Il cardinale Ferdinando al granduca Francesco I, a Pisa

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Roma, 1 febbraio 1585

Med. 5092, n° 15 (cc. 32r-34r), firma autografa

//c. 32r//

A Nostro Signore resi la risposta di Vostra Altezza sopra la chiesa di Pienza et Montalcino, mostrandole non restarvi altro, se non pensare al modo, che il vescovo resignando restasse co’l interesse suo non più diminuito, che se si trattasse di coadiuteria. Sua Santità mi ordinò che segretamente mi informassi della verità del frutto, poiché (saputa questa) si trovarebbe espediente al resto: per questo procurarò informatione di Siena, se bene qui da Clemente [1] medesimo molto minutamente intendo in che consista, et molto chiaro vedo, che passa duemila dugento, et se bene non è pari la rendita di Montalcino a quella di Pienza, nondimeno par che senza offesa dell’una, si potrà aiutare l’altra, poiché sendo una erettione medesima pare che non possa dirsi dismembratione di una quel che si desse per aiuto dell’altra. Intanto per Clemente ottenni nella medesima audienza la facultà di testare a sua sodisfattione, sì come prima havevo ottenuto la erettione di quella dignità nel modo che pur lo contentò.
In quella medesima occasione cominciò Sua Santità con me un ragionamento di banditi, domandandomi, come la facevano cotesti Stati di Vostra Altezza, et mostrando d’intendere, che ve ne fussero molti, et di molto travaglio. Io gli dissi, che nelli confini dalla parte di qua intendevo esservene qualcuno, et che giornalmente se ne castigavano, ma che dalla parte di Bologna non sentivo, che vi trapelasse questa sorte d’huomini, et che o di qua o di là non importava molto, poi che era molto più facile a Vostra Altezza che agl’altri di liberarsene sempre che volesse per li buoni ordini et forze di quelli Stati. Sua Beatitudine mostrò che non si debbe lassare crescere questa peste, ma reprimerla ne principii, poiché si vede col tempo portarsi //c. 32v// dove meno si crede, et passò a domandarmi (che è quel che io veddi  che la voleva dire) se io sapevo quel che ultimamente fusse successo in Bologna del conte Luigi Peppoli [2], et fingendo io di non saperlo, ella mi disse (quel che io pure sapevo) del giuramento, che egli aveva preso da mille dugento homini in circa di seguirlo in ogni fortuna et sbaraglio, et che questo era seguito con tanta solennità, et tanto publicamente, che non poteva, et non doveva comportarsi in modo alcuno, et che era resoluta di farne ogni dimostratione senza respetto alcuno domandandomi perciò, se io credevo che Vostra Altezza fusse per aiutarla. Io le dissi generalmente ma però con affetto d’havere visto sempre in Vostra Altezza tanta volontà verso il servitio di Sua Santità et di questa Santa Sede, che credevo che la se ne potesse promettere ogni amorevole et devoto affetto in cose minori non che in questa, che per esser publica rebellione, non poteva piacere a lei ancora et in questo passorono molte parole, nelle quali mi parve di lassarla  assai ben sodisfatta nella molta ansietà, che portava di questo fatto, et nell’ardore che mostrava di punirlo, accennando di volere rovinare Castiglione et gl’altri luoghi loro, et fare da dovero, et perciò domandandomi quanto fussero vicini al confine di Vostra Altezza, et con querela et sdegno dicendo che quei tali havevono  ricetto et fomento a Vernio, et non lassai d’accendere questo pensiero perché mi parve che il levarle animo, et lassare correre, fusse un lassare in certo modo patroni di Bologna  i Peppoli, et depressi li Malvezi [3], cioè darne l’arbitrio al duca di Ferrara [4], et lassare ingrandire coloro, che nelle cose nostre si son sempre portati male, et contra la casa nostra particolarmente a favor  de nostri rebelli suministrate forze //c. 33r// et artiglierie. Vennemi subito in pensiero ancora, che con questa proruptione Sua Santità fa inimica quella città al signor Jacopo [5], et così sforza  sé et lui di ristrignersi con Vostra Altezza, et di fare per sua cagione una nuova promotione, della quale sono talmente disposti li suggetti, che seguendo con questa mira, come sarà, venendosi a questi cimenti, potremo dire di havere buonissima parte, et nel medesimo tempo potrebbe succedere di scartare il cardinale San Sisto [6] poiché né egli saprà astenersi di fomentare li poppoli, et Sua Santità s’è ragionevolmente accesa contra di loro, ne resteria offesa, et che con le suggestioni delli emuli suoi potria cadere, che è quel che mi piacerebbe sommamente  per la volontà che ogni dì egli scuopre peggiore contra di noi. Hiermattina di poi  andando io al mio giardino mentre il cardinale Guastavillano [7]  che alla Trinità s’andava trattenendo per abboccarsi con me (se