Fra arte e architettura: il ruolo di alcune congregazioni religiose femminili nella Roma barocca

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Author: 
Sabina Carbonara Pompei

L'argomento di questo intervento [1], come si può ben comprendere considerando i numerosi studi italiani ed internazionali sulle congregazioni religiose femminili, nonché le importanti relazioni presentate nel convegno Fra doppi muri. Cultura e arte claustrale femminile a Roma in età moderna (Roma 7-8 marzo 2014), è quanto mai complesso e variegato, prestandosi, proprio per la sua vastità, a facili generalizzazioni.

Per tale motivo si è ritenuto opportuno circoscrivere l'indagine a due soli complessi conventuali romani, le cui vicende storico-artistiche sono sostanzialmente riconducibili all'età barocca e, nello specifico, ad una fase cronologica che va dagli anni Venti agli anni Sessanta del XVII secolo. Nel corso del Seicento, in particolare dal secondo decennio, si assiste infatti, in linea con la normativa conciliare sulla clausura, all'ampliamento o alla trasformazione architettonica d'importanti spazi monastici, ubicati in diverse zone della città. [2] Fra questi interventi si ricorda il restauro dell'antica chiesa dell'Annunziata, oggi non più esistente, rimodernata da papa Urbano VIII (1623-1644) e dal cardinale Francesco Barberini, protettore dell'Ordine Domenicano.

Il mecenatismo dei Barberini interessò anche la trasformazione della chiesa di S. Giacomo alla Lungara e la costruzione, a partire dal 1637, dell'annesso monastero delle monache Agostiniane Convertite. Alla committenza di chiaro stampo papale si accompagnò inoltre una vivace attività edilizia e artistica promossa direttamente dai cardinali protettori, dai deputati delle congregazioni e, in alcune circostanze, dalle monache stesse. [3] Questo è il caso sia degli interventi architettonici attuati, come si evince dalla Cronica di S. Cecilia in Trastevere, sui disegni della monaca Aurelia Targoni [4], per la costruzione del nuovo dormitorio per le Benedettine di S. Cecilia e sia di quelli, voluti da Clarice Vittoria Landi, in S. Lucia in Selci, analizzati da M. Dunn e da L. Sebastiani. [5]

A partire dagli anni Trenta del Seicento si assiste, inoltre, alla costruzione ex novo di alcuni importanti complessi religiosi. Tra questi edifici di nuova fondazione vanno annoverati il monastero della Santissima Incarnazione delle monache Carmelitane di S. Maria Maddalena de' Pazzi, dette Barberine, in strada Pia (1639-1679) e la chiesa di S. Maria dell'Umiltà, sull'omonima via, fondata dalla nobildonna Francesca Baglioni Orsini e costruita fra il 1641 e il 1646 con generosi donativi della patrizia romana Camilla Maccarani nonché grazie ad alcuni cospicui lasciti testamentari. Alle fabbriche appena menzionate si devono affiancare anche complessi conventuali meno conosciuti riguardo ai quali ancora manca una specifica ricerca archivistica. Uno di questi è senz'altro quello agostiniano di S. Maria delle Vergini, oggi S. Rita, su via dell'Umiltà. [6]

 

Tra autonomia e regola: il mecenatismo delle Agostiniane di S. Maria delle Vergini nel XVII secolo

In base alle carte delle monache, conservate presso l'Archivio di Stato di Roma, è stato possibile ricostruire la storia dell'attuale edificio ma anche risalire alle prime fasi in cui si venne a formare la comunità «delle zitelle del Rifugio». I documenti riferiscono infatti che, alla fine del XVI secolo, una piccola congregazione femminile si era raccolta presso le terme di Costantino al Quirinale e che nel 1595 Clemente VIII Aldobrandini (1592-1605), coadiuvato dall'oratoriano Pompeo Pateri, fondò, dinanzi a S. Silvestro al Quirinale, una casa, con una piccola chiesa, destinata ad ospitare le suddette zitelle. [7] Negli anni seguenti «molti cavalieri romani vi fecero entrare le proprie figlie spinti dalla fama della buona educazione che si dava alle fanciulle».

Durante il pontificato di Paolo V Borghese (1605-1612) l'istituzione dovette tuttavia spostarsi per lasciare spazio alla sontuosa dimora che il cardinale nipote Scipione stava costruendo sul colle. Come nuova sede la Reverenda Camera Apostolica scelse il palazzo già appartenuto al cardinale Mariano Pierbenedetti di Camerino (detto del cardinale Taverna) posto sulle pendici del Quirinale. L'edificio fu adattato a collegio del Rifugio ma nel giro di poco tempo, in virtù di una misteriosa visione della Madonna che avrebbe avuto il pontefice, venne trasformato, con breve del 22 maggio 1613, in monastero di clausura sotto la regola agostiniana. [8]

La chiesa, eretta nel 1615 ed intitolata a S. Maria delle Vergini, si rivelò ben presto insufficiente. Dal «Registro delle cose più notabili dall'anno 1612 al 1698», conservato tra i documenti delle religiose, si evince infatti che furono condotte significative opere di trasformazione architettonica già a partire dall'ottobre 1634. In quell'anno venne aperto il cantiere per la costruzione, «sulli fondamenti» della precedente, di una nuova chiesa con impianto a croce greca e cupola. [9] I lavori, terminati nel giugno 1636, furono diretti dall'architetto Francesco Peparelli e compiuti dal capomastro Giovan Battista Ceccotti (Ceccoti). [10]

La figura del Peparelli [11], collaboratore di Mascherino e di Girolamo Rainaldi [12], circa la quale, qualche tempo fa L. Marcucci lamentava la difficoltà di individuare, come per altri architetti della prima metà del Seicento, una fisionomia artistica indipendente [13], meriterebbe un approfondimento specifico. L'attestazione documentaria della sua presenza, al servizio delle Agostiniane, in autonomia rispetto ai maestri, così come la sua attività, fra il 1626 e il 1641, per le influenti Benedettine di S. Maria in Campo Marzio, sembrerebbero infatti chiarirne, almeno in parte, la personalità. [14] Rimandando ad altra sede la valutazione critica della sua opera, s'intende qui ricordare che l'operato per i due complessi conventuali è forse riconducibile ad una diretta committenza espressa dal cardinale Vicario Marzio Ginetti (Ginnetti) [15], il quale oltre ad occuparsi, come si vedrà, dei lavori di trasformazione nel complesso agostiniano, doveva molto probabilmente conoscere personalmente il Peparelli. [16]

Le monache che, in linea con le costituzioni di S. Maria delle Vergini [17], si erano mostrate, fino a poco tempo prima, contrarie a sottoporsi alla giurisdizione e all'autorità del cardinale Vicario [18], assunsero infatti, a partire dal 1633, una posizione diversa. Senza ufficialmente sostituire la figura del Prefetto del monastero con quella del Vicario si rivelarono ben disposte nel confronti di quest'ultimo. Secondo i documenti si trattava di una subordinazione «fatta tacitamente per non dare molestia alle monache» ma, in realtà, si può ritenere che le religiose cedettero per semplice convenienza.

