Ludovico Settala: un intellettuale barocco fra scienza e arte

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Author: 
Laura Facchin
Università degli Studi dell’Insubria

Nel capitolo XXXI dell’edizione del 1840 de I Promessi Sposi, [1] così Manzoni tratteggiava la figura di Ludovico Settala, illustrata dalle vignette ideate e incise da Francesco Gonin: [2]

«Il protofisico Lodovico Settala, allora poco men che ottuagenario, stato professore di medicina all’università di Pavia, poi di filosofia morale a Milano, autore di molte opere riputatissime allora, chiaro per inviti a cattedre d’altre università, Ingolstadt, Pisa, Bologna, Padova, e per il rifiuto di tutti questi inviti, era certamente uno degli uomini più autorevoli del suo tempo. Alla riputazione della scienza s’aggiungeva quella della vita, e all’ammirazione la benevolenza, per la sua gran carità nel curare e nel beneficare i poveri. E, una cosa che in noi turba e contrista il sentimento di stima ispirato da questi meriti, ma che allora doveva renderlo più generale e più forte, il pover’uomo partecipava de’ pregiudizi più comuni e più funesti de’ suoi contemporanei: era più avanti di loro, ma senza allontanarsi dalla schiera, che è quello chattira i guai, e fa molte volte perdere l’autorità acquistata in altre maniere. Eppure quella grandissima che godeva, non solo non bastò a vincere, in questo caso, l’opinion di quello che i poeti chiamavan volgo profano, e i capocomici, rispettabile pubblico; ma non potè salvarlo dall’animosità e dagl’insulti di quella parte di esso che corre più facilmente da’ giudizi alle dimostrazioni e ai fatti.»

La descrizione del protofisico, “entrato in scena” nel momento culminante della diffusione della peste in Milano, costituisce un esempio paradigmatico di quella rappresentazione di un Seicento milanese sotto il controllo spagnolo “fosco” e “arretrato” che aveva avuto origine in alcuni ambienti intellettuali della Lombardia asburgica sin dalla seconda metà del XVIII secolo in chiave anti borbonica. Una visione che era stata largamente alimentata durante tutto l’Ottocento in chiave risorgimentale e nazionalista e fu destinata a perdurare come paradigma storiografico sino a tempi relativamente recenti. [3] Ciononostante, Manzoni aveva potuto attingere ampiamente alla documentazione originale e aveva avuto modo di poter visionare carte, in merito a questa delicata fase della storia dello Stato di Milano, direttamente di mano di Settala, dei suoi congiunti e colleghi. [4]

Indicativa dell’accuratezza delle sue fonti fu la stessa immagine suggerita a Gonin per la trasposizione incisoria del ritratto di Ludovico, in linea con il generale scrupolo dello scrittore per la veridicità delle effigi incluse nell’edizione illustrata del romanzo cui aveva lavorato per anni. Si trattava di una derivazione, non certo immemore della lezione gioviana sulle effigi di uomini illustri, [5] da una delle molteplici versioni circolanti in ambiente milanese nei primi decenni del Seicento, come dimostrano le repliche presenti nella collezione dell’Ambrosiana. [6] Il nobile vi è rappresentato a mezzo busto, con il capo calvo, una lunga barba bianca. Indossa un elegante abito nero con ampie maniche, completato da alta lattuga inamidata, secondo un modello vestimentario diffuso e coerente con la posizione del patrizio nella fazione, di dichiarate posizioni filoasburgiche, al tempo della peste al governo della città e dello Stato. [7]

Le differenti redazioni del dipinto e la creazione del prototipo sono state riferite a Fede Galizia, [8] pittrice largamente richiesta dall’aristocrazia milanese, sulla base di quanto attestato nella descrizione della celebre “galleria” del figlio Manfredo, parzialmente confluita nelle raccolte della Pinacoteca Ambrosiana attraverso un controverso lascito testamentario nel quale furono inclusi ritratti del genitore e di altri famigliari di mano dell’artista. [9]

Il modello proposto in queste tele fu riconosciuto come emblematico sin dai primi decenni del Seicento, dal momento che venne utilizzato come antiporta in differenti edizioni di opere letterarie e scientifiche dello stesso Ludovico. [10] La prima versione incisa fu molto probabilmente quella eseguita dal celebre bulino del fiammingo Raphael Sadeler intorno al 1601: venne impiegata sia in Aristotelis problemata commentaria, pubblicato nel 1607, che nel Animadversionum et cautionum medicarum libri septem, editi sette anni più tardi. [11] La stessa effigie, in controparte, fu utilizzata per una stampa anonima, datata al 1624 e impiegata per ornare una riedizione del secondo testo citato del 1632 e nel 1627 per l’opera di riflessione politica Della ragion di Stato. L’autore collocò il ritratto entro una ricca cornice architettonica con timpano spezzato terminale e luce ovale, rifinita da cartiglio in latino, elementi a voluta e ghirlande di fiori, mentre ai lati del basamento, aggettanti, raffigurò lo stemma dinastico con le sette ali. [12]

Piuttosto differente dal modello citato, benché riferito alla stessa pittrice e al medesimo soggetto, è invece un esemplare in collezione privata, [13] mancante allo stato attuale delle ricerche di repliche, nel quale il personaggio raffigurato, pur in abbigliamento molto simile, tuttavia non determinante per una distinzione individuale, non presenta caratteri fisiognomici spiccatamente vicini alle precedenti, quali la calvizie e la lunga barba, sottolineate anche da Manzoni. La presenza dell’attributo del teschio, tenuto in mano e mostrato in primo piano, appare piuttosto l’espressione di un paradigma, diffuso tra Cinque e Seicento, nella rappresentazione di docenti e personalità dedite alla professione medica, benché la diffusione della raffigurazione del cranio possa più semplicemente essere interpretabile quale monito alla vanità e caducità della vit. [14]

La figura di Settala è ad oggi nota e parzialmente studiata per il suo contributo scientifico e speculativo nell’ambito della storia della medicina tra fine Cinquecento e primo Seicento, e, soprattutto, come trattatista sul tema della peste, [15] cui egli sopravvisse sia in occasione dell'epidemia carliana del 1576, sia di quella del 1628-1630. Notevole fama presso i contemporanei conseguì anche con il trattatello De Naevis, enciclopedica disquisizione sui nei edita nel 1606, nonché con il già citato trattato in sette libri intitolato Della Ragion di Stato, nel quale, recuperando la lezione di Tacito, il milanese si inseriva in un filone di riflessione politica di largo successo che era stato codificato da Giovanni Botero.[16] Pur riconoscendo la varietà degli interessi culturali del personaggio, solo recentemente si è cominciato ad analizzare il ruolo del protofisco all’interno della complessa dialettica politica milanese dei primi decenni del Seicento, culminato nella posizione di governo assunta durante la delicata fase della peste manzoniana in qualità di presidente del Tribunale di Sanità. [17]

Altrettanto significativi sono i dati emersi, e da ulteriormente approfondire, in merito alla sua frequentazione di alcuni degli ambienti intellettualmente più avanzati nel capoluogo lombardo, tra l’ultimo decennio del Cinquecento e i primi del secolo successivo, vicini alle posizioni neostoiche espresse da Giusto Lipsio e dalla sua rete internazionale di corrispondenti. [18] Negli anni di permanenza a Milano del promettente allievo del professore di Lovanio, Ericio Puteano, direttamente protetto da Settala, vennero a raccogliersi intorno a questa figura una serie di personalità, tra le quali vale la pena di ricordare oltre all’arcivescovo Borromeo che lo coinvolse nel progetto della Biblioteca Ambrosiana, la meno nota figura di Giovanni Battista Sacchi, [19] segretario del Senato, massima magistratura dello Stato, accomunate da un sincretico neostoicismo cristiano, sostanziato dalla lettura di Seneca e reinterpretato da Lipisio. Proprio attraverso Puteano era avvenuta la conoscenza dell’incisore Sadeler, come dimostrano alcune lettere scritte al protofisico da Padova dalle quali emerge che inizialmente si era pensato che l’artista fiammingo eseguisse un nuovo ritratto del protofisico, mentre poi si preferì che utilizzasse per la creazione della stampa l’immagine già dipinta dalla Galizia. [20]

Rientra coerentemente in questa rivisitazione della figura di Settala da molteplici punti di vista anche un’indagine in merito al suo ruolo di committente d’arte e collezionista, ponendo alla base della ricerca un principio irrinunciabile per la società di Ancien Régime, ossia la considerazione nei confronti dell’alto potere di persuasione ed efficacia, presso chi ne sapeva cogliere e interpretare il contenuto allegorico e culturale, delle arti figurative e dell’architettura, che potevano divenire vero e proprio strumento politico, oltre che essere utilizzate per esprimere specifiche posizioni intellettuali.

La dimensione del mecenatismo dinastico è stata dalla storiografia del tutto assimilata alla sola figura del figlio cadetto di Ludovico, il canonico Manfredo, e alla sua nota Wunderkammern, elogiata dalla guidistica e dai viaggiatori seicenteschi[21] considerandolo l’unica e geniale figura di onnivoro collezionista, ma anche, più in generale, di amatore d’arte della sua famiglia. [22]

Tuttavia, dalla lettura stessa di alcune fonti contemporanee, oltre che dall’analisi della documentazione relativa alle vicende patrimoniali occorse dopo la morte di Ludovico e sino all’estinzione di questo ramo della stirpe che, tuttavia, proseguì ancora per secoli in quello dei cosiddetti Capitani di Settala, [23] emerge con chiarezza che il casato, non diversamente da molte altre dinastie patrizie milanesi, potesse vantare una plurigenerazionale tradizione di munificenza artistica e di bibliofilia.

Lo testimonia, tra i primi, il medico padovano Giovanni Battista Selvatico, in corrispondenza anche con Puteano e l’ambiente neostoico milanese che ricordava, nella sua storia dei medici milanesi pubblicata nel 1607, la «Rerum pulchrarum cupiditate» di Ludovico che lo aveva portato a «egregia sua sane cum laude opulentissimam librorum cuiuscimque generis collegit supellectilem, quam sumpitbus multis, multaque diligentia in dies auget». [24] Nel suo ultimo testamento il protofisco precisava [25] non solo di aver raccolto per tutta la vita, incrementando la raccolta avita, libri dedicati a molteplici discipline del sapere, con particolare attenzione alla filosofia e alla medicina, grazie anche al sostegno del fratello Gerolamo, canonico del duomo di Milano, ma soprattutto di aver finanziato egli stesso la costituzione di un primo nucleo del «gabinetto di Manfredo», molto probabilmente condividendo non solo la passione per le arti figurative, ma anche quella per oggetti curiosi, preziosi e rari, oltre all’interesse verso strumenti scientifici veri e propri, elementi tutti che in Milano avevano un precedente assai prossimo nelle raccolte, la cui descrizione era stata pubblicata nel 1619, dell’eclettico accademico inquieto Giovanni Battista Ardemanio, appassionato di musica, fisica e astronomia. [26] Per tutelare il patrimonio destinato a Manfredo, pur da considerarsi distinto dalla quadreria e dagli altri beni mobili di famiglia che, seguendo le tradizionali leggi della primogenitura, sarebbero spettati al figlio Senatore, il quale aveva seguito le orme del padre nella professione medica, [27] Ludovico aveva disposto che anch’esso fosse incluso nella «prohibitione di alienatione” che riguardava i beni vincolati dal fedecommesso, in virtù del fatto che «se bene con sua industria se n’ha guadagnato, il fodamento è p.o venuto da miei denari».

