci, ch'egli abbia adempiuto le sue parti, quando la sorte imperversasse ancora contro di lui [ 99]].

L'entusiasmo di Prospero si spiega in parte con la speranza, rivelatesi illusoria, che il contatto con Mazzarino avrebbe permesso alla famiglia Bonarelli di far procedere la causa impantanata presso la Camera Apostolica ma rivela anche una fiducia profonda nei confronti di Pietro, distintosi sin da fanciullo per la sua intelligenza.

Non sappiamo quanto Pietro ebbe modo di apprendere durante il suo soggiorno in Francia, un soggiorno, tra l'altro, interrotto ben presto per motivi di salute; ad ogni modo, il primogenito, come abbiamo visto, diciotto anni più tardi riuscì a sfruttare un'occasione propizia, l'elezione al soglio di S. Pietro di Alessandro VII Chigi, per «accomodare» gli interessi di tutta la famiglia.

 

Pietro e l'eredità paterna

La carriere letteraria di Pietro Bonarelli, poeta invero mediocre, si svolse tutta, a quanto è dato di conoscere dalle stampe e dai manoscritti a me noti, all'ombra del padre e, in misura minore dello zio. È significativo, a riguardo, che prima ancora di pubblicare le sue opere poetiche, Pietro si presenti al pubblico dei letterati italiani come curatore di volumi che raccolgono le opere dei suoi celebri congiunti. Nel 1641, infatti, come abbiamo già avuto modo di accennare, Pietro seguì a Roma la pubblicazione delle Opere dello zio Guidobaldo, strategicamente dedicate al Cardinale Antonio Barberini. Nella dedica, affidata a Francesco Ronconi, si menziona esplicitamente Pietro, protetto dalla «porpora» del Cardinal nipote, ed in suo nome la Filli di Sciro e la Difesa del doppio amore di Celia vengono idealmente dedicate ad Antonio Barberini:

"La Filli di Sciro e la sua Difesa, vaghissimo componimento della fenice dei cavalieri letterati d'Italia, rinata alle Stampe sen vola a V. E., la quale è Fenice tra i magnanimi Principi del nostro scolo. Queste immagini espressive d'un sì nobile intelletto, queste figlie spiritose dell'ingegno vivace del Conte Guidoubaldo, un non so che ritengono del prudente e dell'amoroso dell'amor loro, che le sospinge là dove egli l'indirizzerebbe se ora vivesse. Ma che dubbio ha, che il Conte ambirebbe far ombra alla sua Filli collo splendore della porpora che ora protegge il Conte Pietro suo Nipote, e che goderebbe rendere omaggio dei più cari parti dell'animo a quel Signore, a cui servigi consacrato vedesse il sangue suo? Aggiungesi che le Muse più volentieri ricorrono ai principi suoi pari, i quali ben conoscono le loro prerogative, anzi alle volte ancora si compiacciono emularle col proprio stile. […] Ella [la Filli di Sciro] possiede gli applausi delle più dotte accademie d'Italia; tradotta nell'idioma francese, fu da Madama Reale di Savoia colle sue dame rappresentata; superate le Alpi, trionfò nelle lodi datele dalle penne francesi, oggi al pari delle spade gloriose, e specialmente nell'Elogio del Gran Cardinale Duca di Richelieu, registrato da Mons. Isnardi, il quale nella prefazione al Duca d'Orleans, disse quelle notabili parole in lode della Filli […] Onde merito maggiore alla Filli si accresce appresso V. E., il cui generosissimo genio non può non aderire ai sentimenti di quella nobilissima nazione, tanto da lei amata ed onorata" [100].

Quattro anni più tardi Pietro curò, sempre a Roma, l'edizione del paterno Medoro, pubblicato senza l'autorizzazione dell'autore alcuni anni prima, in un'edizione pirata in merito alla quale non sono riuscito a rinvenire ulteriori notizie. Nella dedica a Francesco I Principe di Modena, Pietro non perde occasione evocare i legami tra la famiglia Bonarelli e gli Este:

"Spero che V. A., la quale nella propria persona così gloriosamente ravviva le virtù dei suoi generosissimi Progenitori, non sarà per isdegnarsi d'essercitar meco quella benignità ch'usarono coi miei Antenati li Serenissimi Duchi di Ferrara e di Modena. Il Conte Prospero mio padre compose, dopo il Solimano, anche questa tragedia di lieto fine, del cui argomento una parte è del famosissimo Ariosto il quale così felicemente cantò le glorie di casa d'Este; laonde, avendo avuto questi poema la sua prima origine d'un servitore della Serenissima Casa di V. A., ha per avventura possuto, senza arroganza, un altro divotissimo della medesima seguirne lo intralasciato filo, ed a suo senno condurlo a fine; ma con più ragione ha certo lo stesso mio padre acconsentito or a me l'appresentarlo a V.A., poi ch'io, nato appena, cominciai al sacro fonte a goder il patrocinio della gloriosa memoria del Signor Cardinal suo Zio [Alessandro d'Este, che tenne a battesimo Pietro], ed ebbi fortuna, molti anni sono, nel mio passaggio in Francia, a rassegnar a V. A. nella mia persona l'antica ed obligatissima servitù della Casa nostra, per la quale fui allora da lei per sua bontà giudicato non indegno affatto della sua buona grazia" [101].

Prospero, in una lettera a Luca Assarini, esprime il suo compiacimento per la pietà filiale di Pietro:

Comparve in Roma, ed in qualch'altro luogo non mal visto, da che lusingato il filiale affetto di Pietro mio figliuolo mise in cuore i mesi passati farlo stampare, né gli fu negato da me, contentandomi piuttosto ch'egli potesse così far pompa della sua tenerezza verso il Padre, che del suo giudicio, e del mio ingegno nel cospetto del mondo; giovandomi di pensare, ch'egli sia per esser quinci, se non lodato, compatito almeno e che a me sia per convenirsi il merito di buon padre, se non di poeta [102].

Di tale premura per la diffusione delle opere paterne risultano alcune tracce anche nelle poche lettere di Pietro che si possono leggere all'Archivio di Stato di Firenze: una missiva del 30 agosto 1653, ad esempio, accompagna l'invio al Cardinale Leopoldo de' Medici di un gruppo di poesie manoscritte di Prospero [103].

Nel 1651 Pietro pubblicò, con dedica a Margherita di Toscana Duchessa di Parma e di Piacenza, due volumi che raccoglievano tutta la sua produzione poetica precedente, ripartita tra le Poesie drammatiche e le Poesie liriche di Pietro. Si tratta di una produzione letteraria che risale, in buona parte, alla giovinezza di Peitro: tra i melodrammi ospitati nelle Poesie drammatiche, ad esempio, si legge Il Valore melodramma allegorico per le Nozze del Serenissimo Ferdinando II Gran Duca di Toscana con donna Vittoria principessa di Urbino [104],  evento risalente al 1637 per il quale anche il padre aveva scritto, come abbiamo visto, una composizione melodrammatica.

