Il 21 giugno del 1648 moriva a Genova Gio. Vincenzo Imperiale [fig. 1 e [2], segnando così l'inizio della progressiva e rapida dispersione di una delle più strepitose e multiformi collezioni che la Repubblica aveva ospitato sino a quel momento. [1] Se riguardo all'uomo Gio. Vincenzo molto è stato studiato, come del resto è stata ricostruita con successo la sua parabola di ricercato committente di dipinti, la sua ricca e variegata biblioteca è passata nel quasi totale anonimato. [2] Tuttavia i libri costituirono per l'Imperiale ben più di semplici status symbol aristocratici o meri oggetti d'uso del letterato, furono invece parte integrante di una sua politica artistico-culturale, tanto quanto i ricchi dipinti e le antiche statue che popolavano il cinquecentesco palazzo sito in Piazza Campetto a Genova. [fig. 3] [3] Le tre tipologie di oggetti vengono infatti nominate in perfetta armonia nella lapide programmatica che l'Imperiale aveva fatto apporre nel loggiato del palazzo nel 1629 [fig. 4], al momento della definitiva conclusione dei lavori iniziati con il nonno Vincenzo nel 1560: Io. Vincentius Imperialis / Domo / ab Avo erecta, a Patre aucta / ab ipso ampliata / foris et intus perfecta / Secessus / Otio Negotioso Dicatos / Picturis, Statuis, Libris / adornatos / cui Deus et Dies / muniebat. / anno Salutis MDCIXXX. [4] I libri dunque assumevano per Gio. Vincenzo Imperiale una dignità di vera e propria opera d'arte, in un rimando continuo tra la poetica della parola e quella dell'immagine. Questa consapevolezza di certo gli era derivata dalle figure ispiratrici del padre Gian Giacomo e del nonno Vincenzo, al quale si deve senza dubbio la costituzione del primo nucleo della biblioteca, i cui volumi furono fonte primaria di ispirazione per i temi di storia antica che egli commissionò al pittore Luca Cambiaso per le volte del piano nobile del palazzo. [5] Tuttavia Gio. Vincenzo non si limitò a ereditare passivamente dai suoi predecessori la passione per l'antico e la cultura libraria e artistica, ma seppe farsi coinvolgere attivamente dalle correnti più vivaci dell'aggiornamento letterario e artistico europeo. Per i genovesi queste due correnti - che corsero su binari ben più vicini di quanto non dimostrino a oggi gli studi di settore - si coniugarono però perfettamente, nei primi anni del XVII secolo, in un unico nome: Peter Paul Rubens. Se la prima data certa della presenza dell'artista fiammingo nella Superba è quella che accompagna la pala d'altare rappresentante la Circoncisione realizzata per la chiesa dei Santi Ambrogio e Andrea nel 1605 [fig. 5], si è più volte ipotizzato che egli fosse in città già precedentemente e che avesse stretto importanti contatti, tra gli altri, proprio con l'Imperiale. [6]
Per la Genova del primo Seicento, il nuovo linguaggio pittorico del Rubens rappresentò una netta cesura con il passato, un punto di non ritorno dal quale prese avvio la grande stagione barocca della pittura ligure. Un evento capitale dunque, che non lasciò indifferenti gli aristocratici genovesi ormai capaci e attenti mecenati delle arti: numerosi furono i ritratti richiesti all'artista, così come i dipinti a soggetto mitologico o religioso che affollarono in gran copia le ricche dimore genovesi. [7] La dimensione di aggiornamento europeo infatti non coinvolgeva semplicemente la categoria dei collezionisti d'arte attivi sul mercato internazionale, ma rappresentava un interesse culturale ampio e diffuso in gran parte degli aristocratici della Superba. Significativo è infatti che Giulio Pallavicino, forse uno dei più importanti uomini di cultura letteraria a Genova tra gli ultimi decenni del XVI e i primi del XVII secolo, pur non possedendo una vera e propria passione per l'accumulo di importanti e magnifiche opere d'arte, abbia desiderato comunque farsi ritrarre dal Rubens per immortalare la sua figura di colto uomo di lettere. [fig. 6] Dagli inventari del Pallavicino salta agli occhi, a differenza del caso di Gio. Vincenzo Imperiale, una evidente disparità tra la passione letteraria - coniugata emblematicamente in una raccolta di circa 2500 volumi [8] - e quella artistica, testimoniata da uno sparuto gruppo di dipinti con soggetti estremamente tradizionali e di autore ignoto, accompagnati da una piccola quantità di busti marmorei e statuette bronzee. [9]
Rubens però non era un semplice artista, ma come molti uomini della sua professione e del suo tempo era a modo suo molto aggiornato culturalmente: in particolare fu appassionato conoscitore della filosofia neostoica propugnata nelle fiandre da Giusto Lipsio, [10] che egli conosceva bene di persona e che fu mentore del fratello del pittore, oltre che protagonista del suo dipinto su tavola oggi a Palazzo Pitti. I volumi pubblicati dal Lipsio tra la fine del Cinquecento e i primi anni del Seicento, furono per l'Europa dei primi decenni del XVII secolo veri e propri best-sellers, a causa all'approccio neostoico e fortemente influenzato dalla filosofia classica che veniva declinato in una sorta di precetto 'prudenziale' riguardo all'azione politica e sociale, senza escludere però alcune precettistiche di tipo religioso. Queste opere condizionarono fortemente artisti come Nicolas Poussin e tutti i personaggi che si ritrovarono nell'orbita dei circoli libertini francesi e romani e affollarono le biblioteche genovesi in particolare tra il 1584 e il 1651. L'arco temporale indicato è così ampio perchè purtroppo gli unici inventari di biblioteche che possediamo sono racchiudibili in questi termini, ma è molto probabile che già attorno alla metà del secondo decennio del XVII secolo almeno la biblioteca Imperiale conservasse già gran parte della produzione lipsiana. Nell'inventario fatto redigere da Gio. Vincenzo un anno prima della morte, nel 1647, si trova infatti una impressionante quantità di testi del filosofo fiammingo: 19 titoli, una vera e propria antologia della sua produzione letteraria. [11]
Questa predilezione per il Lipsio, che risponde senza dubbio a un canone di aggiornamento globale di quella parte dell'aristocrazia cittadina che aveva dimestichezza con i libri, potrebbe però significare nel caso dell'Imperiale qualcosa in più: il suo stretto legame con il Rubens e la consapevolezza che per il pittore di Siegen e per i suoi cari Lipsio fosse stato un reale maestro di vita, potrebbe infatti implicare una sua più forte influenza anche sugli interessi letterari di Gio. Vincenzo Imperiale stesso. [12]