Al’inizio del XVIII secolo, estintosi il ceppo di Ludovico, i beni dinastici pervennero per vincoli di legge ai discendenti del ramo collaterale, nonostante le parziali decurtazioni dovute alle disposizioni testamentarie di Manfredo a favore dell’Accademia Ambrosiana. Queste ultime avevano riguardato, solamente, e non senza ripetute opposizioni manifestate per via legale da parte degli eredi, a partire dallo stesso nipote canonico Francesco, quanto era stato di sua diretta spettanza, [28] senza gli ulteriori implementi dovuti alla creazione di ulteriori nuclei collezionistici, frutto delle passioni individuali di altri esponenti della famiglia. Carlo, figlio di Ludovico e vescovo di Tortona, allestì una raccolta, ancora da precisare nei suoi estremi, di disegni, probabilmente grazie alle relazioni intrecciate con Cassiano dal Pozzo, [29] interlocutore particolarmente apprezzato in ambito milanese per la sua finezza di gusto e per la molteplicità di relazioni, come attestano le sue corrispondenze con rilevanti figure di collezionisti da Giovanni Ambrogio Mazenta, a Galeazzo Arconati al cardinale e arcivescovo Cesare Monti. [30] Interessi condivisi da questa cerchia di corrispondenti, alla quale si deve aggiungere anche Settala, erano il culto dell’antico, non senza la speranza di acquisire da scavi o raccolte presenti nell’Urbe qualche raro esemplare, e l’apprezzamento verso Leonardo, non solo in termini pittorici e soprattutto grafici, ma per lo studio e la possibile pubblicazione dei codici scritti dal maestro, iniziativa che aveva goduto anche della protezione del cardinale Francesco Barberini. Così negli ultimi decenni del Seicento il canonico Francesco fu committente di artisti milanesi a lui contemporanei, instaurando un rapporto privilegiato con il pittore Andrea Lanzani, [31] raccogliendo una propria quadreria con opere, tra gli altri, di Figino, Daniele Crespi, Giulio Cesare Procaccini, Francesco Cairo, e finanziò la ricostruzione dell’altare maggiore in marmi policromi nella chiesa milanese di San Nazaro ove godeva del beneficio già concesso allo zio Manfredo. [32]

Parziali attestazioni dell’esistenza, tra l’ultimo quarto del Settecento e l’inizio del secolo successivo, di una ricca quadreria di proprietà Settala si rintracciano da alcune fonti indirette e nella guidistica di inizio Ottocento, ove si ricordavano nella galleria d’arte della famiglia, tra gli esemplari più pregevoli, «varii quadri della scuola Lombarda, un ritratto fatto dal Tiziano, e due quadri di Gio Bellini”, oltre a una «ricca collezione di Cammei». [33] Il gesuita ed erudito Francesco Antonio Albuzzi, nella creazione della propria raccolta di disegni con ritratti di artisti milanesi, unitamente alle biografie che andava redigendo finalizzate alla pubblicazione in più volumi di una storia delle arti cittadina, menzionava tra le raccolte private nelle quali aveva potuto reperire utili materiali, gli autoritratti della citata pittrice Fede Galizia di e di suo padre Nunzio, anche quella dei discendenti del protofisico. [34] Così nelle Memorie di Giuseppe Bossi, segretario dell’Accademia di Brera, risalenti al primo decennio dell’Ottocento, si rintracciano notizie in merito ad una trattativa per la vendita di un dipinto ancora appartenente alle collezioni di famiglia ritenuto di Enea Salmeggia seppure caratterizzato da forti influenze raffaellesche. [35]

Nell’anno 1811 ebbe luogo un evento chiave per la storia delle raccolte superstiti, dal momento che, dopo la morte del conte Giovanni Antonio, il figlio maschio primogenito ed erede Luigi decise di vendere il palazzo di via Pantano, perdendo così per sempre lo storico allestimento nella dimora avita, e di trasferirsi con la quadreria nella più moderna residenza di via della Cavalchina, appositamente acquistata. [36] La grossa dispersione delle opere, tuttavia, ebbe luogo solamente a partire dagli anni quaranta e soprattutto dopo gli anni sessanta dell’Ottocento, quando furono alienate anche antiche e più recenti proprietà di famiglia. [37]

Pur essendo assai articolata e ancora in fase di completamento una puntuale ricostruzione del patrimonio artistico dinastico, non avendo ancora reperito inventari sistematici, è possibile tratteggiare alcuni caratteri delle raccolte di Ludovico e delle sue frequentazioni in ambito culturale, determinanti per le sue stesse scelte di mecenatismo.

Fondamentale doveva essere stata la conoscenza dell’erudito patrizio di origini genovesi Giovanni Vincenzo Pinelli [38] che aveva costituito a Padova, città nella quale trascorse buona parte della sua vita, un vivace cenacolo intellettuale di indirizzo europeo tra l’ultimo decennio del XVI e il primo del XVII secolo. Settala era stato invitato ad esercitare la docenza presso l’ateneo patavino, vi aveva inviato il figlio Senatore e continuò a mantenere costanti contatti con professionisti medici della città sino agli ultimi anni di vita, come risulta dalle sue corrispondenze. [39] È dunque possibile che l’amicizia tra i due fosse avvenuta direttamente o mediata da eruditi e docenti dell’università. Questa rete di relazioni dovette favorire i più tardi contatti anche con Galileo Galilei connessi con il tentativo di esclusione dal Collegio milanese del medico Baldassarre Capra, accusato di aver plagiato una invenzione dello scienziato pisano, il compasso geometrico, e ricordati dalla storiografia novecentesca, certamente da meglio indagare dal punto di vista della dialettica scientifica. [40]

Il ruolo di animatore della vita intellettuale patavina aveva comportato per Pinelli anche il possesso di cospicue collezioni che, oltre alla biblioteca, comprendevano strumenti scientifici e opere d’arte. Tra queste ultime, una certa rinomanza aveva assunto la serie di ritratti di uomini illustri, soprattutto personalità della cultura internazionale, che rispecchiava direttamente le sue ricerche erudite e la cerchia delle sue amicizie. L’interagenza ritenuta fondamentale tra le raccolte librarie e la complementare rappresentazione di personaggi storicamente rilevanti, come dimostrato anche nella costituzione dell’Ambrosiana, dovette interessare Settala. Sebbene quadrerie come quella gioviana e da essa derivate fossero costituite da lavori su tela di discreto formato, molte di queste raccolte, sia per ragioni di natura economica che per la facilità nel trasporto e della circolazione delle opere, erano costituite per lo più da esemplari di limitate proporzioni, magari dipinti su pergamena o su carta velina, o disegnati a sanguigna, matita nera, punta d’argento e coloriti all’acquerello, spesso raccolti in albums di cartone o piccoli libretti. Esempio significativo e testimonianza della vasta portata di questo fenomeno di gusto nel corso del XVII secolo sono le serie eseguite dal pittore Lorrain Henri Bellange, probabilmente uno specialista del genere, e dal suo atelier in cui l’attenzione nella selezione dei personaggi da raffigurare non solo era rivolta alla contemporaneità, ma anche alle figure politiche chiave nella storia del regno di Francia, incluse quelle dei pontefici. [41] Proprio in area francese fu realizzata una delle prime raccolte, con espliciti rimandi all’esempio dell’illustre amico Pinelli, quella di Nicolas Claude Fabri de Peirsec. [42] Il collezionista d’arte e antiquaria, nonché appassionato ricercatore nelle discipline scientifiche, dall’astronomia alla botanica, aveva soggiornato a Milano e conosciuto personalmente Settala nel 1602, durante un lungo viaggio intrapreso nella penisola italiana. Il protofisico, con cui poteva condividere una molteplicità di interessi, lo aveva assai positivamente impressionato, così come la conoscenza del giovane Puteano e la visita alla Biblioteca Ambrosiana in fase di costituzione. [43] Grande curiosità per questa ambiziosa iniziativa promossa dal Borromeo esprimeva nella corrispondenza epistolare con Settala, ben aggiornato sull’avanzamento dei lavori e le diverse trattative per il reperimento dei materiali librari, anche l’antiquario di Augusta Marcus Walser, personalità illustre a livello internazionale per le sue cognizioni in materia epigrafica e per la sua vivace attività editoriale indirizzata alla riscoperta di autori greci cristiani e medievali. [44]

Probabilmente attraverso questo contatto e certamente grazie alle relazioni intessute per via epistolare e di persona con il gruppo neostoico di Lovanio, dallo stesso Lipsio al suo allievo giunto nel capoluogo lombardo nel 1597, proprio grazie alla mediazione di Settala che non solo gli aveva procurato la docenza nelle Scuole Palatine, ma lo aveva introdotto prima a Padova da Pinelli e poi presso il Borromeo una volta rientrato definitivamente da Roma, [45] dovevano essere maturati quegli interessi antiquari, comuni a svariati esponenti del patriziato milanese e destinati a larga fortuna sino al Settecento inoltrato, che sono ricordati nei contenuti di alcuni componimenti letterari encomiastici usciti dalla penna di Ericio Puteano. Pochi mesi dopo il suo arrivo, il letterato non mancava di omaggiare il governatore Juan Fernández de Velasco, duca di Frias e Conte di Haro, il citato Giovanni Battista Sacchi e il protofisco Settala con una breve pubblicazione, le Reliquiae convivii prisci. L’ opuscolo era stato ispirato dai colloqui sull’antichità classica sviluppati in occasioni conviviali che avevano avuto luogo nello stesso palazzo, o meglio in una sorta di giardino interno a questo fabbricato, posseduto dal segretario del Senato, definito «illustre ingegno», ed esplicitamente indicato tra i principali protettori del giovane belga. [46] Il contenuto dell’opera sottolineava i comuni indirizzi intellettuali, connessi ai filoni di erudizione antiquaria, all’interesse verso il pensiero di Seneca, ripreso da numerosi autori alla fine del Cinquecento, e largamente utilizzato nelle posizioni, condivise dal gruppo milanese, di neostoicismo cristiano assunte da Lipsio che nel 1605 aveva pubblicato una discussa edizione commentata dell’opera del filosofo romano. [47] Nella fatica letteraria di Puteano figuravano due interessanti interlocutori dal punto di vista artistico: il poeta Ercole Cimilotti [48] con cui Settala condivideva l’affiliazione all’Accademia degli Inquieti, i cui componimenti, variamente indirizzati a personaggi di primo piano nella società milanese, annoveravano tra i principali dedicatari il conte Pirro Visconti Borromeo e il cenacolo culturale radunato nel ninfeo della sua splendida residenza di Lainate, [49] e l’oggi del tutto sconosciuto pittore Giacomo Calderoni, originario di Gouda, in Olanda, forse giunto a Milano al seguito di qualche esponente del governo asburgico. Già noto a Puteano, a lui nel volumetto era stato destinato il ruolo di accogliere il nuovo arrivato dalle Fiandre, illustrargli le bellezze del capoluogo lombardo e i meriti dei suoi cittadini illustri. Le sue capacità pittoriche, e forse anche di poeta dilettante, già gli avevano meritato il plauso della nota attrice e poetessa Isabella Andreini. [50]