Un anno dopo tale ambizioso esordio, in una data imprecisata, giunse ad Ancona il volume delle poesia dell'Arciduca Leopoldo, pubblicate col titolo di Diporti del Crescente, accompagnate da una lettera del Capitano dell'esercito asburgico Domenico Serragli. A quest'ennesimo omaggio imperiale, che seguiva  di tre anni l'invio del sonetto autografo, Prospero rispose delegando a Pietro il compito di rispondere al nuovo omaggio poetico:

Queste [le poesie dell'Arciduca] sono in somma le vere composizioni, le quali miscent utile dulci; son'opere d'un vero Apollo, che sa ad un tratto allettar con la cetra le Muse, e saettar con l'arco i Pitoni. Ci vorrebbon tute le Muse, tutti gl'Apolli di questo mondo a degnamente lodarlo, come posso io presumer cotanto? Oltre che sotto la gravezza de gl'anni, ch'in me sono ormai 76, troppo sento oppresse con le forze del corpo quell'anche dell'ingegno; ho rinunziato però la mia dissonante lira a Pietro mio figliolo, che, non meno di me servo divotissimo ed ammiratore de' pregi di S. A. S., s'è ingegnato adempiere in qualche parte il nostro debito commune con l'incluso sonetto, il quale se a V.S. parerà, non sia per esser discaro, porrà rappresentarlo, e con esso introdurre il mio figliuolo nella buona grazia di S. A. alla quale prego V.S. rassegnar ancor la parzialissima divozione della nostra Accademia de' Caliginosi, e l'obbligazione immortale ch'ella le professerà eternamente per esser ella stata nella mia persona tante volte con ammirabile benignità favorita […] [105]

Con queste righe, alla veneranda età di 76 anni, Prospero sanciva la sua rinuncia alla poesia e, cosa ben più importante, l'intenzione di lasciare in eredità al figlio, da poco presentatosi sull'agone letterario con una raccolta di poesie, la sua «lira», ovvero, fuor di metafora, il compito di proseguire la sua "professione", mettendo a frutto la rete di contatti paterna e tenendo sempre ben a mente l'onore della Casa Bonarelli.

Nel 1655, come abbiamo visto, Pietro diede alle stampe la sua regipastorale Olmiro, per sua stessa ammissione costruita sul modello della Fidalma, la regipastorale paterna. Nel 1658 il passaggio di consegne si perfezionò con la pubblicazione dei Discorsi accademici, raccolta con la quale Pietro promuove il suo ruolo di principe dell'Accademia dei Caliginosi:

La nostra accademia ed io abbiamo dal Cielo ottenuto comuni la patria, il padre, e la culla, ma non già la fortuna; poiché quella, nata appena si palesò nelle virtù maggior d'un gigante, la dove io sempre sono stato nell'opere minore di un pigmeo [106].

Ancora una volta la falsa modestia è funzionale ad esaltare la propria origine e l'eredità letteraria ricevuta dal padre. D'altronde tra le sue Poesie liriche Pietro aveva inserito a bella posta il sonetto Nel presentare il Solimano Tragedia del Conte Prospero suo padre alla Signora Donna Barbara Rangona Dama di Madama Reale di Savoia [107].

 

Il 9 marzo 1659 morì ad Ancona Prospero. Pietro, oltre ad informare per via epistolare i protettori del padre [108], organizzò una solenne cerimonia funebre presso l'Accademia dei Caliginosi. Le celebrazioni anconetane diedero vita al già menzionato volume degli Applausi funebri, pubblicato a Roma sotto il diretto controllo di Pietro. Tra i molti componimenti poetici in morte del padre capita di leggere delle allusioni più o meno dirette alla continuità tra la poesia di Prospero e di Pietro. Il gioco diviene scoperto nel caso di un sonetto del letterato cosentino Girolamo Garopoli:

Felice te, che de' mortali affanni,

Prospero, con bel fin sei giunto al fine,

e toccando le fedi alte e divine,

innalzi innanzi a Dio la mente e i vanni.

Ivi de' spesi tuoi sudori, ed anni

hai di lauro immortal corona al crine,

e qui quanto è del Mondo ampio il confine

lode ti dan tuoi Tragici Tiranni.

O dei Teatri onor, partendo ammira

tra Bonarelli tuoi, Germano, erede

maneggiar cos' ben coturno, e lira,

Olmiro, Soliman, Fillide vede

ciascun, né sa ch'a maggior gloria aspira

tu, quel che ti precorse, ei che succede [109].

L'Olmiro di Pietro viene messa sullo stesso piano del Solimano del padre Prospero e della Filli di Sciro dello zio Guidobaldo. Le Muse Bonarelle hanno lasciato il posto ad un vero e proprio Parnaso di famiglia.

Tale fantasticheria, espressione icastica delle ambizioni di Pietro, ad ogni modo, può essere considerata il segno di un'imminente chiusura nei ristretti confini della città di Ancona. Dopo la scomparsa del padre, a quello che risulta dalle mie ricerche, Pietro non ebbe modo di pubblicare altre opere. L'accademia dei Caliginosi, dopo la morte di Pietro nel 1669, avrebbe a lungo limitato la sua attività a sporadiche riunioni e piccoli eventi di scarso momento. Il figlio di Pietro Prospero (il Costante tra i Caliginosi) tentò nel 1683 di riportare in vita l'accademia. Il risultato di questo estremo tentativo di far valere un'eredità familiare ormai secolare fu modesto: la stampa di tre raccolte di componimenti occasionali degli accademici Caliginosi [110]. La gloria letteraria del nipote di Prospero, questa volta, era destinata ad una dimensione provinciale.

 


Sigle

ARCHIVI E BIBLIOTECHE

ASF = Archivio di Stato di Firenze

ASM = Archivio di Stato di Mantova

BAV = Biblioteca Apostolica Vaticana

 

FONTI

Applausi = Applausi funebri de' signori accademici Caliginosi in morte del signor Conte Prospero Bonarelli della Rovere fondatore e principe della loro accademia in Ancona, Roma, nella stamperia d'Ignatio de' Lazari, 1659

Avvertimenti = Avvertimenti per sul modo di vivere in corte] in Lettere 1636, pp. 257-268 (cito dall'edizione da me curata per Enbach: [Link])

Araldi = L'Italia nobile nelle sue città e nei cavalieri figli delle medeme, i quali d'anno in anno sono stati insigniti della Croce di San Giovanni e di San Stefano. Opera di Lodovico Araldi dedicata alli nobilissimi Cavalieri delle sudette due invittissime religioni, in Venezia, presso Andrea Poleti, 1722

Diario = Francesco Maria II Della Rovere, Diario, a cura di Fert Sangiorgi, Urbino, QuattroVenti, 1989

Discorsi = Pietro Bonarelli, Discorsi accademici, Roma, nella Stamperia della Camera Apostolica, 1658

Garuffi = L' Italia accademica o sia Le accademie aperte a pompa e decoro delle lettere più amene nelle città italiane,  raccolte e descritte dall'abbate e dottore D. Gioseppe Malatesta Garuffi, In Rimini, Gio. Felice Dandi, 1688

Guarini, Lettere = Alessandro Guarini, Lettere, Ferrara, per Vittorio Baldini, 1611

Lettere 1636 = Prospero Bonarelli, Lettere, Bologna, appresso Nicolò Tebaldini, 1636

Lettere 1641 = Prospero Bonarelli, Lettere, Firenze,  nella stamperia di Amadore Massi, e Lorenzo Landi, 1641

Lettere 1666 = Prospero Bonarelli, Lettere, Bologna, per Giacomo Monti, 1666

Marino, Lettere = G. B. Marino, Lettere, a c. di Marziano Guglielminetti, Torino, 1966

Olmiro = Pietro Bonarelli, L'Olmiro regipastorale, Roma, Cavalli, 1655

Supplica = Supplica di Prospero Bonarelli a Ferdinando II il Pio, ASF, Ducato di Urbino, Classe III f. 34, Repertorio di scritture di liti dello stato d'Urbino, vol. I, A-B, cc. 272r-274v, vd. Appendice II

Vita = Vita del Conte Guidobaldo Bonarelli Della Rovere descritta da Francesco Ronconi, in Guidobaldo Bonarelli, Opere, Roma, appresso Ludovico Grignani, 1640, pp.1-12

 

BIBLIOGRAFIA SECONDARIA

Bizzocchi 2001 = In famiglia. Storie di interessi e affetti nell'Italia moderna, Bari, Laterza, 2001

Carminati 2011 = Clizia Carminati, Archilet reti epistolari. Progetto per un archivio in rete delle corrispondenze letterarie italiane in età moderna (sec. XVI-XVII), in «Studi Secenteschi», LI (2011), pp. 377-378.

