Il cardinale Ferdinando al granduca Francesco I

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Roma, 18 agosto 1587

Med. 5092, n° 215 (cc. 537r-538v), firma autografa

//c. 537r//

Guastavillano [1] finalmente soprafatto dal male, se ne morse, onde parse a Montalto [2], et alla Signora [3]  che poiché il papa haveva lassato più a mea che ad altri luogo et speranza di trattare del Camarlingato con qualche profitto, andassi a piedi del papa, ma in effetto con quante ragioni et con quanta efficacia io usassi, non ottenni. Et il medesimo avvenne ad Altemps [4] et nondimeno non desperavamo, pensando che il papa volesse prima sodisfare al mondo in questo modo, et farlo poi cadere quasi per necessità, mentre nessuno offerisse, et né anco quelli, che fussero stimolati da lui, co’quali anco havevano fatto qualche provisione, che li terrà a dietro, se pur vi è homo per tanto sborso. Ma hoggi Montalto per il Canobio [5] suo maestro di camera mio confidentissimo m’ha mandato a dire, che resta chiarissimo, che il Camarlingato non ha da essere suo, et che parendoli che staria bene a me, et stimandomisi obligato per quel che sa che ho fatto in questo et in ogn’altra cosa sua anco in questa vacanza, non ha maggior desiderio che di vederlo in me; parendoli che così potria stimare d’haverlo lui, et che sendo resoluti la Signora et lui fare tutto lo sforzo possibile per tale effetto, se io volessi attendere, mi pregava di dire quel che havevono a fare, perché senza escettioni fariano tutto quel che io volessi, replicando che la repulsa loro era indubitabile. Io li feci quelle parole da rendere per ringratiamento che parvero convenirsi all’amorevoleza loro, et poi dissi che non era dubio //c. 537v// che la cosa mi piaceria quando potesse haversi, ma che, come havevo fatto per lui, quanto havevo potuto, dovevo anco provedere in modo, che il mondo non potesse credere diversamente da quel che credeva lui, et che perciò stimavo non dovervisi così presto mostrare mira alcuna per me, ma aspettare che il mondo fusse chiaro, che io havevo fatto per lui sinceramente, et che anco il papa con la scorsa di qualche giorno vedesse li partiti che gli si offerivano, li quali è opinione che saranno pochi et scarsi, perché non volendo io cimentarmi in giostra con alcuno non tanto per non essere fatto correre co’l prezo, quanto per il risico di restare a dietro per qualche capriccio, stimavo meglio d’andare osservando così et egli fratanto senza dire altro della sua repulsa, potria con tal silentio seguitare di tenere  la gente indietro, che non crederia non fatto ad arte, che il papa non glielo desse, se bene si vedesse andare offerendolo ad altri. Così restammo che si andasse facendo et tacendo, per effetto più certo della cosa, non volendo io andare in canzona mentre la gente non mi pone fra li concorrenti, ma fare cadere la cosa in termini, che non s’habbia da sapere se non a pena nel fatto concluso. Io ci miro non solo perché questo è il più bello offitio di qua, ma perché Vostra Altezza ancora soleva desiderare per molte ragioni che venisse in me, et se verrà fatto, sentirei poca spesa, sendo poca la differenza del prezo di questo, et del mio offitio. Ma in ogni evento per non fermarvi l’animo né poco né punto fuor della sua volontà, ho voluto con corriere espresso farle sapere quanto passa, acciò che la me la dica //c. 538r// precisa et presta sì che io sia preparato a pigliare o lassare secondo che vorrà lei. La quale anco, se, dovendosi attendere, giudicarà essere bene che in mano del Gerino [6] sia una sua lettera credenziale per Nostro Signore da usarsi se, et quando et come lo stato del negotio ce la mostrasse utile, io me ne rimetto a lei, dicendole che confidarei che nella mano di lui il negotio restaria secreto, come desidero che sia costà et qua. Danari, come dico, mancariano pochissimi, perché gli offitii miei sono molto alti, et restaria da dubitare, se per indurre il papa bisognasse fare sborso notabile prima che si vendessero, nel qual caso confidarei che Vostra Altezza con l’assegnamento di questi da farsene subito ritratto, et d’altro fusse per sovvenirmi come altra volta se ne mostrò disposta. Et questo è quanto ho da dirle in tal materia per hora.
Nell’instanza delle badie per Montalto [7] mostrò Sua Santità convenirli haver molti respetti, et non volere passare una, ma la ridusse a segno che mi parve potere sperare che gliene darà almeno le due migliori et forse più.  Et perché il proposito lo portò molto bene, gli rimostrai, che erano mancati tanti cardinali contrarii a Farnese [8], che se venisse il caso di cimentarsi, si vedevano  rimossi li suoi principali impedimenti, li quali nominai, et che da altro canto Sua Santità haveva nelle promotioni proceduto in modo che quattro cardinali haveva fatto tanto suoi, che Montalto non haveva da sperarne servitio, et questi anco nominai, scoprendoli alcuni errori, né quali trovai che versava circa li //c. 538v// animi loro, et mi distesi in mostrarli, che se la mira sua era, come era stata de suoi antecessori per proprio debito di loro offitio, di escluderlo, bisognava che andasse più avvertita nel futuro.
Mostrò non credere che alcuno b fusse mai per concorrere in homo di tanto mala conditione, distendendosi in suo biasimo, et mostrando d’havere havuto gratissimo il discorso mio, disse che aprirebbe gl’occhii. Dissili, seguitando il ragionamento, che co’l primo fresco ero per venirmene a servire a Vostra Altezza, il che volevo che sapesse per pensare quel che mi havesse a comandare et la risposta fu di lodarmene, et che ci rivedremmo, et passò tutto con tanta dolceza da stimarla inclinata al parentado, del quale io lasso fare al cardinale et alla Signora che vi sono ardentissimi, et mi riserbo verso la partita di farne una passata, secondo che dal ritratto loro vedrò bisognare. Dissemi d’havermi destinata la protettione di Malta, come in publico, ho che haveva detto hieri quando dette la de frati conventuali a Turino [9]; et io ringratiandola, risposi che credevo fusse per piacer al Gran maestro [10], et che aspettarei di sentire quel che qua ne scrivesse. Che è quanto m’accade, et le bacio la mano.
Di Roma li xviij di agosto M.D.LXXXVIJ.


5. Bonifacio Canobio. Cfr. la lettera n° 140.
10. Cfr. la lettera n° 40, nota 28.
a à me è posto in interlinea sopra un precedente ad altri cancellato.  
b Segue un  non  cancellato da un tratto di penna.