Il cardinale Ferdinando al granduca Francesco I, a Firenze

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Roma, 9 agosto 1585

Med. 5092, n° 67 (cc. 168r-170r), firma autografa

//c. 168r//
 
Per il cardinale di Firenze [1] e per l’arcivescovo di Corfù [2] farò ogni offitio come Vostra Altezza con questa ultima sua de’ 2 mostra desiderare. La restitutione del Quarantato in casa Ercolana  si trattarà con la occasione che credo sarà presto del Bonfiolo [3], alla promessa dela quale si vedrà che fu bene di ristringersi, poiché la prima fuor di quella è promessa al cardinale San Quattro [4]. Ringratio Vostra Altezza  che havesse fatto sapere in Spagna quel successo. Intorno al quale ho da dirle, che tre dì sono (havendo prima accordato  San Marcello [5] di venirsene separatamente et quasi per sua ordinaria visita) me n’andai a trovare il conte d’Olivares [6], fra il quale et me passò con altri ragionamenti l’intervallo della venuta di San Marcello. Venne finalmente, ma il conte lo divertì alla contessa sua [7] con pretesto di continuare nostri propositi, sì che io (che non volsi anco mostrare il concerto) non potetti haverlo presente, onde, passate poche altre parole, deliberai fare da me stesso quel che havevo disegnato con la sua presenza. Li dissi quel che havevo inteso da Santa Croce, et mostrai grandemente maravigliarmi, che si havesse imaginato, che fussi io quello, che gl’havessi scoperto le pratiche di lui per la sua esclusione, et molto più dell’altro offitio, che dicea fatto da me co’l papa per farli constare, che il medesimo havessi praticato contra Sua Santità, dicendo che harei caro di sapere sopra quali fondamenti posasse questi suoi concetti et sospetti. Restò tutto confuso et di primo salto volse mentir Santa Croce d’havermi mescolato in quello co’l papa, ma fu con certa trepidatione di parole, che io lo potetti pur stimar troppo vero, onde replicai che Santa Croce non doveva haverselo già sognato, et che io lo conoscevo tanto conforme //c. 168v// a qualche altro successo, che doveva perdonarmisi se l’havevo creduto, et vedendolo fuggir la scrima   et ricorrere all’altro senza fermarsi in questo, non mi parve di insisterci molto se non quanto dissi, che il papa era già consapevole di questo suo capriccio et di questo offitio che hora facevo con lui per tale imputatione, et che non volevo altro testimonio che quello di Sua Santità, al quale lo rimettevo per chiarirsi quanto vanamente havesse pensato, et quanto errato credendoselo, come errarebbe sempre credendo cosa maligna di me, che haveva potuto vedere sempre inclinato alla persona sua con tante demostrationi sin dalla prima sua venuta et continuate poi, che non sapevo se non trovare  strano, che senza sapere descendere ad alcun suo particolare, volesse più sentir di parlare  di me come se con molti potessi chiaramente mostrarmi suo nimico come dice. Che io sapevo molto tutto essere nato dal sospetto postoli che io fussi per volere parte ne’ suoi negotii, et assorbirmi in certo modo la sua autorità, ma che di questo che con ragione non haveva potuto sospettare mai, dovria hormai essere tanto sicuro, che desistesse di perseguitarmi della maniera che faceva qui et altrove, perché pur è vero, che io non ne volevo parte alcuna (et che gliel’ho detto altra volta) se non quella che mi comandasse il Re, la quale anco trattarei di comune malvolentieri per la poca speranza che harei di restarne in capitale. Qui egli (fuggendo la mentione delle altre sue vanità) ricorse a dire, che volentieri communicaria con me, et che l’haria fatto sempre, ma che etc., et io ripresi il parlare dicendo che di ciò non accadeva trattare, perché //c. 169r// già altre volte gliel’havevo renuntiato in questa parte tutto quel che non mi venisse immediatamente comandato dal Re, et che