D'altra parte come è comune pensare che con grande naturalezza i letterati e i ricchi committenti suggerissero agli artisti da essi patrocinati tematiche, spunti e riflessioni utili per la realizzazione di opere artistiche, nulla vieta che il procedimento potesse, in parte, invertirsi. Potrebbe infatti essere stata la ventata di novità - artistica, filosofica e letteraria a questo punto - portata da Rubens a Genova a partire dal primo decennio del XVII secolo a scatenare nei 'lettori' genovesi l'interesse per le novità letterarie del mondo d'oltralpe. Resta inoltre da considerare che i volumi del Lipsio sono collocati in maniera particolare all'interno della biblioteca dell'Imperiale, trovandosi praticamente tutti nella medesima «cassa» in fondo alla biblioteca e tutti nello stesso formato in mezzo, ad esclusione di tre volumi in ottavo [13] e di un libro di grande formato indicato come «Iustus Lipsius, in pagina» [14] che potrebbe indicare, anche in conseguenza del formato di notevole dimensione, l'Opera omnia del filosofo, anziché un singolo volume privato del titolo. [15] Se dunque è forse possibile scorgere il segno di Rubens nell'aggiornamento letterario dell'Imperiale, di certo questo è ben percepibile all'interno della dinamica del collezionismo artistico di cui Gio. Vincenzo fu eccezionale interprete: dall'inventario redatto alla sua morte si evince infatti che il fiammigo aveva realizzato due tele di palmi 11 ½ per 8 ½ e stimate 250 scudi che facevano parte della collezione del palazzo di Campetto, [16] rappresentanti la Morte di Adone [fig. 8] e Ercole e Onfale [fig. 9], due tipologie di soggetti estremamente presenti nella retorica della filosofia neostoica. [17] La testimonianza riguardo questi dipinti è trasmessa anche da Gio. Pietro Bellori che riporta come il Rubens «dipinse varij quadri e ritratti per Signori Genovesi, Hercole e Iole, Adone morto in braccio a Venere al Signor Gio. Vincenzo Imperiale». [18] Questo breve accenno sembra portare a pensare che le opere siano state realizzate dall'artista su diretta commissione di Gio. Vincenzo Imperiale, all'epoca (1602-1603) [19] appena ventenne, [20] per quanto esistano diverse opinioni in merito. [21] Tuttavia potendo leggere l'unicità della suggestione lipsiana nel quadro culturale dell'Imperiale attraverso il suo patrimonio librario, non sembra poi così improbabile che l'incontro in giovanissima età con un artista dalla già notevole fama e di poco più anziano, latore tra l'altro di una filosofia à la page che dovette coinvolgere molto il giovane aristocratico genovese, possa aver portato alla commissione - vera primizia dunque per il panorama genovese - dei due grandi dipinti. Non solo: Gio. Vincenzo, sin dalla più giovane età, aveva intrattenuto molte e profonde relazioni con letterati del calibro di Torquato Tasso, [22] tanto che l'edizione della Gerusalemme Liberata del 1616 verrà pubblicata proprio con gli Argomenti scritti dal letterato genovese. [23] Per queste sue conoscenze l'Imperiale dovette intraprendere viaggi e spostamenti vari ed è verosimile che possa aver incontrato il Rubens non solo a Genova, ma anche presso la corte di Mantova dove risiedeva o durante un comune soggiorno romano, magari attorno all'anno 1602, quando potrebbe aver a lui commissionato le due opere, probabilmente suggestionato dalla filosofia neostoica che il fiammingo conosceva e propugnava. [24] Vero è che il Rubens proprio in quegli anni si cimentava in opere che denotavano una notevole componente culturale legata alla filosofia e alla storia antica, come il dipinto realizzato per la committenza spagnola e rappresentante Democrito ed Eraclito (1603, [fig. 10]), dove la rappresentazione di una scena presente in alcuni volumi di erudita estrazione [25] si aggiunge ad una consapevole e scrupolosa realizzazione di un mappamondo scientificamente riprodotto. È qui significativo ricordare che proprio Giusto Lipsio pubblica ad Anversa, nel 1602, il breve trattato De Bibliothecis Syntagma, dove precorre la più scientifica precettistica di Gabriel Naudè e Claudius Clement [26] delineando per sommi capi l'ideale decoro che doveva accompagnare lo spazio della biblioteca. Al capitolo X il filosofo scrive: «Sed vel praecipuus ornatus, et imitandus, meo iudicio, nondum hodie imitatus, sunt Imagines sive et Statuae doctorum, quas una cum libris disponebant». [27] È il medesimo concetto scolpito, con altre parole, sulla lapide del Palazzo Imperiale di Campetto, a dimostrazione di come Gio. Vincenzo, ma anche molti altri letterati genovesi di quell'epoca, [28] guardassero a modelli internazionali non solo come riferimenti lontani o di suggestione parziale, ma come vere e proprie guide nella propria azione culturale. L'unitarietà delle arti diveniva pertanto ricerca quotidiana nella relazione instaurata con coerenza e attenzione tra le Imagines e le Statuae da disporre una cum libris nella propria dimora, all'interno della biblioteca. L'unitarietà di queste percezioni compare anche nel dipinto del Rubens, dove le raffigurazioni dei due filosofi accompagnano il planisfero, vera e propria onnipresente entità sotto forma di atlante o di globo tridimensionale all'interno dello spazio della libreria. Anversa poi, e le Fiandre in generale, furono patria dei più straordinari cartografi del tempo, a partire da Abramo Ortelio autore del Theatrum Orbis Terrarum [fig. 11 e 12], [29] per arrivare a Joan Blaeu e agli eccezionali volumi illustrati dell'Atlas Maior o Atlas Novus [fig. 13], volumi che si ritrovano in quasi tutti i documenti riferibili alle biblioteche genovesi del XVII secolo e che rappresentavano un ideale punto di contatto tra il volume e la quadreria, tra lo scaffale e la parete. L'interesse tributato alla cartografia e l'importanza che libri come gli Atlanti assumevano all'interno del panorama culturale genovese [30] sono ampiamente dimostrati dall'interessante caso che riguarda la committenza dei Sauli nelle Fiandre: mentre da un lato Francesco Maria Sauli tratta con il pittore Rembrandt van Rijn per far realizzare alcuni modelli di un dipinto che avrebbe dovuto adornare la Basilica di Carignano, dall'altro Bendinelli IV, suo cugino, commissiona «I due corpi dell'Atlas in 22 libri», [31] ponendo di fatto sul medesimo piano il valore di un'opera artistica e di una libraria. La data della commissione è poi suggestiva poiché avviene esattamente nell'anno successivo alla pubblicazione ad Amsterdam dello straordinario Atlas Maior di Joan Blaeu, [32] una delle opere più ricche e preziose a livello cartografico e iconografico fino ad allora mai prodotte. La ricercatezza delle incisioni, la precisione geografica delle mappe e il rigore scientifico che non soffocava però una certa vena di curiositas ancora altamente percepibile nelle illustrazioni e in determinate scelte operate per i corredi allegati all'Atlante [fig. 14], fecero di questa opera in molti volumi un best seller ricercatissimo da tutti i nobili d'Europa, che probabilmente ne apprezzarono più la curatissima grafica che l'importanza come testimonianza dello studio della geografia e della precisa rappresentazione del globo. Anche nel caso dell'importante inventario di Gio. Batta Raggi, proprietario di una collezione di dipinti dalle dimensioni e dalla qualità straordinarie, [33] vengono citati, tra gli altri oggetti che adornavano la casa dell'aristocratico genovese, sotto la voce «Libri» «Alcuni libri d'historie £ - Due mappamondi con coperto di tela e piedi d'ebano £ - due detti piccoli £ - Alcuni Instrumenti da misurare e compassi in un scagnetto £ - Una bussola d'avorio £ - Theatrum mondi Fois Bleù [34] et Civitatis Belgiarum tomi 5 £ - Una libraria di noce in tre scanzie et un buffetto £ 50», [35] emblematici testimoni di come lo spazio di biblioteca fosse fortemente qualificato dalla presenza di rappresentazioni geografiche su carta o per il tramite di oggetti ricercati come gli strumenti matematici e i globi terrestri e celesti.
