L’editoria giuridica barocca siciliana. Un percorso tra immagini, testi e censure

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Author: 
Serena Falletta
Università di Trapani
Introduzione

Gli studi sull'editoria nell'Italia dell'età moderna sono stati caratterizzati in anni recenti da un profondo rinnovamento alimentato dal confronto - in parte tardivo - con le più solide tradizioni francese e inglese [1], dalla convergenza di specialisti di diversa formazione e dalla disponibilità di strumenti bibliografici specifici. La correzione degli orientamenti metodologici e teorici, che ha dato avvio anche a numerosi approfondimenti dedicati al storia del libro seicentesco, sembra però aver coinvolto solo in parte gli storici del diritto, maggiormente impegnati nell'analisi delle procedure censorie e delle pratiche di controllo sul mercato librario post-tridentino. [2]

L'esiguo spazio dedicato al libro giuridico del XVII secolo [3], non solo nelle analisi di settore ma anche nei più classici studi sulla storia politica e sociale dei libri nell'Europa dell'età moderna [4], è un'assenza che meraviglia. Nel panorama del mercato editoriale barocco, il peso delle opere giuridiche è infatti decisamente rilevante e strettamente connesso alle esigenze di una categoria - quella dei giuristi e dei pratici del diritto - che considerano il possesso o l'accesso ad una biblioteca fornita il capitale fisso indispensabile per la professione legale. [5] Caratterizzata da un impulso quantitativo considerevole e alimentata dalle numerose acquisizioni e riflessioni dottrinarie che si materializzano in trattati lussuosi, costosi e di grande formato, l'editoria giuridica barocca si sviluppa inoltre  all'interno di una congiuntura intellettuale che permette di cogliere a pieno i ritmi che governano lo sviluppo del mezzo di comunicazione costituito dalla stampa: perché è proprio il Seicento l'epoca in cui la civiltà dell'Europa moderna riorganizza il proprio sistema di pensiero, ragionando in termini commerciali internazionali e calibrando le proprie strategie non più sull'idea del "teatro del Mondo" ma su quella del "mercato del Mondo". [6]

Muovendo da queste premesse, la presente relazione propone un percorso panoramico che, snodandosi tra immagini, contenuti e disposizioni censorie del XVII secolo, illustri i tratti salienti di uno dei segmenti più importanti e fiorenti - quello giuridico - dell'arte della stampa in età moderna. Poiché l'argomento è di vasta portata, non si ha la pretesa di discorrerne in questa sede in modo esaustivo: ci si limiterà quindi a suggerire delle direzioni di ricerca, fornendo degli esempi concreti che, nell'ambito temporale determinato dall'ambizioso titolo, individuino perlomeno una casistica sulla quale condurre successivi e auspicabili approfondimenti.

Per meglio inquadrare problemi e prospettive di ricerca, l'intervento si concentra sulla produzione editoriale giuridica siciliana seicentesca, particolarmente consolidata in una dimensione locale, legata alle contingenti situazioni politiche e sostenuta da un patriziato urbano impegnato nella diffusione delle proprie ideologie e pretese municipalistiche. Valutare con attenzione la ricchezza e la specificità delle dinamiche regionali e cittadine è del resto una necessità più volte richiamata dagli storici, con lo scopo di approfondire un'impostazione che - non solo ma anche relativamente al periodo di espansione della stampa - tenga conto di una geografia policentrica. [7] Gli esempi proposti saranno quindi tratti da alcune delle edizioni giuridiche stampate in Sicilia nel XVII secolo e conservate presso il Fondo Antico dell'Università di Palermo: una delle tante collezioni librarie nascoste e scarsamente conosciute al di fuori della stretta cerchia di specialisti e studiosi che frequentano l'Ateneo, attualmente oggetto di inventariazione, analisi e studio da parte di chi scrive.

 

Il caso siciliano

Nella "stagione del particolarismo" - così è stato a più riprese definito il Seicento - l'urbanizzazione e il policentrismo esasperati diventano fattori propulsivi e forieri di specifiche identità regionali e locali. Già a partire dal Cinquecento del resto, la stampa è considerata arte eminentemente cittadina, strettamente legata alle vie del potere e della cultura, radicata nei grandi centri urbani. In Italia, Venezia - nonostante alcuni momenti di crisi - continua ad essere la padrona indiscussa del mercato editoriale, migliorando il proprio inserimento sui mercati dei regni di Napoli e Sicilia, dove la produzione locale non sembra essere adeguata ai bisogni del ceto dei giuristi in continua espansione e si consolida invece per soddisfare esigenze di diverso livello, in prevalenza politiche.

In mancanza di un censimento completo delle edizioni prodotte dalle officine tipografiche siciliane [8], i dati relativi all'editoria siciliana seicentesca sembrano ancora insufficienti, anche a causa delle difficoltà di accesso o alle sommarie inventariazioni di alcuni, preziosi, fondi librari. Basandosi sulle ricerche risalenti di Giuseppe Mira e Nicolò Evola, è comunque possibile ricostruire alcune scarne notizie sui tipografi, che appaiono riuniti in botteghe familiari e in corporazioni accanto ad alcune tipografie ufficiali, facenti capo ai Senati di Messina e Palermo. E' in queste due città che si concentra l'attività tipografica legata alla sfera giuridica mentre in altre località, compresa Catania e nonostante la presenza dello Studium, lo sviluppo della stampa appare irregolare o comunque legato in maniera episodica al mecenatismo locale. Una rapida analisi dei dati estrapolati dal Catalogo del Fondo Antico dell'Università di Palermo conferma il dislivello della produzione editoriale siciliana: se infatti, nel corso del XVII secolo, le edizioni giuridiche stampate a Palermo e conservate nel fondo sono 81, quelle messinesi sono 12 e solo 3 quelle catanesi.

