Il cardinale Ferdinando al granduca Francesco I, a Firenze

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Roma, 17 gennaio 1586

Med. 5092, n° 110 (cc. 291r-292r), firma autografa

//c. 291r//

Alle due lettere di Vostra Altezza di iij et di xj dico, che per distrigare et condurre qua tutte quelle robe di Padova, si sono  dati quelli ordini che Vostra Altezza harà visti. Talché l’arresto di Marcello [1] non dovrà impedirli, ordinando diversamente il presente principale herede et pretensore accordato di qua più saviamente, et in ogni evento l’agente mio che ha la procura, harà poi havuto particolare instruttione, et l’harà giornalmente secondo che richiederà il bisogno.
Vostra Altezza non può perdere quello che sborsa per Virginio [2] o a Venezia o altrove, perché sarà rimborsata di qua, dove si metterà in chiaro lo stato suo quanto prima ci sia il compotista che le ho chiesto per tenere  questi conti, il quale principalmente saldarà con don Lelio [3] et con gl’altri, et così potrà cominciarsi a supplire dove bisogni di mano in mano, siché faccia Vostra Altezza sollecitare la provisione della persona mentre qua non lasso di tenere  vigilanti questi fattori particolari, et andare sentendo et informandomi di quel che possa resultare in servitio del negotio.  Del cardinale di Pavia [4] creda Vostra Altezza che se mi commosse il mormorare che faceva la corte et il Palazo con parole mordentissime, et quel che è peggio, troppo vere, et troppo consentite dalli suoi intrinsechi, io sia scusabile, come vorrei che fusse scusabile lui, et nondimeno con esso me l’ho passata bene, sì che non può dolersi, anzi ha da lodarsi (se non mi inganno), et finalmente mi contento che sia venuto a quel segno, et solo con Vostra Altezza (ragguagliandola) mi dolevo quando tirava sì basso, che io credetti, che fusse per lassare ogni sorte di complimento, mentre diceva non riconoscere il cappello ad altri che da noi //c. 291v// et volersi riserbare in Lombardia. Hor sebbene hanno bisognato molte fregagioni, ci possiamo contentare, et per me non harà mai disgusto alcuno, sendo io sempre per honorarlo et coprirlo, come ho fatto sin qui.  Co’l cardinale Aldobrandino [5] pare che concludesse il papa, che quelli fiorentini et sanesi, et altri di quelli stati apparissero admessi in Ruota più come curiali, che per altra ragione, non vedendovi continuatione né altro ordine, onde concludiamo che sia da instare per il breve, se non con molta speranza d’haverlo, almeno per havere il primo luogo, et con tal occasione fare (se si potrà) espedir un breve, che ci dia qualche cosa per un’altra volta, et forse per questo medesimo Pontificato.
Se don Pietro [6] mena quella donna [7], o la lassa accostare alla corte, come Vostra Altezza dice, dirò che non possa trovare più atto modo per vituperarsi in faccia del Re et di tutti, et chiarire noi altri insieme. Io farò la mia parte perché non segua, et non saprei per hora farla meglio, che con pregare Vostra Altezza di avvertirlo di quel che si dice et di quel che importa alla sua reputatione, et al servitio del negotio che vuol trattare. Resto attonito di questo avviso sì che non so che mi dire né di lui né de suoi, se non che prego Dio che lo illumini in tanta cecità. In Spagna scrissi, et il ragguaglio sarà dato a Sua Maestà poiché Vostra Altezza lo approvava. A Scaramuccia [8] ho fatto dire quanto Vostra Altezza mi scrive, il quale potrà cominciare a valersi della gratia che la gli fa.
Nel particolare di Pietro de Silva ha scritto Venetia [9] molto largamente, ma né questo né le sue //c. 292r// lettere m’hanno tanto mosso, quanto questo ambasciatore [10], il quale ha dato la cosa per molto vera, perché nel resto bene considero ancora io in Giuliano [11] quelli respetti che Vostra Altezza dice, per i quali revoco facilmente in dubio ogni certeza che altri ne desse, et bene ho replicato ancora io, che senza il processo autentico non conviene che Vostra Altezza si muova più in una che in altra parte, ma perché di questi criminali non suol darsi copia agl’interessati, et a lui pare che sia stata negata, onde non può dare del detto suo quella più vera chiareza che ella desidera, et a lei sarà concesso facilmente, io crederei che per quietare di nuovo questo humore, non potesse essere se non bene, che Vostra Altezza se lo facesse venire, et non però per altro, che per dichiarare poi, che Pietro non ha di che offendersi, perché così la parola sua quietaria l’un et l’altro, non sapendo io scorgere in Pietro se non desiderio d’essere lassato vivere, che perciò et non per altro mostra essersi levato, donde potesse essere sospetta la pratica sua. Questo, che mi pare espediente ad ambe le parti, dico come prete et amorevole loro, rimettendolo però al giuditio et deliberatione di Vostra Altezza.
Havendomi bene servito già in alcune mie occorrenze messer Panfilo Cantini da Castiglione et il cavaliere Clemente suo fratello, gl’ho sempre fatto piacere di poi volentieri. Però intendendo che egli habbia domandato a Vostra Altezza la cura di certo spedale di Castiglione, et questo più per l’honor, che per altro commodo, la prego che se per altro le sarà rimostrato idoneo et capace, lo ne  gratifichi per amor mio, che le n’harò obligo. Et le bacio la mano.
Di Roma li xvij di gennaro M.D.LXXXVJ.


1. Marcello Accoramboni.
7. Antonia Carvajal, sua stabile convivente.
9. Da Venezia scriveva probabilmente Luigi Molino, corrispondente ufficioso dei Medici dal 1584 al 1589.
11. Giuliano Ricasoli. Cfr. la lettera n° 102.