Questo stesso ambiente doveva aver favorito le visite milanesi del più celebre esponente del gruppo di Lovanio in ambito pittorico, ovvero Pieter Pauwel Rubens. [51] Al di là dell’interesse per gli studi e copie dal Cenacolo di Leonardo e dal Cristo coronato di spine di Tiziano, entrambi nel complesso domenicano di Santa Maria delle Grazie, [52] certamente l’artista, molto apprezzato dalla corte asburgica, poté essere richiesto anche dal circolo intellettuale formatosi nel capoluogo lombardo per lasciare qualche traccia del suo operato. Mancano indagini specifiche in proposito, ma vale la pena di ricordare i legami intrecciati dal pittore con Ercole Bianchi, matematico e agente d’arte del cardinale Borromeo. [53] Attualmente le prime attestazioni di opere del maestro nelle collezioni patrizie ambrosiane risalgono a qualche decennio più tardi, come dimostra l’arrivo nella quadreria del cardinale Cesare Monti, successore del Borromeo, di una serie di quattro cartoni per arazzi eseguiti su disegno di Rubens con Storie di Romolo e Remo, oggi al National Museum di Cardiff, [54] oppure la attestata presenza di ben sei tele nelle collezioni del governatore marchese di Caracena. [55] Tuttavia appare del tutto improbabile che nessun esponente del gruppo che si era raccolto intorno a Puteano, quest’ultimo in diretto contatto, e in un certo senso in competizione, con il fratello del pittore, Philip, [56] non avesse commissionato dipinti, magari ritratti, emulando così l’azione contemporanea di quei membri dell’aristocrazia genovese, come gli Spinola, i Lomellini o i Doria, [57] o lo stesso Gaspare Scioppio, in relazioni epistolari con Settala, che in Roma si era fatto effigiare dal maestro. [58] Le dinastie della Superba furono in stretto contatto con la realtà milanese, sia sotto il profilo finanziario e politico che artistico, per oltre centocinquant’anni; sul fronte del mecenatismo pittorico si pensi solamente alla fortuna incontrata dai lavori di Giulio Cesare Procaccini. [59] Un indizio interessante in questa direzione possono essere le presenze, attestate almeno dalla metà del Seicento, di una replica del ritratto del governatore Ambrogio Spinola eseguito dal fiammingo, seppure in date più avanzate rispetto a quelle in esame, e di un Davide e Golia, da sempre considerato autografo, in collezione Arese Lucini. [60]

In un ambiente così attento alla conoscenza e alla riproposizione della cultura e dello “spirito” degli antichi, la forma artistica privilegiata, sia in pittura che in scultura, si configurò primariamente come un ritorno al classicismo, espresso sia attraverso precise scelte collezionistiche in direzione del recupero della “aurea” età del primo Cinquecento leonardesco ed emiliano, sia con dirette commissioni ad artisti contemporanei.

La ricordata Fede Galizia, indubbiamente apprezzata da Settala, celebre soprattutto per le sue nature morte, ispirate dai coevi lavori fiamminghi, oltre che come ritrattista e autrice di più impegnati soggetti sacri di impianto manieristico-controriformato, come nella Giuditta con la Testa di Oloferne appartenuta alla stessa collezione del protofisico, fu anche molto ricercata come copista di Correggio. [61] La produzione dell’Allegri, considerato uno dei veri protagonisti del primo Rinascimento in area “lombarda”, fu prediletta del patriziato milanese: dai Borromeo agli Archinto, dai Settala, che possedevano una delle note repliche della Zingarella, [62] all’arcivescovo Monti. [63]

La declinazione correggesca e parmigianinesca trovava ancor più recente traduzione nella reinterpretazione datane dai pittori della famiglia Procaccini che godettero del favore di una vasta fetta del mercato milanese per decenni. [64] È proprio all’ultimogenito dei tre fratelli pittori e meno noto, Carlo Antonio, che la critica ha attribuito una Flora, ispirata dai prototipi leonardeschi riletti da Francesco Melzi che si trovava in collezione Settala. [65] Riscoperta a inizio Novecento, venne pubblicata in un articolo apparso sul Burlington Magazine del 1909 come originale del maestro. [66] È fenomeno ampiamente studiato la fortuna ininterrotta della lezione di Leonardo, attraverso l’attività proseguita nel corso del Cinquecento da collaboratori e allievi, successivamente reinterpretata dallo studio di Gaudenzio Ferrari, che godette di rinnovato interesse, anche in funzione didattica, da parte di Federico Borromeo e dal suo entourage. [67] Parallelo fu il collezionismo di disegni e, soprattutto, la ricerca di manoscritti originali di Leonardo che interessò, come già si è detto, gli stessi Settala, così come i Mazenta o il già citato Monti. [68]

L’apprezzamento e la diffusione di opere di un grande maestro del secondo Cinquecento genovese quale Luca Cambiaso confermano la vivace e costante circolarità di rapporti tra Milano, Genova e Madrid. [69] L’Orazione nell’orto appartenuta ai Settala, a seguito di alleanze matrimoniali per via femminile giunta in Val Vigezzo, [70] ben testimonia quell’interesse per una pittura di storia, indipendentemente dal soggetto, tratto dalle fonti  bibliche, evangeliche, mitologiche o dell’antichità, in cui la rappresentazione, pur passibile di più livelli di lettura, apparisse equilibrata ed essenziale, disegnativamente curata secondo i dettami classicisti elaborati nei consessi accademici fiorentini e romani e fatti propri anche dall’Ambrosiana. [71] In direzione del sostegno verso gli artisti della generazione che si era venuta affermando tra l’ultimo decennio del Cinquecento e il primo decennio del Seicento e che includeva, oltre ai già citati Procaccini, Morazzone e la grande scuola del Cerano, protetto dal Borromeo e chiamato alla docenza in Accademia, sono attestate diverse opere nella raccolta di Manfredo. Lavori ancora in parte da identificare, furono eseguiti dall’intera famiglia del Crespi, segno evidente di una continuità di rapporti, dal San Giuseppe del padre Raffaele al San Francesco della sorella Giulia, dalla Erodiade con la testa del Battista entro un bacile, frutto della collaborazione tra il maestro e la figlia, o la Lucrezia, forse dipinta dal genero del Crespi, Melchiorre Gherardini, trasmessa, come ricordano le fonti, da Ludovico al figlio e quindi pervenuta all’Ambrosiana, [72] ma anche un autografo che lo stesso Crespi aveva donato a Manfredo, insieme al fratello Senatore al cappezzale del pittore poco prima della morte, per lascito testamentario: il San Giacomo che sconfigge i mori oggi ad Austin, Jack S. Blanton Museum of Art, che dunque non pervenne in eredità all’istituzione milanese. [73]

L’artista prediletto dal gruppo di intellettuali neostoici fu il più giovane, ma assai promettente Daniele Crespi. [74] La sua pittura incline al recupero del classicismo di marca emiliana, l’abilità disegnativa, e una certa vicinanza culturale alle posizioni ideologiche di questo raffinato consesso, ne fecero il riferimento costante per le più diverse imprese pittoriche. Vale la pena di ricordare che nella biblioteca inventariata dopo la sua morte vi si conservavano, oltre alla trattatistica architettonica cinquecentesca di Palladio, Serlio, Vignola, i recenti testi accademici di Armenini, Borghini, Zuccari e naturalmente Lomazzo, nonché un manoscirtto del Trattato della Pittura di Leonardo, una non precisata edizione della «Retorica, pratica di Aristotele», e soprattutto un volume de «Le Epistole di senecca», e una versione della «Filosofia naturale» del professore patavino Alessandro Piccolomini. [75]

Abile ritrattista, come dimostra il dipinto che raffigura il giovane Manfredo con i suoi amati avori lavorati al tornio pervenuto in Ambrosiana, [76] fu celebrato per questo genere di opere in svariati componimenti letterari. Si ricordino in particolare un epigramma di Gerolamo Bossi, giurista e letterato pavese, inviato al somasco vicentino Gaspare Trissino, oppure l’erudita lettera del medico lariano Sigismondo Boldoni al segretario Sacchi e all’amico comune, patrizio milanese forse appartenente a una dinastia di origini veronesi e figlio del medico Antonio, Alessandro Monti. Si tratta di una produzione, per la maggior parte perduta, di piccoli ritratti, talvolta anche su pergamena, che venivano utilizzati come forma di dono diplomatico e amicale o per arricchire serie gioviane di uomini illustri che completavano l’arredo delle biblioteche di ville e palazzi. [77]

Il suo ruolo di artista protagonista di pubbliche imprese è confermato dalle documentate e, felicemente ancora conservate, opere eseguite per conto dei due fratelli Sacchi, espressione di una più vasta produzione di soggetto sacro destinata al rinnovamento degli spazi di culto di patronato aristocratico nelle chiese della capitale e del territorio dello Stato di Milano. [78] La pala per la cappella nella chiesa barnabitica di Sant’Alessandro, risalente al 1618, fu una delle prime commissioni autonome del pittore cui seguì, pochi anni dopo, la grandiosa decorazione della volta della cappella di San Paolo o dell’Annunziata nella basilica domenicana di Sant’Eustorgio, affrescata con il sofisticato e prezioso tema di San Paolo rapito al terzo cielo, intrisa di echi correggeschi e parmigianineschi. Alla fine del terzo decennio del Seicento si data l’ultima commissione nota, la tela per la chiesa esterna del monastero agostiniano femminile di Lonate Pozzolo, rappresentante la Madonna col Bambino e i sette arcangeli, culto dalle possibili sfumature eterodosse che era stato promosso da Pio IV a Roma con la fondazione della michelangiolesca basilica di Santa Maria degli Angeli, sorta nei pressi delle terme di Diocleziano, [79] e che era particolarmente gradito anche nel mondo iberico, si pensi solamente al ciclo dei Sette angeli su tela collocato in un ambiente al piano terreno e ripreso nella pittura dello scalone monumentale che conduce al piano nobile del convento dinastico delle Descalzas Reales a Madrid. [80]

Oltre a rappresentare i membri della famiglia Settala con realismo e sagacia, come attesta la stessa descrizione del Museo di Manfredo che elenca altri ritratti di questo stesso autore, Crespi fu testimone e illustratore scientifico delle indagini effettuate da Ludovico e dal figlio Senatore, insieme a Gaspare Aselli, [81] per la scoperta dei vasi linfatici, avvenuta intorno al 1623. Lo testimoniano con dovizia di dettagli alcune memorie inedite riferibili al più giovane dei professionisti di casa Settala che, oltre a descrivere gli esperimenti effettuati e le osservazioni raccolte, riportano la partecipazione di artisti alle sessioni di ricerca. Furono chiamati non solo per approfondire le proprie conoscenze anatomiche con l’osservazione dal vero, ma soprattutto per registrare fedelmente quanto veniva scoperto durante le dissezioni effettuate su animali: cani, gatti, cavalli. [82] Conferma di questo impegno sono le tavole, pur non firmate, che accompagnano il celebre testo a stampa che presenta per la prima volta al pubblico con immagini la scoperta del sistema linfatico. L’opera, da considerarsi la prima in cui vennero realizzate puntuali illustrazioni anatomiche stampate in xilografia a quattro colori, fu pubblicata due anni dopo la prematura morte di Aselli, avvenuta nel 1625, [83] per cura dello stesso Senatore e del collega Alessandro Tadino, pochi anni dopo importante referente per i rilevamenti dei casi di peste nel territorio lombardo. [84] Si metteva così in pratica quella sperimentazione scientifica diretta di cui Galileo era da tempo convinto, e forse il più noto, assertore che includeva osservazione, determinazione del problema, formulazione dell’ipotesi, verifica sperimentale delle ipotesi formulate, raccolta dati a cui, in questo caso, prendevano parte anche pittori e miniatori, elaborazione dei risultati e loro pubblicazione.