Spesso consorziati in imprese editoriali di breve durata, librai ed editori palermitani sono stanziati, già a partire dal XVI secolo in ruga di Pisa o dei Librai - l'odierna via Alessandro Paternostro - importante arteria di collegamento tra il quartiere della Kalsa e la contrada della Loggia. Avvinti in un intreccio di relazioni di natura familiare con tipografi fiorentini o veneziani [9], seguono un trend già attivo dalla fine del Quattrocento nei circuiti di distribuzione del libro in Europa, istituendo una solida rete di rapporti che uniscono alle case madri una serie di aziende consociate, spesso rette da parenti o congiunti, secondo una modalità diffusa nel mondo dell'imprenditoria libraria. Esemplare appare, in questo senso, il caso della famiglia veneziana dei Carrara che a Palermo, dopo la morte di Giovanni Francesco, prosegue l'attività editoriale e tipografica per mano degli eredi, da riconoscere nelle figlie Innocenza, Livia e Leandra. Esponenti di una famiglia mercantile ben radicata nella vita sociale ed economica palermitana e capo di una solida impresa editoriale non esclusivamente tipografica, ma saldamente vincolata alle attività dei Giunta, i Carrara - che continueranno a gestire pro indiviso il patrimonio familiare fino al 1616 [10] - svolgono inoltre un ruolo fondamentale nella distribuzione delle opere a stampa in Sicilia, anche grazie alle relazioni con le case gesuitiche [11], e nella formazione di altri mercanti/tipografi palermitani.

A Giovan Francesco Carrara - di cui fu apprendista - risulta ad esempio legato Giovan Battista Maringo, l'editore palermitano più operoso in ambito giuridico (v. tabella 1). Attivo a Palermo dal 1598 al 1633, editore musicale e stampatore camerale, produce edizioni di buona qualità caratterizzate da una marca tipografica tipicamente barocca, raffigurante una mano che esce da una nuvola e che regge un compasso entro una base esagonale, con motto Dove Manca. [fig. 1 e 2] [12] Lo seguono, per numero di edizioni giuridiche edite, Angelo Orlandi (attivo negli anni 1624-1630, fig. 3) e Nicola Bua, stampatore ufficiale del Tribunale dell'Inquisizione, spesso consorziato a Michele Portanova.

Significativa anche l'attività editoriale di Erasmo De Simeone, presente nel fondo con 7 edizioni, e di Decio Cirillo, editore e libraio la cui produzione tipografica è stata giudicata da Evola la migliore del Seicento siciliano per nitidezza e accuratezza, che lavora a Palermo tra il 1612 e il 1657 e a Monreale nel 1648, spesso in collaborazione con lo stesso Orlandi e con il veneto Francesco Ciotti. La marca di Decio Cirillo è un'aquila di profilo che guarda il sole con il motto Semper eadem, entro una cornice con cartocci e mascheroni. [fig. 4]

Mentre la produzione editoriale palermitana sembra intensificare la sua presenza sul mercato librario nella seconda metà del Seicento, le stamperie messinesi appaiono al contrario coinvolte nella crisi economica e sociale generata dalla rivolta antispagnola del 1674-78. [13] La chiusura di uno degli empori commerciali più importanti del Mediterraneo e la sconfitta politica a seguito della ribellione sembrano infatti incidere notevolmente sul piano socio-culturale colpendo anche gli editori, che spesso sono costretti a spostarsi. [14] La crisi dell'editoria messinese sembra essere alimentata anche dalle scarse interazioni dello Studio pubblico cittadino con gli stampatori locali: dalle analisi condotte da Giuseppe Lipari risulta infatti evidente come "la gran parte dei testi che servivano per la formazione del vasto ceto dei giurisperiti cittadini proveniva dai centri più affermati dell'Italia peninsulare e spesso anche da oltralpe. Sono, infatti, 101 le edizioni dei docenti dello Studio (il 12,3 % delle 815 edite fino al 1678) ma appena 60 (quindi solo il 7,3 %) sono occasionate da interessi, più o meno evidenti, di didattica o di ricerca mentre il resto non presenta alcun legame con il ruolo svolto dall'autore nel mondo universitario". [15]

Il traino dell'editoria giuridica messinese nel XVII secolo è piuttosto rappresentato dalla stampa delle opere di autori illustri come Mario Giurba, la cui fortuna fuori dai confini siciliani è in gran parte affidata alle stampe veneziane e lionesi ma i cui lavori trovano ampio spazio - e a ragion veduta - presso i tipografi locali ed in particolare presso il genovese Pietro Brea, allievo del più noto Petruccio Spira, noto per i frontespizi incisi in rame di pregevole disegno e buona fattura. [fig. 5] [16]

Se i due centri maggiori di Palermo e Messina appaiono investiti maggiormente della responsabilità di dare alle stampe i lavori dei maggiori giuristi locali, le località minori danno vita ad una produzione editoriale legata a situazioni storiche più contingenti: Monreale ad esempio produce, oltre a testi di carattere sacro, anche le costituzioni sinodali che lo stampatore Giovanni Battista Maringo realizza trasferendosi temporaneamente sul posto nel 1638 e nel 1653. Alcune tipografie sorgono poi su impulso del mecenatismo locale: ne finanzia una a Militello in Val di Catania, dal 1617 al 1625, il marchese Francesco Branciforti mentre un'altra viene impiantata a Mazzarino, feudo di Carlo Carafa, e affidata al palermitano Giuseppe La Barbera dal 1687 al 1689. [17]

