Il cardinale Ferdinando al granduca Francesco I, vedi retro

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Roma, 17 maggio 1585

Med. 5092, n° 49 (c. 122r-123v), firma autografa

//c. 122r//
 
Co’l papa vo trattanto fin’hora in modo, che posso dire che se ne contenti, et se ne lodi et desideri negl’altri il medesimo, poiché dolendosi co’l suo coppiere di molti etiam cari che troppo debbono premerlo, lodò me (dicendo) che se bene per quel che ho fatto potrei pretendere sopra gl’altri, pur lo lasso vivere, et lo molesto assai meno che non vorrebbe egli medesimo, sì che Vostra Altezza non tema che io mi guasti co’l volere troppo, o mi provochi la malignità altrui con soverchie apparenze. Io conobbi sempre Sforza [1] debole et maligno, ma non lo stimai già mai tanto imprudente quanto me lo mostra la sua lettera scritta a Vostra Altezza, l’ho sempre honorato, et ho dissimulato seco molte sue frascherie, che m’hanno invitato a fare belle le piaze, et questo forse più che non conveniva, et presuposto che il fatto habbia ricercato, che habbi talhora lassato andare qualche parola per non parerea stolido interamente, può considerare Vostra Altezza di quali egli si reputi  schernito et vilipeso, poiché le due che narra  per principali et chiare sono tanto fuor di squadra, perché et il parentado volse che lo trattasse il signor Mario [2], et recusandolo egli, non volsi venire al ristretto, se prima egli non mi scrisse, che non voleva esserne autore per diverse cagioni, ma che voleva bene che fusse libera la signora Beatrice [3] di disponere di sé, né si opponeva che altri ne trattasse. Et la licenza del signor Mario vorrei che mi dicesse come l’attribuisca a me, che pur potrei con esso negarmene autore, se ben fui, et ho caro, che //c. 122v// che mi stimino tale. La lettera è certo molto impertinente, et Vostra Altezza gli risponde come merita. Onde credo che et la lettera sua, et la risposta se la terrà in tasca senza mostrarla ad alcuno, come successo diverso assai dalla opinione sua et de zii, et io non ho da aggiugnervi altro, né da mutare, ma solo la ringratio che ribatta così la sua prosuntione, et fingerò di non saper cosa alcuna, et Vostra Altezza perciò potrà fargliene mandare per la mano ordinaria de suoi ministri. Del ristringersi col papa di parentado, come vorria il signor Paolo [4], io non mi muoverò né più né meno che voglia egli, poiché a lui prudentemente rimette Vostra Altezza questa deliberatione, et solo pregarò Dio che lo spiri al meglio, et il discorso che io ne feci con lei, fu perché nelle cose nostre non ho mai da praticare cosa non partecipata prima con essa, come sempre mi stimarò dovuto. Quella contessa di Sant’Angelo [5] s’allarga sempre più, et io non so darne la colpa ad altro che al signor Paolo, al quale sopra le cose vecchie levi assai di reputatione l’inclinatione che il mondo presupone nel papa contra di lui ma non si lassa, et non sarà cosa per don Pietro [6], poiché ha pur sempre la mira a Spagna, et in vero che io non so raccogliere dalle sue parole et promesse, se non ferma resolutione di sodisfarci et presto con alcuno casamento. Vorrà partirsene fra quattro giorni, et Vostra Altezza sarà avvisata qual sia //c. 123r//  l’appuntamento ultimo in questa parte. Ho visto l’inserto dell’Urbano [7], il quale se ben tardo per questo negotio finito, mi è però grato per vedere  dove finalmente miri la resolutione di Cesare [8], et come debbiamo calcularla per gl’interessi nostri. La venuta di Nivers [9] ha qua molti comenti, et però non sarà forse se non bene che si sappia qualche cosa del vero, o di quel che Vostra Altezza vuol che se ne dica, o se ne creda per quietar gl’animi.
Al Biffolo ho offerto quel che io possa per suo benefitio, et lo farò, come farò anco per l’Abbioso, et per il signor Pirro Ottone di Matelica etc.
Morse hieri Vercelli [10], come si dice, di secco in secco, et noi non habbiamo fatto punto di perdita, poiché haria sempre havuto mira principalissima d’haiutare Farnese in tutti li modi. Non potendo io andare per il mio piede, mandai a raccomandare al papa, il cardinale suo nipote, che mostrò haverlo carissimo, et mi fece dir che Gambara [11], >…<b come di gratia ricevuta volse pur baciarli il piede d’una badia chiestali, ma che non glie la daria altrimenti, et che chiedendogliene San Giorgio [12] un’altra, poco era mancato, che non gl’havesse risposto di volerla per quel suo figliolo, volendo inferire alla novella che San Giorgio haveva levata per impedirla in sede vacante, che Sua Santità havesse un figliuolo. Raccomandai anco il cardinale di Firenze [13], et Sua Santità amorevolmente mostrò che ne haverebbe //c. 123v// memoria, la quale anco non lassarò  di tenerle rinfrescata, come me n’obliga il desiderio di vederlo provisto. Et sendo quanto mi accade le bacio la mano.
Di Roma li xvij di maggio M.D.LXXXV.
 
L’Ammannato rispondendomi dice che verrà subito et volentieri, se Vostra Altezza glielo commetta, onde par che sia per aspettare l’ordine suo.

 
3. Beatrice Sforza, figlia di Mario.
7. Il cav. Orazio Urbani, ambasciatore di Toscana presso l'Imperatore.
12. Il cardinale Francesco Sforza, diacono di San Giorgio in Velabro.
 
a parere è macchiato d’inchiostro.
b Espunto che Gambara.