L’attività di indagine dal vivo, svoltasi prevalentemente nel giardino delle Scuole Canobiane, narrata senza cautele in quanto sotto forma di “appunto privato”, anche se forse già steso in buona grafia per una possibile revisione ai fini di una pubblicazione, aveva incluso tra gli attori, oltre a Crespi e a svariati medici di differente età ed esperienza tra cui si annoveravano l’amico Tadino, Quirino Cnoglero, Alessandro Carcano [85] e il citato Alessandro Monti, anche una personalità al centro dell’ambiente culturale patrizio milanese dei primi decenni del Seicento: l’architetto e ingegnere Muzio Oddi. [86] L’urbinate come era già stato per Puteano un “forestiero” illustre, aveva ottenuto nel quindicennio di permanenza nel capoluogo lombardo l’ambito impiego di docente presso le Scuole Palatine. [87] Il professionista e studioso intrattenne nel capoluogo lombardo un’ampia rete di relazioni che lo impegnarono oltre che nell’insegnamento e diffusione del sapere aritmetico e geometrico, alla base non solo della formazione di ingegneri, architetti e artisti, ma anche dell’educazione dell’aristocrazia internazionale, nel ruolo di mediatore nel mercato artistico tra le corti italiane, non mancando di segnalare i più promettenti artisti presenti sulla piazza milanese, come dimostrano le raccomandazioni nei confronti di Crespi, Morazzone e i fratelli Procaccini trasmesse a Lucca a Piermatteo Giordani. [88] Oddi assunse inoltre la posizione di promotore e tramite per la circolazione di strumenti di misurazione e calcolo, nonché di interlocutore nel dibattito astronomico e, più in generale scientifico, sulle novità galileiane, benché non sempre dall’urbinate e dai suoi interlocutori pienamente comprese, come dimostrano le diverse prese di posizione nei confronti della veridicità dei dati restituiti dall’osservazione con il telescopio galileiano, rispetto alle possibilità di conoscenza fornite dal calcolo matematico e dalla costruzione geometrica in astronomia, [89] ma senza dubbio acquisite con curiosità e partecipazione.

Tra i suoi allievi per apprendere concetti matematici ed elementi di prospettiva figurano nell’arco di quasi un decennio due figli di Ludovico, Senatore e Alberico, [90] così come si ritrovano tra coloro che ricevettero le sue lezioni, a cavallo tra la fine degli anni dieci e l’inizio degli anni venti del Seicento, l’amico Monti e il prediletto Daniele Crespi, quest’ultimo, insieme ad alcuni altri pittori e scultori al tempo frequentanti l’Accademia Ambrosiana, inviato presso l’urbinate a spese dello stesso Borromeo che gli fece pervenire ripetuti doni. [91]

Esemplifcativo di questo clima culurale è uno straordinario dipinto, oggi in collezione privata newyorkese, appartenuto al mercante e finanziere originario di Anversa Peter Linder che trascorse oltre un ventennio nel capoluogo ambrosiano, tra il secondo e il quarto decennio del Seicento, per poi trasferirsi, nel momento di maggiore crisi economica per lo Stato di Milano, a Venezia. [92] Il fiammingo fu in strette relazioni con Oddi, di cui seguì lezioni di architettura militare nello stesso 1621, e attraverso il quale si procurò svariati strumenti di misurazione e calcolo, mantenendo corrispondenza con l’architetto e un rapporto di stima sino alla sua morte. [93]

L’opera può senza dubbio essere letta come una sintesi dei saperi e dei gusti artistici del patriziato lombardo culturalmente più vivace di cui faceva parte a pieno titolo lo stesso Settala. è possibile ipotizzare che, per certi aspetti, possa persino suggerire e rispecchiare il senso delle sue raccolte per quell’approccio enciclopedico alla conoscenza e alle sue diverse rappresentazioni che indubbiamente compare per quanto sia stato possibile ricostruire in merito alle scelte del protofisico nell’ambito delle arti figurative e del suo approccio con maestri a lui contemporanei. Lavoro di un artista fiammingo vicino a Jan Brueghel dei Vellutti, apprezzato dal cardinale Borromeo, [94] o piuttosto a Hendrick I Van Balen, per altro suo collaboratore, raffigura un interno signorile nel quale, secondo modelli elaborati nelle Fiandre proprio in questi decenni, sono allestite e illustrate una ricca quadreria con soggetti biblici, mitologici e paesaggi che imitano «le maniere di varij pittori singolari» e una collezione di oggetti e libri scientifici che rivelano un prevalente interesse per la matematica e l’astronomia con particolare attenzione nein confronti di Keplero e delle sue scoperte. Svariate sono le citazioni di artisti e di opere note, alcune riconoscibili come prodotte nel contesto milanese o ad esso riconducibili. Spicca la raffigurazione di una composizione pittorica in cui un personaggio di età matura è rappresentato nell’atto di illustrare un tema di geometria relativo agli specchi ustori a un uomo più giovane. L’opera che rispecchia abbastanza fedelmente un dipinto di Daniele Crespi noto in un paio di redazioni che la critica ritiene rappresentare Muzio Oddi in qualità di docente di un nobiluomo milanese, da alcuni ritenuto essere lo stesso mercante Linder e da altri Giulio I Arese, presidente del Senato e appartenente a una potente dinastia del patriziato milanese in stretta correlazione con svariati dei personaggi citati. [95] Così la ancora non del tutto chiarita concettosa allegoria centrale che raffigura un uomo barbuto e anziano seduto, sulle cui gambe poggia la testa una figura androgina, assimilabili il primo con il sapere matematico o scientifico e il secondo, presumibilmente, con le arti del disegno, riconduce alle discussioni e agli eruditi e sosfisticati consessi accademici di cui gli stessi patrizi milanesi e i loro ospiti di varia provenienza europea erano gli animatori. [96] La stessa strumentazione astronomica e matematica illustrata come un brano indipendente di natura morta, collocato volutamente in primo piano, principalmente diretto a suggerire il confronto tra i diversi sistemi cosmologici e le ricadute delle differenti interpretazioni sulla percezione e rappresentazione della realtà, argomento al tempo di viva attualità, [97] costituisce una conferma visiva di un condiviso enciclopedico approccio alla conoscenza con aperture verso le novità galileiane e all’uso di strumentazione scientifica per una corretta e più ampia investigazione del reale che fu proprio anche di casa Settala sin dai primi decenni del Seicento, grazie a una rete internazionale di relazioni, e che non fu solamente il frutto della curiosità e delle indagini della generazione di Manfredo. Ne sono riprova significativa alcune annotazioni del primogenito Senatore, risalenti ai primi mesi dell’anno 1628, contenute nel diario ove registrava fedelmente la pratica medica, l’attività politica cittadina e gli avvenimenti bellici europei resi noti dalle Gazzette, nonché le più minute vicende famigliari, ove il patrizio milanese ricordava di essersi dedicato, in compagnia del padre Ludovico, all’osservazione delle macchie solari e lunari che «si discernevano benissimo» con il cannocchiale «si bello» di Galileo, strumento ammirato e posseduto in quegli stessi anni dallo stesso cardinale Federico Borromeo [98] e dal governatore di Milano, Gonzalo Fernández de Córdoba. [99]

 

Note

 

[1] A. Manzoni, I Promessi Sposi, 2 voll. 1840, pp. 592-593.

 

 

[2] L'edizione illustrata dei Promessi sposi: lettere di Alessandro Manzoni a Francesco Gonin pubblicate e annotate da Filippo Saraceno, Torino 1881; A. Casassa, schede nn. 69-70, in F. Dalmasso, R. Maggio Serra (eds.), Francesco Gonin 1808-1889, catalogo della mostra, Torino 1991, pp. 145-149; A. Stella, G. Gaspari (eds.), Voci e volti di casa Manzoni: con lettere di Alessandro Manzoni, Luigi Rossari, Teresa Stampa, Francesco Gonin, Sondrio 2007, pp. 115-141, in particolare pp. 123-126.

 

 

[3] cfr. G. Signorotto, Aperture e pregiudizi nella storiografia italiana del XIX secolo. Interpretazioni della Lombardia spagnola, in «Archivio Storico Lombardo. Giornale della Società Storica Lombarda», CXXVI, serie dodicesima, VI (2000), pp. 513-560; A. Musi, Fonti e forme dellantispagnolismo nella cultura italiana tra Ottocento e Novecento e M. Verga, La Spagna e il paradigma della decadenza italiana tra Seicento e Settecento e G. Signorotto, Dalla decadenza alla crisi della modernità: la storiografia sulla Lombardia spagnola, in A. Musi (ed.), Alle origini di una nazione. Antispagnolismo e identità italiana, Milano 2003, pp. 11-45, 45-82, 313-343.

 

 

[4] F. Nicolini, Peste e untori nei Promessi Sposi e nella realtà storica, Bari 1937; Idem, La peste del 1629-1632, in Storia di Milano, vol. X, Letà della riforma cattolica (1559-1630), Milano 1957, pp. 499-557; P. Spini, La descrizione manzoniana della peste tra cronisiti e storici, in «Studi e fonti di storia lombarda. Quaderni milanesi», 6, n.s. (1986), 11, pp. 112-139, con particolare riferimento alla conoscenza delle lettere e memorie che il medico Alessandro Tadino trasmise a Settala in quanto presidente del Tribunale di Sanità. Sul fondamentale ruolo del protofisico (Milano, 1552-1633) e sull’incidenza della sua famiglia nella realtà milanese cinque-seicentesca è in corso di elaborazione il volume A. Spiriti, L. Facchin (eds.), Ludovico Settala, manoscritti inediti sulla peste.

 

 

[5] Sullo storiografo, letterato e mecenate Paolo Giovio, da ultimo, B. Agosti, Paolo Giovio uno storico lombardo nella cultura artistica del Cinquecento, Firenze 2008, pp. 34-96 con riferimenti al letterato scrittore di biografie d’artisti e al valore di scambio reciproco tra immagine e parola. Sulla fortuna del modello collezionistico del nobile comasco, cfr. M. C. Terzaghi, Committenza e circolazione di ritratti in Lombardia. Note intorno agli uomini illustri di Paolo Giovio e Federico Borromeo, in F. Frangi, A. Morandotti (eds.), Il ritratto in Lombardia da Moroni a Ceruti, catalogo della mostra di Varese, Milano 2002, pp. 347-359.

 

 

[6] D. Tolomelli, schede nn. 997 e 998, in S. Coppa (ed.), Pinacoteca Ambrosiana. Tomo III, Milano 2007, pp. 402-403.

 

 

[7] G. Buttazzi, schede 40, 43 e 44, in Frangi, Morandotti (eds.), Il ritratto in Lombardia cit., pp. 118-119, 122-123, 124-125. Per un quadro ampio, seppure rivolto prevalentemente alla moda femminile del periodo, cfr. P. Venturelli, Vestire e apparire : il sistema vestimentario femminile nella Milano spagnola, 1539-1679, Roma 1999.