Un rapporto estremamente stretto tra una biblioteca fortemente connotata dalla presenza di testi scientifici, la presenza di strumenti matematici e di calcolo e una serie di dipinti è verificabile nel caso di Gerolamo Balbi, aristocratico versato nel commercio e in rapporti profondi di scambi con le Fiandre e con la città di Anversa in particolare, dove risiedette anche diversi anni. [36] Il documento che descrive la consistenza della biblioteca del Balbi è legato ad un inventario redatto o fatto redigere da Bartolomeo, suo figlio, nel 1649, [37] allo scopo di proteggere i beni paterni da eventuali sequestri da parte della Repubblica in risposta al tradimento commesso dal fratello di Gerolamo, Paolo. [38] L'ipotesi che possa essere stato proprio Bartolomeo a occuparsi della redazione dell'inventario è suffragata dalla nota posta in chiusura dell'inventario, che indica l'allegato con l'elenco dei testi presenti nella biblioteca: «1649 à 17 di settembre / Inventario de' beni del quondam Magnifico Gerolamo Balbi fatto dal Magnifico Bartolomeo suo figlio. […] / Una libraria con diversi libri contenuti nell'indice, che si presenta, alcuni dei quali si son smarriti, e fra essi ve ne sono molti spettanti, e proprij di me Bartolomeo Balbi quali a suo tempo si chiarirà». [39] La completezza delle informazioni fornite riguardo a ciascun volume e la correttezza delle stesse permette di fatto di identificare con relativa sicurezza molte delle edizioni che dovevano trovarsi sugli scaffali e nelle scansie di Gerolamo, in quel palazzo oggi al civico 1 di Via Balbi [fig. 16], dove 'dimorerà', un secolo più tardi, anche la grande biblioteca di Giacomo Filippo Durazzo. [40] Accanto a titolo e autore, riportati in maniera quasi sempre accurata e corretta, si trovano infatti le dimensioni del volume, il numero di tomi che compone l'opera, la lingua in cui è redatta e il luogo di edizione, denotando una notevole consapevolezza e formazione biblioteconomica del redattore, caratteristiche che potrebbero corrispondere ad un personaggio come Bartolomeo che senza dubbio tra quei volumi era cresciuto e che molto doveva averli amati, vista la passione che il padre aveva tributato alla costituzione della biblioteca stessa. [41] È quella passione, durata una vita trascorsa a cavallo tra Genova e Anversa, che ha guidato Gerolamo e suo nipote Gio. Agostino nella formazione di quella che si presenta come una delle più complesse e affascinanti raccolte di libri del primo Seicento genovese. Ricchissima di testi scientifici - principalmente legati alle tecniche di realizzazione di orologi e alla misurazione del tempo - , [42] naturalistici - grande e variegata è difatti la presenza dei tomi dell'Aldrovandi - ; [43] e di navigazione, [44] la biblioteca del Balbi presenta tutte le caratteristiche di quella che si potrebbe definire, azzardando una definizione, una vera e propria 'collezione' di libri, ovvero una raccolta che rispecchi non solo interessi e passioni, ma che miri ad accumulare tutto il sapere legato a determinati campi di indagine allo scopo di possederne la totalità. Questa volontà latente nella composizione di questo ingente patrimonio librario, è di per sé evidente nell'accuratezza dell'inventario - per quanto redatto non dal proprietario stesso, ma dal figlio - che nonostante vada a inserirsi nella medesima categoria documentaria che comprende gli elenchi dei libri appartenuti, per esempio, a Giulio Pallavicino e Gio. Vincenzo Imperiale, risulta invece strumento idoneo ad una indagine più accurata e scrupolosa di quelle che dovevano essere le edizioni contenute all'interno della collezione di Gerolamo. Per il Balbi possiamo parlare dunque, pur mantenendo una certa cautela, di un principio in nuce di 'collezione libraria', comprendente sicuramente il più completo e tecnico patrimonio librario riguardo le esplorazioni geografiche e la navigazione, che presenta un numero e una varietà di volumi differenti e specialistici ben maggiore delle occorrenze constatate nelle librerie coeve. [45] I testi in possesso del Balbi sono estremamente significativi e legati ad un utilizzo dello spazio della biblioteca come luogo di interazione tra la rappresentazione pittorico-cartografica, gli strumenti e gli oggetti tecnici e la vera e propria cultura libraria. Si riscontrano infatti «Arte del navigare, del Medina tomo 1 in 4, V. Venetiae», «Dichiarazione del sole e della sfera et altre cose appartenenti alla navigazione di Manuel Calandrier», « Navigationi della Turchia del Nicolai, tomi 1, in 4°, Anversa[…]Navigationi et viaggi nella Turchia di Nicolò Nicolai, tomi 1, in 4°, volgare, Anversa» e «Petri Nonji, De arte navigandi, tomi 1, in folio, latinum, Conimbricae», [46] mentre per quanto riguarda gli strumenti matematici, la descrizione si fa in questo documento molto precisa e minuziosa: «Inventario de instrumenti di mathematica spettanti all'heredità del quondam Gerolamo Balbi, che sono appresso a Bartolomeo quale li ha prestati al Signor Francesco Rovagli fuori che lo stuchio picolo, che lo ha prestato al Signor Gio. Batta Balbi. / Una sfera picola. / Un anello astronomico. / Una bussola navigatoria. / Una busola da prender piante. / Tre quadranti con suoi horologgi. / Livello per l'artigliaria. / Una bussoletta da navigare con horologgio, polare, lunare. / Un altro horologgio, polare, et altro medesmo, et uno universale da sole. / Un altro anello astronomico. / Un instrumento da pigliar piante con un sicindro. / Due verghe da prender piante. / Una bussola da prender piante. / Un'altra busola da prender piante grande. / Un compasso da 6 ponte. / Tre verghe con suoi semicircolo. / Un stuchio più picolo ed suoi instrumenti e compassi. / Un altro stuchio più grande con suoi instrumenti». [47]
