Il cardinale Ferdinando al granduca Francesco I, a Pisa

Printer-friendly versionPrinter-friendly version

Roma, 22 marzo 1585

Med. 5092, n° 32 (cc. 71r -73r), firma autografa

//c. 71r//

La lettera che Vostra Altezza mi scrive de’ 20 è breve et responsiva et però poca replica richiede. Il papa desiderò di sapere la risposta di Vostra Altezza nel particolare del signor Paolo [1], et quando l’hebbe intesa mostrò di voler fare et dire, come scrissi, ma non già esequi poi la dichiaratione della persona proibita, et poco appresso mosso da certo sdegno per cagione di banditi si mostrò alterata con lui, né volse permetterli di venire a Roma, come desiderava, et se ben in questo et nel comandare che fusse citato sopra’l matrimonio, et sopra la sicurtà rotta de xxv mila  scudi pareva che scoprisse grand’animo, nondimeno vedendo io questa via passarsi a lunghezze consulte, et appellationi da non finir mai, o da finir presto a voglia di giudici ordinarii, ho ritenuto  che altro modo […]a ne parlo a Sua Santità per veder se potrò ridurla alla via di prima, cioè di farsi referire, et decidere lei stessa per finirla in un tratto nel modo che a noi ha da bastare per servitio di Verginio. Non intendendo ancor’io quel che volesse dire il signor Paris [2], mandai tutto quello che n’era venuto a mia notitia, parendomi che così convenisse, et per ogni caso feci scrivere a lui, che con quel vicario si risentisse di quel modo di procedere, che in verità non si poteva dire ordinario. All’agente del principe di Bisignano non darò la risposta.
Questi dì passati il signor Paolo Sforza [3] con pretesto di volere giustificarsi et chiarirsi di molte novelle co’l signor Paolo Giordano, gli fece instanza di abboccarsi seco, come seguì, al Casale de Bandini, et la somma fu, che era con Sua Eccellenza quello di sempre, et che non haveva parlato di lei se non con honore, et così ponendo l’Accorambona [4] di honestà sopra le più honeste //71v// donne antiche o moderne lodò infinitamente il matrimonio, del quale qua prima et poi ha usato di parlare con infamia, ma questo sia fra loro. Quel che soggiunse di poi fu, che qua in Roma presso al Collegio et al papa istesso gl’era dato gran carico per li banditi che praticavano nello Stato suo, come diceva, in gran numero, et con sicura ritirata delle prede che facevano altrove, delle quali anco accennava, che fusse quasi stimato partecipe. Et tutto questo, che veramente non è vero, esaggerava molto, né si sodisfaceva delle repliche del signor Paolo, dicendo che qua si sentiva altrimenti, et si stimava che questa pratica havesse più alte radici, mirando d’esser preparato in caso di sede vacante per prorompere a violentare il Collegio, et fare  delle pazie, et se bene s’astenne da nominar Vostra Altezza o me, passò però termini, che a chi non sia sordo potettino mostrare, che quelle radici fussimo noi; onde il signor Paolo ha voluto che io lo sappia con quel di più che lo persuadeva di venirsene qua, et giustificarsi con li cardinali, et particularmente con Farnese [5], il quale gli mostrò più di tutti  essere di questa opinione. In quello Stato veramente dico non sono banditi, se non certi pochi trattenuti da Marcello [6] in qua et in là, che se n’è servito non molto bene in alcune cose, ma né di rubbamenti, né di altro c’è romore, che habbia potuto dar origine alla suddetta novella, onde si vede che questo menantello vuol mettere ognuno in canzona indifferentemente con la regola delle passioni di Farnese, et nondimeno né con il papa né con altri farò mentione di questo, se grande occasione non mi invita finché io non senta il parere di Vostra Altezza, la quale forse potrebbe volere che se alcuno officio n’harò da fare, si faccia con mostrare che lo sa lei ancora et però aspettarò //c.72r// suo avviso. In questi medesimi ragionamenti de banditi che hoggi sono li più communi sendo co’l signor Mario [7], egli mi lesse una lettera, che haveva di Santa Fiora, la quale parendomi che toccasse il servitio di Vostra Altezza, me la feci lassare, et ne sarà copia con questa, stimando che la vederà volentieri per proveder al male che forse non gl’è noto per