 

 

[8] F. Caroli, Fede Galizia, Torino 1989, p. 90, figg. 40 e 41. Entrambe le opere, su tela, hanno il medesimo formato. Variano solamente nell’iscrizione poiché l’uno, probabilmente copia postuma, riporta la data di morte del protofisico.

 

 

[9] Per le vicende citate si veda più avanti in questo stesso contributo. Oltre al ritratto di Ludovico, replicato anche “in piccolo”, si trovavano le immagini della moglie, della pittrice e di suo padre e altri ritratti non chiaramente identificati.

 

 

[10] Una prima indagine sul tema in S. Rota Ghibaudi, Ricerche su Ludovico Settala, Firenze 1959, pp. 117-123.

 

 

[11] L’incisore di Anversa era transitato per Milano durante il suo viaggio intrapreso tra il 1601 e il 1604 in Germania e Italia che lo aveva condotto sino a Venezia, cfr. G. Fogolari, Il Museo Settala contributo per la storia della coltura in Milano nel secolo XVII, in «Archivio Storico Lombardo. Giornale della Società Storica Lombarda», XXVII, serie terza, XIV (1900), pp. 73-74. Nella descrizione della galleria del figlio Manfredo risalente al 1666, per la quale si veda più avanti, è ricordato un piccolo ritratto del protofisico entro una scatola in ebano della pittrice Fede Galizia che era stato tradotto in incisione da Sadeler, cfr. G. Berra, Appunti per Fede Galizia, in «Arte Cristiana» N.S., 80 (1992), pp. 40-41, 43-44.

 

 

[12] Nell’iscrizione intorno all’ovale è riportato: «LVDOVICVS SEPTALIVS PATRITIVS MEDIOLANENSIS ANNOS NATVS LXXII». Un secondo cartiglio è posto al centro del timpano spezzato: «IPSA CORPORIS SPECIES SIMVLACRVM EST MENTIS. Ambr.» e un terzo sul basamento, affiancato dagli stemmi dinastici: «Non cam Septalij vultus imitator imago, Quam monstrat faciem pectoris ipse liber».

 

 

[13] S. Bottari, Fede Galizia, in «Arte antica e moderna», 24 (1963), p. 312, fig. 119e, opera indicata in collezione Gregori. Un ulteriore ritratto impropriamente riferito, conservato in Ambrosiana, rappresenta una figura in piedi, di tre quarti, abbigliata secondo la moda di primo Seicento, fortemente ridipinta alla quale è stata aggiunta una scritta apocrifa che lo identifica come Senatore Settala, cfr. Caroli, Fede Galizia cit., p. 90, fig. 42.

 

 

[14] Per analogie di raffigurazione si veda il presunto ritratto del chirurgo milanese, e collega di Settala, Enea Fioravanti, attribuito sulla base di iscrizione antica che indica anche l’identità dell’effigiato a Daniele Crespi, cfr. V. Zani, scheda n. 44, in Frangi, Morandotti (eds.), Il ritratto in Lombardia cit.,pp. 124-125. Esclude che l’opera, in collezione privata milanese, possa rappresentare Settala C. Terzaghi, scheda, in F. Frangi, A. Morandotti (eds.), Dipinti lombardi del Seicento Collezione Koelliker, Torino 2004, pp. 26-27.

 

 

[15] Mancano contributi scientifici recenti in merito al ruolo del patrizio milanese (Milano, 1552-1633) nella storia della medicina seicentesca. Tra le prime biografie si ricordino quella contenuta in G. Ghillini, Teatro duomini letterati, Venezia 1647, pp. 151-152 che dichiarva di averlo personalmente conosciuto, così come i suoi figli, ripresa in F. Picinelli, Ateneo dei letterati milanesi, Milano 1670, pp. 398-399 e ampliata in B. Corte, Notizie istoriche intorno a medici scrittori milanesi, Milano 1718, pp. 137-146; F. Argelati, Bibliotheca Scriptorum Mediolanensum, 4 voll, Mediolani 1745, vol. II, coll. 1322-1327 con indicazioni inedite su manoscritti di corrispondenze. L’unico studio monografico rimane Rota Ghibaudi, Ricerche su Ludovico Settala cit.; importanti riferimenti alla sua biografia anche in Fogolari, Il Museo Settala cit., pp. 63-77.

 

 

[16] L’opera fu pubblicata nel 1627, dopo vent’anni di insegnamento presso le Scuole Canobiane sulla Politica di Aristotele. Per l’analisi del pensiero politico e del sostrato filosofico di Settala: B. Croce, S. Caramella (eds.), Politici e moralisti del Seicento: Strada, Zuccolo, Settala, Accetto, Brignole Sale, Malvezzi, Bari 1930, pp. 297-299; P. Treves, La politica aristotelica di Lodovico Settala, Firenze 1930; P. C. Pissavino, Lodovico Settala: aristotelismo e Ragion di Stato, in «Studia Borromaica», 14 (2000), pp. 175-197.

 

 

[17] A. Spiriti, La colonna infame fra iconologia, lotta politica e codificazione letteraria: spunti di riflessione, in «Annali Manzoniani», 6 (2005), pp. 55-79.

 

 

[18] Per una completa ricostruzione di questo stimolante ambiente culturale, cfr. R. Ferro, Federico Borromeo ed Ericio Puteano. Cultura e letteratura a Milano agli inizi del Seicento, Roma 2007.

 

 

[19] Sul mecenatismo di questo personaggio e del fratello Bonifacio, tesoriere della medesima istituzione, cfr. L. Facchin, I Sacchi una famiglia di committenti da Milano e Lonate Pozzolo, in A. Spiriti (ed.), Libertinismo erudito. Cultura lombarda tra Cinque e Seicento, atti del convegno di studi di Gallarate 15-16 ottobre 2009, in «Rassegna gallaratese di storia ed arte”, 131, 2011, pp. 126-170.

 

 

[20] Argelati, Bibliotheca Scriptorum cit., vol. II, col. 1325.

 

 

[21] C. Torre, Il ritratto di Milano…, Milano 1674, pp. 34-36 è la prima descrizione della città nella quale si trova illustrata la galleria del canonico, ma le testimonianze dei viaggiatori stranieri risalgono a una trentina di anni prima, come dimostra la menzione dell’antiquario e letterato John Evelyn, cfr. P. Burke, Il fascino discreto di «Millain the Great» nelle memorie dei visitatori britannici del Seicento, in «Millain the Great» Milano nelle brume del Seicento, Milano 1989, p. 147. Fatto assai raro la collezione del nobile milanese fu oggetto di illustrazione completa sia in latino che in traduzione italiana, rispettivamente, la prima a cura del dottore fisico collegiato Paolo Maria Terzaghi (Tortona, 1664) e la seconda del dotto fisico di Voghera Pietro Francesco Scarabelli (Tortona, 1666) con dedica al presidente del Senato Bartolomeo III Arese.

 

 

[22] Ampia è la bibliografia in materia. Si vedano il pionieristico Fogolari, Il Museo Settala cit., pp. 78-126; C. Tavernari, Il Museo Settala 1660-1680, in «Critica d’Arte» (1979), 163-165, pp. 202-220; Eadem, Il Museo Settala. Presupposti e storia, in «Museologia», (1980) 7, pp. 12-46; C. Alberici, Un automa del Museo Settala, in «Rassegna di studi e notizie”», IX, X (1982), pp. 37-67; A. Aimi, V. De Michele, A. Morandotti, Musaeum Septalianum una collezione scientifica nella Milano del Seicento, Firenze 1984. Per una catalogazione scientifica degli oggetti pervenuti in Ambrosiana, cfr. E. Mantua, Introduzione a Parte Prima collezione Settala, in M. Rossi e A. Rovetta (eds.), Pinacoteca Ambrosiana. Tomo sesto. Collezione Settala e Litta Modignani - Arti applicate dia donazioni diverse - Numismatica, Milano 2010, pp. 29-132: 31-33. Sulla biblioteca di oltre 9000 volumi, cfr. U. Rozzo, La biblioteca di Manfredo Settala e la storia delle biblioteche, in M. T. Biagetti (ed.), Lorganizzazione del sapere. Studi in onore di Alfredo Serrai, 2007, pp. 353-381. Da ultimo la sintesi di A. Squizzato, Tra arte e natura il Musaeum di Manfredo Settala, spazio di memoria, "esperienze" e "trattenimento" nella Milano seicentesca, in L. Galli Michero, M. Mazzotta (eds.), Wunderkammer arte, natura, meraviglia ieri e oggi, catalogo della mostra, Milano 2013, pp. 45-49. Manfredo nacque a Milano nel 1600 e vi morì nel 1680. Frequentò l’ateneo pavese, come la maggior parte degli esponenti del patriziato milanese, per completare la sua formazione in ambito giuridico e, successivamente, l’università di Pisa per approfondire i suoi interessi scientifici, sostenuti, con viaggi e affiliazioni accademiche, dalla corte granducale medicea con cui intrattenne costanti rapporti. Fu insignito del canonicato di San Nazaro in Brolio da Federico Borromeo e nel 1669 ottenne la carica di Conservatore in Ambrosiana.

 

 

[23] La discendenza diretta dal protofisico si estinse con il nipote canonico Francesco (Milano, 1712), figlio di Senatore che ereditò via via tutte le proprietà di famiglia, nonché il beneficio in San Nazaro e il patrimonio personale del celebre Manfredo. Con l’esaurirsi del ramo principale, l’intera eredità, al di là di quanto disposto da quest’ultimo, venne trasmessa a Carlo Ludovico Capitani di Settala, capitano della milizia civica, discendente dal prozio del protofisico Ludovico, Bernardo, cfr. Archivio Storico Civico di Milano (ASCMI), Fondo Famiglie, mazzo 1410 e Biblioteca Ambrosiana di Milano (BAMI), Ms B 177 Sup, Arbore grande della Nobile e Patrizia Famiglia Settala, senza numero di carta.

 

 

[24] G. B. Selvatico, Collegii Mediolanensium Medicorum origo, antiquitas, necessitas, utilitas, dignitates, honores, privilegia et viri illustres, Mediolani 1607, pp. 69-71. Per il rapporto con Puteano, cfr. Ferro, Federico Borromeo cit., pp. 33-34.

 

 

[25] Due sono i testamenti pervenuti di Ludovico, il primo del 2 gennaio 1626 e il secondo del 5 giugno 1632, Archivio di Stato di Milano (ASMI), Notarile, notaio Giovanni Battista Crivelli di Andrea, rispettivamente, cart. 24550 e 24552.

 

 

[26] Una sintesi questa interessante figura, celebrata anche da Girolamo Borsieri nel Supplimento alla nobiltà di Milano, in Antonioli, Sulle tracce di Ermete cit., pp. 87-89.