hora non potevo se non fare il medesimo; che a Sua Maestà obedirei ben sempre et che anco fuor di questo dovunche io mi trovassi et in ogni proposito farei sì che ognuno mi conoscesse per suo devotissimo servitore, come poteva più volte havermi conosciuto il papa, et che a questo non mi stimoleria desiderio di commende (et questo dissi perché egli ha detto che il cardinale de Medici ha fatto il papa, et egli ha havuto la commenda) né d’altro che di complire con l’obligo che io ne porto hereditario con Sua Maestà come gl’ho fatto intendere più volte. Egli che si trovò confuso da questo offitio et dal vero  et che perciò continuava il proposito malvolentieri, sonò a raccolta con belle parole, et io che già  mi havevo  pienamente sodisfatto con una forma di parlare risentito, seben sempre con segni più di maraviglia, che di alteratione, lo lassai fuggire a suo piacere, chiaro che io di negotio non volevo trattar seco, né d’altro se non in forma commune per non darli occasione di scrivere a Spagna d’haversi rappatumato meco, poiché di questo non può se non servirsi in [modo] come del resto, et potere dire poi domani, che fa quanto può per havermi amico, ma che io gli scappo di mano ogni due giorni, sì che non mi può ritenere, mentre egli pur tutto contrario a questo tratta con me, come Vostra Altezza vede, la quale ho voluto che sappia questo resto che le havevo promesso. Havevano sparso per la corte (et l’autore era Marcantonio Florenzio, come ho detto al cardinale Alessandrino [8]) che havendo già l’ambasciatore di Francia [9] approvato Nazaret [10], si fusse poi retrattato per opera d’Este [11] pregato et persuaso da me, et se ne parlava da tutti et da fautori particolarmente di //c. 169v// Nazaret […]a come di cosa chiara. Parvermi di passarne parola col papa, acciò che questa voce pervenendoli all’orecchie, non facesse qualche malo edifitio, poiché la cosa è tale da dispiacerli hora sola  non che poi con le consequenze. Dissemi Sua Santità che già non haveva mancato chi havesse con lei parlato in questo tenore, et particolarmente cardinali, a quali ella haveva risposto che non poteva essere perché non bisognava, poiché io le havevo detto che non mi saria piaciuto qui governatore né nuntio in Spagna per le cose nostre mai, ma che d’altro  non mi curavo, et particolarmente di Francia, dove non havevamo che trattare, et che così gl’haveva confusi, ricordando a loro (come anco minutamente ricordò a me) quel che fra lei et me passò allhora in questo proposito, nel quale non può soggiugnersi altro, se non che si starà aspettando come l’haranno sentita li Franzesi.
Parlai della coadiuteria di Montalcino per il priore Piccolomini, dicendo a Sua Santità quanto mi scriveva Vostra Altezza, et quanto era informato io della cosa et delle persone. Sua Santità mostrò di restare capace che convenisse farla, et alla persona del frate non dette escettione, ma solo volse che io scrivessi di nuovo //c. 170r// a Vostra Altezza per poterla chiarire con la risposta sua che fusse veramente conforme alla mente sua quello che mi haveva scritto, et non altrimenti da lei per qualche interesse etc. et io li dissi che di questo non mi lassava dubitare la forma dello scriver suo diversa da quel che haveva fatto altra volta, ma che per ogni modo le darei conto di questo, et  portarei poi la risposta a Sua Santità che ella me ne desse. Se dunque Vostra Altezza così vuole veramente io non vedo difficultà nel resto. Et sendo quanto mi accade le bacio la mano.
Di Roma li viiij di agosto M.D.LXXXV.

 
3. Fa riferimento probabilmente a Nicolò di Antonio Bonfiglioli.
4. Giovanni Antonio Facchinetti, cfr. la lettera n° 41, nota 11.
7. Sua moglie Francisca de Ribera Niño.
 
a Parola di tre sillabe malamente con correzione sovrascritta che la rende inintellegibile.