Campori 1875 = Giuseppe Campori, Commentario della vita e delle opere del conte Guidubaldo Bonarelli della Rovere, Modena, Tip. Vincenzi, 1875

Casanova 1997 = Cesarina Casanova, La famiglia italiana in età moderna : ricerche e modelli, Roma, NIS, 1997

Celli 1892 = Luigi Celli, Storia della sollevazione di Urbino contro il Duca Guidobaldo II. Feltrio Della Rovere dal 1572 al 1574 : da documenti inediti dell'Archivio Vaticano, Torino, Roux e C. 1892

Ciancarelli 1992 = Roberto Ciancarelli, Il Solimano di Prospero Bonarelli: strategie teatrali di un dilettante del Seicento in P. Bonarelli, Il Solimano, Roma, 1992, pp. 7-39

Ciancarelli 2008 = Roberto Ciancarelli, Sistemi teatrali nel Seicento : strategie di comici e dilettanti nel teatro italiano del XVII secolo, Roma, Bulzoni, 2008

Dennistoun 1851 = James Dennistoun, Memoirs of the Dukes of Urbino illustrating the arms, arts and literature of Italy from 1440-1630, London, Longman, Brown, Green and Longmans, 3 voll.

Fosi 1997 = Irene Fosi, All'ombra dei Barberini. Fedeltà e servizio nella Roma Barocca, Roma, Bulzoni, 1997

La Torre 1910 = Adele La Torre, Notizie sulla vita e sulle opere di Prospero Bonarelli secentista anconitano, Matera, Benvenuto B. Conti, 1910

Malagoli 1891 = Giuseppe Malagoli, Studi, amori e lettere di Guidobaldo Bonarelli in «Giornale Storico della Letteratura Italiana», XVII (1891), pp. 177-211

Munari 2006 = Simona Munari, Introduzione in Charles Vion d'Alibray, Le Soliman. Tragi-comédie, Torino, Aracne, 2006, pp. 1-20

Ottavini 1939 = Pier Carlo Borgogelli Ottavini, voce Bonarelli, in Enciclopedia storico-nobiliare italiana, dir. da Vittorio Spreti, Milano, Edizioni Enciclopedia Storico-Nobiliare Italiana, 1939, pp. 111-112

Povoledo 1971 = Elena Povoledo, Una rappresentazione accademica a Venezia nel 1634 in M. T. Muraro (a cura di), Studi sul teatro veneto fra Rinascimento ed età barocca, Firenze, Olschki

Salvarani 1989: Marco Salvarani, Tornei ed intemerdi all'«Arsenale» di Ancona (1603-1623), in «Giornale italiano di Musicologia», XXIV (1989), n. 2, pp. 306-329

Sarnelli 1999 =  Mauro Sarnelli, La sintesi drammaturgica di Prospero Bonarelli in Id., «Col discreto pennel d'alta eloquenza. Meraviglioso e classico nella tragedia (e tragicommedia) italiana del Cinque-Seicento, Roma,  Aracne, 1999, pp. 67-126

Scotoni 1899 = Giovanni Scotoni La giovinezza di Francesco Maria II e i ministri di Guidobaldo della Rovere, Bologna, Zanichelli

 

Appendice I. Opere dei Bonarelli

a) Guidobaldo Bonarelli

1. Orazione del conte Guidubaldo Bonarelli, detto l'Aggiunto. Recitata nell'aprire dell'Accademia de gl'Intrepidi, Ferrara, Vittorio Baldini, 1602

2. Filli di Sciro favola pastorale del C. Guidobaldo, de' Bonarelli detto l'aggiunto accademico Intrepido, Ferrara, Vittorio Baldini Stampatore Camerale, 1607

Altre edizioni (XVII secolo)

Venetia, appresso Gio. Batt. Ciotti, 1607

Venezia, Bernardo Giunti Gio. Batt. Ciotti et compagni, 1609

Milano, Melchion ed heredi d' Agostino Tradate, 1612 (1613)

Viterbo, Girolamo Discepolo, 1613

Piacenza, Alessandro Bazachi, 1619

Macerata, Pietro Saluioni, 1619

Ronciglione, Domenico Dominaci, 1619

Venezia, nella stamperia del Ciotti, 1620 (1625) (1628)

Venezia, nella stamperia degl'Imberti, 1627

Roma, Ludouico Grignani, 1640 (in Opere del conte Guidubaldo Bonarelli Della Rovere. All'eminentissimomo e reverendissimo Signor Cardinale Antonio Barberini)

Parigi, Claudio Cramoisy, nella strada di S. Giacomo, al Sole d'oro, 1654 (1656)

Amsterdam, D. Elsevier, 1678

Roma, Ludouico Grignani, 1690

Bologna, nella stamperia del Longhi, 1698

Traduzioni (XVII secolo)

Fillis de Scire comédie pastorale, avec un prologue de cavalier Marini traduite de l'Italien, Tolouse, Raymond Colomiez, 1624

La Phillis de Scire traduite par le sieur Simon du Cros, Paris, A. De Sommanville, 1630 (1647)

La Filis de Scire comédie pastorale, tirée de l'Italien par le sieur Pichou, Paris, Targa, 1631 (1663)

Filli di Sciro, or, Phillis of Scyros an excellent pastorall written in Italian by C. Guidobaldo Bonarelli and translated into English by J. S. [Sheborne], London, printed by J. M. for A. Crook, 1655

La Philis de Scire, pastorale, du comte Bonnarelli. Nouuellement traduite en vers françois, auec l'italien à costé, Paris, Iean Ribou, 1669

3. Discorsi del signor conte Guidobaldo Bonarelli Accademico Intrepido in difesa del doppio amore della sua Celia, Ancona, Marco Salvioni, 1612

Altre edizioni (XVII secolo)

Milano, appresso l'erede di Pietro Martire Locarni e Gio. Battista Bidelli, 1613

Roma, Ludovico Grignani, 1640 (in Opere del conte Guidubaldo Bonarelli Della Rovere. All'eminentissimomo e reverendissimo Signor Cardinale Antonio Barberini)

4. Rime a stampe: Parnaso de poetici ingegni, d'Alessandro Scaioli reggiano, Parma, Viotti, 1611; rime manoscritte: Bologna, Biblioteca Universitaria, ms. 1881, c. 65v; Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, ms. Cl. VII.