L'ambiente della biblioteca si connota quindi, nel caso di Gerolamo Balbi, di una notevole dimensione scientifica e di conseguenza pare adeguarsi l'apparato decorativo e iconografico scelto dal proprietario per lo spazio dove i libri dovevano prendere posto. Una stringente relazione si può infatti riscontrare tra i volumi in possesso di Gerolamo e un particolare dipinto della sua collezione che i recenti studi hanno contribuito ad identificare. Se da un lato infatti la libreria comprende testi come, ad esempio, il Compendium brevissimum describendorum horologiorum horizontalium ac declinantium [48] e il Fabrica et usus instrumenti ad horologiorum descriptionem per opportuni [49] di Cristoforo Clavio [50], il De horologiis sciotericis, quotquot in aliquo plano aut aedificiorum aut truncorum describi commode possunt del tedesco Johannes Konrad Ulmer [51], il Praticque des triangles sphériques, des distances sur le Globe, des horologes, umbres et autres ingénieuses et nouvelles questions mathématiques di Valentin Mennher [52], e l'Opus de compositione et usu multiformium horologiorum solarium pro diuersis mundi regionibus: idq[ue] ubique locorum tam in superficie plana horizontali, quam murali quorsumcum[ue] exposita sit, pertractans: nuper breaissimis ac facillimis doctrinis ab eo excogitatis luculenter traditum di Giovanni Padovano [53], testi specialistici che riguardano esplicitamente le tecniche di misurazione del tempo tramite l'uso dell'astro diurno, dall'altro all'interno della collezione di dipinti riportata nell'inventario coevo si può riscontrare la presenza di alcune opere che traducono in maniera inequivocabile in immagini questo concetto. È il caso dell'Astrologia (Astronomia) di Frans Floris [fig. 17], identificata da Boccardo come parte del ciclo delle Arti liberali commissionato per la sua dimora dall'anversano Nicolaas Jonghelinck e poi vendute al momento della sua morte per estinguerne i debiti: [54] in primo piano, ai piedi dei personaggi, sono disposti in bella vista ben sei differenti tipologie di orologi solari, che sembrano del tutto vicine a quelle illustrate dal Clavio in almeno uno dei suoi trattati. [55] Le opere non furono commissionate dai Balbi, ma probabilmente acquistate e scelte proprio per dare seguito agli interessi che già Gerolamo e Gio Agostino praticavano con passione. Inoltre l'opera doveva essere posizionata, insieme alle altre sei Arti Liberali acquistate in Fiandra, nel «salotto della terassa» [56] del palazzo di Via Balbi appartenente a Gio Agostino (oggi via Balbi 1), notazione particolare che potrebbe far pensare ad un ambiente particolarmente luminoso ed ideale per la lettura, forse proprio quello spazio adibito a libreria e alla conservazione e consultazione dei libri. È quindi ipotizzabile, ma solo in via del tutto ipotetica, che i dipinti fossero in qualche modo stati scelti per essere un 'ciclo' di esplicitazione visiva, fisica, di quello spazio culturale 'mentale' che i libri avevano saputo creare nell'immaginario dei loro possessori. Vale il medesimo ragionamento per gli altri dipinti della serie delle Arti dipinta dal Floris: la Geometria [fig. 19] significativamente pone in primo piano una teoria di strumenti di misurazione decisamente prossimi a quelli in possesso del Balbi stesso e riportati nell'inventario sopracitato; mentre la Dialettica (di cui ad oggi sopravvive solo una incisione) riporta gran parte dei testi sull'argomento che Gerolamo possedeva nella sua raccolta libraria. Di certo quindi questi dipinti avevano una funzione di raddoppiare in un certo qual modo la testimonianza culturale dei volumi della libreria in un'amplificazione dei concetti fatta per immagini. Rimane da notare la distanza delle scelte collezionistiche operate da Gio. Vincenzo Imperiale e Gerolamo Balbi: sebbene il Balbi muoia effettivamente nel 1627 (21 anni prima del suo illustre concittadino), nel momento in cui Gio. Vincenzo commissionava al Rubens i due dipinti per il palazzo di Campetto molto probabilmente Gerolamo appendeva nella sua biblioteca le tavole del Floris, denotando quindi definitivamente come l'aggiornamento culturale e scientifico della sua biblioteca non fosse necessariamente legato ad un parallelo percorso di mecenatismo e committenza artistica. È anche probabile che il lungo soggiorno ad Anversa (e l'occasione dell'asta dei beni di Jonghelinck) abbia formato in maniera del tutto differente il gusto di Gerolamo Balbi rispetto a quello, molto più eclettico e incline al nuovo, del giovane Gio. Vincenzo. Tuttavia in entrambi i casi ci si trova di fronte a personalità di elevatissimo spessore culturale, dedita alla raccolta consapevole e quasi collezionistica - specialmente per quanto riguarda il Balbi - di importanti testi scientifici, filosofici e letterari perfettamente in linea con un canone di aggiornamento europeo, che mette in luce quanto il pregiudizio sin troppo abusato del Genuensis ergo mercator abbia procurato una idea del tutto sbagliata dell'aristocrazia genovese. Le biblioteche inoltre si dimostrano una volta di più tasselli indispensabili per la conoscenza e la comprensione di un quadro culturale che condiziona lo svolgersi dei fenomeni artistici sia sotto il profilo della produzione che sotto quello del collezionismo, offrendo la possibilità di guardare a essi da un punto di vista interno alle dinamiche culturali coeve e quindi estremamente privilegiato. Essere capaci di immergersi nel contesto culturale dei protagonisti di un secolo di profondo rinnovamento sotto ogni punto di vista come fu il Seicento, appare la chiave di lettura più sicura e meno arbitraria a disposizione dello studioso per comprendere a fondo l'evolversi delle più diverse dinamiche che coinvolsero, condizionarono e suggestionarono aristocratici, committenti, artisti e collezionisti.