 

Caratteri estrinseci, elementi paratestuali, disposizione interna

Sebbene il XVII secolo sia strettamente legato al concetto di barocco, col rinvio alle categorie intellettuali della Controriforma, le forme politiche dell'assolutismo e le scelte artistiche estreme, per la storia del libro - e ancor di più per la storia del libro giuridico - simili etichette vanno utilizzate con parsimonia e sostituite ad una prospettiva di medio o lungo termine, che favorisca un approccio osmotico tra epoche e periodi storici piuttosto che nette fratture. Nondimento, nell'ambito della tipografia giuridica, per l'epoca in questione può essere assunto un punto fermo: l'eccessiva, quasi umorale, estetica barocca, si declina in edizioni di grande formato, spesso impreziosite da antiporte monumentali e frontespizi incisi, figure esuberanti dal punto di vista compositivo dove le suggestioni e la tensione creativa che segnano l'epoca si realizzano pienamente nelle architetture cartacee con il compito di esibire imponenza e slancio. Si tratta di una tendenza particolarmente evidente nella trattatistica giuridica e inversa alla diminuzione delle misure dei volumi, per ottenere minori costi e maggior manegevolezza, tipica invece del libro di letteratura o scientifico.

Prospetti e porte monumentali di vertiginose altezze, terrazze affollate di statue, gradinate e piani sovrapposti, angeli, santi, puttini, cornici e vasi di fiori sono gli elementi entro cui vengono inquadrati i titoli delle opere, ricreando un'architettura irreale, idonea alla rappresentazione del potere politico assoluto o al trionfo della Chiesa post-tridentina e capace di realizzare quell'unità tra barocco linguistico e barocco figurato avvertita da Walter Benjamin. [18] L'edizione giuridica seicentesca mostra dunque la tendenza alla monumentalità sin dal titolo, con blocchi di caratteri tipografici simili ad epigrafi e dimensioni diverse, con cui vengono formulate - distinguendole - le notizie relative all'autore, alle sue cariche onorifiche, alle finalità del libro, all'insegna del tipografo. [fig. 6, 7 e 8] Inoltre, seguendo l'inclinazione barocca all'ampollosità e al verboso, i titoli diventano non solo così prolissi da necessitare spesso l'intera pagina del frontespizio per essere contenuti, ma anche talmente complessi da risultare spesso di oscuro significato. In proposito, valgano le osservazioni di Steinberg: "[…] nel Cinquecento e nel Seicento si può osservare un graduale passaggio dalla compassata praticità del Rinascimento alla didattica verbale del periodo manierista e alla prolissità del barocco, unitamente alla crescente artificiosità dell'impaginazione, culminata nelle sciocchezze dei titoli a triangolo, a esagono, clessidra etc.". [19]

Titoli così lunghi difficilmente riuscivano a coesistere - sulla stessa pagina - con le decorazioni sovrabbondanti ed è legittimo ipotizzare che da questa nuova necessità abbia avuto origine l'antiporta [20], la più tipica espressione del barocco in tipografia, con illustrazioni allegoriche, enfatiche e teatrali che si inseriscono compiutamente nel processo artistico dell'epoca cui appartengono tanto da poter essere considerate un genere a sé stante. [fig. 12] Questo elemento paratestuale così scenografico, che soddisfaceva insieme due esigenze, allora assai sentite - quella di costituire una vistosa, attraente, facciata per il prodotto tipografico e l'altra, di tradurre i concetti in immagine [21] - si declina in ambito giuridico con la frequente presenza del ritratto dell'autore [fig. 10 e 11] accompagnato dall'immagine della Giustizia o dei suoi attributi [22]: un bell'esempio di questo modello è offerto dall'antiporta calcografica del Bachovius augmentatus, stampato a Ginevra da Andrea Bingio nel 1653. [fig. 9]

Contraddistinto da un'evidente evoluzione rispetto agli incunaboli e alle edizioni cinquecentesche, è anche il frontespizio. [23] E' infatti proprio col barocco che questo elemento paratestuale, apparso sin dal 1480 come semplice indicazione del contenuto con l'aggiunta della marca dello stampatore, assume un ruolo ampio e importante nell'economia esteriore del libro, abbandonando la struttura decorativo-compositiva dell'edizione cinquecentesca per diventare un fondamentale mezzo di pubblicità, proiettato a sintetizzare il contenuto dell'opera esaltandone i meriti e l'originalità. [24]

Anche nel caso del libro giuridico, il frontespizio seicentesco si differenzia quindi notevolmente da quello del secolo precedente, con i caratteri che appaiono nel disegno e nella grandezza funzionali rispetto all'architettura della pagina e al valore semantico delle parole, l'impiego di diversi corpi e colori che ben risponde al gusto barocco per l'asimmetria, il cambiamento, la mescolanza di elementi disomogenei. [fig. 13 e 14]

Oltre al frontespizio tipografico puro, che tipicamente segue un'antiporta molto decorata, il barocco afferma definitivamente anche il frontespizio con decorazione, che si presenta in diverse forme: con marca tipografica [25] [fig. 15], con vignetta [26] (fig. 16, con ritratto [27], con stemma. [28] [fig. 17 e 18]