 

b) Prospero Bonarelli

1. Prologo alla Filli di Sciro di Guidobaldo Bonarelli in Relazione delle feste carnevalesche fatte nella città d'Ancona il presente anno. 1609, Ancona, Marco Salvioni, 1609

2. Il Solimano tragedia, Firenze, Pietro Cecconcelli, 1620

Altre edizioni (XVII secolo)

Venezia, Santo Grillo e fratelli, 1621

Ancona, Marco Salvioni, 1623 (1632)

Venezia, Angelo Salvadori, 1624

Venezia, Ghirardo Imberti, 1629

Roma, per Francesco Corbelletti, 1632

Venezia, Angelo Saluadori, 1636

Bologna, eredi del Dozza, 1649

Cesena, Neri, 1658

3. Delle bellezze di Filli, lettera poetica, Ancona, Marco Salvioni, 1629

4. Le metamorfosi d'amore intramezzi del Contete Prospero Bonarelli per l'Erminda pastorale del conte Gioseppe Teodoli da rappresentarsi in Ancona quest'anno 1632, Ancona, Marco Salvioni, 1632

5. Lettere in varii generi a prencipi e ad altri con alcune discorsive intorno al primo libro degl'Annali di Cornelio Tacito, all'ellezione de gl'ambasciadori, al modo di vivere in corte ed altre, Bologna, Nicolò Thebaldini  ad istanzia delli eredi di Evangelista Dozza, 1636

6. La Fidalma regipastorale al serenissimo arciduca Leopoldo, Bologna, Nicolò Tebaldini, ad instanza de gli eredi di Vangelista Dozza, 1641 (1642)

7. L' Imeneo opera teotragicomica pastorale fatta ad istanza del serenissimo arciduca Leopoldo fratello della maestà di Ferdinando terzo imperatore l'anno 1638, Bologna, Nicolò Tebaldini ad istanza de gli Eredi di Vangelista Dozza, 1641

8. Lettere in varii generi a prencipi e ad altri con alcune discorsive intorno al primo libro degl'Annali di Cornelio Tacito, all'ellezione de gl'ambasciadori, al modo di vivere in corte ed altre mai più date in luce, Firenze, Amadore Massi e Lorenzo Landi, 1641

9. Delle fortune d'Erosmando e Floridalba istoria,  Bologna, Nicolò Tebaldini, 1642

Altre edizioni (XVII secolo)

Bologna, Gio. Battista e Gioseppe Corvo, 1645

10. Gl'abbagli felici comedia, Macerata, Agostino Grisei, 1642

11. I fuggitivi amanti comedia, Macerata, Agostino Grisei, 1642

12. Il Medoro incoronato tragedia di lieto fine al serenissimo Francesco II d'Este, Roma, Francesco Moneta, 1645 (1652)

13. Lo spedale comedia, Macerata,  Agostino Grisei, 1646

14. Melodrami cioé opere da rappresentarsi in musica. Alla serenissima D. Vittoria gran duchessa di Toscana, Ancona, Marco Salvioni, 1647

Comprende

L'esilio d'Amore nella venuta in Ancona del serenissimo princ.pe d'Urbino sposo della serenissima principessa Claudia de Medici

La gioia del cielo per le nozze del serenissimo Ferdinando II il pio gran duca di Toscana con la serenissima d. Vittoria della Rovere principessa d'Urbino

L' Alceste

L' allegrezza del mondo, invenzione per un balletto regale nell'augustissime nozze de' serenissimi Ferdinando Re d'Ungaria  e di Maria infanta di Spagna

Il merito schernito

Il Faneto cioè il sole innamorato della notte

La vendetta d'amore

L'antro dell'eternità, invenzione d'un torneo a piedi per la festa del giorno natalizio di Ferdinando secondo imperatore il qual giorno viene li nove di luglio

La pazzia di Orlando

15. Rose colte insieme coi loro steli nel rosaio santissima della Madonna con ossequiosa divozione dal conte Prospero Bonarelli della Rovere all'Illustrissimo e Reverendissimo Monsignor Mario Alberici governatore d'Ancona, Ancona, Salvioni, 1648

16. Lettere in vari generi a prencipi ed altri  con alcune discorsive, particolarmente sopra l'Istoria d'Erodoto. Parte seconda, Bologna, Giacomo Monti, 1666

 

c) Pietro Bonarelli

1. Poesie drammatiche. Dedicate all'Altezza Serenissima di Margherita di Toscana Duchessa di Parma e di Piacenza, , Ancona, Ottavio Beltrano, 1651

Comprende

La Ninfa ritrosa. Favola pastorale

Cefalo e Procri Melodramma per Intramezzo

Il Valore melodramma allegorico per le Nozze del Serenissimo Ferdinando II Gran Duca di Toscan con donna Vittoria principessa di Urbino

La Proserpina melodramma

La Debbora melodramma sacro

2. Poesie liriche. Dedicate all'Altezza Serenissima di Margherita di Toscana Duchessa di Parma e di Piacenza, Ancona, Ottavio Beltrano, 1651

3. L'Olmiro regipastorale. All'A. S. di Vittoria principessa d'Urbino, Gran Duchessa di Toscana, Roma, Francesco Cavalli, 1655

4. Rime varie manoscritte: Città del Vaticano, BAV, Barb. Lat. 3236; 3870, cc. 33r-34r; Barb. Lat. 3886, c. 188r-189v;  Barb. Lat. 3880, cc. 149r-155r.

 

Appendice II

[272r] Supplichevole ragionamento al Serenissimo Ferdinando Il Pio Gran Duca di Toscana di Prospero Bonarelli

[1] Serenissimo Principe, vengo alla Real presenza di V. A. introdotto per mano dalla vostra benignità e dalla mia servitù; in mezzo a costoro non posso da Voi esser mirato che con occhio piacevole, che con orecchie sofferenti. [2] Vengo ad rappresentarvi una tragedia che al dispetto della fortuna sarà di quelle di lieto fine, se l'animo vostro generossissimo prestarà, come spero, per lei comodo a dispiacere ed a misericordia. [3] Questa sorte di componimento è fatta ormai così familiare al mio genio, come proporzionata alla mia fortuna. Ne dedica<i> un'altra, già sono 20 anni, alla gloriosissima memoria del Duca Cosimo Padre di V. A., da me fatta con qualche invenzione sopra avvenimenti infelici della casa ottomana; ne porto or questa a Voi composta senza favoreggiamenti dal mio destino sopra sfortunati successi della Casa mia. [4] Sono, è vero, queste case infra di loro infinitamente dispari, e le persone di questa, non essendo reggie, mancano di una condizione principale per esser boni soggetti tragici; ma tuttavia chi ben avvertirà quanta sia la loro disavventura, vedrà che in essi pur troppo v'è qualche cosa di grande. [5] Procurai con quella d'accennar qualche parte delle glorie infinite del Padre di V. A.; spero con l'occasione di questa far vivamente sfavillare i lampi della Vostra pietà.

[6] Avverrà questa ancor essa i suoi Solimani ingannati e i suoi Ruteni ingannatori, i suoi Mustafà perseguitati; la onde s'ho potuto con arti in quella commovere il mondo a compassione d'un barbaro infedele e nemico, potrò ben anche sperar più raggionevolmente, a forza della semplice verità, movere in questa, come dissi pur dianzi, V. A. a misericordia d'un suo servo fedelissimo e divotissimo. [7] Ma perché è l'ora, che s'incominci l'opera, ecco il Primo atto raccorre delle cose preandate, e pieno, conforme la regola, d'avvenimenti felici.