Tra la fine del priorato di suor Francesca Gherardi (Giraldi) [19] e il primo anno del governo di suor Maria Gasparrini [20], il cardinale Vicario iniziò effettivamente ad avere più influenza sul monastero. Le badesse che si succedettero negli anni della fabbrica [21] non sembrano aver posseduto autonomia, da un punto di vista decisionale, rispetto alle scelte architettoniche e artistiche fatte dal cardinale Ginetti. Si occuparono invece, con molta alacrità, di recuperare i fondi per finanziare la fabbrica. Per completare i lavori furono prese alcune somme di denaro a censo, mentre altri capitali vennero acquisiti dalle doti, dalle donazioni [22] e dai lasciti testamentari; nel 1636 le monache riuscirono ad ottenere, mediante un breve pontificio, la possibilità «di poter applicare alla fabbrica 2500 scudi delle doti, che suol dare al monastero». [23] Un ruolo fondamentale nella ricerca di sovvenzioni venne altresì svolto dai deputati della Congregazione. [24]

L'indagine d'archivio ha rivelato, inoltre, la partecipazione nei lavori per le Agostiniane d'importanti maestranze come Daniele Guidotti e Bartolomeo Quadri, probabile parente di Gregorio, documentato, al seguito di Francesco Borromini, nel cantiere di S. Lucia in Selci [25] ma, soprattutto, ha messo in luce come l'intensa attività edilizia intrapresa dalle monache sia proseguita, soprattutto grazie alla presenza di abili e rinomati tecnici, quale ad esempio l'architetto Domenico Castelli [26], pur negli anni seguenti all'inaugurazione della nuova chiesa.

Il primo priorato di Cecilia Santini [27] (1641-1644), consolidato anche dalla presenza, in qualità di nuovo prelato, del vicegerente Giovanni Battista Altieri [28], venne infatti caratterizzato da numerose trasformazioni architettoniche. Nel 1642 fu «messo in piano il giardino», spianato il cortile nonché «si condusse la fontana con spesa sopra 350 scudi». [29] I lavori vennero, in buona parte, compiuti per merito della contribuzione personale di alcune monache. Nello stesso anno, forse grazie anche al consistente lascito testamentario di Francesco Sirtoli [30], si «diede principio» all'ampliamento della «fabrica del dormitorio per 20 celle». [31]

Nel maggio 1646 si stabilì, infine, di designare l'appartamento del noviziato come «casamento» per il padre confessore e per il fattore [32]; vi furono, pertanto, «fatte alcune comodità e altre mura per fortezza e divisione delle monache e monasterio». [33] Nel 1653, all'epoca del governo di Petronilla Nave (Navi) [34], vennero compiute, sotto la direzione dell'architetto Castelli, alcune verifiche sulla solidità strutturale di un «appartamento che stava in pericolo di cadere». [35]

Dai documenti si evince che il fervore edilizio delle monache non si arrestò tanto che, due anni dopo, furono incaricati alcuni periti di valutare un sito dove fosse possibile costruire. Tra coloro che vennero interpellati figura anche Gian Lorenzo Bernini. I pochi dati in nostro possesso, pur non chiarendo quale tipo di intervento sia stato effettuato [36], fanno tuttavia ipotizzare che venne realizzata una nuova fabbrica, probabilmente un ampliamento dell'edificio preesistente. I lavori, iniziati nel 1656 [37], furono compiuti, come riportato dalle carte d'archivio, avvalendosi di un progetto presentato dall'architetto Luigi Arrigucci [38], professionista apprezzato sia dalle monache sia dal Castelli, con cui aveva collaborato in diverse occasioni. [39]

Conclusasi la fase delle grandi trasformazioni architettoniche della prima metà del secolo, le Agostiniane tornarono a dedicarsi al complesso conventuale negli anni Sessanta del XVII, all'epoca del papato di Alessandro VII Chigi (1655-1667). Morto, nel 1657, il Castelli che per lungo tempo si era occupato della chiesa e dei beni spettanti alle monache di S. Maria delle Vergini, le religiose dovettero cercare un nuovo architetto. In questa circostanza la loro scelta si rivelò piuttosto semplice. Nominarono infatti come sostituto (Pietro) Paolo Pichetti, figlio del capomastro muratore Domenico che aveva già lavorato «per servizio» delle monache di S. Maria delle Vergini. [40]

L'attività di Pichetti [41], ancora in buona parte da indagare, sembrerebbe essere inoltre legata a quella di Castelli, col quale collaborò negli ultimi anni della sua vita, nonché alla committenza promossa dalle congregazioni religiose femminili. È attestato, infatti, il suo coinvolgimento nell'importante cantiere della chiesa carmelitana dell'Incarnazione al Quirinale e nei lavori per il complesso conventuale delle Clarisse di S. Silvestro in Capite.

La frequentazione del monastero di S. Maria delle Vergini da parte della cognata del papa, Berenice della Ciaia, e la presenza, in qualità di segretario della Congregazione, di monsignor Giuseppe Cruciani, maestro di casa di Alessandro VII, fanno ritenere che durante il pontificato Chigi le monache abbiano goduto di una particolare protezione papale. Proprio in quel periodo infatti vennero intraprese, grazie anche ad alcune elemosine dotali delle suore, le attività preliminari, come l'acquisizione degli immobili limitrofi, per ingrandire il loro monastero. [42] Le opere di ampliamento, resesi presumibilmente necessarie per il fatto che le monache e le educande erano diventate sempre più numerose, furono ordinate dalla priora Flavia Peparelli [43], consanguinea dell'architetto Peparelli che, come s'è visto, era stato, a partire dagli anni Venti del XVII secolo, al servizio delle Agostiniane delle Vergini.

La direzione dei lavori venne affidata a Matthia De Rossi, figura di spicco dell'ambiente culturale romano e stretto collaboratore di Bernini. [44] La partecipazione di De Rossi non stupisce in quanto la presenza di architetti di rilievo sembra essere, nel XVII secolo, una costante per le monache di S. Maria delle Vergini. Le priore, coadiuvate nelle decisioni dagli autorevoli membri della Congregazione e favorite da una certa prosperità economica [45], affidarono infatti i lavori di ristrutturazione e gli interventi di manutenzione dei loro immobili ad alcuni tra i migliori professionisti del momento. Alla base di tali scelte potrebbero indubbiamente esserci le strette relazioni in campo professionale e spesso di amicizia che intercorrevano tra i numerosi architetti che operarono per le religiose. Sono noti infatti i legami tra Castelli e Pichetti nonché tra quest'ultimo e Matthia De Rossi. Alla luce di ciò si può ritenere che le Agostiniane si siano avvalse, nel reclutamento degli architetti, anche di questo continuo, spontaneo, passaggio di consegne. Tale modalità si rivelò utile soprattutto in occasione del cantiere diretto dal De Rossi. In questa circostanza l'architetto, che aveva una notevole padronanza delle tecniche esecutive e pratiche, impiegò sia manodopera specializzata, come Giovanni Maria Paranzino (Paranzini) [46] e Francesco Gualdi, dalla solida esperienza e operanti nel convento da diverso tempo, sia artigiani ed artisti, come Carlo Torriani, da lui personalmente conosciuti.