Accanto a queste tipologie, tutte ascrivibili al cosìdetto frontespizio tipografico, si danno anche casi di frontespizi incisi, dove titolo e note non vengono impressi tipograficamente ma sono inseriti nella composizione, realizzata con tecnica xilografica o calcografica da un unico artista e frequentemente allusiva: tipico è il caso della raffigurazione di un paesaggio allegorico o di una architettura con figure simboliche, stemmi, ritratti. [29] [fig. 19] Frequente è anche il caso di frontespizi calligrafici, in cui - come suggerisce il nome stesso - l'artista si diletta a incidere la bella scrittura a mano. [fig. 20]

Se dunque nel libro giuridico cinquecentesco il corredo iconografico integrava il testo senza prevaricarne la partizione editoriale, adesso si impone invece immediatamente all'apertura del volume, con antiporte o frontespizi affollati e ridondanti cui si contrappone - in un doppio binario che è, anch'esso, tipicamente barocco - una disposizione interna del testo che al contrario ricerca l'ordine, la chiarezza, la praticità, la semplificazione di un mondo culturale sempre più affollato di testi e autori. [30] In questa direzione, il rapporto tra il contenuto e gli elementi formali o estrinseci appare quasi di antagonismo e le illustrazioni non sembrano integrare né commentare esclusivamente la composizione scritta, ma rispondere ad una logica estetica complessa in cui il rimando tra figura e testo è legato a implicazioni di natura psicologica o emotiva, tipica di questa cultura retorica. [31]

 

Chiesa e potere politico tra controllo e sfruttamento dell'editoria giuridica barocca

Alcuni dati, seppur espressi sinteticamente, possono aiutare ad inquadrare il problema della censura. A partire dalla metà del '500, nell'Europa cattolica, vengono pubblicati diversi indici di libri proibiti: quelli di matrice romana aspirano ad una validità universale - si pensi all'Indice Paolino del 1559, il più radicale e severo, che riporta circa mille testi proibiti [32] - ma l'Inquisizione spagnola mantiene una propria separata giurisdizione nella penisola iberica e nei domini italiani - tra cui la Sicilia - dove si utilizzano dunque prevalentemente gli indici iberici e, per il Seicento, l'Indice dei libri proibiti pubblicato a Madrid nel 1583.

Le disposizioni censorie, generalmente concentrate su opere e autori legati al mondo della Riforma, hanno un forte impatto anche nell'ambito della letteratura giuridica italiana. Già nel Cinquecento, numerose sono le opere che escono dal mercato legale per entrare i circuiti clandestini: tra tutti, i testi di Antonio Roselli e Charles du Moulin, forse il giurista più vessato in assoluto dalle disposizioni censorie, anche in relazione alla curatela delle edizioni dei consilia di Alessandro Tartagni e Filippo Decio. [33] Sottoposti a controllo censorio sono anche i trattati che mettono in discussione, in vario modo e a vario titolo, la giurisdizione ecclesiastica, come diventa evidente proprio nel Seicento, col controllo sistematico di autori spagnoli e italiani del calibro di Iacopo Menochio, Pietro Antonio Pietra, Francisco Salgado de Somoza, Mario Cutelli. In epoca barocca la censura insomma non colpisce più solo autori protestanti, tradizionali avversari della Chiesa tridentina, ma tutti coloro che elaborano risposte eterodosse sul piano della filosofia, della politica, del diritto e - ovviamente - della scienza.

A livello editoriale, ad essere più colpite dalle disposizioni censorie sono, piuttosto ovviamente, Roma e Venezia, dove già a partire dalla seconda metà del Cinquecento vengono predisposte le edizioni corrette secondo le prescrizioni romane. Ma il meccanismo censorio si insinua capillarmente nel continente europeo - diffondendosi anche a Parigi, Lione, Colonia e Ginevra - "perché le esigenze di un mercato tipicamente internazionale quale quello del libro potevano indurre comportamenti remissivi verso queste genere di prescrizioni nei più diversi ambienti". [34] I libri sospetti comunque circolano, nonostante l'atmosfera di segretezza, segno evidente che per tali manufatti esiste comunque una clientela disposta a rischiare economicamente e penalmente: lo attesta l'accesa protesta dei rappresentanti dei librai palermitani Giuseppe di Lorenzo, Carlo Bannelli, Domenico Chiappone e Antonino Protopapa contro il contrabbando librario, indirizzata nel 1682 al Senato della Città, "a causa che s'hanno intromesso in detta professione gente inatta a tal mestiero et, in ogni cantonera e per le strade, vanno vendendo libri d'ogni sorte senza havere riguardo al decoro d'una cossì honorata professione, oltre che, ogn'altra sorte di persone s'intromett a vendere libri senza essere prattici in detto esercitio […] oltre che si comprono e vendono da tal persone in prattici molti libri prohibit e senza corretti e libri rubbati senza haver riguardo alli prohibitioni ecclesiastici e secolari ed in danno del publico". [35]

Nel Seicento siciliano, l'attività di editori, tipografi e librai che pure è caratterizzata da un notevole incremento della produzione e del commercio librario, in connessione al progresso socio-culturale delle città, appare dunque fortemente condizionata dal controllo censorio. Gli interventi esercitati dall'autorità ecclesiastica, che già nel secolo precedente - con l'istituzione del Sant'Uffizio del 1542 - aveva influito notevolmente sulla formazione culturale e ideologica di numerosi intellettuali isolani e i cui provvedimenti diventeranno ancora più restrittivi alla fine del XVII secolo, appaiono particolarmente incisivi: a titolo esemplificativo basterà ricordare l'editto emanato nel 1697 dall'arcivescovo di Valenza e Inquisitore Generale del Regno Juan Thomàas de Rocaberti, che impone ai revisori ecclesiastici "che … levino tutto quello che può essere offensivo nello stile e nel termine, senza permettergli nessuno che sia ingiurioso. E se non basterà la loro autorità per rimediarlo, non li concedano licenza di stamparli, senza darne di ciò parte al Conseglio". [36]

