Il cardinale Ferdinando al granduca Francesco I, a Firenze

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Roma, 27 gennaio 1587

Med. 5092, n° 179 (c. 462r), firma autografa

//c. 462r//

Venerdì scrissi a Vostra Altezza quanto mi accadde. Venne poi il commissario della Camera [1] a farmi la richiesta di Montegiordano, al quale risposi, come havevo disegnato, et in nome di Sua Santità tornò a dirmi che, poiché disegnavo la compra et volevo servirmene per me, pensaria in altro per il suo servitio, et così dolcemente si è scansato questo scoglio con grandissimo gusto delli padroni delle case. Al medesimo commissario detti cura di trattare il pagamento di tanti pover homini, creditori per opere loro de condotti et di levarmi questo fastidio d’attorno, proponendoli di vendere tanta acqua, et Sua Santità come sentì che non si toccava la borsa, et che l’opera si pagava da sé, me ne dette subito la facultà, con che dovrà havere spente mille indegne inventioni de maligni. Parimente si contentò di farmi spedire libere le tratte, che mettevano in dubio, et negavano de grani di Chiaravalle, che è buona et utile materia, et a me cara per diverse cagioni, se bene hora tocca ad Altemps [2].
Monsignor Fulvio Teofilo nuovo vescovo di Forlì, fu auditore già del cardinale di Ferrara [3], et poi d’Este [4], da cui gli fu procurata quella chiesa con darne al Canobio [5] 500 scudi sopra Ferrara, et io l’ho aiutato nella espeditione, che alla morte d’Este restava imperfetta. Desidera che Vostra Altezza  lo conosca per suo servitore et gliene scrive, et io li fo fede che è homo da bene, et che in quel che toccarà li suoi vassalli le darà ogni sodisfattione. Le barche di vini che di Francia venivano al cardinale d’Este pare che siano in Livorno, dove scrive quel buttigliero che le guarda che li ministri di Vostra Altezza vogliono che si smaltischino, et però ve le ritengono, se già più tosto non è egli, che con questo pretesto cerchi di meglio fare il fatto suo, che qui non li succederia. //c.462v//
Et perché questo saria di danno alla heredità, alla quale è più espediente haverle qua per la facilità del ritratto, et per il pagamento de debiti, desideriamo Gonzaga [6] et io, che Vostra Altezza comandi, che siano licenziati, pigliandone lei quello che le piacesse. Così ho scritto al proveditore esortandolo a farli spingere innanzi, il che se non potesse fare senz’ordine di Vostra Altezza, la prego a comandarglielo et le bacio la mano.
Di Roma li xxvij di gennaro1587.


3. Ippolito II d’Este.
5. Cfr. lettera n° 48, nota 3. Canobio aveva appena rinunciato alla cattedra episcopale di Forlì.