Il cardinale Ferdinando al granduca Francesco I, a Firenze

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Roma, 25 luglio 1586

Med. 5092, n° 142 (cc. 380r-381r), firma autografa

//c. 380r//
 
Al cardinale Gesualdo [1] scrissi la risposta di Vostra Altezza nel particolare del Caracciolo [2], il quale ne mostra contenteza incredibile, con altrettanto obligo per la volontà di lei.
Il mio catarro  terminò bene, et presto con poca dieta sola, et nel pigliare il sereno del mio giardino vo temperando di maniera la dolceza con gl’altri respetti, che spero dovermi giovare, più che non habbia potuto nuocermi, se pur quella fu la cagione del catarro.
Con l’altra mia harà Vostra Altezza l’istoria di questi condotti fin’alla data d’essa, dopo la quale non ho che dire altro, se non che con la prova hanno trovato la pendenza d’essa, et trovatala tale, che l’acqua è venuta, et verrà gagliardissima. Si son dati li libri alli deputati, et l’opinione è che la stima, et misura portarà più che la spesa fatta. Sua Santità pur mi manda i suoi mastri, et io gl’odo, et gli fo aiutare, ma volendo da me gl’ordini de danari ho risposto, ch’i libri son in mano delli deputati, et il ministro già posto da me non ci è, et che non sapendo chi deputare di nuovo, lasso volentieri questa cura a ministri di Sua Santità che ci haranno forse migliore mano. Che è quanto m’accade et le bacio la mano.
Di Roma li xxv di luglio M.D.LXXXVJ.

poscritta Hoggi sabato sono stato all’audienza per cose ordinarie mie et d’amici, et Sua Santità //c. 380v// m’ha detto quanto passa in materia delli schiavi con Farnese [3], il quale debbe essersi doluto con lei di certa lettera scrittale da Vostra Altezza come Sua Santità s’è doluta con me, ch’il Gerino [4] havendo per mano sua trattato il resto di questo negotio non li havesse communicato di questa lettera, la quale mostra, che non haria lassata presentare, perché dice bene volere, che li schiavi si diano a Vostra Altezza ma haver anco caro, che Farnese cedendo alle dispute, non havesse sopra più male parole. Ho scusato il Gerino con gl’ordini di Vostra Altezza et del resto non informato, non ho potuto uscir di generali. Hieri mi fece intender il papa, che Albano [5] l’haveva domandato, se sapeva di certa giovane di Mantova fuggita dal marito per conto del Principe [6], ond’era nato scandolo et romore, et mi domandava quel che ne fusse il vero, a che risposi non haverne più che si dicesse la piaza senza certo autore, et però non poterne dire altro col qual medesimo Albano disse Sua Santità che non credeva quello accidente di Monferrato essere vero, ma lo stimava una baiata, et una inventione, et si maravigliava, che Mantova [7] havesse qua mandato homo espresso per questo effetto, soggiugnendo, che se fusse vero, vorria essere nemico di Savoia [8], come sarà sempre con chi voglia muover arme in Italia con ponere mano a danari et fece una bella sparata, che saria da stimarla se a lo sborsare di danari si vedesse principio, ma la cosa se ne va in parole, //c. 381r// et a chi chiede aiuti per servitio publico, fin’hora non si sodisfà con altro. Et con Olivares [9] torna tanto spesso Sua Santità replicando delli 700 mila che vuol dare al Re [10] per l’impresa d’Inghilterra, ch’egli dice non poterla più sentire, poiché non è più di quel che si dica giornalmente a tavola.
Col viceré di Napoli [11] passa burasca per un commissario spedito da lui a levar un prigione dalle carcere ecclesiastiche, il qual prigione havendo Sua Santità havuto per l’inquisitione con promessa d’assolvere il commissario, ella hora non vuol farlo se non viene qua, et il viceré non vuol consentirlo a modo alcuno. Vedremo dove andarà a finire questa cosa, et io dubito che le toccarà di cedere se egli stia duro, come lo sforza la iurisdittione, osservandosi, che con Ferrara [12], et con altri, che le mostrano il viso, ella fa qualche calata. Etc.