Dalle carte relative al cantiere emergono infatti i nomi del capomastro muratore Paranzino, dello scalpellino Torriani [47], del «ferraro» Zaccaria Zaccaria [48] e del falegname Gualdi. [49]

I lavori, costati circa 18.000 scudi, vennero compiuti sostanzialmente tra il 1672 e il 1681. Nella fase iniziale del cantiere furono abbattuti e trasformati alcuni immobili appartenenti alle religiose [50], mentre gli interventi per costruire la «fabrica nova» vennero avviati nel 1673. L'ala edificata alla fine del XVII secolo è da riconoscersi in quella parte del complesso conventuale che faceva «cantone per andare dalla porta» del monastero alla fontana di Trevi. [51] Nel 1871 il convento venne requisito dal Demanio e il lato su via delle Vergini, è stato negli anni Cinquanta dello scorso secolo, abbattuto e ricostruito per ospitare la centrale telefonica. [52]

L'accresciuta importanza culturale e sociale del complesso conventuale fu, inoltre, segnata dall'arrivo nel 1673 delle reliquie di s. Fausto [53], tanto volute dalla Peparelli. Il possesso dei resti sacri dei martiri potenziava la venerabilità e il prestigio dell'istituto monastico divenendo, in alcuni casi, incentivo per avviare nuove trasformazioni architettoniche e artistiche. Gli importanti lavori compiuti nella chiesa all'inizio degli anni Ottanta del XVII secolo e legati solo in parte alla traslazione delle reliquie, sembrerebbero riferibili, nello specifico, alla committenza di Felice Giustiniani [54], priora dal 1677 all'estate del 1683, e a quella di Pulcheria (Diminilla, Dimitilla) Domitilla Gualdi, il cui fratello Pietro Paolo [55] aveva lasciato in eredità al monastero tutti i suoi beni.

Nel 1681 venne realizzato, sempre su disegno del De Rossi, il nuovo altare maggiore [56] [fig. 1] subito decorato con un dipinto raffigurante l'Assunta di Ludovico Gimignani [57], oggi in S. Pudenziana, e con stucchi dello scultore Filippo Carcani. Nell'ottobre 1682 la chiesa fu nuovamente consacrata. [58]

Fig. 1
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Dal Libro mastro di S. Maria delle Vergini risulta che le monache si avvalsero, anche per queste opere più tarde, di maestranze rinomate e già attive per il complesso agostiniano, tra cui lo scalpellino Carlo Torriani [59], artefice delle splendide colonne in «diaspro di Sicilia» dell'altare maggiore, l'imbiancatore Cristoforo Franconi [60] e l'indoratore Ippolito Fortunati. [61] La presenza di Torriani, operante in numerosi ed importanti cantieri romani, è riconducibile, come già detto, all'architetto De Rossi [62], con cui aveva collaborato nella realizzazione del grandioso pulpito di S. Marcello. [63] Allo stesso De Rossi è inoltre riferibile la partecipazione, fra gli artisti, dello scultore Carcani, sposato con la sorellastra Maddalena. [64]

La stagione barocca si chiuse con la costruzione nel 1689, epoca del priorato di Maria Margherita Ghiselli, del nuovo campanile [65] nonché con alcuni «abbellimenti» promossi, a partire dall'estate del 1692, da Floridia Celeste Parracciani (Paraciani, Parraciani) Quest'ultima, legata da vincoli di parentela col canonico Angelo Parracciani, per molto tempo deputato e camerlengo della Congregazione di S. Maria delle Vergini. [66] Quest'ultima, legata da vincoli di parentela col canonico Angelo Parracciani, deputato e camerlengo della Congregazione di S. Maria delle Vergini per molto tempo [67], intensificò la sua attività col secondo mandato. L'incremento della sua opera di mecenatismo può essere ricondotta al fatto che nel settembre 1696 il fratello Giovanni Domenico [68] venne nominato Prefetto della Congregazione. [69] Secondo i documenti, in quello stesso anno, fu «indorata» la chiesa ma soprattutto fu dipinta la cupola [70] ad opera del noto pittore Michelangelo Ricciolini. [71]

Il «Registro» delle monache riporta inoltre la notizia che venne realizzato, durante il secondo priorato della Parracciani, anche il prospetto principale della chiesa. [72] La questione della facciata, mancando un documento che attesti con esattezza il nome dell'architetto, non può essere ancora del tutto chiarita. Una delle ipotesi, ad oggi non verificabile, è che il disegno sia riferibile alla mano di Matthia De Rossi [73], architetto delle monache presumibilmente fino al 1695. [74] La scarsa documentazione relativa agli ultimi anni del XVII secolo non permette inoltre di precisare il tipo e l'entità dei lavori effettivamente compiuti. La pianta di G. B. Falda [fig. 2] mostra infatti l'esistenza, nel 1676, di una facciata, non molto dissimile dall'attuale [fig. 3]. Alla luce di ciò si può ipotizzare che forse, all'epoca della Parracciani, non sia stato realizzato ex novo il prospetto ma portato a termine o addirittura solo modificato quello già esistente. Dal 1699, ma presumibilmente già da prima, è documentato come architetto delle monache Domenico De Rossi, fratellastro di Matthia. [75] La sua partecipazione alla storia delle monache di S. Maria delle Vergini avvicina le vicende delle Agostiniane a quelle delle Clarisse di S. Silvestro, nella cui chiesa i lavori, avviati da Matthia intorno al 1689, furono portati a compimento proprio da Domenico. L'impiego degli stessi architetti nonché delle medesime maestranze, come Carlo Torriani ed Ippolito Fortunati [76], sembrerebbe attestare un simile orientamento di gusto fra le due congregazioni religiose ma, soprattutto, la volontà di avvalersi di professionisti capaci in grado di occuparsi, senza dimenticare la qualità del mestiere, sia della manutenzione ordinaria della chiesa e degli ambienti monastici sia, nel caso si fosse reso necessario, degli interventi artistici ed architettonici più impegnativi.

Fig. 2
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Fig. 3
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La priora Maria Maddalena dell'Incarnazione e le vicende relative all'ampliamento delle «clausura» di S. Teresa al Quirinale

Relativo alla prima metà del XVII secolo è anche il caso del complesso monastico delle Carmelitane Scalze [77] di S. Teresa al Quirinale, ubicato in quel tratto della via Pia, oggi XX Settembre, compreso fra il quadrivio delle Quattro Fontane e il largo di S. Bernardo [fig. 4]. La prima pietra della chiesa, ad aula rettangolare con scarsella quadrata, fu collocata nel novembre 1621, mentre il monastero annesso, fondato nel 1627 da Caterina Cesi, ottenne il «beneplacito» di Urbano VIII con un breve particolare del 1° maggio 1628. [78]

Fig. 4
fig. 4

Tralasciando, in questa sede, l'analisi delle vicende costruttive della chiesa conventuale s'intende, piuttosto, focalizzare l'attenzione su un dettagliato resoconto che, nonostante il suo evidente carattere elogiativo, fornisce interessanti notizie sull'ingrandimento della clausura e sul patronage architettonico espresso dalle priore di S. Teresa [79]. Da questo testo, copia più tarda d'una cronaca redatta nel XVII secolo, si evince che le monache carmelitane intentarono, prima del 1660, una causa nei confronti della vicina famiglia Mattei che pretendeva di vendere loro non solo l'orto, sito che le religiose volevano acquisire per ampliare la clausura divenuta ormai troppo angusta, ma anche il palazzo contiguo.