[c. 272v]

[8] Il Conte Pietro Bonarelli mio padre dopo la morte del Conte Antonio Lanoriani suo zio, che fu servitore accettissimo e genero del Signor Duca Guidobaldo II Duca d'Urbino, per spazio di 18 anni con assidua e fedelissima servitù poté tanto in quella avanzarsi, ch'agevolmente divenne il più caro e 'l più favorito, e per aventura il più benificato servitore di quell'Altezza.

[9] Quivi l'invidia, e l'odio, che su la scena della corte fan sempre il secondo atto, cominciarono ad ordir varie tele d'insidiose machinazioni, che nel 3° poi, dopo la morte di quel Duca, tramarono in guisa tale che nel quarto, avendo persuaso il Serenissimo successore a fidar in essi l'amministrazione della giustizia, fu da loro essercitata in maniera contro mio Padre che in tre giorni fu citato, condannato e privato di quanto aveva. [10] Non perdé l'onore, perché gli fu diffeso dalla forza del vero e dell'autorità di quasi tutti i Prencipi d'Italia e del Re di Spagna e dell'Imperatore medesimo, che mandando e scrivendo a pro' di lui, autenticorono così col loro favore la sua innocenza.

[11] Mancava il quinto atto, ove rimanesse compita la catastrofe e mutazione della sua fortuna, imperoché non restava alla oppressa ed affatto abbattuta s'anco i figli, privati d'ogni loro raggione, non venivano seco a parti delle sue ruine; la onde finalmente tutta la Casa precipitata, finì l'opera. [12] Ma non finirono le speranze di risarcirla in parte, né mai si ristò di tentarlo in ogni tempo e con tutti quei mezzi che son compatibili con quel rispetto e con quella riverenza che si vede ai grandi: consumò in questo, benché senza profitto, mio Padre tutto il resto della sua vita, che furono poco men di 20 anni.

[13] Fu creduto che nei rigori algenti della sua morte avesse la fortuna da spegnar l'ire ed i suoi furori, che l'istessa falce ch'a lui troncò la vita avesse dovuto recidere anche il lungo filo delle nostre disgrazie, e che seco finalmente fosse stata portata morta alla sepoltura la nostra sorte nemica. [14] Ma troppo s'inganna ed empiamente crede chi crede che giammai la morte del padre possa esser felicità dei figliuoli: non fioriscano i rami quando il tronco è reciso, non intumidiscano i rivi quando il fonte s'inaridisce. [15] Ma sopra il tutto sortì cosa disiderata; perché [273r] il Cielo ad un Sereinissimo Natale non ad una funestissima morte avea destinato il principio del cangiamento della nostra fortuna.

[16] La serenissima nascita del Principe d'Urbino partorì a noi la ricuperazione della buona grazia del Signor Duca suo Padre. Non parve a quel Cor magnanimo, e quell'Anima regale e santa poter meglio mostrarsi degna delle sue fortune e della grazia ricevuta da Dio che usando a punto atti divini, colmi di clemenza e di pietà.

[17] Crescevano con gl'anni del Prencipe anche le nostre speranze, che erano nate seco gemelle, ed arrivarono all'auge quando fu stabilito il parentado fra quel Principe e la  Serenissima sua Zia, perché trovommi io appoggiato alla servitù e sotto l'ombra della potentissima protezzione del Signor Duca Cosimo, ben aveva raggione di sperar un giorno per suo mezzo d'esser, se non in tutto, in parte, e se non per altro, per mera benignità, reintegrato in quei beni, di cui tanto prima ch'io nascessi m'aveva la mia nemica fortuna privato.

[18] La benignissima inclinazione che per sua mera e nativa bontà il Serenissimo Gran Duca Cosimo mi portò da quel giorno ch'entrai a suoi fortunatissimi serviggi, e la pietà dell'angustie della mia Casa, leggerissima di facoltà ed infinitamente carica di figliolanza, sì come lo tenne sempre disposto a voler per me a suo tempo far appresso a quella Aletezza favorevolissimi uffici, cosi l'indusse più volte ad assicurarmene di bocca propria.

[19] Onde io già, già mi credeva nel porto, già ringraziava Dio del fine delle burasche, quando ecco la morte prima del Gran Duca Cosimo e poi quella del Serenissimo Prencipe d'Urbono sconvolgono di novo e mettono sopra il mare degli amari interessi della mia Casa.

[20] In tanta confusione, non fu per noi trovato miglior Consiglio che drillar il timone a seconda del vento ed accomodarsi alla congiuntura del tempo, ch'ormai correva in maniera che potevamo aver sicura speranza che non fosse per esser discaro al Signor Duca che anche per via di giustizia di nuovo tentassimo la nostra sorte. [21] Non fallano mai le sperante fondate su la base della bontà d'un Prencipe, che può esercitarla a sua voglia. Fu però principiata la lite, perché il principio di lei dipendeva dal voler del Signor Duca, ma il progresso, e 'l fine, che doveva procedere dalla [273v]  volontà de' ministri, la quale, <che> era forse in qualche tempo da più alta intelligenza regolata, non si vidde giammai.

[22] Passò in tanto a miglior vita il Signor Duca, e la nostra causa per la parte di feudi passò in Roma a Tribunale giustissimo ma più tremendo, e per l'altra non mi lascia mai persuadere, ch'ella passasse se non a quel medesimo giudicio che averei supplicato appresso ad altri per intercessione. [23] Passò dunque a ricoverarsi nel benignissimo seno della Clemenza di V. A.; ma quivi aborrendo il titolo, e maggiormente l'effetto di lite, si riposò con dolcissima quiete sopra la mera disposizione della volontà di Vostra assai onorata, stimando le sue raggioni,  quando V Altezza e la Serenissima Gran Duchessa prontamente non l'avessero sdegnate anche in dono. [24] Ma quell'innata generosità, che nell'animo Regio si siede, e quella singolare e caritatevole propensione che dal vostro Gran Genitore avete redata verso di me e del bene della mia Casa, inclinandosi anco benignamente a dimostrarvi in questa occasione pietosissimi effetti, oprò che da Voi fu gradita l'offerta, ma delle cose offerte richiedeste da vostri ministri maggior informazione, per aggiustarvi meglio a quello che, se non altro, la pietà vi dettava.

[25] Sono oggi tre anni che fu dato questo ordine e l'informazione ancora si sospende, e come se litigar io volessi, quelli che devono farlo, persuasi dalla mia disgrazia ed ingelositi ragionevolissimamente del buon servizio di V. A., pensano che a quello maggiormente complisce che per loro siano mirate le mie ragioni, appunto con occhio littigioso, e che sia bene induggiar, procurando di trovar mezzi ed argomenti di più tosto distruggerle affatto che, semplicemente quali sono, rappresentarle e rimetterle alla vostra Generosa bontà.

[26] Serenissima Altezza: qui supplico l'incomparabile vostra prudenza a voler elle aver in considerazione che chi si raccomanda non pretende di litigare, ch'è soverchio difficultar ogni cosa a chi è provento a contentarsi anche di nulla, e, finalmente, che le ragioni le quali, qualunque elle si siano, non si pretende che abbiano a valer che per dar motivi a quegl'atti di beneficenza che sarebbono usati anche solo per naturale magnanimità, non occorre acerbamente impugnarle.

