Il cardinale Ferdinando al granduca Francesco I, a Firenze

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Roma, 26 luglio 1585

Med. 5092, n° 65 (cc. 162r-164r), firma autografa

//c. 162r//
 
Già prima che io vedessi l’arcivescovo di Corfù [1], o ricevessi la lettera che Vostra Altezza mi scrive in sua raccomandatione havevo havuto occasione di fare fede a Sua Santità dell’amor che la gli portava, et quanto caro saria a lei, alla Granduchessa [2] et a tutti noi ogni aiuto, che la gli dessi, mostrandoli anco quanto ne fusse meritevole, et ne havesse bisogno per sostenere  il grado suo. Et questo fu con occasione del ragguaglio, che Sua Santità mi dette della raccomandatione che gliene faceva la Granduchessa, et per sentir da me se veramente premevano le cose sue, et credo che tornasse assai bene fatto, poiché Sua Santità sentendomi, mostrò molta buona inclinatione di volere  tenere  buon conto con esso, et aiutarlo nell’occasioni che venissero in quel dominio, come ho detto a lui quando m’ha poi dato la carta di Vostra Altezza in esecutione della quale con altra congiuntura replicarò il medesimo con quella efficacia, che la comanda. Non inutile offitio parimenti mi venne fatto per il cardinale  di Fiorenza nel dirmi Sua Santità che Vostra Altezza glielo raccomandava, ma, come scrivo a lui, conviene appagarsi delle parole, et volontà  ch’apparisce buona, mentre che si presentino occasioni proportionate, le quali si sono  sentite molto rare fin’hora per le resignationi de cardinali morti, et io lo terrò ricordato. Nella medesima audienza dicendomi Sua Santità che quella istessa mattina haveva sentito la morte del Quaranta Giambeccari [3], io li //c. 162v// ricordai l’Ercolani, et ella molto bene ricordevole di ciò che m’haveva già detto, m’ordinò ch’io gliene mandassi memoriale, mostrando inclinatione di consolarlo, et così ho fatto, et avviserò del successo. Don Pietro [4] per cosa, ch’io habbi detto, et scritto non vuol intender di mandare procura. Ond’io vedendo negata da lui cosa di nessun momento, stimo non havere cagione di dissentire da Vostra Altezza nel giuditio, et coniettura de concetti di lui, il quale mostra stimare superflua questa diligenza dove siano lettere sue con quelli signori che (come dice) sanno chi egli sia etc. sì che io non saprei fare altro di più, che sollecitare chi tratta per venir  quanto prima alla dichiaratione più aperta dell’animo suo. Col conte d’Olivares [5] dissimulo, come Vostra Altezza ricorda, sì ch’egli non può scorger in me sospetto, non che notitia di queste cose, ma se lo rompe d’altro canto leggiermente la malignità altrui, o lo tormenta non vedere le cose rispondere al suo giuditio, con il vedermi bastare a qualche cosa fuor della sua communicatione, la colpa è pur d’altri, et non mia, che non debbo già buttarmi a terra per quietare lui, o loro, poiché in questo più egli, ch’io va contra il servitio del Re, il quale non è verisimile che voglia deprimere li suoi servitori come siamo noi, et poiché (quel di che non harei ardito di pregare apertamente Vostra Altezza) ella vuole l’assunto //c. 163r// di far sapere quel particolare al Re, io lo reputo a molta gratia, et la ne ringratio et mi sodisfò, che la resti capace, che non mi levo a vento quando dico di non promettermi buona corrispondenza da questo homo di sì perversa natura. Este [6] rimostrando al papa quel che non scorgeva per se stesso delle conseguenze di quel motivo di Ginevra, lo condusse a dichiararsi, che non vi si ingerirebbe senza vederne accordato prima il Re Cristianissimo. [7]
Li spagnoli più ch’altro mirano a imbarcare il papa ne loro interessi, et lo vanno persuadendo con il pretesto di queste imprese contra heretici, che sono secondo l’humor [suo honestissime]. In secreto proponendo (come si crede) l’impresa d’Inghilterra cercano di cavarli 4 mila fanti, et mille cavalli i quali li dia nome, che vadino in Fiandra, per coprire la mira sudetta principale ma che considera ch’il fare Sua Santità sì grossa spesa in Fiandra, et il parlarne sì largamente è uno sproposito, giugne facilmente col discorso al vero, et di qui chi ha sospetta tanta felicità di Spagna, si muove a illuminare Sua Santità la quale così pian piano verrà instruendosi di ciò ch’appartiene al suo carico, et puossi credere, che facilmente anco questo aiuto per Fiandra svanirà, massime sendo seguita la pace di Francia, la quale si vorrà vedere quello che partorirà, et potria dare occasione a quel //c. 163v// Re di pretendere più d’altrettanto, o almeno il medesimo con più ragione, mentre che mira solo a purgare il suo Regno dall’heresie con tanto travaglio et spesa. Di Francia avvisano, che il Re haveva con corriere espresso ordinato al nuntio Nazaret [8], che se ne tornasse indietro, et che egli se n’è era venuto subito senza ricercare l’assenso di qua o metterlo in pratica, come quello, che harà pensato di fare meglio così il fatto suo con Sua Santità  che non può restare se non molto punta di questo affronto, se bene previsto et predetto, come Vostra Altezza si ricorda, la quale è bene che vi pensi, per quel che può nascerne contra il gusto suo. Del cappello per l’arcivescovo di Pisa non ho trattato apertamente ma ho bene in buon proposito ragionato della persona sua col papa, et sì largamente che ho potuto chiarirmi, che Sua Santità sente bene di lui, et gli ha buona volontà, sì che se pur fusse vero quel che scrissi di havere inteso, sarà stato stimato da lei impertinente chi le parlò in quella maniera, talché potrò andare facendo come ella mi scrive, et gratissime harei quattro righe mostrabili in questo proposito. Ho ordinato che li due moretti mi si mandino subito, et intanto ringratio Vostra Altezza che me n’è habbia voluto favorire, certificandola, che non poteva darmi cosa più cara. Che è quanto richiedono le sue, che l’ultima è di ventidue //c. 164r// dal Poggio. Et li bacio la mano.
Di Roma li xxvj di luglio M.D.LXXXV.


1. Maffeo Venier.
2. Bianca Cappello.
3. Paolo di Camillo Zambeccari.