Le pagine della relazione settecentesca lasciano emergere la determinazione e la tenacia della priora Maria Maddalena dell'Incarnazione, la quale, pur non disponendo della somma di 18.000 scudi necessaria per assicurarsi l'immobile attiguo, decise comunque di acquistare sia il palazzo che l'orto, impiegandovi «il capitale del monastero». Ottenuta la licenza dai superiori dell'Ordine Carmelitano la religiosa, nonostante i tentativi del cardinale Ludovisi, benefattore del monastero, di dissuadérla, proseguì nel suo intento. Dopo molteplici vicissitudini le monache riuscirono a vendere i luoghi di monte ed acquisire, attraverso il deposito presso il Monte di Pietà, una prima somma di 6000 scudi, indispensabile per avviare le trattative di compravendita con i Cesarini, nuovi proprietari dei beni Mattei.

Le monache, a dispetto delle innumerevoli difficoltà incontrate, entrarono in possesso del palazzo il 23 dicembre 1660. I lavori, preventivati dalla Sacra Congregazione dei Vescovi e dei Regolari per la somma di 500 scudi, non furono però avviati a motivo dell'indisponibilità del capomastro muratore Giacomo, da tempo al servizio delle carmelitane. Quest'ennesima difficoltà tuttavia non scoraggiò la priora, la quale riuscì, infine, a convincere un altro capomastro a mettere in piedi il cantiere.

I lavori, intrapresi nel giugno 1661, proseguirono grazie al tempestivo intervento del cardinale Girolamo Colonna il quale volle «restituire al monastero» la somma di 2050 scudi che «teneva» a censo passivo. L'iniziale spesa prevista per l'ampliamento della clausura poté essere, grazie ai contributi economici ricevuti dal viceré di Napoli, dal marchese Sorozzi e dalla famiglia veneziana «Vidman», notevolmente superata. Per i lavori nel nuovo complesso, arricchito anche da un ampio chiostro porticato, furono infatti impiegati 6000 scudi.

Lo spirito di autonomia delle carmelitane si manifestò anche nel XVIII secolo. Intrapresi, col permesso del padre provinciale, i lavori per l'ingrandimento della clausura, le monache vennero bloccate, in corso d'opera, dal padre generale Carlo Francesco del Beato Giovanni Della Croce. Secondo il religioso, la priora, suor Chiara Maria di Santa Margherita, coadiuvata dalle consorelle, aveva infatti preteso di ingrandire il monastero «con disprezzo degli avvisi» della loro santa fondatrice «non solo nella qualità» della fabbrica, ma ancor più «nella spesa della medesima». Nonostante il divieto del padre generale e le conseguenti vicende legali le monache non si sottomisero e proseguirono la loro fabbrica. Grazie ai frutti dei censi creati con i denari ottenuti dalla vendita di un immobile e ad alcune donazioni, riuscirono a costruire, su progetto dell'architetto romano Francesco de Sanctis [80], le stanze per le educande, tre nuove celle, un braccio del nuovo refettorio, l'infermeria, le stanze del fattore e il nuovo «gallinaro» [81]. Oggi purtroppo la maggior parte della fabbrica di S. Teresa, frutto dell'impegno e della determinazione delle priore Carmelitane, non è più visibile in quanto sul luogo è sorto, alla fine del XIX secolo, il palazzo del Ministro della Guerra, poi della Difesa.

 

Le osservazioni raccolte in questo scritto possono costituire un piccolo tassello nell'ambito degli studi relativi al mecenatismo delle monache romane nel Seicento. Pur non essendo possibile trarre conclusioni definitive tuttavia si può, sulla base degli esempi considerati, già riconoscere il ruolo svolto dalle Agostiniane e dalle Carmelitane nel promuovere iniziative architettoniche e artistiche di qualità in Roma. Ruolo che si manterrà negli anni contribuendo a connotare, nel rispetto del pubblico decoro, sia il tessuto urbano della città sia la struttura interna degli edifici monastici.

Con questo non s'intende affermare che badesse come la Parracciani o la priora carmelitana Maria Maddalena dell'Incarnazione abbiano agito in piena autonomia rispetto alla giurisdizione dell'ordinario diocesano o del cardinale Protettore [82], ma che, come altre religiose operanti nel XVII secolo [83], si siano distinte per il dinamismo delle loro iniziative edilizie ed artistiche, non volto tanto ad aumentare il proprio prestigio personale quanto piuttosto ad offrire alle proprie consorelle un ambiente idoneo e appartato [84], in cui vivere e poter svolgere al meglio le pratiche devote e di assistenza.

Alla volontà di rinchiudersi in un microcosmo autosufficiente e confacente, dal punto di vista architettonico, alle rigide instructiones tridentine, corrisponde, allo stesso tempo, anche l'esigenza da parte delle monache di confrontarsi, soprattutto attraverso il linguaggio figurato, con il mondo esterno. La premura con cui le religiose si occupano della decorazione pittorica e scultorea della loro chiese, in particolare di S. Maria della Vergini, mette in luce come, soprattutto nell'ultimo ventennio del Seicento, i complessi conventuali, nonostante le forme privilegiate di vita contemplativa imposte dal chiostro, diventino importanti centri di produzione artistica barocca [85], ricca di contenuti dottrinali e simbolici ma anche in armonia con le declinazioni culturali più innovative del learned Roman world. È significativo a questo proposito osservare come la chiesa delle Agostiniane e ancor di più la vicina S. Maria dell'Umiltà, spettante alle monache Domenicane, tendano, come giustamente notato da A. Negro, ad avvicinarsi per «lo sfarzo degli ornati allo splendore di una sala patrizia» [86].

 


Note

1. Desidero ringraziare la prof.ssa Renata Ago per avermi accolto fra i partecipanti al convegno. La mia gratitudine va inoltre a Lucia Sebastiani, la quale, con affetto e disponibilità, mi ha dato consigli preziosi. A lei, che da molti anni si occupa di congregazioni religiose femminili e che per prima mi ha spinto ad indagare il mecenatismo delle monache, dedico questo mio lavoro. Un ultimo ringraziamento è rivolto al mio caro amico Raffaelle Pittella.