 

 

[27] Assai limitata è la bibliografia sul figlio secondogenito di Ludovico. Non si conosce l’esatta data di nascita, poiché egli, diversamente da altri fratelli e sorelle, non venne battezzato nella parrocchia di famiglia di San Nazaro in Brolo. Entrò nel Collegio dei Medici nel 1616 e fu membro del Tribunale di Provvisione. Sposò Isabella Calusca dieci anni più tardi e morì nel 1636, lasciando almeno sette figli che raggiunsero l’età adulta, tra cui Ludovico divenuto nel 1681 vescovo di Cremona, BAMI, Ms B 177 Sup., Arbore grande della Nobile e Patrizia Famiglia Settala, senza numero di carta; Argelati, Bibliotheca Scriptorum Mediolanensum cit.,1745, vol. II, coll. 1332-1333.

 

 

[28] Con la morte del canonico Francesco nel 1716, in assenza di eredi maschi diretti, i dottori dell’Ambrosiana reclamarono l’eredità delle raccolte scientifiche e d’arte, nonché della biblioteca, disposte per testamento a loro favore da Manfredo sin dal 1672. Ne seguì una lunga causa con la famiglia dei Capitani di Settala, ma anche con Caterina Dal Pozzo, figlia di Settimio Passaguado Settala, fratello del canonico, morta nel 1747. I beni vennero consegnati in Ambrosiana solamente nel 1752, a seguito del pronunciamento definitivo del Senato milanese l’anno precedente, cfr. BAMI, Archivio dei Conservatori, cart. 161, Causa Settala dalla lettera A alla lettera O e cart. 163, cfr. M. Navoni, LAmbrosiana e il Museo Settala, in Storia dellAmbrosiana. Il Settecento, Milano 2000, pp. 205-255.

 

 

[29] Prime indagini sul mecenatismo di Carlo, connesse a interventi nella diocesi di Tortona che resse dal 1653 al 1682, cfr. V. Moratti, L. Rozzo, Mons. Carlo Settala, vescovo collezionista e committente: una prima ricognizione, in G. Spione, A. Torre (eds.), Uno spazio storico. Committenze, istituzioni e luoghi nel Piemonte meridionale, Druento 2007, pp. 137-146.

 

 

[30] Biblioteca Nazionale dei Lincei e Corsiniana di Roma, Carteggio di Cassiano dal Pozzo, vol. 16. Per le relazioni dell’erudito con il patriziato milanese in merito agli interessi sulla trattistica leonardesca, cfr. M. Pavesi, Cassiano dal Pozzo, Nicolas Poussin e la prima edizione a stampa del Trattato della pittura di Leonardo tra Roma, Milano e Parigi, in A. Rovetta, A Bragalini (eds.), Tracce di letteratura artistica in Lombardia, Bari 2004, pp. 97-133. Sulle raccolte degli Arconati, cfr. M. Cadario, “…Ad arricchire la Lombardia con uno de più preziosi avanzi dellantichità”: il Tiberio colossale del Castellazzo degli Arconati, in «Archivio Storico Lombardo», 12, 133 (2007), pp. 11-50. Per le relazioni ventennali con l’arcivescovo Monti, cfr. L. Facchin, Il cardinale Cesare Monti curiale romano e nunzio in Spagna: strategie artistiche e collezionismo, in A. Anselmi (ed.), I rapporti tra Roma e Madrid nei secolo XVI e XVII: arte diplomazia e politica atti del convegno internazionale di studi (Roma, Reale Accademia di Spagna, 7-9 luglio 2011), Roma 2015, pp. 279-324, in corso di stampa.

 

 

[31] cfr. S. Zanuso, Schede di scultura barocca in San Nazaro a Milano, in «Nuovi Studi», 1 (1996), pp. 167-174; M. Dell’Omo, Andrea Lanzani: chiarimenti sul soggiorno romano e lattività nellItalia centrale, in «Nuovi Studi», 10 (2003), pp. 126-128; S. Colombo, M. Dell’Omo, Andrea Lanzani 1641-1712 protagonista del barocchetto lombardo, Milano 2007, p. 78.

 

 

[32] Oltre all’altare, lavoro congiunto di Pietro Francesco Prina, Cesare Fiori e Giuseppe Ruggeri, Settala commissionò anche le sculture affidate allo statuario del duomo Carlo Francesco Mellone e Cesare Bussola. L’intervento fu avviato nel 1684 e terminò nel primo decennio del Settecento. Perduta è la decorazione della cupola, eseguita nel 1707 da Filippo Abbiati e Pietro Maggi, così l’affresco in controfacciata eseguito da Lanzani con l’Assunzione di Cristo e quadrature del Castellino eseguito nel 1710. Il canonico, con l’ultimo testamento dell’aprile 1708, istituì erede Carlo Ludovico de Capitanei di Settala e morì il 13 agosto 1711.

 

 

[33] F. Pirovano, Milano nuovamente descritta dal pittore Francesco Pirovano co suoi stabilimenti di scienze, di pubblica beneficenza ed amministrazione, chiese, palagi, teatri ec. e le loro pitture e sculture, Milano 1822, pp. 282, 463, che riprende G. B. Carta, Nouvelle description de la ville de Milan suivie dune description des environs de la ville er dun voyage aux trois lac compilée par J. B. Carta de Modène, Milano 1819, pp. 54 e 281.

 

 

[34] G. Nicodemi, Le «Memorie per servire alla storia de pittori scultori e architetti milanesi» raccolte dallabate Antonio Francesco Albuzzi, in «L’Arte”, N.S., 1956, vol. XX, anno LV, pp. 76, 111, 112. riedito in G. A. F. Albuzzi, Le Memorie per servire alla storia de pittori scultori e architetti milanesi, Milano 2013, pp. XX.

 

 

[35] C. Nenci (ed.), Le memorie di Giuseppe Bossi diario di un artista nella Milano napoleonica, 1807-1815, Milano 2004, pp. 14, 26. L’acquisto ebbe luogo nel 1809. L’opera, firmata, è una derivazione dalla Madonna Sistina di Raffaello; si conserva alla Pinacoteca di Brera, cfr. M. Olivari, scheda n. 49, in Pinacoteca di Brera: Scuole lombarda, ligure e piemontese 1535-1796, Volume 2, Milano 1989, pp. 109-110.

 

 

[36] ASMI, Notarile 48835, notaio Della Croce Gerolamo fu Ferdinando, 13 maggio 1812. Giovanni Antonio (Milano, 1726-1810) fu feudatario di Sardigliano, fece parte dello Stato Maggiore milizie urbane di Milano, più volte dei XII di Provvisione e fu membro dei 60 decurioni. Fu delegato dell’Ospedale maggiore, del Monte di Pietà e di vari altri luoghi pii. Sposò Isabella dei marchesi di Cagnola. Luigi (MIlano, 1766-1852), patrizio milanese, divenne giureconsulto collegiato nel 1795, fu membro della corte dell’arciduca Ferdinando e, analogamente al padre, delegato in svariati istituti assistenziali. Con la Restaurazione ottenne la nomina di Ciambellano, Consigliere Intimo attuale di Stato di S.M.I.R.A., Gran-dignitario e Gran-Maestro delle Cerimonie nel Regno Lombardo Veneto. Si sposò in prime nozze con Teresa Besozzi e in seconde con Carolina Anguissola, “Donna di Palazzo di S.M. l’Imperatrice Regina, e dama della croce stellata”. Francesco (Milano, 1820-Melegano, 1877) fu il primogento cui si dovettero le principali vendite di beni, cfr. ASMI, Araldica p.m., mazzo 165 e BAMI, B 177 sup., Arbore grande della nobile famiglia Settala patrizia milanese, senza numeri di carta.

 

 

[37] Il 4 maggio 1844 venne venduto da Francesco anche il palazzo in contrada della Cavalchina, ASMI, Notarile 49665, Notaio Giuseppe Giusti di Francesco Saverio. Il padre ottenne di potervi abitare, conservando l’arredo in proprietà, sino alla sua morte.

 

 

[38]Per i rapporti tra Pinelli (Napoli, 1535-Padova, 1601) e l’ambiente milanese, non ultimo l’interesse per l’acquisizione di parte della sua biblioteca da parte di Federico Borromeo, e un ricco profilo del personaggio, cfr. Ferro, Federico Borromeo cit., pp. 115-146.

 

 

[39] Archivio Privato Arese Lucini di Osnago (APALO), Cart. 166, Archivio Settala/ Carte/ di/ Lodovico Settala/ Padre e Figlio/ Miscellanea/ Titolo XXVI, fasc. 4, Senatore Settala/figlio di/ Lodovico Protofisico. Un utile tramite fu certamente il medico e docente patavino Santorio Santorio (Capodistria, 1561-Venezia, 1636) con il quale il protofisico milanese fu costantemente in corrispondenza.

 

 

[40]A. Favaro, Amici e corrispondenti di Galileo Galilei. 17 Lodovico Settala, in «Atti dl Reale Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti», 65 (1905-06), parte seconda, pp. 598-624. Il patrizio milanese interpellò Galileo nel 1620.

 

 

[41] cfr. P. Mironneau, Une élégante ambition documentaire: les portraits dhommes célèbres dHenri Bellange, in «La Revue des Musées de France. Revue du Louvre», 59 (2009), 5, pp. 35-45. Svariati i riferimenti alle numerose raccolte sollecitate dai modelli illustri: da quella del cardinale Richelieu a quella della Petite Galerie del Louvre (1602-1607).

 

 

[42] Cfr. D. Jaffé, The first owner of the Canberra Rubens Nicolas-Claude Fabri de Peirsec (1580-1637) and his Picture Collection, in «The Australian Journal of Art», 5 (1986), pp. 27-33.

 

 

[43] Ferro, Federico Borromeo cit., p. 107.

 

 

[44] Ivi, pp. 184-186. Le corrispondenze ebbero luogo nel corso del primo decennio del Seicento. Lo stesso Walser venne utilizzato da Galileo Galilei per trasmettere al presule ambrosiano nel 1613 la sua Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari.

 

 

[45] Ivi, pp. 33, 94, 147-149, 173. Il viaggio patavino fu effettuato nel 1599; nell’estate successiva giunse la nomina per la cattedra di eloquenza presso il prestigioso istituto milanese, controllato direttamente dalle magistrature cittadine, per la quale si spese anche il segretario Sacchi. Nel dicembre 1601 il belga veniva presentato al cardinale Borromeo con lettere di presentazione del protofisico e di Lipsio stesso.

 

 

[46] Ivi, pp. 23-29.

 

 

[47] Ivi, p. 29.

 

 

[48] Ivi, pp. 23, 35-36. Il consesso era stato fondato nel 1594 dal poeta Muzio Sforza Colonna, marchese di Caravaggio. Importanti furono oltre agli interessi letterari, musicali e pittorici dei suoi affiliati anche quelli scientifici. Settala, analogamente ai colleghi medici Giovanni Battista Selvatico e Girolamo Mercuriale, fu dedicatario di numerosi componimenti poetici, cfr. R. Antonioli, Sulle tracce di Ermete: la cultura esoterica nella Milano di inizio Seicento, in Spiriti (ed.), Libertinismo erudito cit., pp. 82-89. Cimillotti figurava anche tra gli Affidati di Pavia, consesso simpatizzante verso una cultura di indirizzo ermetico-platonica i cui membri avevano cominciato a pubblicare i propri componimenti dagli anni ottanta del Cinquecento, cfr. Ivi, pp. 89-91.