io non mi inganno) et più tosto mandato dal papa, che da se stesso. Mi ragionò nella medesima conformità, aprendomi che Sua Santità haveva di poi commesso al nuntio, che sopra questo trattasse con Vostra Altezza, et che ella stava resolutissima di dar dentro, se di costà li fusse fatto spalla. Io presi colui, il quale col signor Jacopo  insieme, come altra volta ho detto, contra San Sisto favoriscano li Malvezi, et disfavoriscono li Peppoli, spinsi la pedina quanto potetti con la medesima mira suddetta, et reggo che tutte due caminano bene, ond’io credo che anco Vostra Altezza porgendoglisi questa occasione di pagare gl’huomini, come si dice, il sabato, et riconoscerli secondo li meriti antichi, et nuovi giudicarà di dovere mostrare in questo a Sua Santità qualche effetto delle offerte fatte, et così senza più carico suo che tanto battere quelli, et con servitio aperto guadagnare con Sua Santità //c. 33v// et con quest’altri. Ai quali fu anco un altro servitio, che pur mira a confermare la disunione fra loro et San Sisto, et è che havendo monsignor Lamberti [8] fatto una gran menatura per unire Altemps [9] con San Sisto, io ho tenuto tal proposito con Altemps, che egli non ha stimato quello di punto suo servitio, et mostrato di volersi tenere con Guastavillano, come io l’ho persuaso, sì che m’ha pregato che io lo spinga da lui, perché abboccandosi farà una quasi stipulatione dell’amicitia, che hanno da haver insieme. Che è quanto passa per hora in queste pratiche, nelle quali crederò che San Sisto non sarà mal pagato da noi.
Sua Santità non sta hoggi molto bene co’l cardinale di Santo Stefano [10], il quale con la sua natura  havendo offeso ognuno, ha fatto che ognuno desideri o procuri che si levi d’offitio, et non sarà gran fatto che succeda, et io l’harei caro, poiché oltra l’altre cose vedo come la passa in questa d’Altopasso che in tanti mesi, con tante mie visite, et con tante sue promesse, et con ordine di Sua Santità non gli si può cavare di mano, stando malato il sostituto che soleva andare alla firma delle supplicationi, il cardinale predetto ne mandò monsignor Spetiano [11] homo parimente odioso a tutti, et forse poco grato a Sua Santità, alla quale come nessun di loro n’haveva fatto motto così ella stimando, che volessero farlo Datario di loro autorità, non volse che fusse ammesso, ma gli levò le supplicationi, et sentendo che fuora n’erano uscite alcune datate da lui comandò che anco da queste si astenesse, et se n’andasse quanto prima alla sua Chiesa dando segno al cardinale predetto, che questi modi non le fussero punto piaciuti; da che li malsodisfatti, che hanno l’orecchio di Sua Santità han preso occasione di dir cose che prima non si //c. 34r// ardivano, per le quali non sarà gran fatto, se ella lo assolva di quella fatica che in ogni modo per le sue podagre difficilmente può reggere.
Il negotio del marchese di Riano [12] si può dir finito, poiché altro non resta, che accomodar la forma delle parole, che s’hanno a dire le parti, a che si attende hora, et non ha dubio che si trovarà a sodisfattione di tutti. Parimente è finito l’altro di Aquileia, che pur mi disse il papa sentendo il cardinale di Verona [13] venuto mentre io stavo con Sua Santità, et sarà insomma, che il Patriarca [14] se ne torni et che Venetiani lassino a  ministri  suoi quello et gl’altri feudi senza più ingerirsene, così non donano la cosa come loro, né il papa da loro l’accetta, et tutti hanno per bene di finirla.
Olivares [15] è avvisato che parimente hanno relassato quel galeone, et rimesse nello stato pristino le commende di Malta, et che al resto ancora si trovarà buona forma, et forse che questa fattione dell’Emo [16] gli persuade a levarsi l’altre brighe d’attorno.
Di Fiandra non vi sono già nuove liete, poiché et la chiusura del fiume dall’acque et dalle navi nimiche era andata in malhora, et li stati con ogni conditione cercavano di tirar il Re Cristianissimo [17] alla difesa loro, dandoli libere quattro piaze di mare di presente se si scoprisse, et speravano che accettaria. Che è quanto m’occorre, et le bacio la mano.
Di Roma il primo di febraro M.D.LXXXV.


2. Luigi Pepoli.
3. I Malvezzi, famiglia bolognese opposta ai Pepoli.
4. Alfonso II d’Este.
7. Filippo Guastavillani.
8. Si tratta verosimilmente del lucchese Michele Lamberti, che gli Avvisi di Roma del 16 apr. 1586 (in Pastor, Storia dei Papi, V, p. 598, doc. num. 12) indicano come promotore delle iniziative per la bonifica delle paludi Pontine.
9. Il cardinale Markus Sittich von Hohenems.
10. Matthieu Cointerel. Cfr. la lettera n° 42, nota 6.
11. Cesare Speciano.
14. Aloisio Giustiniani.
16. Gabriele Emo, ammiraglio.
17. Il re di Francia Enrico III di Valois.