Anche il potere politico, a partire dall'emanazione nel 1561 della prammatica De libris non imprimendis sine licentia proregis del vicerè Juan de la Cerda, esercita un ruolo importante nella sorveglianza e nel controllo dell'attività editoriale siciliana, istituendo nel Regno di Sicilia la figura del revisore addetto alla lettura delle opere prima della stampa e prevedendo sanzioni per i tipografi contravventori. [37] L'attenzione del governo laico nei confronti del testo giuridico si spiega del resto all'interno di un sistema comunicativo che fa del libro stesso, oggetto estremamente simbolico, veicolo di conoscenza e diffusione della politica barocca e assolutista, che conta sull'affidabilità e la stabilità attribuita al testo giuridico stampato come perpetua espressione della sua volontà. Da qui, la nuova determinazione di veicolare, attraverso il testo stampato, una conoscenza cristallizzata e unidirezionale delle norme e della dottrina e, più in generale, del controllo di questo nuovo strumento di formazione della mentalità: ovvero - come ha evidenziato Elizabeth Eisenstein nella sua famosa opera - la "sostituzione del pulpito con la stampa". [38] I libri giuridici promossi dal potere politico diventano, in questo senso, dei veri e propri libri-oggetto, edizioni lussuose e di grande formato che mirano a sottolineare - piuttosto che praticità ed efficienza - l'autorevolezza del loro contenuto e a promuovere il potere del loro autore. E' il caso delle edizioni delle fonti giuridiche del Regnum. [fig. 21]

In parallelo con quanto avviene in ambito letterario, anche nel settore giuridico la spettacolarizzazione del testo e del libro con lo scopo di celebrare il governo assoluto e rinascita nostalgica di ideali cortigiani [39] alimentano il ripiegamento degli intellettuali in una sorta di disinganno operativo, che si traduce poi nella sempre più stretta subordinazione al signore/principe. La massiccia produzione encomiastica, l'onnipresenza di lettere dedicatorie [40], la retorica ridondanza con cui dedicatari, titoli onorifici ed encomi altisonanti e ampollosi rivolti dagl autori o dagli editori ai propri patrocinatori aprono la maggioranza delle edizioni giuridiche del XVII secolo, rispecchiando fedelmente non solo un'epoca in cui il fattore politico influisce in maniera determinante sulla distribuzione e la dimensione delle opere a stampa, ma lo stesso gusto estetico barocco.

 

Conclusioni

Restano esclusi dal presente contributo alcuni fenomeni sembrano caratterizzare in maniera significativa lo scenario editoriale seicentesco, a livello locale e globale: la piena affermazione della stampa, l'influsso dell'umanesimo, la frammentazione religiosa conseguente la Riforma protestante, il consolidamento e la trasformazione delle strutture statuali sono una serie di elementi che hanno ricadute fondamentali sul mercato barocco dei libri giuridici, la sua organizzazione, la disponibilità dei testi. [41]

In questa direzione, e al di là dei casi locali cui è però necessario far riferimento per trovare le tracce e scoprire nuovi percorsi da approfondire, sarebbe sicuramente auspicabile continuare a ragionare sulla storia dell'editoria giuridica ampliando l'orizzonte a livello comparativistico e interdisciplinare. Un simile approccio e un dialogo internazionale sono infatti il punto di partenza in un ambito di ricerca tanto vasto, quanto rilevante dal punto di vista storico, antropologico e culturale.

 


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Tabelle

Tabella I

Editori palermitani attivi nel Seicento ed edizioni giuridiche

Giovan Battista Maringo

13

Angelo Orlandi

9

Nicola Bua

9

Decio Cirillo

8

Erasmo De Simeone

7

Giovanni Antonio De Francisci

6

Pietro Coppola

5

Francesco Ciotti

5

Giacomo e Francesco Maringo

4

Pietro De Isola

3

Alfonso De Isola

3

Guglielmo De Ippolito

3

Domenico De Anselmo

3

Agostino Bossi

3

Andrea Colicchia

2

Giovan Battista Rossi

1

Giuseppe Bisagni

1

Lorenzo Basso

1

Carlo Adamo

1


Immagini

1. Mario Muta, Decisiones novissimae Magnae Regiae Curiae … Regni Siciliae, Panormi, apud Io. Baptistam Maringum Impressorem Cameralem 1620 (Fondo Antico Unipa FZ C 73)
fig. 1

 

2. Marca tipografica di Giovan Battista Maringo. Fonte: Marques d'Impressors
fig. 2

 

3. Marca tipografica di Angelo Orlandi. Fonte: Marques d'Impressors
fig. 3

 

4. Marca di Decio Cirillo: Fenice sotto un sole splendente, Motto: renovata iuuentus
fig. 4

 

5. M. Giurba, Repetitiones, Messanae : Typis Io. Francisci Bianco 1635 (Fondo Antico Unipa SDI B III 13)
fig. 5

 

6. Nicola Riccio, Iuridica disquisitio de renuntiatione paragii, Panormi, ex typographii Petrii de Isola, 1680 (Fondo Antico Unipa SDI T I 9)
fig. 6

 