[27] Qui non si disputa la causa di mio padre né per lui ricerco giustizia; tratto d'alcuna ragione dei suoi figliuoli e per loro adimando pietà; l'adimando a V. A. [274r] che la sapete usar così bene fin con i barbari che lieti par che tra le vostre catene non s'aduggiano e non si curano d'aver perduta la libertà; la dimando a Voi, che essendo il Prencipe, il mio Signore, non ho altronde dove sperarla; la dimando a Voi che nella scuola de Vostri gran Genitori so ch'appresa avete la regola, e sete per insegnarla ad altri, di ristorar l'innocenza dei figli co' beni, quantunque giustissimamente levati a i Padri; e finalmente, a Voi la dimando, ch'oggi avete saputo acquistarvi dall'universal consentimento del mondo, fra tutti i Prencipi e gran Monarchi, il titolo di Pio

[28] Concorrerà, non ho dubbio, in ogni atto pietoso con V.A. quella gran Principessa, che già d'ogni vostro volere ha fatto legge a se medesima; la quale, che ha già non solo unico co' vostri stati il suo rettaggio regale ma ch' ha fatto del coro proprio col vostro una santa ed amorosa ippostasi.

[29] La Serenissima Gran Duchessa non è più per riconoscer suo particolare alcun'interesse, gode e si vanta non aver altro omai di suoi proprio che V. A. Veggio ben'io che sì come in lei sola è ragunato tutto il Serenissimo Sangue della Rovere, così i preggi singolarissimi di tutti gli eroi di quella Gran Casa, correndo quasi chiarissimo fiume a terminar nella bell'Anima di Lei, quivi van formando un mar di virtù. 30] Per lo quale felicemente navigando legno della mia speranza, egli è certo per arrivar al porto della supplicata pietà, mentre in lui dalla saggia mente di V. A. spireranno fecondo i venti della considerazione, ch'è ben dritto che la mia tramontata fortuna torni a risorgere di colà dove ebbe una volta il suo primo oriente; che la potentissima mano della Serenissima Nipote quella Casa sostenga che fu già benignissimaente innalzata dalla mano generosissima degli Avi; e che finalmente, non hanno i prencipi onde maggiormente rendersi grati e somiglianti a Dio e gloriosi al mondo, fuor che magnanimamente ravvivare l'altrui morta felicità, ed a chi in nulla è ridotto, ridonare il ben essere

 


Note

1. Nell'ambito della mia collaborazione al progetto di ricerca Archilet - reti epistolari ho inserito nel database raggiungibile all'indirizzo http://www.archilet.it/ una scheda sintetica di tutte le lettere a stampa di Prospero Bonarelli. Per la descrizione del progetto vd. Carminati 2011.

2. L'edizione a stampa del 1636 contiene 191 lettere, riprodotte nell'edizione del 1641 con l'aggiunta di 22 pezzi; la rara stampa bolognese del 1666 non è una ristampa delle precedenti edizioni ma un libro del tutto nuovo che ospita 162 lettere. Come è abitudine nelle stampe del tempo, le missive a stampa sono, con pochissime eccezioni, prive di date.

3. Al momento ho individuato nell'Archivio di Stato di Firenze 17 lettere di Prospero conservate tra i carteggi di Ferdinando II e Vittoria della Rovere (ASF Archivio Mediceo del Principato, 1000, 1003, 1004 , 1008, 1009, 1011, 1388, 1390 5306, 5465, 6154), e un faldone contenente 116 lettere autografe ad Andreo Cioli, risalenti al biennio 1620-1621, tutte relative alla costruzione di un ospedale per i pellegrini fiorentini presso il Santuario di Loreto, lavori seguiti da Bonarelli per conto del Gran Duca (ASF, Miscellanea medicea, 283).

4. Il taglio della presente ricerca, rivolta piuttosto al prestigio letterario che alle carriere in corte e in Curia, permette di aggirare la carenza della documentazione relativa alla famiglia Bonarelli a me nota. A differenza di studi più corposi e sistematici (ad es. Casanova 1997 per i Rasponi e i Cambiani, Fosi 1997 per  i Sacchetti, Bizzochi 2001 per i Bracci-Cambini), infatti, il seguente lavoro non si avvale di un archivio di famiglia ma soltanto di documenti reperiti in diverse sedi, con un'attenzione peculiare all'epistolario e ai paratesti delle opere letterarie dei membri della Casa Bonarelli.

5. Vd. Munari 2006.

6. Cfr. Sarnelli 1999: 69.

7. La produzione teatrale di Prospero comprende: una tragedia (Il Solimano), una tragedia di lieto fine (Il Medoro incoronato), due pastorali (L'Imeneo e La Fidalma), tre commedie (Gli abbagli felici, I fuggitivi amanti, Lo spedale) e una raccolta di opere per musica (Melodrami). Cfr. Appendice I. Opere dei Bonarelli.

8. "In quella città di residenza [scilicet Ancona] Prospero Bonarelli guida le attività sceniche di nobili signori e di giovani dilettanti, ricoprendo, di volta in volta, il ruolo di impresario e di allestitore degli spettacoli, di autore e di inventore dei testi drammatici" (Ciancarelli 2008: 85).

9. Lettere 1666: 52. Nella trascrizione dei testi e dei documenti adotto i seguenti criteri: distinzione di u e v secondo l'uso moderno; ammodernamento dell'interpunzione, degli accenti e degli apostrofi; eliminazione dell'h etimologica e pseudo etimologica; ammodernamento della grafia latineggiante -ti- (o -tti-) + vocale, resa con -zi- (o -zz-) + vocale; scioglimento delle note tironiane; uniformazione dell'esito ij in i; modernizzazione dell'uso delle maiuscole.

10. Lettere 166: 162.

11. Olmiro: c. a4v.

12. Riporto il testo nell'Appendice II, edizione dalla quale cito indicando la paragrafatura da me introdotta.

13. Supplica §§ 1-5.

14. Supplica § 6.

15. Supplica §§ 7-12.

16. Guidobaldo II aveva insignito Pietro del titolo di Conte d'Orciano e marchese di Barchi, in aggiunta all'antico titolo nobiliare risalente al 1080,  concedendogli il privilegio di inquartate lo stemma dei della Rovere, aggiungendovi anche il cognome (cfr. Ottavini 1939: 112). Francesco Maria II non riuscì a far revocare i titoli concessi dal padre a Pietro Bonarelli (cfr. Scotoni 1899).

17. Dennistoun 1851, III: 150-151; Campori 1875; Malagoli 1891; Celli 1892.

18. Scotoni 1899.

19. ASF, Ducato di Urbino, Classe III f. 34, Repertorio di scritture di liti dello stato d'Urbino, vol. I, A-B, Prospero Bonarelli.

20. Il fascicolo, aperto dal Supplichevole ragionamento al Serenissimo Ferdinando Il Pio Gran Duca di Toscana di Prospero Bonarelli, contiene una serie di pareri legali richiesti dal Gran Duca, la copia a stampa delle sentenze emesse dalla Camera Apostolica e tre inventari dei beni sequestrati alla famiglia da Francesco Maria II.

21. In seguito a nuove imposte introdotte nel settembre del 1572, i comuni di Urbino, Gubbio, Cagli, Fossombrone e la provincia di Massa richiesero la revoca dei tributi (Celli  1892: 42); nel dicembre del 1572 si unì alla protesta anche Pesaro (Celli 1892: 82); nel gennaio del 1573 gli Urbinati si sollevarono e presero le armi; in febbraio i dismisero le armi (Celli 1892: 181-187)  ed in Marzo si procedette ad arresti ed esecuzioni. Dopo la morte di Guidobaldo, nel giorno del suo possesso, il 13 ottobre 1574, Francesco Maria II, abolì solennemente i dazi introdotti dal padre (Celli 1892: 254-255).