 

 

[49] La più ampia trattazione sul complesso rimane A. Morandotti, Milano profana nelletà dei Borromeo, Milano 2005. La villa, documentata sin dal Quattrocento con funzione agricola, fu oggetto di un importante intervento di riplasmazione, sia dell’edificio padronale, che del giardino, nel primo decennio del XVII secolo ad opera di Pirro Visconti Borromeo, coinvolgendo alcuni dei principali artisti presenti in Milano. L’allestimento interessò anche la collocazione delle ricche raccolte d’arte, disperse sul mercato antiquario principalmente nella seconda metà dell’Ottocento.

 

 

[50] Ferro, Federico Borromeo cit., pp. 23-25. Ulteriori relazioni tra la Andreini, cantata da personalità quali Torquato Tasso e Giambattista Marino, e il pittore sono rintracciabili in una lettera della poetessa del giugno 1602 a Puteano, col quale ebbe fitti contatti. Isabella (Padova, 1562-Lione, 1604), iscritta a diverse accademie, inclusi i citati Inquieti, morì dopo un trionfale viaggio presso la corte francese. Nel 1572 si era esibita a Milano in occasione dei festeggiamenti in onore di don Giovanni d’Austria per la vittoria di Lepanto, cfr. F. Romana de' Angelis, La divina Isabella. Vita straordinaria di una donna del Cinquecento, Firenze 1991.

 

 

[51] Per il rapporto tra l’artista e il circolo lipsiano, si vedano gli studi di Mark Morford, in particolare M. Morford, Stoics and neogotico: Rubens and the circe of Lipsius, Princeton 1991; Idem, Linfluence de Juste Lipse sur les arts, in C. Mouchel (ed.), Juste Lipse (1547-1606) en son temps, actes du colloque de Strasbourg 1994, Paris 1996, pp. 235-373; Idem, Towards an intellectual biography of Justus Lipsius - Pieter Paul Rubens, in «Bullettin de l’Institut Historique Belge de Rome”, 68, 1998, pp. 387-403. Si ricordi a sottolineare anche visivamente gli stretti rapporti, la tela cosiddetta dei Quattro filosofi, datata tra il 1611-12 e il 1615, che si conserva in Palazzo Pitti. L’opera raffigura, con immagine postuma, Giusto Lipsio in compagnia di Philip Rubens, Johannes Woverius e del pittore stesso in secondo piano.

 

 

[52] M. Jaffè, Rubens. Catalogo completo, Milano 1989, pp. 75, 106-107. Le visite in Milano ebbero luogo in particolare durante le permanenze, nell’ambito del lungo soggiorno in Italia del primo decennio del Seicento, presso la corte gonzaghesca a Mantova.

 

 

[53] Assai limitate sono state le indagini in merito a questo rapporto.

 

 

[54] Facchin, Il cardinale Cesare Monti cit., pp. 294-299.

 

 

[55] A. Vannugli, Collezionismo spagnolo nello stato di Milano: la quadreria del marchese di Caracena, in «Arte Lombarda», N.S., 117 (1996), 2, pp. 13-16.

 

 

[56] Ferro, Federico Borromeo cit., pp. 162-163, 212-214. Certamente Philipp transitò a Milano intorno al 1602, in occasione del suo viaggio di formazione lungo la penisola italiana e fu accolto dal cardinale Borromeo, come risulta dalla sua stessa corrispondenza con Puteano.

 

 

[57] P. Boccardo, Genova e Rubens. Un pittore fiammingo tra i committenti e collezionisti di una Repubblica, in P. Boccardo, C. Di Fabio (eds.), Letà di Rubens dimore, committenti e collezionisti genovesi, catalogo della mostra (Genova, Palazzo Ducale, 20 marzo-7 novembre 2004), Milano 2004, pp. 5-11. Lo stesso Rubens in una ben più tarda lettera del 1628 all’amico Pierre Dupuy dichiarava di essere stato più volte a Genova, anche successivamente al soggiorno del primo decennio del Settecento.

 

 

[58] Jaffè, Rubens. Catalogo completo cit., p. 151, n. 29. L’opera, in considerazione delle relazioni intercorse, è datata tra il 1602 e il 1604. Non si devono dimenticare i contatti del pittore con l’ambiente padovano per i quali la cerchia di Settala poteva aver svolto un ruolo di mediazione.

 

 

[59] Per le relazioni tra artisti lombardi e il patriziato genovese, cfr. M. C. Galassi, I Lombardi e i loro amici genovesi pittori e collezionisti fra Genova e Milano, 1610 - 1630, in C. Di Fabio (ed.), Procaccini, Cerano, Morazzone, catalogo della mostra, Genova 1992, pp. 11-20; L. Magnani, Daniele Crespi a Genova, in Daniele Crespi un grande pittore cit., pp. 67-77; S. Morando, Per un ritratto di Gabriello Chiabrera di Daniele Crespi: appunti poco libertini, in Spiriti (ed.), Libertinismo erudito cit., pp. 201-212.

 

 

[60] cfr. A. Morandotti, Il collezionismo in Lombardia. Studi e ricerche tra 600 e 800, Milano 2008, p. 84. Il ritratto, riferito in passato anche a Anton Van Dyck, fu eseguito intorno al 1627. Entrambe le opere furono acquistato dal viceré Eugenio Beauharnais. La tela con lo Spinola si conserva all’Art Museum di Saint Louis, mentre il Davide e Golia è giunto nel Novecento al Norton Simon Museum di Pasadena. Sulla diffusione dell’immagine dello Spinola, giunto a Milano come governatore nel 1629, e le diverse redazioni del prototipo rubensiano, cfr. J. L. Colomer, Ambrogio Spinola: la fortuna iconografica di un genovese del Seicento, in P. Boccardo, C. Di Fabio (eds.), Genova e la Spagna opere, artisti, committenti, collezionisti, Cinisello Balsamo 2002, pp. 197-204.

 

 

[61] La Giuditta si conserva alla Pinacoteca Ambrosiana, cfr. Caroli, Fede Galizia cit., p. 90.

 

 

[62] Sono note più redazioni di mano della Galizia, oltre a quella per i Settala, conservata in Ambrosiana. La stessa pittrice nel suo testamento ne ricordava una ulteriore replica presente nel suo studio che voleva destinare ai padri di Sant’Antonio Abate in Milano, cfr. Caroli, Fede Galizia cit., pp. 21, 90, fig. 39.

 

 

[63] Per la fortuna delle opere dell’artista emiliano si veda M. Spagnolo, Correggio geografia e storia della fortuna (1528 - 1657), Cinisello Balsamo 2005, pp. 66-107. Appartenne all’arcivescovo milanese il Riposo durante la Fuga in Egitto oggi alla Pinacoteca di Brera, cfr. L. Facchin, Politica e religione: i palazzi dei Monti, in A. Spiriti (ed.), Lo spazio del collezionismo nello Stato di Milano (secoli XVII-XVIII), Roma 2013, pp. 140-141.

 

 

[64] cfr. H. Brigstoke, Procaccini in America, catalogo della mostra, London 2002, pp. 63-67; D. Cassinelli, P. Vanoli, Chi muta paese, cangia ventura. Laffermazione di Camillo Procaccini in Lombardia, in D. Cassinelli, P. Vanoli (eds.), Camillo Procaccini (1561-1629). Le sperimentazioni giovanili tra Emilia, Lombardia e Canton Ticino, catalogo della mostra, Cinisello Balsamo 2007, pp. 58, 60-64; A. Morandotti, «Une idée de la beauté lombarde» Giulio Cesare Procaccini, Daniele Crespi: leurs antécédents et leur postérité, in F. Frangi, A. Morandotti (eds.), La peinture en Lombardie au XVIIe siècle. la violence des passions et lideal de beauté, catalogo della mostra (Ajaccio, Palais Fesch-musée des Beaux-Arts”, 27 giugno-29 settembre 2014), Cinisello Balsamo 2014, pp. 90-99.

 

 

[65] A. Morandotti, scheda n. 6, in F. Zeri, F. Porzio (eds.), La Natura Morta in Italia, 2 voll., Milano 1989, vol. I, pp. 233-234.

 

 

[66] A. Whiel, A portrait by Leonardo da Vinci discovered in Milan, in «The Burlington Magazine”, LXXII, XIV, marzo 1909, pp. 359-360. Dalle informazioni contenute nell’articolo sembra che anche questo dipinto portasse sul retro un sigillo in ceralacca con stemma dinasitco per il quale si veda più avanti.

 

 

[67] P. M. Jones, Federico Borromeo e lAmbrosiana: arte e riforma cattolica nel XVII secolo a Milano, Milano 1997, pp. ad indicem.

 

 

[68] si veda la nota 30 e Facchin, Il cardinale Cesare Monti cit., p. 287.

 

 

[69] cfr. A. Spiriti, Luca Cambiaso e la pittura milanese di pieno Cinquecento e di primo Seicento: problemi e ipotesi, in L. Magnani, G. Rossini (eds.), La Maniera di Luca Cambiaso. Confronti, spazio decorativo, tecniche, atti del convegno (Genova, Università degli Studi, 29 - 30 giugno 2007), Genova 2008, pp. 175-185.

 

 

[70] cfr. R. Vitiello, scheda n. 64, in P. Boccardo, F. Boggero, C. di Fabio, L. Magnani (eds.), Luca Cambiaso. Un maestro del Cinquecento europeo, catalogo della mostra di Genova, Cinisello Balsamo 2007, pp. 328-329; R. Bianchi, E. Carbotta, T. Sandri, R. Vitiello, Un Cambiaso riconosciuto. La storia e il restauro dellOrazione nellorto di Craveggia, in Luca Cambiaso. Ricerche e restauri, atti del convegno di studi, Moneglia 11-12 maggio 2007, Genova 2009, pp. 284-302. Ringrazio Rossana Vitiello per la segnalazione. L’opera è munita sul retro della tela del sigillo in ceralacca con lo stemma dei Settala e dei Crevenna. L’unione tra le due famiglie ebbe luogo a seguito del matrimonio di Marta, figlia di Senatore, con Carlo Antonio Crevenna. Il dipinto si conserva nella parrocchiale dei Santi Giacomo e Cristoforo di Craveggia, alla quale venne donato nel 1850 da Jean-Jacques Mellerio.

 

 

[71] Basti ricordare il ruolo di ispirazione e mediazione svolto da Federico Zuccari, a Milano nel 1604, per la fondazione dell’Accademia Ambrosiana, cfr. Jones, Federico Borromeo e lAmbrosiana cit., pp. 22-23.

 

 

[72] cfr. F. Cavalieri, Tra collaboratori, allievi, seguaci, in M. Rosci (ed.) Il Cerano 1573-1632 Protagonista del Seicento lombardo, catalogo della mostra, Milano 2005, pp. 33, 35. Per la Lucrezia, cfr. S. A. Colombo, scheda n. 211, in M. Rossi, A. Rovetta (eds.), Pinacoteca Ambrosiana II. Dipinti dalla metà del Cinquecento alla metà del Seicento, Milano 2006, pp. 118-120.

 

 

[73] cfr. J. Bober, scheda n. 54, in Il Cerano cit., pp. 202-203.

 

 

[74] I più recenti contributi sull’artista, prematuramente deceduto durante la peste manzoniana, in A. Spiriti (ed.), Daniele Crespi un grande pittore del Seicento lombardo, catalogo della mostra di Busto Arsizio, Cinisello Balsamo 2006; F. Frangi, Daniele Crespi: la giovinezza ritrovata, Milano 2012; schede e riferimenti nei saggi contenuti in S. Coppa, P. Strada (eds.), Seicento lombardo a Brera. Capolavori e riscoperte, catalogo della mostra (Milano, Pinacoteca di Brera, 8 ottobre 2013-12 gennaio 2014), Milano 2013.

