Il cardinale Ferdinando al granduca Francesco I, a Firenze

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Roma, 13 giugno 1585

Med. 5092, n° 75 (cc. 184r- 185r), firma autografa

//c. 184r//
 
Sopra le cose del signor Paolo [1] habbiamo ragionato insieme Cesi [2] et io, et secondo che risolveremo più maturamente del modo di parlare al papa o separatamente o insieme, così esequiremo, et sarà sì presto, che con l’altro ordinario se ne potrà scrivere a Vostra Altezza.
Le cose del Duca d’Altemps si vanno maturando, et il Senatore (che è giudice della causa) [3] et che è in camino d’andare ad maiora et vuol essere tutto mio, ha già quasi persuaso il papa che esilio et [danari] siano la pena di questo caso. In che quando Sua Santità sarà fermata, et che si sarà dichiarato, chiederemo gratia, havendo ella sempre detto che si lassi correre la giustitia, et che poi farà lei la sua parte; talché le donne non saranno più richieste. Nazaret [4] venne, et io ho caro d’havere inteso meglio dalla lettera di Vostra Altezza che da altri la sua volontà. Il papa non ha dichiarato dove voglia valersi del signor Scipione, né io ho voluto domandargliene, ma per servirsene l’ha più tosto desiderato che chiamato. Gliel’havevo bene raccomandato io prima, et so che gl’ha inclinatione. Sua Santità richiesta dal Re Christianissimo [5] d’aiutarlo in questa impresa contra Ugonotti, si risolve di farlo da dovero, se da dovero vedrà che faccino loro. Este [6] ha chiesto alienatione di beni ecclesiali per certa somma, et Sua Santità vuol consultarla con sei cardinali, fra quali mi ha fatto dire di volere me ancora, et che gli altri saranno Santa Croce, Santa Severina [7], Albano [8], San Marcello [9], et Lancilotto [10].
//c. 184v// Di questo non si sapeva fuori, et io lo dissi subito a Olivares [11], mostrando che interverrei o no, come havesse voluto. Non rispose a questo, ma, ragionando del negotio per termini generali, mostrò che Sua Santità doveva molto bene provedere, che il danaro non si spendesse in altro, et che saria stato bene posto in mano di Borbone, et similia. Due dì sono me lo fece dire il papa, né di poi ha intimato congregatione, et io per me non mi curarei che si facesse altro, ma però converrò con li altri quando sarò chiamato.
Finì la tresca di Napoli, come dissi, ma un’altra n’è mossa, et è, che il Cappellano maggiore [12] riteneva ancora certi preti di Gravina, et il papa per il nuntio gli fece intendere, che gli relassassi, et più non dovesse intromettersi in alcuna esecutione contro li medesimi o altri, ma lassassi fare a chi toccava, perché altrimenti da allhora lo dichiarava  escommunicato. Per stimolo di Caraffa [13] fece il papa questo ordine, il qual Caraffa dandolo a Rusticuccio [14] perché scrivesse a nome del papa, aggiunse di suo, che gli comandasse anco di non ingerirsi nelle cose di San Niccolò di Bari. A quelli suddetti non fece replica il Cappellano, ma di queste di Bari, che sono di regio patronato, s’è risentito il Vicerè [15], et ne viene hora rabbuffato Caraffa dal papa (che non li dette tal ordine) et dalli Spagnoli, che in questo gli pare haverlo scoperto contrario alle cose loro. Io lo dico a Vostra Altezza per sua notitia, ma come tocca a Caraffa, non ne parlo già qua.
//c. 185r// Luca Santoli da Arezo mentre se n’è stato con il Bianchetto già maestro di Camera di Gregorio [16] hebbe qualche occasione di farmi de servitii. Se ne torna hora a casa mezo stroppiato dalle gotte, et perché disegna di starsene il più delle volte alla Villa, et non vorrebbe andare attorno senza la spada almeno, prego Vostra Altezza di concedergliene licenza, che lo riceverò in me, et le bacio la mano.
Di Roma l’ultimo di agosto 1585.
 
 
aOlivares dovette accorgersi di havere passato con me quello avvertimento generalmente et però stamane è venuto a posta a scusarsene, et ringratiarmene, et io gl’ho pur […] altra cosa che gl’è stata cara, et l’ha ricevuta meglio.

 
3. Il Tribunale del Senatore di Roma. Ricopriva la carica nel 1585 il maceratese Giovanni Pellicani.
12.  Gabriele Sanchez de Luna.
 
a Il poscritto è posto prima della firma.