Il cardinale Ferdinando al granduca Francesco I

Printer-friendly versionPrinter-friendly version

Roma, 12 luglio 1585

Med. 5092, n° 60 (cc. 150r-151v), firma autografa

//c. 150r//
 
Don Pietro [1] scrive a me ancora, che manderebbe la procura quando fusse necessario; et io gli replico, che, atteso le cose passate, la stimo così necessaria per incaminare, come per concludere il negotio, et che non havendo da dubitare, che tre homini s’accordino di usarla se non conforme alla sua instruttione, mi meraviglio, come recusi di dar questa sodisfattione a Vostra Altezza et a me, che vorremo con questo più credito et reputatione alla pratica; et insomma lo stringo più che posso a mandarla per ogni modo con le prime occasioni. Non so quel che farà. Con il conte d’Olivares [2] stimo impossibile di poter fermare intelligenza buona per qualsivoglia mezo, poiché senza che io nell’apparenza habbia mutato mai stile d’urbanità et cortesia, et nell’[essenza trattato] di lui se non con honore, egli pure s’ha cacciato in testa, che io gli faccia ogni male, et che da me li venga quanto ha di disgusto, né si guarda di dirlo con alcuni, chiamandomi suo nimico, et conietturandolo  da cose lontanissime non solo dal vero, ma da ogni mio pensiero. Dissemi Este [3] li dì passati che di me s’era doluto il conte con Santa Croce, dal quale havendo voluto intendere il particolare trovo questo. Che il conte per guadagnarselo ne bisogni di suo servitio, gli faceva gran parola et gran cose gli prometteva della volontà del Re, tanto che il cardinale non potendo più soffrire disse che sentiva volentieri quanto gli diceva, ma che non poteva credere né sperare quel che prometteva, poiché sapeva che gl’effetti erano contrarii, et che, come gli haveva detto un cardinale d’autorità amico suo, egli in questa sede vacante gl’haveva fatto le pratiche contro //c. 150v//  alle quali parole il conte pieno d’escandescenza saltò su le mentite, giurando che non era vero, ma che sapeva bene chi poteva essere questo cardinale, et brontolando disse in modo, che a Santa Croce parendo circunscritta la persona mia, parve anco da dirli che se intendeva di me, haveva torto, perché non ero io quello altrimenti. Anzi (disse il conte) chea non poteva essere altro che io, che facevo et dicevo contro di lui, et che havevo fino voluto spignere cardinale dal papa a provare che haveva praticato contra Sua Santità ancora, et che insomma ero suo nimico. Onde Santa Croce di nuovo giurando per il sacramento preso quella mattina, che non ero io, non potette anco quietarlo, a che poi saltò a pregarlo che gli nominasse quel cardinale, perché voleva andare a mentirlo, et Santa Croce  non [volse]  però [dirglielo], ma lo licenziò con promettergli, che non per questo lassaria di fare quel che convenisse di iustitia, et servire al Re dove potesse. Et soggiunse a me Santa Croce  in confidenza che Altemps [4], richiesto da lui di favorirlo, gl’haveva risposto liberamente, che lo escusasse, poiché gl’era convenuto di promettere diversamente all’ambasciatore, che l’haveva pregato di disfavorirlo, con mostrarli che al Re non poteva piacere la sua assuntione, né stimarla di suo servitio. Di questo io non ho saputo né prima né poi, né altro che il di sopra. Delle pratiche contro Sua Santità parimente non ho saputo se non pochi dì sono, che lei stessa mi disse, che egli haveva voluto giustificarsene con lei, et che la b gl’haveva troncato il ragionamento, su le prime parole, con dire che non erano cose da parlarne più, sì che argumentando egli del malanimo mio da //c. 151r//  questi modi, giudichi Vostra Altezza della sua volontà quel che io debbo credere, della colpa che io ne posso havere, et della intelligenza che possa nascervi. Io son resoluto di darne conto a Sua Santità, et di poi, (posto in mia compagnia il cardinale San Marcello [5]) fare di queste cose una passata con Olivares, procurando di disingannarlo, et di havermi per quel che sono et non per quel che mostra tenermi, et cercando di renderlo dolcemente capace che non ha minima cagione di tenermi se non amico suo, et servitore del Re, contra quello che portano le parole sue istesse et col papa, con le quali in proposito del nuntio per Spagna, si lassò intendere li dì passati, come mi ha detto il papa istesso, non potere piacere a Sua Maestà né stimar suo servitio d’haver il nuntio in alcun modo dependente da [noi] et da me particolare. Ma questo ultimo lo tacerò con lui che non sa che io lo seppi, et nell’altro particolare delle pratiche vedrò quel che voglia dire, et risponderò a proposito, perché io non so più di quel che ho detto di sopra, se non che egli voleva fare papa Sirleto [6], et il pattoc era che Como [7] restasse al negotio. Nelle cose del signor Paolo [8] sarò con l’Arcivescovo [9], et non ci partiremo dalla mira che ha Vostra Altezza, la quale insomma è la medesima che la mia, perché bisogna fare qualche cosa in ogni modo per ridurlo a una provisione fuor di qua prima che dia fondo a ogni cosa. Del Tosone mi allegro con Vostra Altezza et dell’arrivo delle galere vorrei >essere<d più allegro, ma lo stimo buono in ogni modo. Et con questo le bacio la mano.
Di Roma li xij di  luglio M.D.LXXXV.    
 
 
voltisie
 
//c. 151v// Ho visto volentieri fra’ Filippo Guidi, et in benefitio suo m’adoprarò dovunche che gli bisogni sì per li meriti del zio, come per comandarmelo Vostra Altezza. Non ho già potuto per hora tirarmelo in casa come egli harebbe voluto, perché mi trovo assai gravato di famiglia et di spesa. Già altra volta desiderando l’abbate Bellarmenio [10] quella casa che Vostra Altezza tiene a Montepulciano et sopra la quale ha egli certa pretensione hereditaria, ella mostrò darli orecchi, et ne fu trattato con li suoi deputati, ma senza conclusione, se ben la voglia et la mira di lui è stata sempre la medesima et sempre regolata dall’honesto, per la quale mi fa hora instanza di pregar Vostra Altezza, che dovendosi contrattar con alcuno, si contenti non preferir altri a lui il quale desiderarebbe d’accomodarvisi, et ha borsa da farlo con  ornamento  di quella terra. Prego Vostra Altezza che come servitore nostro antico, et mio particolarmente, lo ne favorisca, che gliene harò obligo. Etc.

 
a che  è posto in interlinea.
b la è posto in interlinea.                 
c patto  è scritto in interlinea sopra la parola stessa abrasa.
d Lo scrivente ha dimenticato di inserire “essere”
e voltisi è scritti a sinistra della firma.