Roma, 7 giugno 1585
Med. 5092, n° 52 (cc.131r-132v), firma autografa
//c. 131r//
Al signor don Pietro [1] scrissi li dì passati, che vedendo andare in lungo la pubblicatione del nuntio per Spagna, mi pareva, che per avanzare tempo, et per non perder quelle occasioni che (come anco veggo dal foglio inviatomi da Vostra Altezza) stanno per fuggire, et potriano forse fermarsi con ogni scoperta sua, dovesse subito o scrivere al Battaglino [2], o mandare uno de suoi, o valersi dell’uno et dell’altro per incaminar qualche pratica, acciò che il nuntio che andarà, potesse poi tirarla alla conclusione se vi fusse necessaria l’opera sua. Hora gli replico il medesimo più diffusamente dicendoli, che per non havere a consumare il tempo con mandare lettere innanzi endreto, faccia mandato di procura in ampla forma con una buona et piena instruttione a chi harà da trattare, et che tutto questo concerti con Vostra Altezza, et indirizi alla brevità, poiché ogni indugio può nuocere in mille modi, et di quello che consultarà et concertarà con lei può vivere con l’animo quieto. Mala raza è di quelli suoi servitori se lo tengono alieno da questo, et mal consiglio sarà il suo, se non accetterà questo che io li do. Io non mi curo che il Battaglino sia né tutto, né parte in questo negotio, se non quanto intervenendovi lui, crederei di potere essere chiaro di saper con qual animo si camminasse, né egli in ogni evento haverà altra mira che di servire, et interamente celarà ogni pretensione a chiunche di quelli del signor don Pietro sperasse utilità di questa pratica, sì che non hanno essi da temere della sua compagnia. Vedrò quel che mi risponderà all’altra lettera et a questa, non vedendo come possa non scoprirsi, et ho voluto che Vostra Altezza sappia tutto //c. 131v// questo, acciò che meglio osservando il procedere suo, possa mostrarmi quel che io debba fare di più per metterlo su la strada. Nella nota inviatami poco vedo di buono, che non sia quasi recapitato, ond’è che io tanto più lo solleciti.
Per il nuntio Malaspina [3] con buona occasione trattarò con Sua Santità come Vostra Altezza desidera, et poiché ella se ne tiene tanto servita et sodisfatta, giudicarò mio proprio il debito di adoprarmi per honore et commodo suo. Quei limoni mi sono stati gratissimi et sono gentili veramente, onde al tempo buono desiderarò di haverne qua ancor’io.
All’arcivescovo di Pisa [4] ho fatto vedere quanto Vostra Altezza mi scrive di quel Preposto di Pontadera il quale si mostra pronto d’obedire ad ogni cenno di Vostra Altezza, ma però volere che la sappia la conditione di quell’homo, sopra la quale perciò dice che le scriverà.
Del vescovado di Massa non ho fatto altro offitio quando Alessandrino [5] m’ha fatto sapere che Nostro Signore inclinava di darlo all’abbate Casale [6], il quale cedesse il suo canonicato di San Pietro al signor Decio [7] secretario di Sua Santità, perché anco il Gerino [8] mi disse che ella gli haveva tenuto proposito sopra quella chiesa, et ordinatoli di trattarne con Vostra Altezza. Supplicai Sua Santità di rimettere in casa Ercolani il Quarantato, come Vostra Altezza desidera et ella me lo promesse, et che parimente lo farebbe con quello del Tesoriere passato, se accadesse la privatione. Con questo se ne torna il conte Germanico [9], al quale ho prohibito di palesare questi particolari, et ordinato che all’occasione scriva in diligenza, perché se ne procurarà l’effetto //c. 132r// . Seguita Sua Santità di trattare meco con molta amorevoleza et confidenza, et io di trattare con lei con molto riserbo. Vedendo continuamente farsi procaccio per Nazaret [10] mi parve di tenerlene proposito, et ella mi mostrò, che non farà miracoli con esso se ben desiderava di valersene in alcuna cosa, sapendo molto bene che Gregorio [11] per amor nostro lo tenne in dietro, come disse voler fare lei tanto più. Disegnava far governatore di Roma monsignor Landriano [12], ma quando io le dissi, che era servitore di Farnese, et che lo procuravano per havere instrumento di far nascere qualche scandalo, co’l quale Sua Santità havesse disgusto di […]a, lo pospose subito, et in quella occasione disse parole dalle quali potetti scorgere […]b assai l’humor suo contro Farnese al quale anco non saria gran fatto, che levasse quella legatione di Viterbo.
Un Odoardo Ascolano vedendo provisto Stoldo Guidorocchi pur Ascolano, della forteza di Perugia, fu spinto dalla nimicitia propria, o più tosto dalla malignità d’altri, a mostrare al papa con un memoriale, che sendo Stoldo mio servitore non stava bene in quel luogo, et il papa rispose, che anzi vi stava bene poiché dipendeva da noi, che gli havevamo a difendere lo Stato in ogni bisogno. Nessuna cosa dà più noia a Farnese, che l’amicitia mia con Este [13], ond’è verisimile, che andarà seminando ogni mal offitio, poiché fin’hora ha detto non dovere passare due mesi, che nascerà cosa che ci romperà fra noi; Este, a chi //c. 132v// gl’ha detto questo, mostra d’haver risposto, che stia pur sicuro, et allegro Farnese, perché quando anco Vostra Altezza havesse guerra con Ferrara, potria non di meno durare l’amicitia nostra. Raccomandavo questi Nobili da Fermo a Sua Santità come miei servitori et pronti a dare conto di loro, et ella saltò a dolersi d’Alessandrino [14], che di troppo trapassando l’appuntamento fra loro, havesse fatta tanta scoperta, et posto Sua Santità in questo intrigo contra la sua intentione, et in questa occasione scopersi, che la non sta sodisfatta interamente di lui. Comparse il duca di Nivers [15], et io come parente servando lo stile della corte fui ad incontrarlo insieme con Este hospite suo. Sì che sendo venuti ancora Sans [16] et Vaudemonte [17] insieme, il conte di Olivares [18] ne farà capitale, ond’io lo feci sapere in Spagna all’ordinario al Battaglino acciò che se ne valesse. Nel resto il Duca infinitamente si loda dell’amorevolezza di Vostra Altezza et dicendomi d’haverle comunicato quanto haveva, mi leva di dirlene altro, onde resto con questo fine baciandole la mano.
Di Roma li vij di giugno M.D.LXXXV.