 

 

[75] cfr. G. Nicodemi, Daniele Crespi, Busto Arsizio 1930, pp. 43-45. Per una prima lettura della raccolta libraria del pittore, G. Gaspari, L inventario dei beni mobili appunti sulla biblioteca di Daniele Crespi, in Spiriti (ed.), Daniele Crespi, cit., pp. 79-85.

 

 

[76] M. C. Terzaghi, scheda n. 222, in M. Rossi, A. Rovetta (eds.), Pinacoteca Ambrosiana cit., pp. 135-137. Le fonti seicentesche riportano l’esistenza nella galleria di Manfredo anche di un ritratto del fratello Senatore che dovrebbe essere confluito in Ambrosiana, ancora non identificato.

 

 

[77] Su questo tema cfr. Facchin, I Sacchi una famiglia di committenti cit., pp. 150-153.

 

 

[78] Ivi, pp. 157-170.

 

 

[79] Per le vicende costruttive del complesso, cfr. L. Gaudenzi, Storia di una fabbricaa risparmio, in A. De Falco (a cura di), Santa Maria degli Angeli e dei Martiri. Incontro di storie, Roma 2005, pp. 37-39.

 

 

[80] Per la ricchezza di contenuti sulla storia artistica e architettonica, nonché sulle collezioni di questa fondazione monastica asburgica, si vedano i numerosi contributi pubblicati negli ultimi vent’anni sulla rivista “Reales stiglio regista del Patrimonio Nacional”. I dipinti con i quattro arcangeli dello scalone, più tardi di quelli di uno spazio, forse originariamente adibito a parlatorio, si devono a Claudio Coello e sono collocati entro le quadrature di Agostino Mitelli e Michelangelo Colonna.

 

 

[81] Sul medico lombardo (Cremona, 1581-Milano, 1625), docente dell’ateneo pavese, e l’importanza della scoperta scientifica in esame, cfr. L. Premuda, voce, Aselli, Gaspare, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma 1962, vol. 4, pp. 389-390; F. Righi, Gaspare Aselli e la scoperta dei vasi chiliferi, in Strenna dellA.D.A.F.A. per lanno 1992, Cremona 1992, pp. 31-38; G. Fasani, Gaspare Aselli (Cremona, 1580-Milano, 1625), Soresina 2007; A. Beniscelli (ed.), Libertini italiani. Letteratura e idee tra XVII e XVIII secolo, Milano 2011, pp. 215, 245-248.

 

 

[82] APALO, cart. 166, Archivio Settala/ Carte/ di/ Lodovico Settala/ Padre e Figlio/ Miscellanea/ Titolo XXVI. La prima citazione della presenza di “Daniele giovane eccellentissimo” si ritrova in data 31 ottobre 1623. In quella occasione, come in altre successive, il pittore operava insieme a un miniatore della parrocchia di Santa Margherita di cui, purtroppo, si tace il nome.

 

 

[83] Si tratta cioè di G. Aselli, De lactibus siue lacteis venis quarto vasorum mesaraicorum genere nouo inuento Gasparis Asellii Cremon.is anatomici Ticinensis dissertatio qua sententiae anatoomicae multae, ... illustrantur. Ad ampliss.m et exc.m Regium Senatum Mediolani, Milano 1627. Si può ipotizzare, anche per ragioni di stile, che il ritratto inciso da Cesare Bassano, benché senza indicazioni di ideatore, sia da riferire a Crespi. Nella carta sopra citata Senatore Settala, per dimostrare la capacità dell’artista scriveva “come si vede da questa 2.a tavola del cane”, forse allusione ad una delle incisioni elaborate per la pubblicazione.

 

 

[84] Protomedico (Milano, 1580-1661), membro del Tribunale di Sanità e luogotenente di Settala, è noto soprattutto per aver composto il Ragguaglio dell'origine e giornali successivi della gran peste del 1629-30-31 (1648), ampiamente utilizzatao come fonte dallo stesso Manzoni. Nel lavoro di Bartolomeo Corte sui medici milanesi fu definito «di fertile ingegno, buon Filosofo, ed Astronomo”, cfr. Corte, Notizie storiche cit., p. 177.

 

 

[85] Non è stato possibile reperire informazioni su Carcano, mentre il primo, nativo austriaco, era un amico di Aselli e co autore del trattato postumo, cfr. Corte, Notizie istoriche cit., p. 176.

 

 

[86] APALO, cart. 166, Archivio Settala/ Carte/ di/ Lodovico Settala/ Padre e Figlio/ Miscellanea/ Titolo XXVI, annotazione del 24 maggio 1623.

 

 

[87] Per un’ampia ricostruzione della figura di Oddi e delle sue relazioni con l’ambiente lombardo, cfr. A. Marr, Between Raphael and Galileo. Mutio Oddi and the mathematical culture of late Renaissance Italy, Chicago and London 2011, in particolare i capitoli 2 e 6. Il più recente profilo biografico è D. Righini, voce Oddi, Muzio, in Dizionario Biografico degli Italani, Roma 2013, vol. 79, pp. 116-119. Oddi (Urbino 1569-1639) giunse a Milano nel 1610 in esilio dalla corte dei Della Rovere e vi si trattenne sino al 1625 quando si trasferì a Lucca per ricoprire l’incarico di ingegnere della Repubblica. Nel 1613 ottenne la nomina a professore di matematica. Grazie alla protezione di esponenti del patriziato milanese, come dimostrano le dediche dei suoi trattati ai conti Giacomo Teodoro Trivulzio e Bernardino Marliani, poté qui pubblicare il suo studio sugli orologi solari e sullo squadro agrimensorio. Anche dopo la partenza dal capoluogo lombardo mantenne rapporti con l’élite di governo milanese, stampano in questa città nel 1627 un trattatello di architettura militare del fratello Matteo e nel 1633 Fabrica et uso del compasso polimetro, con dedica al finanziere, collezionista e mecenate belga Peter Linder, che riprendeva temi affrontati da Galileo alcuni decenni prima.

 

 

[88] Marr, Between Raphael and Galileo cit., p. 270.

 

 

[89] Ivi, pp. 210-213.

 

 

[90] Il primo è documentato per lezioni di matematica nel 1612, in compagnia di Giacomo Filippo Prato e di Gerolamo Pozzo, figlio di Emanuele, presidente del Magistrato Ordinario, retribuite con doni in generi alimentari e in oggetti preziosi d’argento. Il secondo, divenuto poi corrispondente di Oddi, iniziò a ricevere rudimenti matematici nel 1621, cfr. Marr, Between Raphael and Galileo cit., pp. 226, 228. Alberico nato nel 1606, giovanissimo divenne canonico del Duomo milanese; morì prematuramente nel 1630, cfr. BAMI, mazzo B 177 Sup, Arbore della Nobile e Patrizia Famiglia Settala imperfetto per non essere giustamente delineato, senza numero di carta.

 

 

[91] Il pittore seguì insegnamenti di prospettiva nel 1621, anno nel quale risulta iscritto anche all’istituto fondato dal Borromeo, evidentemente per una ulteriore qualificazione, dal momento che era già artista autonomo. Per la stessa disciplina pagò lezioni Monti, nel 1619 cfr. Marr, Between Raphael and Galileo cit., p. 218.

 

 

[92] Per la segnalazione e l’analisi sistematica del dipinto e del suo committente si vedano: M.J. Gorman, A. Marr, ‘Other see it yet otherwise: disegno and pictura in a Flemish Gallery Interior, in «The Burlington Magazine”, CXLIX, 2147, 2007, pp. 85-91; M.J. Gorman (ed.), Un dipinto misterioso. Il mondo della galleria Linder, Firenze 2009; Marr, Between Raphael and Galileo cit., pp. 190-214. L’opera fu eseguita anteriormente al 1629, anno nella quale è citata nelle corrispondenze tra Oddi e l’ingegnere militare e matematico Giovanni Battista Caravaggio, e durante o dopo il 1627, anno nel quale venne coniata una medaglia commemorativa dell’Oddi, riprodotta sulla tela, e in cui furono pubblicate le Tabulae Rudolphinae di Keplero, analogamente raffigurate nell’opera.

 

 

[93] Il rapporto fiduciario è ulteriormente attestato da una serie di documenti notari in cui il fratello di Muzio, Matteo venne nominato procuratore di Linder e questi a sua volta di Muzio a Milano dopo la sua partenza, cfr. Marr, Between Raphael and Galileo cit., pp. 303-304.

 

 

[94] Per le committenze al fiammingo del Borromeo si vedano da ultimo, L. C. Cutler, Virtue and diligence: Jan Breughel I and Federico Borromeo, in «Nederlands kunsthistorisch jaarboek», 54, 2003 (2004), 202-227 e L. C. Cutler, The art of imitating nature Jan Brueghels landscape paintings for Cardinal Federico Borromeo, in F. Cappelletti (ed.), Archivio dello sguardo origini e momenti della pittura di paesaggio in Italia, atti del convegno (Ferrara, Castello Estense, 22 - 23 ottobre 2004), Firenze 2006, pp. 195-217.

 

 

[95] Due frammenti dalla medesima opera, provenienti dalla quadreria Melzi d’Eril, sono giunti in collezione Koelliker, mentre un esemplare intero, considerato una replica antica, è stato segnalato, genericamente, in collezione privata. Il tema geometrico presentato nel dipinto di Crespi è però differente: il problema dell’arco di circonferenza e della sua tangenza. La storiografia è sostanzialmente concorde nel riconoscere nell’insegnate Muzio Oddi per i convincenti riferimenti fisiognomici con ritratti dipinti e incisi. Ha variamente ipotizzato invece, in assenza di riferimenti certi sull’aspetto della maggior parte di coloro che ne ricevettero l’insegnamento, l’identità dello “studente”, cfr. Marr, Between Raphael and Galileo cit., pp. 195-198 per la prima interpretazione; A. Spiriti, Libertini a Milano fra Cinque e Seicento: scelte di metodo, in Spiriti (ed.), Libertinismo erudito cit., pp.23.24 per la seconda. L’Arese tuttavia non risulta registrato tra gli allievi di Oddi, tuttavia, suo fratello Paolo, vescovo di Tortona, fu un protettore dell’urbinate e gli dettò l’impresa da inserire nella citata medaglia commemorativa coniata a Milano, cfr. Marr, Between Raphael and Galileo cit., pp. 195, 304.

 

 

[96] Per una differente interpretazione in chiave politica che riconosce nella figura dell’anziano barbato un’immagine idealizzata dello stesso Ludovico Settala, cfr. Spiriti, Libertini a Milano cit., pp. 24-28.

 

 

[97] cfr. Marr, Between Raphael and Galileo cit., pp. 192-193.

 

 

[98] Ivi, p. 210.

 

 

[99] APALO, cart. 165, Archivio Settala/ Notizie Storiche/ Imposte-Reclami/ Risposte ed Esenzioni/ Titolo VI, Diutili da quali è transcritto tutto ciò che appartiene alla peste et carestia del anno 1638. 1629. 1630 in questo anno 1632, annotazioni in data 20 gennaio e 13 febbraio.