7. Filippo Cammarata, Responsa decisiva, Panormi, sumptibus Augustii Bossio, 1663-1665 (Fondo Antico Unipa SDI C II 19)
fig. 7

 

8. Antonio Bologna, Sententia in vino vectigali, Panormi, apud A. Colicchia, 1664 (Fondo Antico Unipa FZ A 70)
fig. 8

 

9. Bachovius augmentatus id est Cl.V. Reinhardi Bachovii Echtii I.V.D. Notarum et animadversionum ad disputationes Hieronymi Treutleri I.C. pars prior [...] - Coloniae Agrippinae : apud Andream Bingium ..., 1653, 4°, Antiporta incisa da Frederick Bouttats (Università di Modena, F.A.Triani 0192).
fig. 9

 

10. Giovanni Francesco Pasqualino, Commentarius ad secundum librum Pragmaticarum Regni Neapolis … , Panormi, apud Thomam Rummulo et Orlando, 1690 (Fondo Antico UP SDI B V 2) - Antiporta con ritratto dell'Autore
fig. 10

 

11. Francesco Risicato, De statu hominum in Republica …, Panormi, ex typographia Petri Camagna, 1673 (Fondo Antico UP, SDI B IV 11-12, Antiporta
fig. 11

 

12. Nicola Gaspare Riccio, Iuridica disquisitio de renuntiatione paragii … Panormi, ex typographia Petri de Isola , 1680 (Fondo Antico UP, SDI T I 9), Antiporta
fig. 12

 

13. Francesco Risicato, De statu hominum in Republica …, Panormi, ex typographia Petri Camagna 1673 (Fondo Antico UP, SDI B IV 11-12), Frontespizio bicromatico
fig. 13

 

14. Ottavio Caracciolo e Lanza, Decisiones Regiae Curiae Pretoriae Felicis Urbis Panormi …, Panormi, sumptibus Angeli Orlandi, apud Petrum Coppolam, 1641 (Fondo Antico UP SDI C II 13), Frontespizio bicromatico
fig. 14

 

15. Francisco Munoz de Escobar, De ratiociniis administratorum et computationibus variis … tractatus, Panormi, ex typographia Io. Baptistae Maringo, 1620 (Fondo Antico UP SDI A VII 10), Frontespizio con marca tipografica di Giovanni Battista Maringo
fig. 15

 

16. Pietro De Gregorio, Ad bullam apostolicam Nicolai Quinti et regiam pragmaticam Alphonsi regis de censibus, Panhormi : ex typographia Francisci Ciotti, 1622 (Fondo Antico UP SDI C II 1) - Frontespizio con vignetta
fig. 16

 

17. Carlo Caruso, Glossema dilucidum ac perutile seu Commentarium in Constitutiones pragmaticales ducis Sermonetae, Panormi : ex typographia Dominici de Anselmo, 1679 (Unipa, FA, SDI A IV 13 a) - Frontespizio con stemma
fig. 17

 

18. Frontespizi con stemma - Esempi tratti dal Fondo Antico Unipa
fig. 18

 

19. Regno di Sicilia, Pragmaticarum Regni Siciliae Novissima Collectio, Panormi : sumptibus Angeli Orlandi, 1636-37 (Fondo Antico Unipa, SDI R V 3) - Frontespizio inciso
fig. 19

 

20. Carlo Caruso, Sylva terminorum, Panormi, apud Dominicum de Anselmo 1661 (Fondo Antico Unipa SDI B VII 9 a) - Frontespizio calligrafico
fig. 20

 

21. Regno di Sicilia, Pragmaticarum Regni Siciliae novissima collectio, Panormi : sumptibus Angeli Orlandi 1636-1637 (Fondo Antico Unipa SDI R V 4)
fig. 21

 


Note

1. Per un quadro di riferimento cfr. Histoire du livre. Nouvelles orientations. Actes du colloque des 6 et 7 septembre 1990, ed. by H.E.Bödeker, Paris 1995. Testi imprescindibili per l'avvio di qualunque ricerca sul libro a stampa in età moderna sono gli ormai classici saggi di R. Chartier, L'ordine dei libri, Milano 1994; Id., Letture e lettori nella Francia di Antico Regime, Torino 1988; Id., Histoire de la lecture dans le monde occidental, Paris 2001.

2. Sul territorio italiano, l'egemonia culturale della Chiesa, che esercitò le sue funzioni censorie attraverso i tribunali e l'Indice dei Libri Proibiti, incise notevolmente sulle tre fasi della produzione editoriale - quella dell'ideazione, quella della circolazione e quella della conservazione - agendo sia preventivamente, con un controllo a priori delle opere da stampare, che repressivamente, sulle strutture di diffusione, cfr. R. Savelli, Biblioteche professionali e censura ecclesiastica (XVI-XVII secolo), in «Mélanges de l'Ecole française de Rome», CXX (2008) 2, pp, 453-472.

3. Per simili considerazioni v. R. Savelli, Il libro giuridico tra mercato, censure e contraffazioni. Su alcune vicende cinque-seicentesche, in Itinerari in Comune. Ricerche di storia del diritto per Vito Piergiovanni, Milano 2011, pp. 187-305 e A.M. Hespanha, Form and content in early modern legal books, in «Recht Geschichte», XII (2008), pp. 12-50.

4. Si veda, a titolo di esempio, lo spazio minimo che H.J. Martin dedica alla stampa giuridica nel suo Libri, potere e società a Parigi nel XVII e XVIII secolo: un totale di otto pagine, come rileva A.M. Hespanha, Cultura giuridica, libri dei giuristi e tecniche tipografiche, in Le radici storiche dell'Europa. L'età moderna, a cura di M.A. Visceglia, Roma 2007, pp. 39-68:39.