2. M. Caffiero, Il sistema dei monasteri femminili nella Roma barocca. Insediamenti territoriali, distribuzione per ordini religiosi, vecchie e nuove fondazioni, in «Dimensioni e problemi della ricerca storica», 2 (2008), pp. 69-102; vedi anche H. Hills, Invisible City: the Architecture of Devotion in Seventeenth century Neapolitan Convents, Oxford 2004.

3. Per la committenza femminile in Italia: cfr. S. Matthews Greco, G. Zarri, E. Chavarria (eds.), Monache e Gentildonne. Un labile confine. Poteri politici e identità religiose nei monasteri napoletani. Secoli XVI-XVIII, Milano 2001; G. Pomata, G. Zarri (eds.), I monasteri femminili come centri di cultura fra Rinascimento e Barocco, Atti del convegno storico internazionale (Bologna, 8-10 dicembre 2000), Roma 2005; vedi in particolare p. XVII nota 29, con bibliografia precedente.

4. Cfr. A. Lirosi (eds.), Le cronache di Santa Cecilia un monastero femminile a Roma in età moderna, Roma 2009; nello stesso volume vedi il saggio introduttivo di E. Brambilla, Scrivere in monastero, pp. 24-25.

5. M. Dunn, Piety and Agency: Patronage at the Convento of S. Lucia in Selci, in «Aurora. The Journal of the History of Art», I (2000), pp. 29-59; L. Sebastiani, Creare lo spazio per la clausura: Santa Lucia in Selci tra Cinque e Seicento, in «Dimensioni e problemi della ricerca storica», 2 (2008), pp. 103-118.

6. Sulle vicende architettoniche ed artistiche del complesso monastico di S. Maria delle Vergini, cfr. P. Mancini, Santa Maria delle Vergini (ora Santa Rita), in «Alma Roma», XVI (1975), pp. 33-41; A. Negro, Santa Rita (già Santa Maria delle Vergini), in «Roma Sacra. Guida alle chiese della città eterna», 4 (1995), pp. 35-37.

7. Archivio di Stato di Roma (ASR), Congregazioni Religiose Femminili, Agostiniane in S. Maria delle Vergini (d'ora in poi, Agostiniane in S. Maria delle Vergini), vol. 3762, c.1.

8. Archivio di Stato di Roma (ASR), Camerale III, Roma. Chiese e monasteri, b. 1880, copia del breve di papa Paolo V; Agostiniane in S. Maria delle Vergini, vol. 3762, cc. 2-4. La prima priora eletta fu Livia Gasparrini (ivi, cc. 3-4; una volta designata, la Gasparrini prese il nome di Orsola e rimase in carica fino al giugno 1629); per l'area del convento cfr. F. Bilancia, Gli Alveri: formazione e dissoluzione di un patrimonio, in M. Bevilacqua, M. L. Madonna (eds.), Il Sistema delle Residenze Nobiliari. Stato Pontificio e Granducato di Toscana, Roma 2003, pp.181-194.

9. Archivio di Stato di Roma (ASR), Agostiniane in S. Maria delle Vergini, vol. 3762, c. 34, c. 35 e c. 37, il 26 ottobre 1634 venne collocata la prima pietra della nuova chiesa.

10. Nel marzo 1636 al Ceccotti era in realtà subentrato Giovanni Battista Petraglia, ivi, c. 49; con Giovan Battista viene indicato Francesco Petraglia, anch'egli muratore, ivi, c. 60.

11. Per l'attività di Peparelli cfr. in particolare: E. Longo, Per la conoscenza di un architetto del primo Seicento romano: Francesco Peperelli, in «Palladio», 5 (1990), pp. 25-44; S. Tuzi, Peparelli (Peperelli), Francesco (1587-1641), in P. Portoghesi, Roma Barocca, Roma 2011, p. 723; cfr. inoltre T. Manfredi; Peparelli, Carlo Rainaldi e il palazzo Toschi Guidi di Bagno dei padri della Missione, in «Quaderni del Dipartimento Patrimonio Architettonico e Urbanistico», n. s. , 25-26, XIII (2003), pp. 131-142.

12. F. Fasolo, L'opera di Hieronimo e Carlo Rainaldi, Roma 1961, p. 423.

13. L. Marcucci, Continuità e innovazione tra Girolamo e Carlo Rainaldi: S. Maria della Scala a Roma, in S. Benedetti (eds.), Architetture di Carlo Rainaldi nel quarto centenario della nascita, Roma 2012, pp. 80-81 e nota 85 e note 93-97 a p. 88, con precisi riferimenti bibliografici ed archivistici.

14. Per una puntuale analisi del linguaggio architettonico di Peparelli cfr. P. Portoghesi, Roma Barocca, Roma 2011, pp. 353-354.

15. Nel 1638 Peparelli è documentato anche in S. Lucia in Selci (Archivio di Stato di Roma (ASR), Congregazioni Religiose Femminili, Agostiniane di S. Lucia in Selci, b. 3704, fasc. 1).

16. P. Cavazzini, Palazzo Ginetti a Velletri e le ambizione del cardinale Marzio, in «Römisches Jahrbuch der Biblioteca Herztiana», XXXIV (2001-2002), pp. 255-290, con bibliografia precedente.

17. Cfr. Regola del Monastero delle Monache di Santa Maria delle Vergini, Roma 1613.

18. Secondo i documenti rintracciati da A. Lirosi sembrerebbe che già negli anni Venti del XVII secolo le monache si trovassero sotto la giurisdizione del Vicario (cfr. a questo proposito A. Lirosi, I monasteri femminili a Roma nell'età della Controriforma: insediamenti urbani e reti di potere (secc. XVI-XVII), tesi di Dottorato di Ricerca in Società, Politica e Cultura dal Medioevo all'età contemporanea, XXIII ciclo, Università degli Studi 'La Sapienza', tutor: prof.ssa M. Caffiero, p. 115, tabella 10). Dalle pagine della Regola del Monastero (cfr. nota precedente, in particolare pp. 56-57 e p. 73) come anche dal«Registro» emerge, al contrario, una situazione di autonomia rispetto al Vicario (Archivio di Stato di Roma (ASR), Agostiniane di S. Maria delle Vergini, vol. 3762, c. 13, 20 ottobre 1630).

19. Archivio di Stato di Roma (ASR), Agostiniane di S. Maria delle Vergini, vol. 3762, c. 9 e c. 19, si tratta del primo priorato (1629-1632); il secondo priorato è nel 1647, ivi, c. 94.

20. Sorella di Livia Gasparrini, prima priora del monastero, cfr. ivi, c. 19 e c. 41, dal 1632 al 1635.

21. Si tratta di Maria Gasparrini (1632-1635) ed Eugenia Rubertini (1635-1638), cfr. ivi, c. 33 e c. 43.

22. Ivi, c. 41.

23. Ivi, c. 45 e c. 48.

24. Ivi, c. 22, cc. 31-32 e c. 34.

25. Nel cantiere di S. Lucia in Selci furono attivi, col Borromini, lo scalpellino Daniele Guidotti e il capomastro muratore Gregorio Quadri, cfr. M. Del Piazzo (eds.), Ragguagli Borrominiani. Mostra documentaria, Roma 1980, pp. 87-91; per l'attività di Guidotti e Quadri al servizio delle monache di S. Maria delle Vergini cfr. Archivio di Stato di Roma (ASR), Agostiniane di S. Maria delle Vergini, vol. 3803, c. 9, c. 45 e vol. 3762, c. 11.

