Il cardinale Ferdinando al granduca Francesco I, a Firenze

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Roma, 24 settembre 1585

Med. 5092, n° 80 (cc. 196r-197r), firma autografa

//c. 196r//
 
Havendo scritto venerdì passato quanto accadeva, potrò fare questa più che per altro, per servare l’usanza di salutare Vostra Altezza con tutti questi ordinarii. Ella intenderà facilmente fra le nuove communi, ch’ il papa habbia aspramente rabbuffato Olivares [1]. Il che, acciò che la sappia quanto ha da credere, voglio, che la sappia, ch’è verissimo. Qual sia stata l’occasione io non so, ma Sua Santità ha detto all’auditore della Camera [2], che più volte gl’ha detto, che attenda al suo offitio et non voglia farle il rettore adosso, et che li dì passati pur tornando, parve a Sua Santità di romperli le parole con dirli, che l’offitio suo era di portare l’imbasciate del Re a Sua Santità et quelle di lei a Sua Maestà  et non più oltre volersi ingerire, né darle le regole nel pontificato, et nel governo suo, et però le faceva di nuovo intendere, ch’a quello attendesse. Et mai più passasse più oltre, perché non lo voleva comportare, et che saria per scrivere al Re, che lo levasse di qua, et sapeva ch’a ogni sua richiesta Sua Maestà lo faria, fin qui mi disse Ciriaco Mattei, il che nel consistoro mostrando io a Rusticuccio [3] di sapere, et domandando quel che dovevo credere, mi disse essere vero questo, et più oltre ancora, ma donde nascesse, non hebbi tempo di domandarlo, et è forza, che non fusse senza grandi cagioni. Il papa è stucco di lui già un pezo, et non harei per miracolo che procurasse, che fusse levato di qua et questo saria qualche segno, che altri //c. 196v// giustificaria insieme. Il papa dichiarò hiermattina, che per promotione non solo al cardinalato, ma al vescovado ancora, se altrimenti non si disponesse, vacasse tutti li offitii, et etiam >…<a li monti non vacabili, et nel medesimo tempo dando al signor Scipione Gonzaga il Patriarcato di Hierusalem per renuntia di Facchinetto [4] provisto di mille scudi di pensione, io replicai che non pareva conveniente, che questo decreto comprendesse lui, et fui bene udito, come anco poi nel levarle la stola, talché credo, che gli lassarà l’offitii che ha per xiij mila scudi, con perdita de quali stimo che non l’accettaria, sendo la metà di quanto tiene.
Nel negotio del signor Paolo [5] si va tuttavia innanzi, ma fin’hora non ci è da dir di nuovo. Egli s’ha rotto con Lodovico Orsino, et sparlato di lui, come di fallito etc. et tutto debbe essere a suggestione di Madama sua dilettissima [6], la quale mai harà voluto perdonarli quel che Lodovico disse in principio contra di lei.
Alessandrino [7] s’è licentiato dal papa per una sua cedola, alla quale non si sa, che vi sia risposta sin qui. Li pretesti sono, perché havendoli (come dice) commesso il papa la cattura di quelli Nobili di Fermo, habbia poi con chiunche glien’ha parlato, detto di non haverne saputo //c. 197r// niente, et che l’ha pur fatto da se stesso. Che senza suo ordine habbia scritto certe lettere al Duca d’Urbino [8], delle quali ci è romore. Che certo memoriale contra di lui dato da quelli d’Adda suoi nemici, fusse mandato immediate al Fiscale [9] con ordini poco degni per lui, il che mai non gli fu fatto da Gregorio [10] etc.  Vedremo quel che seguirà. Et io con questo a Vostra Altezza bacio la mano.
Di Roma li xxiiij di settembre M.D.LXXXV.


2. Gerolamo Mattei.
6. Vittoria Accoramboni.
9. Il procuratore fiscale della Camera apostolica Giovanni Giacomo Panico (Panichi).
10. Cfr. la lettera n° 1, nota 7.
a et è espunto.