5. Cfr. Savelli, Biblioteche professionali cit. In generale, valgano le considerazioni di Angela Nuovo, che rileva come "la produzione dei libri di legge è stata sin dagli inizi uno dei settori di maggior successo per la stampa italiana", A. Nuovo, Produzione e circolazione di libri giuridici tra Italia e Francia (sec. XVI): la via commerciale Lione-Trino-Venezia, in Dalla pecia all'e-book: libri per l'università. Stampa, editoria, circolazione e lettura. Atti del convegno internazionale di studi (Bologna, 21-25 ottobre 2008), Bologna  2009, p. 341.

6. Per queste considerazioni v. A. Raffaelli, Appunti sul rapporto tra libri intellettuali e lettori nel Seicento italiano, in «Testo e Senso», XI (2010) [http://testoesenso.it/article/view/5]. Cfr. anche F. Barbier, Storia del libro. Dall'antichità al XX secolo, Bari 2004, p. 290.

7. Richiami in questa direzione in G.M. Anselmi, Istituzioni e letteratura nella cultura barocca, in I luoghi dell'immaginario barocco. Atti del Convegno di Siena (21-23 ottobre 1999), a cura di L. Strappini, Napoli 2001, p. 151.

8. Oltre al risalente lavoro di F. Evola, Storia tipografico-letteraria del secolo XVI in Sicilia, Palermo 1878, gli studi di settore si basano quasi esclusivamente sul noto repertorio di edizioni giuridiche curato da Antonella Cocchiara, frutto dello spoglio delle principali biblioteche della regione (Diritto e cultura nella Sicilia medievale e moderna. Le edizioni giuridiche siciliane dei secoli XV-XVII, con Prefazione di A. Romano, Soveria Mannelli 1994).

9. Cfr. M. Vesco, Librai-editori veneti a Palermo nella seconda metà del XVI secolo, in «Mediterranea. Ricerche storiche», IV (2007), pp. 271-298.

10. Su Giovan Francesco Carrara, attivo a Palermo fino al 1596, cfr. C. Trasselli, Un tipografo e libraio veneziano a Palermo. 1595-1596, in «Economia e storia. Rivista italiana di storia economica e sociale», XV (1968) 2, p. 230, che lo definisce "un uomo qualunque … privo di ambizioni e di ideologie". Opposta l'immagine del tipografo che è stata ricostruita da Vesco, Librai-Editori cit. esaminando i documenti notarili custoditi presso l'ASPA.

11. Vesco, Librai-Editori veneti a Palermo cit. p. 278.

12. Cfr. C. Pastena, Libri, editori e tipografi a Palermo nel XV e XVI secolo. Saggio biobibliografico, Palermo 1995.

13. Sull'attività tipografica messinese v. G. Oliva, L'arte della stampa in Messina, Messina 1901 e i più recenti contributi di A. Bonifacio, Gli annali dei tipografi messinesi del Cinquecento, Vibo Valentia 1977; Id., Il Cinquecento, in Cinque secoli di stampa a Messina, a cura di G. Molonia, Messina 1987, pp. 67-127; Catalogo delle edizioni messinesi dei secoli XV-XVIII, a cura di M.T. Rodriguez, Palermo 1997.

14. Si vedano, a titolo esemplificativo, le vicende dei Bisagni, che emigrano in un primo tempo a Catania per poi spostarsi definitivamente a Palermo, cfr. M.T. Rodriguez, Il Seicento, in Cinque secoli di stampa a Messina, Messina 1987, pp. 433-437.

15. G. Lipari, Produzione libraria e Messanense Studium Generale, in «Annali di Storia delle Università italiane», II (1998), pp. 175-187; v. anche G. Lipari, Gli annali dei tipografi messinesi del '600, Messina 1990.

16. Pietro Brea, attivo a Messina dal 1594 al 1632, è un tipografo genovese figlio di Filippo: trasferitosi a Messina, lavorò inizialmente presso l'officina di Fausto Bufalini e probabilmente, in quella del più noto Petruccio Spira. Nel 1593 sposa la vedova di Bufalini, Margherita, e ne dirige l'azienda. Per oltre un ventennio il B. fu il solo tipografo che operasse in Messina; durante gli anni 1602-1605 si hanno a suo nome stampe fatte per conto del libraio ed editore Lorenzo Valla; sono sottoscritte: "Ex officina Petri Breae per Laurentium Vallam". Durante i tre primi decenni del sec. XVII le edizioni del B. si susseguirono con ritmo costante, per cui egli divenne di gran lunga il più attivo tipografo messinese non solo del Seicento, ma di tutti quelli che lo avevano preceduto. Non poche sue stampe sono adorne da frontespizi incisi in rame (consuetudine iniziata in Sicilia dal Bufalini nel 1591) di pregevole disegno e buona fattura. Cfr. G. Repici, Brea, Pietro, in Dizionario dei tipografi e degli editori italiani. Il Cinquecento, Milano 1997, p. 197.