Immagini
1. Antoon Van Dyck, Gio. Vincenzo Imperiale in veste di senatore, circa 1626. Bruxelles, Museées Royaux des Beaux-Arts
2. Domenico Fiasella, Gio. Vincenzo Imperiale all'età di sessantaquattro anni. Frontespizio di Iohannis Morandi, Cursus Philosophicus in tres annos distributus, in Venetiis apud Guerilios, 1647
3. G.B. Castello il Bergamasco e A. Ansaldo (facciata), Palazzo Imperiale di Campetto, circa 1560. Genova, Piazza Campetto
4. Lapide dedicatoria di Gio. Vincenzo Imperiale, 1629. Genova, Palazzo Imperiale di Campetto, primo piano
5. Peter Paul Rubens, Circoncisione, 1605. Genova, Chiesa dei SS. Ambrogio e Andrea (il Gesù), altare maggiore
6. Peter Paul Rubens, Giulio Pallavicino, circa 1606. Ubicazione ignota
7. Peter Paul Rubens, Lezione del filosofo Giusto Lipsio in Anversa, circa 1611. Firenze, Galleria di Palazzo Pitti
8. Peter Paul Rubens, Morte di Adone, c. 1603. Collezione privata
9. Peter Paul Rubens, Ercole e Onfale, c. 1603. Parigi, Musée du Louvre
10. Peter Paul Rubens, Democrito ed Eraclito, 1603. Princeton, Collezione Mrs. Barbara Piasecka Johnson
11. Abramo Ortelio, Theatrum Orbis Terrarum, Antverpiae 1570, Frontespizio. Biblioteca Universitaria di Genova
12. Abramo Ortelio, Theatrum Orbis Terrarum, Antverpiae 1570. Biblioteca Universitaria di Genova
13. Joan Blaeu, Theatrum Orbis Terrarum, sive Atlas Novus in quo Tabulae et Descriptiones Omnium Regionum, Amstelodami 1665
14. Joan Blaeu, Civitatum et admirandorum Italiae, pars altera in qua Urbis Romae admiranda, Amstelodami 1663. Biblioteca Universitaria di Genova
15. Joan Bleau, Novum ac Magnum Theatrum Urbium Belgicae Liberae ac Foederatae, Amstelodami 1649. Biblioteca Universitaria di Genova
16. Facciata del Palazzo del Signor Gio. Agostino Balbi, in Palazzi moderni di Genova raccolti e disegnati da Pietro Paolo Rubens, in Anversa presso Giacomo Meursio, 1663 (prima ed. 1622). Biblioteca Universitaria di Genova
17. Frans Floris, Astrologia (Astronomia), 1557. Collezione privata
18. Christoph Clavius, Fabrica et usus instrumenti ad horologiorum descriptionem per opportuni…, Rome, Bartholomaeus Grassius, 1586, figura n° 8
19. Frans Floris, Geometria, 1557. Collezione privata
Note
1. Per una esaustiva trattazione a riguardo della committenza artistica di Gio. Vincenzo Imperiale, cfr. R. Martinoni, Gio. Vincenzo Imperiale. Politico, letterato e collezionista genovese del Seicento, Padova 1983.
2. L'esistenza della biblioteca dell'Imperiale è segnalata in precedenza in Martinoni, Gio. Vincenzo Imperiale cit., pp. 16-17; E. Grendi, I Balbi. Una famiglia genovese fra Spagna e Impero, Torino, 1997, pp. 97-101; P. Boccardo, Gio. Vincenzo Imperiale, in L'Età di Rubens, Catalogo della mostra, Genova. Milano 2004, pp. 281-282. Il documento è trascritto per intero in G. Montanari, Le parole e le immagini. Documenti, spazi e tematiche delle raccolte librarie di privati in rapporto alle collezioni e alla produzione artistica a Genova tra il XVI e il XVII secolo, Tesi di Dottorato, Genova 2012-2013, pp. 77-95.
3. Per un maggiore approfondimento riguardo le vicende costruttive e decorative del Palazzo Imperiale di Campetto cfr. E. Poleggi, Una reggia repubblicana: atlante dei Palazzi di Genova, Torino 1998; Luciana Müller Profumo, Le pietre parlanti. L'ornamento nell'architettura genovese 1450-1600, Genova 1992, pp. 353-367; E. Parma Armani, La pittura in Liguria. Il Cinquecento, Genova 1999, pp. 211-214; L. Magnani, Luca Cambiaso: da Genova all'Escorial, Genova 1995, pp. 96-99, P. Boccardo, Scultura antica e "moderna" e collezionismo fra XVI e XVII secolo, in Storia della scultura in Liguria. Dal Seicento al primo Novecento, vol. II, Genova 1988, pp. 96-99; L. Quartino, Collezionare antiche statue: i documenti genovesi del XVI e XVII secolo, in L'Età di Rubens. Dimore, committenti e collezionisti genovesi, Catalogo della mostra a cura di P. Boccardo, C. Di Fabio, Genova. Milano 2004, pp. 133-143; R. Santamaria, I marmi e i bronzi dei Duchi di San Pietro, in Palazzo Doria Spinola. Architettura e arredi di una dimora aristocratica genovese. Da un inventario del 1727, Genova 2011, pp. 310-313; Montanari, Le parole e le immagini cit., pp. 77-95.
4. «Gio. Vincenzo Imperiale, in questa casa dall'Avo suo eretta, accresciuta dal Padre e da lui stesso ampliata, portata a compimento all'esterno come all'interno, le stanze votate all'ozio industrioso di pitture, statue e libri decorate, a pro di chi vorranno Dio e il Tempo, volle munire. Nell'anno di Salvezza 1629»; cfr. anche Martinoni, Gio. Vincenzo Imperiale cit., p. 199.
5. Significativa anche la menzione fatta da Alizeri che riporta come «a que' tempi avean fama gl'Imperiali d'uomini coltissimi», F. Alizeri, Guida artistica per la Città di Genova, II voll., Genova 1846-1847, vol. II, p. 547. Per un più diffuso resoconto riguardo la possibile ricostruzione della formazione culturale della famiglia Imperiale di Campetto, cfr. Martinoni, Gio. Vincenzo Imperiale cit., pp. 12-14 e p. 199.
6. La data di questo soggiorno è purtroppo incerta, ma dovrebbe collocarsi antro il 1603, durante il viaggio che portò il Rubens alla corte spagnola al seguito del Duca di Mantova (Cfr. G. Doria, Un pittore fiammingo nel secolo dei genovesi, in Rubens e Genova, Catalogo della mostra (Genova, 18 dicembre 1977. 12 febbraio 1978), Genova 1977, pp. 20-21. Certo è invece il soggiorno del pittore fiammingo, sempre al seguito del Duca, presso la famiglia Grimaldi nella villa di Sampierdarena nel 1607, a pochi metri dalla villa di proprietà di Gian Giacomo Imperiale, padre di Gio. Vincenzo. In questa occasione i due potrebbero essere senz'altro venuti a contatto, se dovessero sembrare troppo poco fondate le ipotesi di un incontro precedente. Cfr. Boccardo, Gio. Vincenzo Imperiale, pp. 279-280.
7. Sotto il profilo della rivoluzione artistica e dell'aggiornamento del collezionismo genovese il punto è stato infatti chiarito e sviscerato in molte occasioni, non da ultima la grande mostra che ebbe come titolo proprio l'Età di Rubens, allestita nel capoluogo ligure nel 2004. Cfr. P. Boccardo, C. Di Fabio (a cura di), L'Età di Rubens. Dimore, committenti e collezionisti genovesi, Catalogo della mostra, Genova. Milano 2004.
