Il cardinale Ferdinando al granduca Francesco I, a Pisa

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Roma, 16 febbraio 1585

Med. 5092, n° 19 (cc. 45r-46r), firma autografa

//c. 45r //

Questi dì passati sentendo un mormorio, che diceva il signor Paolo [1] haver sposata l’Accorambona [2] io mi ritenni di andare a Bracciano fin che non hebbi una lettera da lui, con la quale repetendo molto chiaramente tutto quel che al papa, al Re [3], a Vostra Altezza, a me, et ad altri haveva già scritto diceva di nuovo, che non era mai anco per pigliarla. Andai, et fuori però della conversatione di lei stemmo allegramente in casa, et alla campagna, né mai si trattò di questo se non due parole nella conformità suddetta. Due dì sono mi disse Sua Santità in audienza, che ai suoi piedi era stato il vescovo di Nepi [4], mandato, come gl’haveva detto, dal signor Paolo, et  con sua lettera a  notificarli lo sponsalitio fattoa fra loro (se Sua Santità si ricordava bene delle parole) al primo suono delle quali ella dice, che roppe il proposito, cacciandoselo dinanzi, como homo poco avvertito in portarle quel che  non convenisse a lui, et  fusse indegno dell’orecchie sue, et mi consigliò che per chiarirmi meglio, io lo chiamassi, facendoli instanza di dirmi quel che era successo et che portava. Me lo feci venire, ma per molto che io li fussi d’attorno, non potetti cavarne se non che haveva preso giuramento di non dirlo ad altri che a Sua Santità, alla quale hiermattina feci intendere per messer Piero [5] quanto havevo passato con esso, et egli mi riportò facultà di assolverlo da tal giuramento, et comandarli, che pur mi scoprisse le sue commissioni. Con che havendolo richiamato di nuovo, non potetti anco indurlo a passare più oltre, pigliando tempo di pensarvi stanotte et rispondermi stamani, come poi ha fatto, dicendomi che non me lo poteva dire, et che non voleva offendere il signor Paolo, et simili novelle, alle quali io li risposi come meritava, dolendomi seco che contra la promessa fattami pur gli havesse scritto di questo che trattavo con esso, et vado imaginandomi, che la risposta di hieri et quella di stamane fusse quale haveva voluto il signor Paolo, poiché hier sera il Fiorello [6] mi portò //c.45v// una lettera con la quale Sua Eccellenza mi mostrava d’haverlo inteso come Vostra Altezza vederà dalla copia. Alla quale io non risposi con la penna, ma sì bene in voce, che per questo mi maravigliavo che mi chiamasse, et che non mi moverei da sedere quando venisse, non che andarlo a trovare altrove per sentir cosa, di che si doveva vergognare, et che haveva fatto tanto da mal cavaliere come dichiaravano tante lettere sue, et che se altra volta Sua Santità l’haveva dissimulato per quel che correva allhora, crederei che hora fusse per castigarlo anco per fare piacere a noi. Con tutti questi ragguagli ritornò stamane messer Pietro da Sua Santità, et la conclusione fu dopo haver discusso il caso, che Sua Santità conforme alla instanza mia comandasse al vescovo, che referisse distintamente al cardinale Savello [7] quanto doveva referire a Sua Santità, et a lui medesimo desse la lettera del signor Paolo, qualunche ella fusse; il qual Savello fu subito ragguagliato, et accordato  di pigliare per via di notaro in buona forma il detto del vescovo con la lettera per servirsene poi  ad irritare tutto questo successo, se per sorte havesse atto alcuno che essi pretendessero legitimo, et così fare un decreto, nel quale Sua Santità (mostrandone notitia) dichiari, che la persona, et matrimonio prohibito alla Accorambona innominatamente fu questo del signor Paolo, il quale non si nominò nella scrittura come all’uno et all’altro fu fatto in voce, sì che non ne potessero pretendere ignoranza, perché così desideròb egli con alcuni pretesti. Etc. Il vescovo dovrà havere havuto l’ordine et credo che harà havuto insieme una buona bravata dell’impertinenze usate con me e di comandamenti disprezati di Sua Santità, et vederò che quanto prima si esequisca tutto questo per lassarli poi scuotere et trescare a modo loro, et publicare il fatto et li nomi, sì che ogn’uno lo sappia et lo senta, et non si vantino d’havermela fatta in barba. E’ vero che il matrimonio saria invalido et nullo etiam con licenza del papa (semplice però) perché // c.46r// il signor Paolo per l’homicidio commesso a quel modo in persona del marito è inhabile a questo matrimonio senza dispensatione particolare, la quale non ha né secreta né palese, et il papa non gliela concederebbe, ma perché potevano discorrere, che cosa fatta capo ha, come si dice, sarà bene schiacciarli questo capo, et confonderli in conspetto del mondo. Egli forse dubitando delle mie parole dette al Fiorello debbe havere richiesto il signor Jacopo [8] di impetrarli sicura venuta ma pare che Sua Santità gl’habbia fatto rispondere, che qua non venga altrimenti come intenderò meglio domani, et di tutto il resto avvisarò Vostra Altezza come hora fo di quel che è successo fin qui, havendo lassato hiersera la parte che potevo dirli con speranza di potere dire hoggi con il rapporto del vescovo il caso più chiaro. La signora donna Felice [9] se ne sta in Gaeta, aspettando donna Girolama Colonna, et se ben invitata et aspettata dal signor Paolo in casa sua, è però resoluta di non andarvi per non havere a sentire il medesimo tormento se egli le presentasse questa […]c come lo provò stranissimo già in quei primi avvisi. Che è quanto mi occorre, et a Vostra Altezza bacio la mano.
Di Roma li xvj di febraro M.D.LXXXV.


1. Paolo Giordano Orsini, duca di Bracciano.
2. Vittoria Accoramboni.
3. Filippo II.
4. Orazio Moroni.
5. Piero Usimbardi, segretario del cardinale Ferdinando.
6. Giovanni Fiorelli, agente del cardinale Ferdinando.
7. Giacomo Savelli.
9. Felice Orsini Colonna, sorella di Paolo Giordano.
a fatto è macchiato d’inchiostro, forse eraso.
b Il testo porta desidero.
c Lacuna di almeno una parola.