26. Archivio di Stato di Roma (ASR), Agostiniane di S. Maria delle Vergini, vol. 3762, c. 96, Domenico Castelli è documentato già nell'agosto 1647; in quegli anni il muratore è Francesco Petraglia (presente almeno dal 1639, c. 67); a Petraglia subentrò, dopo il 1652, (Giovan) Battista Torroni (Torrone), cfr. ivi, vol. 3803, c. 73 e c. 79. Quest'ultimo restò in carica fino alla morte avvenuta il 3 gennaio 1662, cfr. ivi, c. 165. I documenti riferiscono che alla scomparsa di quest'ultimo venne nominato come nuovo capomastro muratore Giovanni Maria Paranzino (Paranzini).

27. Ivi, c. 65, elezione.

28. Ivi, c. 65.

29. Ivi, c. 80.

30. Ivi, c. 66. Per la cappella Sirtoli in S. Lorenzo in Lucina cfr. M. E. Bertoldi, S. Lorenzo in Lucina, Roma 1994 («Le Chiese di Roma illustrate», n. s., 28), pp. 105-108.

31. Archivio di Stato di Roma (ASR), Agostiniane di S. Maria delle Vergini, vol. 3762, c. 84 (1° settembre 1642); il 2 febbraio 1645 il cardinale Ginetti si recò alla «fabricha delle seconde celle», c. 94.

32. I documenti riferiscono che la casa del confessore e del fattore prospettava su via dell'Umiltà ed era contigua al palazzo Maccarani, cfr. Archivio di Stato di Roma (ASR), Agostiniane di S. Maria delle Vergini, vol. 5531, c. 7r.

33. Ivi, vol. 3762, c. 100.

34. Ivi, c. 121. La Navi venne eletta priora nel giugno 1653.

35. Ivi, c. 124.

36. Ivi, c. 127 e c. 128.

37. Ivi, c. 131. Le notizie sulla fabbrica sono scarse e confuse. Nel gennaio 1656 il cardinale Ginetti e i deputati Bernini, Arrigucci e Castelli entrarono nella clausura «per concludere» la fabbrica. Con quest'affermazione si voleva presumibilmente intendere che si sarebbe chiusa la questione della nuova costruzione. I documenti riferiscono infatti che nel marzo 1656 l'architetto Castelli e i capomastri muratori Pichetti e Torroni «posero mano alla fabrica» (cfr. ivi, c. 137).

38. Ivi, cc. 127-128; l'architetto Arrigucci era stato chiamato, qualche anno prima, come perito anche in occasione della causa delle Agostiniane di S. Lucia in Selci contro il muratore Gregorio Quadri cfr. Archivio di Stato di Roma (ASR), Agostiniane di S. Lucia in Selci, b. 3679 e b. 3686; sull'attività di Arrigucci cfr. R. Battaglia, Luigi Arrigucci: architetto camerale di Urbano VIII, in «Palladio», 6 (1942), pp. 174-183.

39. Cfr. in particolare  S. Tuzi, Castelli, Domenico (1582 ca.-1657), in P. Portoghesi, Roma Barocca, Roma 2011, pp. 661-662.

40. Archivio di Stato di Roma (ASR), Agostiniane di S. Maria delle Vergini, vol. 3803, c. 107, c. 122 e c. 124.

41. Per l'attività di Pichetti ancora in buona parte inesplorata cfr. S. Tuzi, Pichetti, Paolo (1630 ca.-1669), in P. Portoghesi, Roma Barocca, Roma 2011, p. 724; per un intervento di Pichetti per S. Maria delle Vergini cfr. Archivio di Stato di Roma (ASR), Agostiniane di S. Maria delle Vergini, vol. 3762, c. 162.

42. Cfr. Archivio di Stato di Roma (ASR), Agostiniane di S. Maria delle Vergini, vol. 3766, cc. 19r-27v; Notai R.C. A., vol. 10, cc. 544 e seguenti; nel 1672 l'architetto delle Agostiniane è Matthia de Rossi, cfr. Archivio di Stato di Roma (ASR), Agostiniane di S. Maria delle Vergini, vol. 3762, c. 192.

43. Archivio di Stato di Roma (ASR), Agostiniane di S. Maria delle Vergini, vol. 3762, c. 191. La giovane Peparelli (al secolo Anna Maria) aveva «accettato» l'abito nel 1643 (cfr. ivi, c. 84).

44. A. Menichella, Matthia De' Rossi. Discepolo prediletto di Bernini, Roma 1985; cfr. anche A. Anselmi, De Rossi Matthia, in B. Contardi, G. Curcio (eds.), In Urbe Architectus. Modelli Disegni Misure. La professione dell'architetto Roma 1680-1750, catalogo della mostra (Roma, Museo Nazionale di Castel Sant' Angelo, 12 dicembre 1991-29 febbraio 1992), Roma 1991, pp. 357-360.

45. Per la politica economica delle monache romane nel XVIII secolo cfr. S. Carbonara Pompei, Politica economica e architettonica delle Clarisse di San Silvestro in Capite, in «Dimensioni e problemi della ricerca storica», 2 (2008), pp. 103-118, con bibliografia di riferimento.

46. Archivio di Stato di Roma (ASR), Agostiniane di S. Maria delle Vergini, vol. 5531, c. 104r. Probabile parente dell'architetto Camillo Paranzino, il cui nome compare tra le carte delle monache, cfr. ivi, vol. 5531, c. 142; su Camillo cfr. T. Manfredi, Paranzini Camillo, in B. Contardi, G. Curcio (eds.), In Urbe Architectus. Modelli Disegni Misure. La professione dell'architetto Roma 1680-1750, catalogo della mostra (Roma, Museo Nazionale di Castel Sant' Angelo, 12 dicembre 1991-29 febbraio 1992), Roma 1991, p. 416.

47. Cfr. infra nota 59; nel 1700 è indicato come abitante nei pressi di piazza S. Silvestro in Capite, cfr. A. Pampalone, Parrocchia di S. Lorenzo in Lucina-Rione Colonna, in E. Debenedetti (eds.), Artisti e Artigiani a Roma, II, dagli Stati delle Anime del 1700, 1725, 1750, 1775, Roma 2005, p. 45.

48. Probabile figlio del «ferraro» Giovanni Maria Zaccaria, anch'egli attivo per le monache di S. Maria delle Vergini, cfr. Archivio di Stato di Roma (ASR), Agostiniane di S. Maria delle Vergini, vol. 3803, c. 70; per i lavori al Quirinale, cfr. A. M. Corbo, M. Pomponi (eds.), Fonti per la storia artistica di Roma al tempo di Paolo V, Roma 1995, pp. 200, 202, 204, 205, 207, 208, 210 e altre.