8. La consistenza della raccolta libraria del Pallavicino è testimoniata in tre documenti: il catalogo manoscritto del proprietario (Archivio Storico del Comune di Genova, d'ora in poi ASCG, ms. 291, Inventario dei Libri di Giulio Pallavicino rifatto nuovamente da lui medesimo, di 24 gennaio 1584), l'estimo realizzato in funzione della vendita della biblioteca ad Agostino Franzone di Tommaso nel 1635 (Archivio di Stato di Genova, d'ora in poi ASGe, Notai Antichi, Notaio Gio. Tomaso Poggi, f. 6539, anno 1635, Estimo dei Libri di Giulio Pallavicino. Il documento era stato trascritto in minima parte da Grendi (Grendi, I Balbi cit., p.100), ma ne veniva riportata in maniera erronea la collocazione archivistica, che qui si corregge. Il documento è trascritto integralmente in Montanari, Le parole e le immagini cit., Appendice documentaria) e l'inventario redatto al momento della morte del Pallavicino nel medesimo anno (ASGe, Notai Giudiziari, Notaio Gio Tomaso Poggi, f. 1849, anno1635, inventario).
9. «Busti di marmo bianco n° 11 £ 22 / Statue di bronzo grandi e piccole n° 18 £ 200», ASGe, Notai antichi, Notaio Filippo Camere, f. 5791, Estimum pro Magnifica Camilla Pallavicini, c. 6 r. Il documento è citato per la prima volta e trascritto integralmente in Montanari, Le parole e le immagini cit., Appendice documentaria. Per una completa ed esaustiva analisi delle collezioni scultoree genovesi conosciute, si veda Quartino, Collezionare antiche statue cit., pp. 133-143 e Santamaria, I marmi e i bronzi cit., pp. 309-321. Una ricognizione innovativa sull'aspetto espositivo delle sculture, anche se soprattutto legato all'ambiente di villa, è presentato in V. Fiore, Lo spazio dell'antico nelle dimore genovesi tra XV e XVIII secolo: la diffusione e l'evoluzione della 'Galaria sive loggia', in Collezionismo e spazi del collezionismo. Temi e sperimentazioni, a cura di L. Magnani, Genova 2013, pp. 75-88.
10. Giusto Lipsio (1547-1606) fu uno dei filosofi più importanti del suo tempo e il principale teorizzatore del Neostoicismo. Nel suo sistema di pensiero ebbe principale rilievo la filosofia di Seneca, in particolare sotto il profilo della ricerca del giusto mezzo e del rifiuto degli eccessi. Philippe Rubens, fratello del pittore, fu allievo del Lipsio e ricoprì a lungo l'incarico di suo segretario particolare. Attraverso la sua mediazione, Rubens entrò in uno stretto contatto con il metodo intellettuale di Giusto Lipsio, il quale ebbe sull'artista una considerevole influenza. Rubens tra l'altro, oltre ad effigiare il filosofo in compagnia del fratello e di lui stesso nella tavola oggi a palazzo Pitti [fig. 7], realizzò il disegno per l'incisione raffigurante il Lipsio che doveva comparire sul frontespizio dell'Opera Omnia dei testi di Seneca, pubblicata ad Anversa da Moretus nel 1615. Il disegno venne poi inciso da Cornelis Galle e reca, riportate sul cartiglio che avvolge la corona di lauro in cui è inscritto il ritratto, i titoli di tutte le opere lipsiane, quasi ad indicare la diretta filiazione del pensiero avvenuta tra Seneca e il filosofo fiammingo. Cfr. anche H. Devisscher, Portrait de Justus Lipsius, in Rubens, Catalogo della Mostra (Lille 6 marzo-14 giugno 2004), Paris 2004, scheda n. 39, p. 84.
11. «Iusti Lypsii aepistolae selectae, in mezzo […] ;Iusti Lypsii aepistolae selectae, in mezzo; Iusti Lypsii panegiricum, in mezzo; Iustus Lypsius, De militia romana, in mezzo; […] Iusti Lypsii, Aepistolae, in mezzo; […] Iustus Lypsius, De magnitudine romana, in mezzo; Iusti Lypsii electorum, in mezzo; Iustus Lypsius, De constantia, in mezzo; Iusti Lypsii, Velleius, in mezzo; Iusti Lypsii, Poliorcetica, in mezzo; Iusti Lypsii, Critica, in mezzo; […] Iustii Lypsii Vestalibus, in mezzo; […] Iustus Lypsius in Cornelium Tacitum, in 8°; Iusti Lypsii, Aepistolae, in 8°; […]Giusto Liscio, Costantia, in mezzo; […] Iustus Lypsius, epistolae, in 8°; […] Iustus Lypsius, De Bibliotecis, in mezzo; […] Iustus Lipsius in pagina», ASGe, Notai Antichi, Notaio Lanata, f. 6354, 7 dicembre 1647, c. 19 v. e c. 20 r.
12. Cfr. anche Martinoni, Gio. Vincenzo Imperiale cit., pp. 21-23.
13. Si tratta di «Iustus Lypsius in Cornelium Tacitum, in 8°», «Iusti Lypsii, Aepistolae, in 8°» e « Iusti Lypsii, Aepistolae, in 8°», ASGe, Notai Antichi, Notaio Lanata, f. 6354, 7 dicembre 1647, c. 19 v.
14. ASGe, Notai Antichi, Notaio Lanata, f. 6354, 7 dicembre 1647, c. 12 v.
15. Il testo citato potrebbe corrispondere a Iusti Lipsi Opera Omnia…, postremum ab ipso aucta et recensita: nunc primum copioso indice illustrata, Antverpiae, ex Officina Platiniana Balthasaris Moreti, M.DC.XXXVII. La prima edizione dell'Opera omnia del Lipsio venne edita in Anversa nel 1637. È dunque possibile ipotizzarne il possesso da parte dell'Imperiale che fece redigere il catalogo della biblioteca circa dieci anni più tardi.
16. «Ercole chi fila di Pietro Paolo Rubens [palmi] 11 ½ [e] 8 ½ [scudi] 250 / Adone morte [così nel testo] con Venere e le Gratie di Rubens [palmi] 11 ½ [e] 8 ½ [scudi] 250», ASGe, Notai Antichi, Notaio Lanata, f. 6354, Inventario de' quadri della casa de Genova stimati in scuti d'argento, ante 1648. L'inventario dei dipinti è pubblicato in Martinoni, Gio. Vincenzo Imperiale cit., pp. 231-241 e in Boccardo, Gio. Vincenzo Imperiale cit., pp. 283-285. La tela con la morte di Adone si trova oggi in collezione privata (Boccardo, Gio. Vincenzo Imperiale cit., pp. 302-305), mentre il dipinto raffigurante Ercole e Onfale è conservato al Musée du Louvre. Cfr. anche G. Biavati, Il recupero conoscitivo dei Rubens genovesi, in Rubens e Genova, Catalogo della mostra (Genova, 18 dicembre 1977. 12 febbraio 1978), Genova 1977, pp. 149-202, in particolare le pp. 159-161 (con bibliografia precedente).
17. A. Blunt, Nicolas Poussin, vol. I (Text), London-New York 1958, p. 177; P. Santucci, Poussin. Tradizione ermetica e classicismo gesuita, Salerno1985, pp. 10-15.
