Il cardinale Ferdinando al granduca Francesco I, a Firenze

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Roma, 23 agosto 1585

Med. 5092, n° 72 (cc. 177r-178r), firma autografa

//c. 177r//
 
In questo pontificato una sola lettera di Vostra Altezza ho ricevuto sopra la coadiuteria di Montalcino per il priore Piccolomini, la quale per che mi parve in buona forma, et bastante a dichiarare la volontà di lei, però così lo replicai a Sua Santità come le scrissi, ma non mi parve già da insistere contra l’ordine che mi dava d’intendere meglio, perché non sapevo, né volsi domandarle, se si movesse per il medesimo che pare che movesse Gregorio [1] a trastullarmi per sei mesi con diverse proposte, né talmente mi lassò senza sospetto l’havere detto l’ambasciatore [2] in cerchio di sapere che Vostra Altezza, se ben scriveva per lui, non però lo voleva; che io mi assicurassi di fare secondo la vera sua volontà, promettendo maggiormente della suddetta sua lettera. Il papa giudicò la cosa conveniente, come dissi, et alle persone non dette escettione, né mostrò desiderare quella diligenza di più per incarire la gratia stimata da [lui] (come è), ordinaria, o per ponerla in gran conto a Vostra Altezza, ma per certificarsi meglio di fare in questo conforme al volere et al servitio suo, come si mostra pronto di fare nel resto. Hor dunque che Vostra Altezza mi scrive in modo da sodisfare a Sua Beatitudine, et che cessa il respetto della quasi violenza che Vostra Altezza presupone che volesse Sua Santità, io farò l’offitio alla prima occasione, et spero successo buono. Nazaret [3] venne, et se ne sta così, et delle cose di Francia si spera qualche  accomodamento anzi che no, ma non però ci è ancora ferma certeza, se non che Este [4] non manca di far co’l Re continui //c. 177v// buoni offitii, et conformi alli primi. Molto vicino a rompersi co’l Viceré di Napoli sta il papa per cagione di certo bando publicato, co’l quale proibisce che non vadano vettovaglie a Benevento, il quale bando vuole Sua Santità che egli revochi come contrario alle capitulazioni, et alla  iurisdittione ecclesiastica; et egli vorria metterla in pratica et in canzona senza rispondere molto a proposito, ma Sua Santità ha appuntati li piedi al muro tanto più che l’ambasciatore debbe più tosto che non haverlo caro, et Dio voglia che anco non fomenti, con mostrare, che questo non tocchi tanto al Re, ma che non sia per rovesciarsi adosso al Viceré. Etc.  Io [pregato] dal predetto ambasciatore scrissi al Viceré, esortandolo a fare come Alcalà [5], che primo fece questo bando, et instando Pio V lo revocò et annullò, mostrandoli che con questo atto honesto guadagneria Sua Santità et co’l contrario la perderebbe. Etc.  Mi risponde lungamente ma senza sustanza, come fa anco allo agente suo, onde il papa era alteratissimo, et voleva martedì scommunicarlo, come il dì precedente molto asseverantemente haveva minacciato a buon proposito con messer Pietro mio secretario, co’l quale mandato poi da me di conserto di questi ministri a mostrargli la risposta, et cercar di moderare l’impeto, ottenni a pena dilatione fino a nuova risposta per tutt’hoggi o domani, di che detti conto al Viceré con li suoi insieme, assicurandolo che il papa procederia subito alla scommunica, et poi anco (se egli perseverasse) allo //c. 178r// interdetto del Regno, se non dava avviso d’haver revocato quel bando, et io non sto punto in dubio che così farà, se egli con giusta obedienza non rimedia lo scandolo.
Il cardinale Sforza questi dì passati chiamò l’arcivescovo di Pisa, et con molte parole mostrandoli, che né la volontà né l’opera sua era tale, che non dovesse essermi cara, lo pregò a farmi fede, che voleva essermi amico, et con molte ragioni mostrò che io dovevo crederlo. Le cose passate et le lettere scritte costà cercò di escusare etc. Io li feci rispondere che il disputare delle cose passate non era la via di fermare la amicitia, et che però mi contentavo che di tutte si intendesse cancellata la memoria e che per l’avvenire et confidarei di lui, come voleva, et lo servirei come debbo […]a et così andarò temporeggiando seco, et osservando le attioni sue […]b fin’a quel termine, che sogliono considerarsi in caso simile. Egli poi mi condusse al giardino mio Mario et Paolo [6] suoi zii, li quali fecero una gran ciarlata in giustificatione, et come io non potetti negarli quel congresso, così me lo passai come conveniva. Et con questo a Vostra Altezza bacio la mano
Di Roma li xxiij di agosto M.D.LXXXV.

 
5. Pedro Afan De Ribera duca di Alcalà.
6. Mario e Paolo Sforza.
 
a Lacuna di due parole, al termine della quale si legge “-gioni”. Essa incide anche sul rigo sottostante.
b Lacuna di due parole, al termine della quale si legge “-mene”.