49. Presumibilmente unito da vincoli di parentela con Pulcheria Domitilla (Diminilla, Dimitilla) Gualdi, priora nel 1683, cfr. infra nota 55; per Francesco Gualdi cfr. Archivio di Stato di Roma (ASR), Agostiniane di S. Maria delle Vergini, vol. 3762, c. 193 e vol. 5531, c. 142r; ivi, vol. 3803, c. 91 (risulta che Gualdi era attivo almeno dal 1654).

50. Archivio di Stato di Roma (ASR), Agostiniane di S. Maria delle Vergini, vol. 5531, c. 142.

51. I documenti delle monache riferiscono che il 2 novembre 1672 «si dette principio alla fabrica essendo così ordinato da tutti questi Signori della nostra Congregazione …», cfr. Archivio di Stato di Roma (ASR), Agostiniane di S. Maria delle Vergini, vol. 3762, c. 222; il 4 marzo 1673 i Maestri delle Strade concessero alle monache la licenza per fabbricare il «muro della facciata» del loro convento, cfr. Archivio di Stato di Roma (ASR), Presidenza delle Strade, vol. 48, cc. 3v-4r: «Concediamo licenza al monastero e alle monache di S. Maria delle Vergini di Roma di poter fabricare il muro della facciata della loro fabrica che di presente fanno nella strada di detto monastero esistente nel Rione Trevi al filo del muro del detto monastero, et al filo del cantone della strada della delle 'Moratte' in conformità della licenza ottenuta …». I lavori dovevano essere condotti con l'assistenza, per il Tribunale delle Strade, dell'architetto Girolamo Marucelli (Maruscelli); cfr. inoltre Archivio di Stato di Roma (ASR), Agostiniane di S. Maria delle Vergini, vol. 5531, c. 142.

52. Una pianta del monastero databile intorno al 1870 è conservata presso l'Archivio Storico dell'Accademia di S. Luca in Roma e pubblicata in A. Negro, Rione II Trevi, parte VII («Guide Rionali di Roma»), Roma 1995, p. 24; cfr. Negro, Santa Rita cit., p. 37.

53. S. Ditchfield, Leggere e vedere Roma come icona culturale (1500-1800 circa), in A. Prosperi, L. Fiorani (eds.), Storia d'Italia, Annali 16, Roma, la città del papa. Vita civile e religiosa dal giubileo di Bonifacio VIII al giubileo di papa Wojtila, Torino 2000, pp. 33-73; A. Lirosi, Custodi del sacro: monache, reliquie e immagini miracolose nella Roma della Controriforma, in «Rivista di Storia della Chiesa», 66, 2 (2012), pp. 467-494; cfr. Archivio di Stato di Roma (ASR), Agostiniane di S. Maria delle Vergini, vol. 3762, c. 194, il corpo venne donato alle monache dal cardinale Vicario Gaspare Carpegna; nel 1648 le religiose avevano già ricevuto il corpo di s. Antonio Martire cfr. cc. 101-102.

54. Archivio di Stato di Roma (ASR), Agostiniane di S. Maria delle Vergini,vol. 3769, c. 533.

55. Ivi, vol. 3762, c. 204 e c. 210; per Pulcheria Gualdi cfr. anche c. 217; vol. 3769, c. 49, «Pulcheria Diminilla» è indicata come sorella «carnale» di Pietro Paolo Gualdi.

56. Archivio di Stato di Roma (ASR), Agostiniane di S. Maria delle Vergini, vol. 5531, c. 247e c. 249r, per l'altare venne spesa, come risulta dal Libro Mastro di quegli anni, la somma di 5.235 scudi e 45 baiocchi; il 22 febbraio si diede «principio alli fondamenti per fare l'altare maggiore», vedi vol. 3762, c. 222; i lavori di muratura furono condotti da Belardino (Bernardino) Perti cfr. ivi, vol. 5531, c. 219r.

57. G. Di Domenico Cortese, Profilo di Ludovico Gimignani, in «Commentari» (1963), pp. 254-265; cfr. Archivio di Stato di Roma (ASR), Agostiniane di S. Maria delle Vergini, vol. 5531, c. 227r.

58. Archivio di Stato di Roma (ASR), Agostiniane di S. Maria delle Vergini, vol. 3762, c. 223.

59. Sullo scalpellino Carlo Torriani, figlio di «Guido di Mendrisio», in S. Maria delle Vergini, cfr. ivi, vol. 5531, c. 126r, c. 247r e anche c. 249r; cfr anche ivi, vol. 3766, cc. 157r-159v; vedi inoltre A. Marchionne Gunter, L'attività di due scultori nella Roma degli Albani: gli inventari di Pietro Papaleo e Francesco Moratti, in E. Debenedetti (eds.), Sculture romane del Settecento, III, La professione dello scultore («Studi sul Settecento Romano», 19), Roma 2003, p. 71 e nota 68 a p. 104; A. Pampalone, Parrocchia di San Lorenzo in Lucina, in E. Debenedetti (eds.), Artisti e Artigiani a Roma, II, dagli Stati delle Anime del 1700, 1725. 1750, 1775 («Studi sul Settecento Romano», 21), Roma 2005, p. 45 e nota 493 a pp. 77-78 W. Eisler, Carlo Fontana and the maestranze of the Mendrisiotto in Rome, in M. Fagiolo, G. Bonaccorso (eds.), Studi sui Fontana. Una dinastia di architetti ticinesi a Roma tra Manierismo e Barocco, Roma 2008, pp. 373-374.

60. Da identificarsi col figlio di Pietro Franconi, anch'egli operante al servizio delle monache di S. Maria delle Vergini (cfr. Archivio di Stato di Roma (ASR), Agostiniane di S. Maria delle Vergini, vol. 3803, c. 50); su Franconi cfr. inoltre. A. M. Corbo, M. Pomponi (eds.), Fonti per la storia artistica di Roma al tempo di Paolo V, Roma 1995, p. 181.

61. Attivo per le Agostiniane almeno dal 1672 (cfr. ASR, Agostiniane di S. Maria delle Vergini, vol. 5531, c. 116v).

62. Per un pagamento all'architetto De Rossi nel 1684 cfr. ivi, vol. 5531, c. 204.

63. Cfr. L. Gigli, S. Marcello al Corso, Roma 1977, pp. 62-63.

64. Menichella, Matthia De' Rossi cit, pp. 14-15.

65. Archivio di Stato di Roma (ASR), Agostiniane di S. Maria delle Vergini, vol. 3762, c. 223, il 21 novembre 1689 «fu dato principio al nuovo campanile e fu fatto à spese del monastero»; una delle tre campane (la più grande) venne pagata 230 scudi da suor Innocenza Palombi.