altra via, et non è curato o pur è trascurato da chi dovrebbe haverne pensiero. Qua dicono molte cose di cotesti stati, come violenze fatte a persone publiche, et poca sicureza d’andar attorno, et dalla parte d’Arezo et Valdichiana dicono stravaganze, delle quali et de remedii par che molto si dolghino li vassalli, et questa opinione è tale, che sendo proposto a Sua Santità di ricercare Vostra Altezza d’aiuto per le cose sue di quab so io che la disse, che poco poteva aspettarsi da lei, che haveva lo Stato in termine simile a questo. Io non credo tante cose perché so quanto la soglia vigilare in quel che tanto le tocca al servitio et alla reputatione, ma nondimeno ho voluto dirgliene queste poche parole, che so che saranno riprese con amorevoleza.
Le cose del marchese di Riano [8] erano bell’et finite, poiché il signor Giovan Battista da Stabbio finalmente con sue lettere liberamente s’era rimesso nel cardinale Colonna [9], nel signor Paolo, et in Farnese. Al quale Farnese, che haveva mostrato in parole desiderarlo havendo indirizato queste lettere egli non le consegnò, ma gliele ri[….]c facendogli intendere, che doveva mandarne una esclusiva, come quello che altro non mira, che tener il paese in iscompiglio, come veramente conviene al Decano del Collegio, il quale anco trattiene di buona provisione Giovan Battista suddetto, acciò che per necessità non si ritirid et par che l’habbi mandato verso l’Aquila. Di queste cose certificate il cardinale di Cesi [10], ha resoluto con il parer mio ancora //c.72v// di fare instanza a Sua Santità che si relassi con sicurtà il signor Averso [11], acciò che vada a trattare egli stesso questo negotio col figliolo, sperando, che già che la materia è disposta, et si sa la sua intentione, sia egli per risolverlo in poche parole, et si farà in modo, che Farnese non sapendo donde questo nasca, non habbia commodità di interporvi gl’impedimenti suoi soliti.
Lassavo di dire che Paolo Sforza [12] l’altra mattina parlando meco mi mostrò dispiacerli di sentir che Vostra Altezza havesse di lui mala sodisfattione, et a questo applicava, che li corrieri ordinari non passavano a pigliare cavalli di Centeno, allegandone ordine espresso del cavaliere Seriacopi. Gli dissi brevemente non sapere che cosa fusse  di questo, et credere che se fusse vero, ella non glielo mostrarebbe con sì debole effetto et volendo poi entrar a dire, che io parimente fussi mal sodisfatto di lui, come son stracco di queste sue canta favole, così troncai subito il ragionamento. Per quel che  Vostra Altezza  già  me ne scrisse, mi son adoperato in molti modi per aiuto della duchessa di Seminara [13], et finalmente veggo che il marito et quelli parenti suoi par che non mirino altro che a strapazarla più che possono, finché ella morendo gli lassi libera dispositione di ciò che ha che pur passa dugentomila scudi. Monsignor Spinello [14] va in Spagna resoluto a trattarne con Sua Maestà come parente suo  per rimuoverle dalla mala opinione impressale dal marito, et procurare che sia lassata in monasterio con provvisione conveniente, et non sforzata di tornare con esso dopo tanti oltraggi ricevuti, et in questo stimando ella potente l’aiuto di Vostra Altezza, m’ha pregato che io la supplichi di ordinare all’ambasciatore suo [15], che favorisca co’l nome di Vostra Altezza l’opera di monsignore // c.73r// predetto sì che quella poveretta libera dallo strapazo suddetto possa viversene quietamente. Però prego Vostra Altezza di favorirla in questo, che le ne harò obligo ancor’io. Sendomi venuto fra mano un cammeo, che m’è parso che non starà male fra gl’altri di Vostra Altezza glielo mando con questa con desiderio che così le riesca come io mi sono  persuaso, et essendo quanto mi occorre le bacio la mano.
Di Roma li xxij di marzo M.D.LXXXV.


6. Marcello Accoramboni.
11. Averso Dell’Anguillara.
13. Francesca Spinelli, moglie di Scipione Spinelli.
15. Dall’aprile 1585, il residente toscano sarebbe stato Giovanni Alberti.
a Lacuna di quattro parole.
b di qua aggiunto in interlinea.
c Lacuna di una parola
d et par che l’habbi mandato verso l’Aquila è aggiunto a piè di pagina in margine.