18. G.P. Bellori, Le vite de' pittori, scultori e architetti moderni, a cura di E. Borea, Torino 1976 (Roma, 1672), p. 273.
19. F. Baudouin, Peter Paul Rubens, New York 1977, pp. 53-57.
20. Di questo avviso è anche Bodart (D. Bodart, Rubens, Milano 1985, p. 17), che però sostiene che «Adone e Onfale furono quindi probabilmente dipinti a Roma, forse per lo stesso Imperiale»
21. Boccardo, Gio. Vincenzo Imperiale cit., p. 302.
22. F. Vazzoler, Letteratura e ideologia aristocratica a Genova nel primo Seicento, in La Letteratura ligure. La Repubblica aristocratica (1528-1797). Genova 1992, vol. I, pp. 217-316.
23. Martinoni, Gio. Vincenzo Imperiale cit., pp. 18-23; Vazzoler, Letteratura e ideologia cit., pp. 300-301.
24. Si pensi soltanto alla realizzazione del grande ciclo di arazzi rappresentanti le Storie di Decio Mure (1615-1617) su commissione genovese (i cui bozzetti si trovano a Vaduz nella Galleria dei Principi di Liecthestein), che rappresenta una sorta di apologia e glorificazione dello stoicismo romano. Cfr. G. Mulazzani, Rubens e Genova, in Pittura fiamminga in Liguria. Secoli XIV-XVII, Genova 1997, pp. 197-201.
25. D. Bodart, Democrito e Eraclito (scheda), in Pietro Paolo Rubens, Catalogo della mostra (Padova-Roma-Milano 1990), Roma 1990, p. 56 (con bibliografia precedente).
26. G. Naudè, Advis pur dresser une Bibliothéque, Parigi, 1627; C. Clement, Musei sive bibliothecae tam privatae quam publicae Extructio, Instructio, Cura, Usus. Libri IV, sumptibus Jacobi Pros, Lugduni 1635.
27. J. Lipsius, De Bibliothecis Syntagma, Antverpiae ex Officina Plantiniana, apud Giovanni Moreto, 1602, capitolo X.
28. Ritrovo significativamente il De Bibliothecis Syntagma in altri inventari di raccolte librarie coevi, tra cui ad esempio quella di fondamentale importanza del letterato Giulio Pallavicino: «Justi Lipsij de bibliothecis», ASGe, Notai Antichi, Notaio Gio. Tomaso Poggi, f. 6539, anno 1635, c. 11 r.
29. Per l'importanza e l'aggiornamento della rappresentazione geografica in Ortelio rispetto alla tradizione tolemaica vigente sino a quel momento, si veda Quaini, Il mito di Atlante. Storia della cartografia occidentale in età Moderna, Genova 2006, pp. 61-69.
30. Quaini, Il mito di Atlante cit., pp. 55-62.
31. L. Magnani, 1666 : un'inedita committenza genovese per Rembrandt, in «Annali di critica d'arte», n.2, Poggio a Caiano (PO) 2006, p. 573. La citazione archivistica è riscontrabile in Archivio Durazzo Giustiniani di Genova, Archivio Sauli, 1465, Archivio della Famiglia, Corrispondenza, Lettere Ricevute, Gio Lorenzo Viviano a Francesco Maria Sauli, 30 ottobre 1666.
32. L'Atlas Maior o Theatrum Orbis Terrarum, sive Atlas Novus in quo Tabulae et Descriptiones Omnium Regionum, venne pubblicato in undici volumi nel 1665 ad Amsterdam per opera del cartografo Joan Blaeu. L'opera ebbe una gestazione molto lunga, tanto che era nei progetti editoriali già del padre di Joan, Willem Blaeu, anch'egli cartografo e autore di alcune precedenti edizioni come quella data alle stampe sempre ad Amsterdam nel 1635. Significativo riscontrare come la commissione del Sauli sia per un «Atlas in 22 volumi», fatto che denota una probabile ulteriore divisione degli originali 11, forse per facilitarne il trasporto o la consultazione.
33. Una prima parziale trascrizione del documento è stata fornita dal Belloni (Belloni, Scritti e cose d'arte genovese, Genova 1988, pp. 149-152), ripreso poi da Lamera a riguardo dello studio dei numerosi dipinti del Grechetto presenti (Lamera, Opere di Gio. Benedetto Castiglione nelle collezioni genovesi del XVII e XVIII secolo, in Il Genio di G.B. Castiglione il Grechetto, Genova 1990, pp. 29-34). Per un più puntuale studio della collezione Raggi si veda anche Boccardo, Tomaso e Gio. Batta Raggi, in L'Età di Rubens, Catalogo della mostra, Genova. Milano 2004, pp. 321-329.
34. Quaini, Il mito di Atlante cit., pp. 63-64. Si tratta del Theatrum Orbis Terrarum, pubblicato da Willem Blaeu ad Amsterdam nel 1635. Il lavoro, straordinario dal punto di vista grafico e illustrativo, era un aggiornamento del Theatro del Mondo di Abramo Ortelio, che aveva sino ad allora assolto alla funzione di più aggiornato atlante sul mercato. Ad opera del figlio di Willem, Joan Blaeu, venne stampato anche l'Atlas Maior, ma essendo stato completato nel 1665 non si può trattare del medesimo testo, nonostante l'approssimazione del titolo riportato nel documento inventariale. Anche il Novum ac Magnum Theatrum Urbium Belgicae liberae ac foederatae è opera del Blaeu, datata 1649 nella sua prima edizione e pertanto potrebbe essere l'opera che viene indicata in inventario sotto il nome di «Civitatis Belgiarum». [fig. 15]
35. ASGe, Notai Antichi, Notaio Giuseppe Celesia, f. 8333, Inventario delle robbe e mobili dell'eccellentissimo Gio. Battista Raggi esistenti in casa, 4 novembre 1658, c. 13 r.
36. P. Boccardo, L. Magnani, La Committenza, in Il Palazzo dell'Università di Genova. Il Collegio dei Gesuiti nella strada dei Balbi, Genova 1987, pp. 47-88; Grendi, I Balbi cit., pp. 101.106; Boccardo, Ritratti di collezionisti e committenti, in Van Dyck. Grande pittura e collezionismo a Genova, catalogo della mostra, a cura di P. Boccardo e C. di Fabio, Milano 1997, pp. 29-58; Boccardo, Dipinti fiamminghi del secondo Cinquecento a Genova. Il ruolo di una collezione Balbi, in Pittura fiamminga in Liguria. Secoli XIV-XVII, Genova, 1997, pp. 161-169; Boccardo, Gerolamo e Gio. Agostino Balbi, in L'Età di Rubens, Catalogo della mostra, Genova. Milano, 2004, p. 164.