66. Ivi, vol. 3762, c. 234. Suor Floridia Parracciani fu eletta priora il 28 maggio 1692. Secondo i documenti, durante il suo priorato furono compiuti numerosi lavori architettonici e artistici. Il primo anno fu realizzato nelle scale «grandi», per il costo di 10 scudi, il «re David»; vennero dipinte poi, per la somma di 15 scudi, la «prospettiva» di s. Paolo e quella di s. Antonio «à capo del coritore». Una spesa maggiore (100 scudi) fu impiegata per il «coro di sotto», mentre la somma di 25 scudi fu utilizzata per la figura di s. Guglielmo nel «coritore da basso». Durante il secondo anno del priorato venne «fatta», per la spesa di 300 scudi, la «Scala Santa»; furono realizzati, in ultimo, il «coro di sopra» e il «refettorio» (con la spesa di 300 scudi). Le carte delle monache riferiscono infine che gli «abbellimenti» vennero compiuti grazie ai «denari» che la priora aveva ricevuto dal fratello monsignore.

67. Archivio di Stato di Roma (ASR), Agostiniane di S. Maria delle Vergini, vol. 3762, c. 221, Angelo Parracciani morì nell'aprile 1691. Sulla figura di Parracciani, maestro di casa di Francesco Barberini, cfr. in particolare Banca dati "Giulio Rospigliosi" nel sito: http://www.nuovorinascimento.org/rosp-2000/opere/chi-soffre.htm.

68. Si tratta di Giovanni Domenico Parracciani, vicario nel 1689 della basilica di S. Pietro, nominato, l'anno successivo ponente della Sacra Consulta e, nel 1706 eletto cardinale, cfr. C. Weber (eds.), Legati e governatori dello Stato Pontificio (1550-1809), Roma 1994, p. 826.

69. Archivio di Stato di Roma (ASR), Agostiniane di S. Maria delle Vergini, vol. 3762, c. 238.

70. Ibidem.

71. Per gli affreschi di Ricciolini in S. Maria delle Vergini cfr. Negro, Rione II Trevi, cit., p. 19 e pp. 90-91, con bibliografia precedente.

72. Archivio di Stato di Roma (ASR), Agostiniane di S. Maria delle Vergini, vol. 3762, c. 238.

73. Menichella, Matthia De' Rossi cit., p. 50 e p. 75.

74. Non sappiamo in realtà fino a quando Matthia De Rossi restò al servizio delle monache. Nei documenti è indicato almeno fino al 1689, cfr. Archivio di Stato di Roma (ASR), Agostiniane di S. Maria delle Vergini, vol. 3767, c. 69v).

75. A. Anselmi, De Rossi Domenico, in B. Contardi, G. Curcio (eds.), In Urbe Architectus. Modelli Disegni Misure. La professione dell'architetto Roma 1680-1750, catalogo della mostra (Roma, Museo Nazionale di Castel Sant' Angelo, 12 dicembre 1991-29 febbraio 1992), Roma 1991, pp. 355-356, con riferimenti archivistici.

76. Archivio di Stato di Roma (ASR), Congregazioni Religiose Femminili, Clarisse di S. Silvestro in Capite, b. 5092.

77. Riguardo alle chiese e ai complessi conventuali dei Carmelitani Scalzi nel Lazio cfr. S. Sturm, L'architettura dei Carmelitani Scalzi in età barocca. La 'Provincia Romana': Lazio, Umbria, Marche (1597-1705), Roma 2012; per S. Teresa cfr. in particolare pp. 128-138.

78. Brevi notizie sulle vicende relative alle fondazione del monastero sono riportate in Lirosi, I monasteri femminili a Roma cit., p. 79: «Nel 1627 vede la luce il terzo monastero romano di carmelitane scalze: S. Teresa al Quirinale, anche detto «alle Quattro Fontane» o «in strada Pia». Ne fu promotrice Caterina Cesi, figlia del duca di Acquasparta e di Olimpia Orsini, nonché moglie del marchese della Rovere e già monaca a S. Egidio. Una volta fondata la nuova comunità, ella vi si trasferì portando con sé alcune religiose del suo precedente chiostro oltre a una monaca fatta venire da Napoli»; vedi anche Archivio di Stato di Roma (ASR), Camerale III, Chiese, b. 1890.

79. Archivio di Stato di Roma (ASR), Congregazioni Religiose Femminili, S. Teresa al Quirinale, b. 3766, fasc. 2.

80. T. Manfredi, De Sanctis Francesco, in B. Contardi, G. Curcio (eds.), In Urbe Architectus. Modelli Disegni Misure. La professione dell'architetto Roma 1680-1750, catalogo della mostra (Roma, Museo Nazionale di Castel Sant' Angelo, 12 dicembre 1991-29 febbraio 1992), Roma 1991, pp. 360-361.

81. Archivio di Stato di Roma (ASR), Camerale III, Chiese, b. 1890, fasc. 5 e fasc. 9.

82. Cfr. D. Rocciolo, Oltre l'architettura sacra: funzioni istituzionali degli edifici religiosi a Roma a metà del Settecento, in C. M. Travaglini e K. Lelo (eds.), Roma nel Settecento. Immagini e realtà di una capitale attraverso la pianta di G. B. Nolli, Roma 2013, pp.115-123.

83. Il patronage artistico delle badesse di S. Maria delle Vergini può essere messo a confronto con quella espresso da Vittoria Scorci ed Eleonora Boncompagni nel complesso agostiniano di S. Marta in Roma; Cfr. R. Luciani, Architettura e decorazioni, in R. Luciani, A. M. Campofredano, F. Astolfi, S. Marta al Collegio Romano, Roma 2003, pp. 16-19; cfr. per i riferimenti archivistici: Archivio di Stato di Roma (ASR), Congregazioni Religiose Femminili, Agostiniane in S. Marta, b. 3833. Per i lavori commissionati da suor Ottavia Baldoli e suor Maria Felice Barnabò nel monastero di S. Anna a Foligno cfr. E. Cecconelli, V. Picchiarelli, La chiesa esterna del monastero di S. Anna, in A. C. Filannino (eds.), Il monastero di Sant'Anna a Foligno. Religiosità e arte attraverso i secoli, Foligno 2010, pp. 227-241; vedi anche pp. 331-333.

84. Per i monasteri come luoghi protetti e isolati cfr. G. Zarri, Dalla profezia alla disciplina (1450-1650), in L. Scaraffia e G. Zarri (eds.), Donne e fede: santità e vita religiosa in Italia, Bari 1994, pp. 177-225.

85. Riguardo al ruolo di primo piano svolto dalle monache nella scelta della veste decorativa di S. Lorenzo cfr. M. Basile Bonsante, Committenza monastica e dimore patrizie a San Severo: la ricostruzione settecentesca del monastero di San Lorenzo, in M. Spedicato, A. D'Ambrosio (eds.) Oltre le grate. Comunità regolari femminili nel Mezzogiorno moderno fra vissuto religioso, gestione economica e potere urbano, Atti del seminario di Studio (Bari, 23-24 maggio 2000), Bari 2001, pp. 165-205. Ringrazio Andrea Faoro per la gentile segnalazione.

86. A. Negro, Santa Maria dell'Umiltà , in «Roma Sacra. Guida alle chiese della città eterna», 4 (1995), pp. 38-41.

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