Roma, 6 giugno 1586
Med. 5092, n° 125 (cc. 337r-338v), firma autografa
//c. 337r//
Don Cesare [1] ha finito li suoi negotii, et lassando qua il vescovo di Reggio a qualche resto, disegna di partirsene >…<a domane sera. A me pareva d’havere scritto altre volte, o almeno havere detto a Vostra Altezza le differenze et liti fra il signor Paolo Giordano [2] et Latino Orsino, che occupa per dugentomila scudi o più in castelli et tenute, ne’ quali consiste tutto l’havere di sua casa, et con quanta saccentaria, et malignità Fabio [3] havesse in tempo di Gregorio [4] tirato innanzi la lite, riducendola a capo di stato, et rimescolando nelli memoriali l’interesse nostro con modi di poco rispetto. Come inoltre egli pratichi per Farnese, et come parli con Montalto [5] di noi inimicamente per levarcelo, lo so da Montalto istesso, che dice chiaro, et se bene non l’esclude dalla sua pratica, non l’ama per questo. Non biasimo chi tirando dietro alle proprie inclinationi faccia più una che altra cosa, ma parendomi non dovere stimare amico, chi ci si mostra tale anco a sproposito, perciò mi mossi a dire a Vostra Altezza quel che dissi, et richiedere l’aiuto suo in quel che è suo commune servitio et honore. Farò io la mia parte sempre, ma dovendo ella credere, che io non ricorra a lei senza bisogno, la desidero anco pronta con l’aiuto suo.
Non è qui mia passione, perché di queste mi strigarò da me stesso. Amo Latino ancor’io, et egli confida di me, et non ho cagione d’odiare quella casa, anzi favorisco Virginio [6] suo figliolo nelle sue occorrenze, ma in questo mi muove quel che ho detto; et non //c. 337v// propongo cosa impossibile, perché se bene il papa voglia far un cardinale di casa Orsina, non vi sono però soli soggetti egli et Valerio. Ha casa Orsina, oltra loro il vescovo di Spoleto [7] che per l’amicitia del papa co’l cardinale Orsino suo zio può aspirare forse più di loro, et oltra che non ha differenza con noi, vorria depender da Vostra Altezza, et non fa instanza, et ha qualche disparere con Farnese, del quale si tenne spesso burlato il cardinale ancora. Non trattavo di lui perché non soleva piacere il cervello suo moderato poi dalli anni. Fuggo Fabio [8] per impedire un adversario di Virginio, che pigliando autorità, bastarà a farli danni notabili. Il qual respetto di Virginio ricordandomi che soleva pur essere la ragione, per la quale Vostra Altezza mi dicea non piacerli cardinali di casa Orsina, ho potuto credere che tanto più le dispiacesse questo.
A Nostro Signore havevo detto quanto costà fu concluso fra il cardinale di Pavia [9], Vostra Altezza et me delle cose della signora Hippolita Pia et figlioli [10] et fu approvato da Sua Santità per esecutione che se ne venissero costà, et che costà si fermassero lei in monasterio, et loro in casa del conte, o in qual altro modo havessero convenuto con Vostra Altezza. D’andare in monasterio il motivo è suo, et venne resoluta d’andare quando prima havesse reso conto della sua administratione, et portato le scritture importanti, per la recuperatione delle quali et per li conti d’essi bisognare la presentia sua in Romagna. Di questo partì informata quella signora, la quale pensai che così potevo trattare anco senza mie lettere, onde facilmente passare senz’esse, poiché non havevo da dirle più che il di sopra.
//c. 338r// Rodolfo [11] mi scrive d’essere per andare, et stare in Romagna, che è tutto contrario al bisogno suo et loro, sendo per fare qualche stravaganza con quel suo cervelletto. Di dare forma al governo loro dissi alla signora che costà trovaria modo facile per li suggetti buoni che vi ha Vostra Altezza, et piaccia a Dio che la faccia questa resolutione volentieri più che questi segni non mi mostrano.
Ho parlato con Este [12] delli negotii con Giuliano del Bene, il quale è prontissimo d’operare per una buona conclusione in essi, come lo trovo in tutte le cose di Vostra Altezza, alla quale non scrivo particolari, perché lo ambasciatore [13] che parimente ha trattato seco, et è ragguagliato da me, le scriverà quanto passa, et io dico solo, che con ricordi et con aiuto sarò per fare tutto quel che giudicherò utile per l’intentione di Vostra Altezza.
Il negotio del gentilhomo vicentino si trovarà di dura natura, non di meno parlarò et l’aiutarò quanto possa, come Vostra Altezza comanda.
Del cardinale Gesualdo [14] ho parlato tante volte con Vostra Altezza et l’ho talmente vista impressa della buona volontà sua verso di noi, che stimo superfluo replicarne altro. Egli desidera quanto la vedrà dall’incluso foglio che il signor Carlo Caracciolo parente et amico suo venga nuntio in Toscana, et presuponendo che cotesto nuovo habbia animo di fermarvisi poco, vorria indirizare da hora questa pratica, et perciò desidera sapere se vi concorra il gusto di Vostra Altezza
Del desiderio suo, delle qualità dell’homo et del resto vedrà lei dal foglio suddetto, onde non mi resta se non di pregarla a dare quella più soddisfattione che può al cardinale che la merita da lei.
//c. 338v// Messer Filippo Modesti mio vicario a Prato, et antico servitore di casa nostra mi prega di raccomandare a Vostra Altezza il cavaliere Giovanni Vincenzo suo nipote nella pretensione di certa commenda vacante. Io non posso negarli questo offitio, se bene sendo per servitio et ministro particolare di Vostra Altezza lo stimo poco necessario, et così glielo raccomando. Il conte Marcantonio Spinola desidera per mezo mio da Vostra Altezza certa quantità della sua vena del ferro, come la vederà dal memoriale incluso che me n’ha dato. Prego Vostra Altezza che potendo con suo servitio lo ne compiaccia, che le ne haverò obligo. E’ fratello del cardinale [15] che fa per lui questa instanza.
Dal Battaglino [16] non prima, che con questo ordinario ho hauto lettere con avviso del suo ritorno di Mora, et queste le farà vedere a Vostra Altezza messer Pietro mio secretario, che per questo, et per altri particolari mando fin costà, come ella intenderà da lui, che vi dovrà arrivar poco appresso. Et sendo quanto mi accade, a lui rimetto il resto, et le bacio la mano.
Di Roma li vj di giugno 1586.