22. Il 2 febbraio 1580 Antonio Stati venne giustiziato, cfr. Scotoni 1899: 231.

23. Scotoni 1899 153-158.

24. Scotoni 1899: 171. Il 28 aprile 1581 fu pronunziata una seconda sentenza di morte contro Pietro Boanrelli, cfr. Scotoni 1899: 233.

25. Si veda il memoriale Imputazioni date al Conte Pietro Bonarelli riportato in Campori: 53-54.

26. L'Imperatore invitò con una lettera il Duca a non procedere contro Pietro (ASF, Archivio di Urbino, I. A. I), vedi Scotoni 1899: 168.

27. Malagoli 1891: 178 n3.

28. Campori 1875: 7-8.

29. Campori 1875: 10.

30. Sulla cronologia degli studi di Guidobaldo, si veda Malagoli 1891: 179.

31. In una lettera al padre del 30 marzo 1591 Gudidobaldo rifiuta con forza la prospettiva di prendere i voti in quanto si sente privo della vocazione, vd. Malagoli 1891: 197.

32. ASF, Archivio di Urbino, C. I. F: 162, cc. 92r-94v. Dalla lettera emerge che Borromeo aveva interessato alla causa del giovane Bonarelli il Cardinal Nipote Carlo Emilio Sfondrati.

33. Francesco Maria II aveva incaricato il residente di Roma di tenere al fianco di Pietro Bonarelli «delle spie sicure» sin dal'aprile del 1575 (Scotoni 1899: 172).

34. Malagoli 1891.

35. Vd. Diario: 141-142.

36. «Passò il Serenissimo d'Urbino per questa Città andando alla Santa Casa, per rendere grazie di quel bambino nato per mantenimento di quella Serenissima Casa, e giudicando niun mezzo esser più atto a render grazie a Dio, che 'l far grazie agli uomini, si compiacque in un punto ad istanza del Magistrato di questa Città rendeci con la sua benignissima presenza la tanto da noi sempre sospirata e procurata sua buona grazia, ond'io rimasi di maniera consolato, che ciò mi pareva, che il contento brevissimo d'un ora sola avesse avanzato tutti i nostri così lunghi, ed antichi travagli […]» (Guarini, Lettere: 132).

37. "La serenissima nascita del Principe d'Urbino, partorì a noi la ricuperazione della buona grazia del Signor Duca suo Padre. Non parve a quel Cor magnanimo, e quell'Anima regale, e santa poter meglio mostrarsi degna delle sue fortune e della grazia ricevuta da Dio che usando a punto atti divini, colmi di clemenza e di pietà" (Supplica: § 16).

38. L'edizione, dedicata ad Antonio Barberini, è ideata dal nipote Pietro Bonarelli.

39. Vita: 9.

40. Lettere 1636: 1-2.

41. Supplica: § 17.

42. Cfr. Supplica § 18.

43. Il Legato pontificio, come «preziosissimo antidoto alla povertà di molti operai», stabilì di far costruire una scenografia particolarmente sontuosa e di ingrandire lo spazio teatrale ricavato nell'Arsenale, da tempo sede degli spettacoli anconetani, cfr. Salvarani 1989: 327-328.

44. Lettere 1636: 121-122.

45. Supplica: 19.

46. Nel 1625 morì Antonio, il fratello maggiore.

47. Supplica: § 20.

48. ASF, Ducato di Urbino, Classe III f. 34, Repertorio di scritture di liti dello stato d'Urbino, vol. I, A-B, Prospero Bonarelli, 276v.

49. Lettere 1641: 234-235.

50. Lettere 1666: 35-36.

51. Avvertimenti §§ 31-33.

52. La produzione letteraria di Guidobaldo precedente all'ingresso dell'Accademia degli Intrepidi si riduce a una manciata di liriche, un sonetto, due madrigali e un'egloga, ospitate nel Parnaso dei poetici ingegni (Parma, Viotti, 1601).

53. Campori: 22.

54. Vincenzo I, in una lettera del 4 febbraio 1604 chiede a Guidobaldo di raggiungere Mantova per seguire l'allestimento della sua favola pastorale (ASM - Archivio Gonzaga, b. 2260); alla richiesta risponde lo zio Antonio, con una lettera del 7 febbraio 1604 nella quale scusa il nipote che, essendo malato, non potrà recarsi a Mantova (ASM - Archivio Gonzaga b. 977, fasc. III/1, c. 217); in una serie di lettere del Duca scritte durante la vigilia del carnevale la rappresentazione della pastorale di Guidobaldo è descritta come imminente (ASM - Archivio Gonzaga, b. 2260).

55. In una lettera a Ercole Coccapani del 25 agosto Guidobaldo menziona Marino in termini che fanno pensare ad un rapporto amichevole tra i due letterati: «Martedì che viene s'avrà un'Accademia a discorrere. Oh! quanto desidererei il Signor Marini per accrescer il mio ardire col suo favore» (Campori: 45); in una lettera ad Antonio Bruni databile tra gennaio e febbraio del 1625 Marino ricorda in termini lusinghieri «Guidobaldo Bonarelli di felice ricordanza», considerandolo una gloria letteraria urbinate al pari di Bembo, Tasso e Guarini (Marino, Lettere: 422).

56. Prospero Bonarelli annuncia la morte del fratello nell'ordine al Principe di Venosa Emmanuele d'Este, al Conte Alfonso Fontanella, al Conte di Rolo, al Cardinale Cardinale Orazio Spinola  e al Conte Tieni (Lettere 1636: 32-34).

57. Lettere 1636: 31.

58. La notizia si ricava in Lettere 1636: 74.

59. Lettere 1636: 145. Un'espressione simile si legge anche in una lettera al Cardinal Orazio Spinola: «poiché certo altra maggior consolazione non mi resta nella sua morte, che la speranza d'aver redato [sic], la buona grazie, e 'l favore dei suoi più riveriti Padroni» (Lettere 1636: 33).

60. Lettere 1636: 116.

61. Lettere: 1636: 116-117.

62. Salvarani 1989: 307-310.

63. Vd, per le fasi della stesura e la rappresentazione:  Ciancarelli 1992, Sarnelli 1999, Ciancarelli 2008.

64. Lettere 1636, pp. 40-41, 86-87, 117-118, 151-154, 159-162, 245-257. Alle risposte alle censure del Vicario di Tolentino e di Padre Alessandro Troli che si leggono nell'epistolario, si aggiungono le due lettere discorsive con le quali Prospero risponde alla censura mossa da Antonio Bruni, accademico intrepido, riportate in apertura di un'edizione romana del Solimano (Corbelletti, 1632). Sulla portata teorica delle risposte di Prospero si veda Sarnelli 1999: 67-81.

65. Lettera 1636: 45-46.

66. Lettere 1636: 46-47.

67. La notizia si deduce da Lettere 1636: 41-42 (Prospero invia il testo della tragedia a Monsignor Innocenzo dei Massini poco dopo la rappresentazione, in procinto di mettersi in viaggio per Firenze).

68. Ciancarelli 2008: 83.

69. Sulla pragmatismo di Bonarelli, capace di mediare attentamente tra le sue idee teatrali e le richieste dei committenti, si leggano le acute pagine di Mauro Sarnelli.