37. ASGe, Notai Antichi, Notaio G.L. Rossi, f. 7691 (anno 1649). La libreria è citata in Belloni, Via Balbi: un salotto di famiglia o trecento metri di magnifico Seicento, , in La Storia dei genovesi. Atti del Convegno di studi sui ceti dirigenti delle istituzioni della Repubblica di Genova. Genova, 12-13-14 aprile 1984, Genova 1984, vol V, pp. 221-224; Magnani-Boccardo, La Committenza cit. 1987, pp. 47-88; Grendi, I Balbi cit., pp. 101-106; Boccardo, Gerolamo e Gio. Agostino cit., p. 164. La trascrizione integrale del documento è proposta in Montanari, Le parole e le immagini cit., Appendice documentaria.
38. Grendi, I Balbi cit., p. 50.
39. ASGe, Notai Antichi, Notaio G.L. Rossi, f. 7691.
40. Cfr. A. Petrucciani, Le stanze del Conte, per la biblioteca di Giacomo Durazzo, in Giacomo Durazzo, teatro musicale e collezionismo tra Genova, Parigi, Vienna e Venezia, Saggi e Catalogo della mostra, a cura di Luca Leoncini, Genova 2012, p. 90.
41. Boccardo, Magnani, La Committenza cit., pp. 47-88; Grendi, I Balbi cit., pp. 101.106; Boccardo, Dipinti fiamminghi cit., pp. 161-169; Boccardo, Gerolamo e Gio. Agostino cit., p. 164.
42. Christophori Clavii, Compendium brevissimum describendorum horologiorum horizontalium ac declinantium. Romae, ex typographia Aloysij Zannetti, 1605; Christophori Clavii, Fabrica et usus instrumenti ad horologiorum descriptionem per opportuni…, Romae, Bartholomaeus Grassius, 1586; Christopori Clavii, De horologiis sciotericis, quotquot in aliquo plano aut aedificiorum aut truncorum describi commode possunt. Impressa Noribergæ, in officina Ioannis Montani, & Vlrici Neuberi, 1556; Valentin Mennher, Praticque des triangles sphériques, des distances sur le Globe, des horologes, umbres et autres ingénieuses et nouvelles questions mathématiques. A Anvers, avec Privilege du Roy, 1563 (Coppens) ; Ioannis Paduanii, Opus de compositione et usu multiformium horologiorum solarium pro diuersis mundi regionibus: idq[ue] ubique locorum tam in superficie plana horizontali, quam murali quorsumcum[ue] exposita sit, pertractans: nuper breaissimis ac facillimis doctrinis ab eo excogitatis luculenter traditum. In Venetiis, apud Franciscum Franciscium Senensem, 1570.
43. Ulisse Aldrovandi, De animalibus insectis libri septem, cum singulorum iconibus ad viuum expressis. Autore Vlysse Aldrouando in almo Gymnasio Bonon. […] Cum indice copiosissimo. Bononiae, apud Ioan. Bapt. Bellagambam, 1602; Ulisse Aldrovandi, Ornithologia, sive de avibus Historiae, libri XII cum figuris pictis,Ulysse Aldrovando, Bononiae per Baptista Bellagamba 1599-1603, Voll. 3, in folio; Ulisse Aldrovandi, De quadrupedibus digitatis viviparis libri tres et de quadrupedibus digitatis oviparis libri duo, Ulysse Adrovando per Jo. Baptistae Ferronii, sumptibus Marci Antonii Berniae, apud Nicolaum Thebaldinum, 1649-48.
44. ASGe, Notai Antichi, Notaio G.L. Rossi, f. 7691 (anno 1649): «Arte del navigare, del Medina tomo 1 in 4, V. Venetiae», c. 1 r.; « Dichiarazione del sole e della sfera et altre cose appartenenti alla navigazione di Manuel Calandrier», c. 4 v.; «Navigationi della Turchia del Nicolai, tomi 1, in 4°, Anversa[…] Navigationi et viaggi nella Turchia di Nicolò Nicolai, tomi 1, in 4°, volgare, Anversa» c. 7 v.; «Petri Nonji, De arte navigandi, tomi 1, in folio, latinum, Conimbricae» c. 8 v.
45. Boccardo, Magnani, La Committenza cit., pp. 47-88. La presenza di una discreta quantità di strumenti di misurazione e di osservazione celeste e terrestre all'interno dell'inventario del Balbi, stando anche agli espliciti interessi legati alla misurazione del tempo riscontrabili all'interno della sua biblioteca, ha portato per lungo tempo a supporre una eccezionale attenzione del proprietario nei confronti di tali esperienze scientifiche. In realtà la presenza di sestanti, astrolabi e globi terrestri e celesti era quanto meno usuale all'interno dello spazio adibito a studio o biblioteca, come si è ampiamente dimostrato.
46. ASGe, Notai Antichi, Notaio G.L. Rossi, f. 7691 (anno 1649). Si veda anche il capitolo I, paragrafo 1.3.
47. ASGe, Notai Antichi, Notaio G.L. Rossi, f. 7691 (anno 1649).
48. Christophori Clavii, Compendium brevissimum describendorum horologiorum horizontalium ac declinantium. Romae, ex typographia Aloysij Zannetti, 1605.
49. Christophori Clavii, Fabrica et usus instrumenti ad horologiorum descriptionem per opportuni…, Romae, Bartholomaeus Grassius, 1586.
50. Per un inquadramento della personalità di Christoph Clavius all'interno del pensiero scientifico e al dibattito culturale del suo tempo, anche in relazione con gli ambienti galileiani sopra citati, si veda Cristoph Clavius e l'attività scientifica…, 1995.
51. Christopori Clavii, De horologiis sciotericis, quotquot in aliquo plano aut aedificiorum aut truncorum describi commode possunt. Impressa Noribergæ, in officina Ioannis Montani, & Ulrici Neuberi, 1556
52. Valentin Mennher, Praticque des triangles sphériques, des distances sur le Globe, des horologes, umbres et autres ingénieuses et nouvelles questions mathématiques. A Anvers, avec Privilege du Roy, 1563 (Coppens).
53. Ioannis Paduanii, Opus de compositione et usu multiformium horologiorum solarium pro diuersis mundi regionibus: idq[ue] ubique locorum tam in superficie plana horizontali, quam murali quorsumcum[ue] exposita sit, pertractans: nuper breaissimis ac facillimis doctrinis ab eo excogitatis luculenter traditum. In Venetiis, apud Franciscum Franciscium Senensem, 1570.
54. Per le vicende del dipinto e della serie di cui faceva parte, Boccardo, Dipinti Fiamminghi cit., pp. 161-169.
55. In particolare, si veda l'immagine numero 8 dell'edizione romana del 1586 del Fabrica et usus instrumenti ad horologiorum descriptionem per opportuni…, Rome, Bartholomaeus Grassius, 1586 (fig. 18).
56. Boccardo, Dipinti Fiamminghi cit., p. 162. La scritta è riportata sul telaio del dipinto e di alcuni altri della medesima serie acquistati di concerto e corrisponde a una grafia assimilabile alla metà del XVII secolo.