17. Queste ed altre informazioni in Trasselli, Un tipografo e libraio veneziano cit.

18. Cfr. W. Benjamin, Il dramma del barocco tedesco, Torino 1971, p. 233.

19. S.H. Steinberg, Cinque Secoli di Stampa, Torino 1982, p. 114.

20. "L'antiporta è una tavola incisa in rame, che nei libri del Seicento precede talvolta il frontespizio, nel recto della prima carta. Nelle lingue francese e inglese l'antiporta si chiama rispettivamente frontispice e frontispiece, mentre il frontespizio è page de titre e title page", meglio riassumendo - rispetto all'italiano - la principale funzione dell'antiporta che è soprattutto quella di offrire una roboante decorazione, capace di sollecitare il gusto del lettore dell'epoca, invitarlo ad accostarsi al volume, sfogliarlo, acquistarlo, cfr. F. Barberi, Il libro italiano nel Seicento, Roma 1985, p. 47.

21. La costruzione dell'immagine condiziona pesantemente la collocazione dell'occhietto o del motto che, non trovando più posto al centro della pagina, vengono ora inseriti negli spazi più impensati e piegati alle esigenze dell'immagine stessa: in un drappo, in un nastro, in elementi architettonici, in un sipario, in un animale etc.

22. Si veda in proposito A. Prosperi, Giustizia bendata. percorsi storici di un'immagine, Torino 2008.

23. In generale, l'introduzione del frontespizio rappresenta uno degli aspetti più marcati ed evidenti della trasformazione del libro manoscritto in stampato, tanto che si potrebbe dire, con Stanley Morison, che la storia della stampa è in gran parte storia del frontespizio, cfr. S. Morison, First Principles of Typography, London 1949.

24. Cfr. M. Santoro, Storia del libro italiano, Milano 2008, p. 141.

25. La marca, il primo e più frequente elemento figurativo di un frontespizio, dal XVI secolo viene posta tra titolo e note tipografiche, nella parte bassa del frontespizio. ll frontespizio con marca è la tipologia più diffusa nel Cinquecento, mentre tende a diminuire sempre più nel Seicento, in concomitanza con la fortuna di antiporte e frontespizi incisi che caratterizzano la grafica barocca.

26. Il frontespizio con vignetta è costituito da un titolo tipografico, di solito in alto, e da un'immagine realizzata mediante xilografia.

27. L'inserimento di ritratti nel libro a stampa, vista anche la sua diffusione nel codice miniato, entra subito in uso ma nel XVII secolo l'immagine del personaggio - autore, destinatario - viene generalmente inserita nell'antiporta.

28. Il frontespizio con stemma presenta lo stemma di un'autorità o di un ente, in qualche modo collegati alla pubblicazione: può dunque appartenere ad un sovrano o a un personaggio cui l'opera è dedicata o per conto del quale è stata realizzata e offre spesso l'occasione per realizzare motivi ornamentali o, addirittura, per decorare l'intera pagina.

29. Cfr. G. Boffito, Frontespizi incisi nel ibro italiano del Seicento: aggiunte al lessico tipografico del Fumagalli e al Peintre-graveur del Bartsch e del Vesme, Firenze 1922.

30. Cfr. Hespanha, Cultura giuridica cit., p. 44.

31. Sugli elementi paratestuali e i caratteri estrinseci del libro a stampa in età moderna v. G. Palumbo, Le porte della storia. L'età moderna attraverso antiporte e frontespizi figurati, Roma 2012.

32. Ripartiti in tre gruppi: 1. autori non cattolici dei quali si proibisce l'intera opera, inclusi testi di carattere non religioso; 2. autori anonimi, Bibbie vietate, tipografi di area svizzero-tedesca la cui produzione è interamente bandita; 3. libri omnes, ovvero intere categorie di libri che non riportano l'indicazione dell'autore o dello stampatore, senza data o luogo, senza permesso, cfr. A. Borromeo, Inquisizione spagnola e libri proibiti in Sicilia e in Sardegna, in «Annuario dell'Istituto Storico Italiano per l'età moderna e contemporanea», XXXV-XXXVI (1984), pp. 217-271.

33. v. Savelli, Il libro giuridico cit., p. 187; Id., Da Venezia a Napoli: diffusione e censura delle opere di du Moulin nel Cinquecento italiano, in Censura ecclesiastica cit.; G. Colli, Per una bibliografia dei trattati giuridici pubblicati nel XVI secolo, II. Bibliografia delle raccolte. Indici dei trattati non compresi nel Tractatus Universi Iuris, Roma 2003.

34. Savelli, Il libro giuridico cit., p. 205.

35. Archivio Comunale Palermo (ACP), Provviste, 1682-1683, Ind. VI, d. 117.

36. Biblioteca Centrale della Regione Siciliana (BCRS), Stampe, segn. E 208.

37. Cfr. Pragmaticarum Siciliae Regni novissima collectio, Panormi 1636, I, p. 442.

38. E. Eisenstein, Le rivoluzioni del libro. L'invenzione della stampa e la nascita dell'età moderna, Bologna 1995.

39. Nonostante una certa decadenza delle corti italiane: "(…) non è già più l'epoca dell'egemonia della corte: e la grande nobiltà, le città e, soprattutto, l'opinione pubblica, sono altrettanti attori di primo piano nel gioco politico. Lo stato assolutista deve, in definitiva, rassegnarsi all'alterazione di alcune categorie fondamentali per continuare a poter dettare le regole del gioco", Barbier, Storia del libro cit., p. 275.

40. Per approfondimenti sul contesto qui solo parzialmente accennato si rimanda ad alcuni studi ormai classici: J.A. Marvall, La cultura del Barocco. Analisi di una struttura storica, Bologna 1985; O. Brunner, Vita nobiliare e cultura europea, Bologna 1972; N. Elias, La società di corte, Bologna 1980; Id., La civiltà delle buone maniere, Bologna 1982.

41. Cfr. Savelli, Biblioteche professionali cit.

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