70. Salvarani 1989: 329.

71. Garuffi: 40.

72. Garuffi: 40

73. Garuffi: 41.

74. La pastorale L'imeneo (1638), il melodramma Il Faneto, una seconda invenzione per un balletto dal titolo L'antro dell'eternità .

75. Nel carteggio con Leopoldo le date sono eccezionalmente riportate dall'editore, vd. Lettere 1666: 61-64.

76. Applausi: 19-20.

77. Araldi: 217. Dopo la morte di Lorenzo, vennero insigniti della carica prima il fratello Andrea (1652), quindi lo stesso Prospero (1658), cfr. Ottavini 1939: 116.

78. Lettere 1641: 3.

79. Lettere 1636: 2-5.

80. Lettere 1636: 71-72. Cfr. quanto scrive Irene Fosi a proposito della scelta dei padrini effettuata da Giovanni Battista Sacchetti: «Anche la scelta dei padrini e madrine rivestiva un significato simbolico e sociale molto forte. È indubbia infatti la sua valenza di strumento di mediazione e di ascesa sociale, di attese di patronage, sempre più sostitutivi del valore dei protezione spirituale che tale istituzione aveva nelle origini» (Fosi 1997: 33).

81. Lettere 1636, p. p. 72. A questo Cardinale Prospero raccomandò il fratello Antonio come cavaliere per l'esercito pontificio (Lettere 1636, pp. 76-77).

82. Il figlio maschio di Teodoro ebbe come padrino il Cardinale Antonio Barberini (Lettere 1666, pp. 20-21); lo stesso prelato tenne a battesimo, per procura, un altro nipote di Prospero (Lettere 1666: 41-42).

83. La notizia si deduce da Lettere 1636: 257 (Andrea ha «venti anni» durante la missione alla Corte di Vienna del Nunzio Pontificio Malatesta Baglioni, che si svolse nel 1636).

84. Cfr. per il ruolo della prelatura nel risolvere il problema dei figli cadetti Ago 1990: 45-51.

85. Lettere 1636: 62-63.

86. Lettere 1641: 231.

87. Lettere 1666, pp. 19-20.

88. Lettere 1666, pp- 26-27.

89. Lettere 1666: 126.

90. Avvertimenti § 2.

91. Si tratta di una pratica ovvia e diffusa, cfr., per esempio, il carteggio tra Orazio e il figlio Fabrizio Spada, in viaggio per Parigi, analizzato in Ago 1990: 112-113.

92. Orazio Spada scrive intorno a «qualsiasi cosa riguardi la carriera di Fabrizio, anche la più minuta - come , ed esempio, le indicazioni su dove far fare la liverea alla "famiglia" in caso di passaggio in Francia» utilizzando la cifra, Ago 1990: 111.

93. Avvertimenti § 52.

94. Particolarmente significativa, a riguardo, l'insistenza sul nesso pietà ed onore: «E per ciò far devi primieramente ricordarti, che sei nato Cristiano, e che sei nato Cavaliere; quello ti farà stimare l'onore di Dio, questo il tuo; la stima, che farai di quello che ti farà degno il Paradiso; la stima che farai di questo ti farà degno del Mondo» (Avvertimenti § 4); « Ti raccomando però la pietà: non far che il corpo sia vestito da prete e l'anima da profano» (Avvertimenti § 6); «Sii dunque a Monsignore amorevole, obbediente e assiduo, che questo è il modo di star bene con esso lui, mentre però osserverai gl'avvertimenti ch'io t'ho dato per istar bene con la corte, quelli per istar bene con esso Dio, che maggiormente importano» (Avvertimenti § 52).

95. Prospero, dotato di un solido buon senso, raccomanda ossessivamente al figlio «misura» nel mettersi in evidenza e nel ricercare i favori del Monsignore (con suggestive metafora marinara in Avvertimenti § 9 e §§ 16-18); si tratta di consigli tutt'altro che ingenui, come evidenzia l'analisi condotta da Renata Ago sui meccanismi delle carriere curiali tra Cinque e Seicento, cfr. «La più sottile delle abilità consiste, anzi tutto, nel darsi da fare nella giusta misura, in maniera sufficiente a porre in chiaro la propria candidatura e a richiamare l'attenzione dei "padroni" sulla propria persona, ma senza esagerare, senza lasciare che "la furia" mandi a monte le trattative». (Ago 1990: 94). Particolarmente significativo, considerata l'estensione della rete di rapporti tessuta da Prospero, è l'invito in apparenza generico ad «essere amico di tutti indifferentemente» (Avvertimenti § 38), espressione a un tempo di una debolezza intrinseca e di un forma mentis ben testimoniate nell'epistolario.

96. La preoccupazione per la «reputazione» della famiglia, che può essere messa in pericolo dal comportamento di un giovane avventato, è diffusa tra i padri dell'epoca, cfr. Ago 1990: 109.

97. Avvertimenti §§ 20-21.

98. Oltre le lettere di Prospero sull'argomento (Lettere 1636, pp. 64, 102-104; Lettere 1666, pp. 126-127, 132-133) si legge anche una missiva con la quale Vincenzo Martinozzi, Maggiordomo del Cardinale Antonio Barberini, riferisce a Prospero Bonarelli che i Cardinali Padroni [Antonio e Francesco Barberini] hanno scelto Pietro Bonarelli come giovane aiutante del Cardinale Giulio Mazzarino nella Nunziatura di Francia (Lettere 1666, pp. 127-129), una lettera con la quale Alessandro Bichi informa Antonio Barberini in merito al comportamento di Pietro Bonarelli durante il suo soggiorno francese, lodandone le «maniere gentili» che lo hanno fatto appezzare da tutti i nobili della città di Avignone (Lettere 1666, pp. 135-136) ed infine il breve biglietto con il quale lo stesso Giulio Mazzarino informa Francesco Barberini che Pietro Bonarelli è stato costretto, per motivi di salute, ad abbandonare anzitempo la Francia (Lettere 1666, pp. 133-134). Si tratta, significativamente, dell'episodio più ampiamente documentato nell'epistolario a stampa.

99. Lettere 1666: 126-127.

100. Opere: *2r-*3v.

101. Medoro: *1r-*1v.

102. Lettere: 143

103. ASF - Archivio mediceo del principato, 1012

104. Poesie drammatiche: 65-127.

105. Lettere 1666: 69-70.

106. Discorsi: a5v.

107. Poesie liriche: 226.

108. Lettera al Cardinale Giovan Carlo dei Medici del 14 marzo 1659 (ASF - Archivio mediceo del principato, 5369). È l'unica lettera di Pietro sull'argomento a me nota ma è estremamente probabile che queste lettere fossero molto più numerose.

109. Applausi: 36.

110. Li Fasti del serenissimo gran Duca Cosmo III applauditi dagli Accademici Caliginosi d'Ancona e consacrati alla medesima altezza di Toscana dal Conte Prospero Bonarelli della Rovere Cavaliere di S. Stefano, in Ancona, nella stamperia di Francesco Serafini, 1683; Applausi dell'Accademia dei Caliginosi di Ancona alle gelosie nozze dei serenissimi principi Ferdinando di Toscana e violante Beatrice di Baviera raccolti da Prospero Bonarelli, in Ancona, Francesco Serafini, 1689; Applausi festivi nell'esaltazione al sommo pontificato di Clemente XI, Ancona, Nicolò Pavesi, 1700.

* ASF, Ducato di Urbino, Classe III f. 34, Repertorio di scritture di liti dello stato d'Urbino, vol. I, A-B, cc. 272r-274v.