Il cardinale Ferdinando al granduca Francesco I, Pisa

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Roma, 1 marzo 1585

Med. 5092, n° 25 (c. 52rv), firma autografa

//c. 52r//
 
Tornò il Silva [1], et mi riportò molta sodisfattione co’l ragguaglio datomi della volontà amorevole di Vostra Altezza et del buono stato di quella casa tutta. Tengo di poi la che Vostra Altezza mi scrive de’ 20, et quanto a banditi referirò di nuovo a Sua Santità  quel che me ne dice, ma io vedo tanta varietà da una volta a un’altra, che ogni dì meno intendo di questo paese, se non che non se n’habbia mai cosa di fermo. Poco fa volevano fare et dire, hoggi hanno assicurati tutti quelli Amici da Jesi nimici d’Alfonso [2] con circa cinquanta homini et vorriano sbattere questi Bisaccioni [3], ma a questo provederò io. Il signor Jacopo [4] ha condotti qui molti sciagurati. Per opera sua Giulio Colonna starà nello Stato di Castro, et il processo suo è cassato. In Valmontone luogo de Sforzi si ritirano et stanno molti sicuri. In questa campagna hanno un commissario contra banditi, il quale fa bene suo offitio, ma per ordine de superiori non tocca le iurisdittioni di questi baroni, di maniera che li tristi cacciati da lui dalli luoghi immediatamente suggetti, rifuggendo in quelle, son bell’et salvi, et mentre si vuole da Vostra Altezza et da altri principi, che non faccino cortesia di ricetto, a chi non piace loro, se bene non sia delinquente estraordinario, qua intorno procedono a questo modo, et il papa aggirato fra la varietà di questo procedere, pare avvilito, et in parole pare che vorria, ma in effetti non piglia espediente alcuno, et li disordini multiplicano, et se si dice, passano a domandare, come si faccia costà, et mostrano di saperne  stravaganze maggiori, et con esse consolarsi, et fermarsi nella freddeza et dappocaggine loro. Il che ho voluto dire a Vostra Altezza acciò che la sappia quel che passa, et talmente non imputasse //c. 52v// me di quel che pure tocca alla loro vanità, la quale non potrà produrre se non pessimi effetti, se in altro modo non si provede.
Il signor Paolo [5] hebbe la relatione dal vescovo di Sutri [6], et offertosi da se stesso di mostrare il fatto in forma autentica, mandò l’instrumento, pregando monsignor Portico [7] d’espeditione, con mostrare ancora, che non lassaria la donna, se non con la vita, la quale conveniva che li togliesse chi voglia separarlo da lei. Ond’io vo caminando a fine di fare fare una dichiaratione che egli sia la persona, con la quale a lei fu vietato di casarsi, et così lassare la cosa, che per altro chiarissimo ha il concubinato, da servirsene poi, se mai toccasse il servitio del signor Virginio [8] et questo passarà secretamente. Che è quanto mi occorre, et le bacio la mano.
Di Roma il primo di marzo M.D.LXXXV.


1. Francesco Silva, cfr. la lettera n° 16.
2. Alfonso Piccolomini.
3. La famiglia Bisaccioni, come quella Amici appena citata, apparteneva al patriziato di Jesi.
6. Orazio Morone.
7. Vincenzo Portico, vicegerente del cardinal vicario di Roma.
8. Virginio Orsini di Bracciano.